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Autore: cliffordsjuliet    20/04/2018    1 recensioni
Era così, la Periferia. Io non ero Kendra Saint, non ero la figlia di Missi e Jackson.
Non c’erano nomi, in periferia. Eravamo tutti numeri, volti un po’ scambiati, copie sbiadite di chi, prima di noi, in quel posto ci era marcito.
Io non facevo differenza.
**
Me ne sarei tornata a casa, con calma, senza correre. Sarei arrivata lì e a quel punto non ci sarebbe stato Luke ad aspettarmi.
Pensavo che mi sarei sentita sollevata, invece mi sentivo solamente miserabile.

**
Pensavo che avrei smesso di odiarlo, di disprezzarlo con tutta la forza che avevo in corpo.
Pensavo che mi sarei abituata a quell'affetto sordo e un po' cieco che lentamente si stava facendo spazio in me.
Non mi abituai mai. In fondo io ero Kendra e lui era Ashton, ed era questo che sapevamo fare.
L'odio era l'unica cosa che non potevano toglierci.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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VII. Loosing everything

Avevo sempre pensato che al peggio non ci potesse mai essere fine.
Mi resi conto che era vero solo quel giorno, però. E capii anche che, fino a quel momento, non mi ero preparata davvero al peggio. Perché Ashton non c’era. Era in gabbia, dietro delle sbarre. Lui che come me sognava la libertà, lui che non poteva essere incatenato a nulla, improvvisamente era rinchiuso. Ed era questione di tempo, io lo sapevo.

Ché quel maledetto poteva anche non dirmi in cosa fossero coinvolti, lui e gli altri, ma il peso di ciò che si portavano addosso era difficile da ignorare. Persino per una come me, io che avrei fatto finta di nulla per una vita intera pur di tenerli vicino a me, di non perderli.
Luke, il mio Luke, il mio fratello non di sangue, quello che la vita m’aveva regalato, e quegli altri due disgraziati che mi ero ritrovata sulla strada da un giorno all’altro, e che avevo accettato con tutta la riluttanza e il casino che ero riuscita a smuovere.
«Che cazzo hai detto» sputai fuori con la poca aria che mi restava nei polmoni, che la forza di parlare l’avevo persa già da un po’. Perché avevo troppi scheletri nell’armadio, io, e la coscienza di Ashton e di quello che poteva aver fatto io non volevo averla. Non volevo immaginarmelo ingabbiato, il mio amico idealista, quello dalle mani sporche ma con lo sguardo pieno di illusioni. Quello che avevo odiato, e poi imparato a conoscere, che si era incastrato nella mia routine senza chiedere il permesso. Quello di cui conoscevo i silenzi, nei cui abbracci mi rintanavo quando Luke non c’era, e l’ansia era troppa e dilaniava la mente, lo stomaco, mi faceva venire voglia di gridare. Non potevo credere che si fosse fatto fottere proprio lui, e da cosa poi?
Da chi?

«Abbiamo incontrato… complicazioni sul lavoro. C’è stata una sparatoria, un sacco di casino, ma Ashton è innocente» Michael parlava con lentezza, non abbassava lo sguardo, come si fa con le bestie feroci. Forse in fondo ero davvero questo, un animale, una belva pronta a sbranare il mondo. Però io la rabbia dentro in quel momento non ce l’avevo, mi sentivo come morta, anestetizzata.
«Me lo spieghi cosa Cristo fate, adesso? O devo marciare fino all’inferno prima che voi parliate?» parlavo al plurale ma i miei occhi erano piantati sul volto cinereo di Luke, sui suoi lineamenti induriti. Non gli avrei permesso di chiudermi fuori, l’aveva fatto troppe volte, non ci sarebbe riuscito una volta di più.
Michael sospirò e «Le strade hanno occhi e orecchie, ragazzina. Ormai dovresti saperlo» replicò, il tono amaro, lo sguardo impassibile mentre marciava verso la porta dell’abitazione di Luke e la spalancava, lasciandosela poi aperta alle spalle, dopo essere entrato.
«Che fai, allora? Vieni?» il mio amico continuava a non guardarmi, aveva la voce bassa, fragile.
«Certo. Certo che vengo, questa storia deve finire una volta per tutte» sbottai, precedendolo. Non lo vidi, ma sentii i suoi occhi perforarmi la schiena. Non lo vidi, ma percepii con estrema precisione il momento in cui Luke inspirò il mio odore mentre gli sfilavo accanto e mi dirigevo verso la casa. Non lo vidi, ma seppi con assoluta certezza che non ci avrebbe messo molto, a realizzarlo: quello che avevo incollato addosso, alla pelle, era l’odore di qualcun altro. Ero stata contaminata di nuovo, ma stavolta era diverso, il colpevole era qualcuno di sconosciuto.
Qualcuno che non era lui.

 

Michael bevve esattamente tre whisky prima di iniziare a parlare. Io avevo appena finito il primo mentre Luke già versava a se stesso e all’amico il quarto, metodico, come se l’alcool potesse dar loro la forza di ammettere tutto. Come se potesse davvero servire.
«Cazzo, Mike, non posso aspettare che si faccia giorno inoltrato» sbraitai scocciata, anche se tanto di andare a scuola ormai di nuovo non se ne parlava. Il ragazzo dai capelli tinti mi lanciò un’occhiata di sbieco, prima di passarsi una mano sul viso.

Sembrava aver acquisito cent’anni di più, Michael, sembrava un vecchio costretto nel corpo di un ragazzo. Uno che ne aveva viste e sentite tante, questo sembrava Michael.
I suoi occhi erano troppo spenti, troppo consapevoli.

«A volte sei proprio stronza, ragazzina» proferii poi, buttando giù in un solo sorso il quarto whisky.
«Come ti pare. Parla, adesso»
«Il nostro è un semplice lavoro di routine. Spaccio, furti… è il padre di Ashton che gestisce la gang, gli adulti fanno il lavoro sporco. Noi per loro siamo ancora dei ragazzini e basta, non siamo coinvolti nella roba grossa»
Rabbrividii. Se spaccio e furti non erano “roba grossa”, non volevo immaginare cos’era che i loro genitori facessero, di cosa le loro mani fossero macchiate. Mi versai un secondo whisky, poi gli feci cenno di continuare. Non potevo permettermi di aprire bocca e commentare, non avrei più smesso di parlare.
Luke sospirò. «Nel nostro spazio si sono presentati tizi di una gang rivale da sempre alla nostra. Non avevano mai fatto niente del genere, al massimo si limitavano a cercare di fotterci i clienti, questo sì» Luke si rigirava il bicchiere tra le mani ossute, e il fatto che lui parlasse della gang utilizzando parole come “nostro” e “nostra” mi dava la nausea.
Io Luke non me lo volevo immaginare invischiato in qualcosa del genere. Avrei pensato che dopo tanto tempo ci avessi fatto l’abitudine, mi fossi anestetizzata contro il dolore provocato dal rendermi conto quanto tutto fosse cambiato. E invece la stilettata al petto era sempre lì, ne ricevevo una nuova ogni volta che lui parlava. Avrei voluto dirgli di starsi zitto, di far spiegare tutto a Michael. Invece non lo feci. Mi limitai ad annuire, stringendo più forte il bicchiere tra le mani, quel pezzo di vetro anche un po’ sporco, ma nel quale avrei affogato tutto ciò che provavo.

«C’è stata una sparatoria, te l’ho detto» riprese Mike. «I nostri stanno bene, solo qualche ferito. Ashton però deve sempre fare l’eroe tragico» sbuffò, gli occhi rivolti al soffitto, il tono ironico. «È rimasto troppo a lungo, lui. A difendere chi dei nostri era stato colpito, a nascondere le tracce. Peccato che non abbia saputo nascondere se stesso»
E, dallo sguardo che Michael mi lanciò, capii che il racconto era finito.
E capii che ne sapevo anche meno di prima. Mi chiesi perché fino ad allora non mi avessero detto niente, e poi anche perché all’improvviso avesse deciso che sì, potevo sapere. Perché non mentirmi anche sull’imprigionamento di Ashton, perché non inventare storie. Mi chiesi se in fondo non avesse mentito davvero, invece.
Scossi la testa. Una, due volte. Come a scacciare i pensieri, a scacciare il mostro che sentivo svegliarsi in petto, quella gelosia, quel dolore brutale.
«Come si fa a farlo uscire?»
Michael sgranò gli occhi. «Cosa?»
«Mi hai sentita»
«Non si fa. Ci pensa il padre di Ashton, però un po’ di tempo al gabbio dovrà comunque passarlo. È così che ragionano, sai. Prima si calmano le acque, poi ti tirano fuori»
Mi alzai di scatto dal tavolo. Lanciai solo un’occhiata ai due ancora seduti, che mi guardavano straniti, guardinghi. Come in attesa di una nuova pazzia da parte mia. Mi alzai, mi diressi al bagno, mi piegai in ginocchio e, con tutta la dignità che una persona in pezzi poteva trovare, vomitai anche l’anima. Non sapevo nemmeno cosa stesse rigettando, il mio corpo, visto che non avevo neanche mangiato, prima di andarmene con Chester. Forse stava solo rifiutando se stesso, me, tutto lo schifo che ero costretta ad inghiottire.
Non ci feci quasi caso, quando due mani fredde mi si posarono sulla fronte.
«Cacciare fuori tutto fa bene» sentii Luke mormorare, proprio mentre «Che schifo, Kendra» si lamentava Michael. Lo mandai mentalmente a quel paese, visto che fisicamente non ne avevo le forze. E probabilmente Michael sapeva cosa stavo pensando, perché si lasciò andare ad una risata priva di allegria.
«Ma ci pensate? Chi l’avrebbe detto. Qualche mese fa tu ci facevi la guerra, e adesso addirittura ti preoccupi. Non so se sia ipocrisia, la tua, o sei semplicemente fuori di testa»
Michael aveva ragione.

Lo sapevo, lo sentivo fin dentro le ossa. Era ipocrisia? Io che mi vantavo della mia correttezza, diventare un’ipocrita? Forse. Forse lo ero. Forse lo ero stata per essermi concessa il lusso di affezionarmi a qualcuno, persone così. Persone che avevo odiato a lungo, alle quali mi ero dovuta abituare con la forza.
Mi allontanai dal gabinetto, il sapore amaro della bile in bocca, e non risposi mentre metodicamente scaricavo, mi dirigevo al lavandino e bevevo avide sorsate.
C’era il mio spazzolino, lì. Quello che usavo quando dormivo da Luke, quelle poche volte in cui mi costringevo a farlo. Lavai i denti in silenzio, sentendo pure lo sguardo dei due addosso. Quello di Michael, un po’ canzonatorio, che però diceva “io sono qui e qui resto”. E quello di Luke, in cui percepivo l’accusa. Perché l’odore che aveva sulle mani, dopo avermi tenuto la fronte, non lo riconosceva. Non era il nostro.
«Non ci capisco un cazzo, di tutta questa storia» esordii dopo minuti che sembravano anni, perché il silenzio a volte pesa semplicemente troppo.
«Eh. Non sei l’unica, sai»
«C’era mai stato prima?» non specificai chi o dove, ma Michael dovette capire, perché scosse la testa. «No. Nessuno di noi c’era mai stato. Eravamo puliti, prima»
Prima. Perché adesso la fedina di Ashton era sporca. Perché adesso lui, agli occhi della polizia, esisteva. Lo conoscevano, avevano il suo nome, il suo DNA. Perché adesso lui aveva le luci puntate contro, ed ogni suo passo sarebbe potuto andare in fallo.
C’era stata la luce a filtrare dalle finestre. C’era stato il calore. In quel momento io sentivo solo freddo, il freddo che ti entra nelle ossa, che te le spacca e poi le rimodella a modo suo. E lo scheletro che ti ritrovi è più aguzzo di prima, ti ferisce la carne, sanguini dall’interno e nessuno se ne rende conto, e dopo un po’ neanche tu ci fai più caso.
Ti fai male e non importa neanche a te, finché non ti dissangui.
Dei colpi sulla porta ci fecero sobbalzare, nel silenzio asfissiante di quella casa. Luke aveva uno sguardo stravolto che, Dio, non me lo scorderò finché vivo. Erano in pochi a sapere chi ci abitasse, lì. Era appena passata l’alba. Chiunque bussasse alla porta ad un orario del genere non era amico, o non portava buone notizie.
Ricorderò per sempre ogni passo che facemmo verso la porta di casa, il momento in cui Luke la spalancò, e ciò che accadde dopo.
Un colpo di pistola al cuore, questo era ciò che ottenni. Perché non c’era nessuno, sulla soglia di casa.
Solo Calum, steso per terra, e il suo viso sempre colorito e sorridente era cinereo, e il petto si alzava a stento.
La sua maglia, forse inizialmente bianca, era ricoperta di sangue.

 

Avevo sempre odiato gli ospedali.
La puzza di disinfettante, quelle mura bianche, bianche come le luci artificiali che ferivano gli occhi, facevano male. Capaci di farti diventare pazzo, a starci sotto troppo tempo.
Non avrei pensato che avrei potuto odiare gli ospedali di più, eppure ci riuscii, perché era un mio amico, quello che ci veniva portato di corsa. Ci riuscii quando mi ritrovai sola, sola con i miei genitori, ché Michael e Luke non potevano farsi vedere dalla polizia, sarebbe stato troppo rischioso. Sola mentre i miei genitori ripetevano agli agenti la stessa solfa che avevo raccontato loro io. Che io stavo andando a scuola e lui era lì, sul vialetto di casa sua dove ci saremmo dovuti incontrare, e non c’era un’anima viva in giro, solo Calum, il mio amico Calum che adesso era in sala operatoria e aveva una fottuta pallottola nel fianco, e molteplici ferite da taglio. Era stato fortunato ad essere riuscito ad arrivare vivo all’ospedale, avevano detto i medici. Fortunato. Come se un povero Cristo squarciato in più punti e ricoperto di sangue potesse essere fortunato in qualche modo. Ero terrorizzata, il mondo intorno a me sembrava totalmente ovattato. Ashton è in carcere e Calum sotto i ferri e Luke l’hai perso tanto tempo fa e non hai più nessuno, Kendra, non ti resta più nessuno, prima o poi perderai anche te stessa.

Non sentii mio padre, quando mi venne a prendere per un braccio, chiedendomi di tornare a casa. Erano passate forse ore in quell’ospedale o forse no. Non me ne sarei accorta, non ci sarei riuscita. Il tempo sembrava non scorrermi più addosso, si era fermato a quel momento, quello in cui avevo visto il corpo esangue di Calum ed ero crollata a terra, e non ero stata capace neanche di urlare, non era uscito nessun suono dalle mie labbra spalancate dalla paura. Non me ne sarei andata, non avrei potuto neanche chiudere gli occhi. Nel buio il sorriso di Calum si frammentava e lui non c’era neanche più, era diventato un fantasma, l’ombra del ragazzo che aveva sempre sognato di essere.
Pensai che fosse colpa nostra. Avevo lo sguardo puntato fisso sul muro bianco di uno stupido ospedale e l’odore del sangue – il suo sangue – nelle narici, e pensai che sarei andata all’inferno. Che ci saremmo andati tutti, tranne Calum. Ma la Periferia era così.
Non potevi sfuggirle, non potevi cercare di essere migliore, in qualche modo ti fotteva.
Alla fine, nonostante tutto, era successo. La Periferia si era portata via pure lui.







#Chiara's corner
Ciao bellezze, chiedo scusa per il ritardo, ma eccomi qui. So che il capitolo è corto, purtroppo non ho molto da dirvi a riguardo, ma spero che nonostante la lunghezza vi sia piaciuto comunque: inizia a succedere qualcosa, delinearsi qualcos'altro... e come al solito mi farebbe tanto piacere sentire le vostre idee a riguardo!!
Un abbraccio forte,
Chiara. xx

 

  
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