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Autore: _Alexis J Frost_    21/04/2018    1 recensioni
[ Lamen -- Laurent x Damen ]
Anche allora maledì il rosso con tutto il suo cuore, giurò vendetta, giurò morte. Giurò di diventare ciò che mai sarebbe stato altrimenti: un uomo capace di vincere e non più un ragazzino intelligente che preferiva i libri all'arte della spada. Il blu avrebbe sopraffatto quel maledetto colore che tutto aveva trascinato via.
Dapprima il suo cuore quando prese il nome del principe di Akielos.
Poi la sua innocenza, la sua anima, quando il lupo si tolse la maschera svelando il volto del suo stesso zio.
Ma lui sarebbe scappato.
Avrebbe vinto.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Kiss me and Take me away

Per sei anni aveva vissuto all'interno di una dorata gabbia degli orrori. Una gabbia subdola che stava distruggendolo pian piano nonostante lui combattesse con le unghie e con i denti, scalciasse e scalfisse il suo stesso essere al solo scopo di forgiare un uomo in grado di fuggire e mandare in frantumi le catene che legavano il suo corpo quanto la sua anima.
Ricordava ancora il giorno in cui comparve, il tragico giorno in cui si ritrovò solo e tremante nelle fauci di un lupo spietato: accadde quando il cielo divenne nero e il terreno si macchiò di scarlatto, liquido, denso, caldo.
Il rosso portò con sé suo padre ma questo...oh, questo non bastava, no; poiché doveva prendersi ancora quel che di più importante avesse, l'unica persona che riusciva a far risplendere le sue giornate, a cui lui volesse davvero bene: suo fratello Auguste.
Auguste.
Chiudendo gli occhi, Laurent riusciva ancora a vedere il suo sorriso smagliante, i muscoli che si contraevano mentre fendeva l'aria con la sua spada preferita e i capelli madidi di sudore. Lui era seduto poco distante da lui, con un libro sulle gambe che leggeva voracemente quando non posava lo sguardo sul fratello maggiore che tanto amava. Era il suo idolo, il suo ideale...ed era il padre che non riconosceva nel suo reale creatore. Laurent lo seguiva dovunque andasse, un piccolo angelo custode dai capelli d'oro e gli occhioni vispi nel quale brillava il cielo stesso.
Nei suoi ricordi, Auguste posava la spada e si asciugava il sudore con la sua stessa maglietta, gettandola di lato come una pezza vecchia prima di corrergli incontro per scombinargli amorevolmente i capelli.
«Allora...com'è il libro? Sicuro di preferire quello agli allenamenti con la spada?»
Una volta, Laurent si sorprese a ripetere quelle parole a voce alta. Riaprì gli occhi ma non c'era nessuno. Auguste non era lì.
Auguste, semplicemente, non c'era più. Lui era da solo all'interno di quella prigione di diamanti.
Anche allora maledì il rosso con tutto il suo cuore, giurò vendetta, giurò morte. Giurò di diventare ciò che mai sarebbe stato altrimenti: un uomo capace di vincere e non più un ragazzino intelligente che preferiva i libri all'arte della spada. Il blu avrebbe sopraffatto quel maledetto colore che tutto aveva trascinato via.
Dapprima il suo cuore quando prese il nome del principe di Akielos.
Poi la sua innocenza, la sua anima, quando il lupo si tolse la maschera svelando il volto del suo stesso zio.
Ma lui sarebbe scappato.
Avrebbe vinto.
E tutto sarebbe stato dorato e blu, così come era lui. E così come era stato suo fratello.
Eppure, Laurent non si era reso conto di aver eretto lui stesso una seconda gabbia intorno alla sua persona. Non c'era altro modo, diceva a se stesso, consapevole che fosse vero. Doveva creare una cinta muraria per distruggere la gabbia ed era quello che aveva fatto. Ma non aveva idea della portata di questo atto fino a quando un uomo non cominciò a scalare la fortezza, lasciandolo attonito e impossibilitato a rispondere. E come doveva essere subdolo, il fato! Come doveva essere crudele e con un cinico senso dell'umorismo!
L'uomo gli si era presentato vestito di bianco, avvolto da un travestimento ignobile e innaturale. Ma lui...lui lo aveva sempre visto con il suo vero colore. Rosso. Il rosso dell'omicidio che macchiava la sue mani, giacché, aveva creduto, lui era l'artefice della sua distruzione, della sua rovina. Damianos, principe di Akielos, vincitore del duello che lo vide scontrarsi contro il principe di Vere, Auguste.
Muori. Muori.
Tu e mio zio dovete morire! Dovete lasciarmi libero!
Implorava la sua anima, ridotta ad un vetro rotto macchiato di sangue e lacrime.
Vi annienterò entrambi!
Eppure...prima che potesse rendersene conto, prima che la sua mente fredda e calcolatrice se ne accorgesse, Damen non aveva smesso, neanche per un secondo, di scalare la fortezza per raggiungere il suo cuore e liberarlo lui stesso.
Tuttavia, se non sapeva come fosse accaduto, sapeva quando la barriera di gelido ghiaccio aveva cominciato a crepare sotto i suoi piedi.
«Baciatemi.»
La voce arrochita di Damianos gli rimbombava ancora nelle orecchie e sulla pelle del polso sentiva ancora la sua salda presa, quella stretta che anziché fermarlo dal colpirlo con un pugno o un pugnale stava, invece, invitandolo a restare. Gli occhi di Damen brillavano di una luce che nessuno gli aveva mai riservato e Laurent ne ebbe paura, a quel tempo. Aveva paura di aver scoperto chi fosse in realtà quel principe costretto da una guerra inutile ad ucciderne un altro, brandendo la spada per il proprio popolo e per la propria stessa sopravvivenza. Soprattutto, aveva paura della dolcezza, di quel desiderio sincero che non aveva secondi fini. Perché lo sapeva, lo aveva capito, Damianos possedeva un cuore troppo puro e troppo sincero: era uno specchio d'acqua limpida, un ciel sereno che non lasciava spazio alle grigie nubi.
Per questo...per questo ne era terrorizzato. Quando non hai visto il sole per tanto tempo gli occhi bruciano; e per un istante, quasi desideri di poter tornare nell'ombra. Ma nonostante tutto, nonostante il ricordo di sudice mani che insozzarono per sempre il suo infantile corpo, Laurent aveva chiuso gli occhi e con la tenera timidezza di un adolescente alle prese col primo amore, aveva baciato il sole. Probabilmente fu allora, già, fu in quell'istante che scoprì di aver mosso i primi passi della sua fuga infinita, dopo aver girato in tondo senza meta troppo a lungo.
E aveva ottenuto dei dolci baci, delle amorevoli attenzioni. Per la prima volta si era sentito spogliato della sua barriera di ghiaccio, specchiandosi negli occhi di un uomo che stava porgendogli la mano verso un futuro in cui poteva tornare a sperare dopo anni trascorsi nell'oblio più marcio e perverso.
Facendosi coraggio, Laurent aveva afferrato quella mano andando incontro ogni rischio e un sorriso gli curvava le labbra quando pensava a quanto aveva corso da allora, quante ne aveva passate insieme con quell'uomo. Sorrideva anche pensando al momento in cui fu sul punto di tornare indietro di cento passi, convintosi di doverlo lasciare andare.
Ma non ci era riuscito. Semplicemente, non poteva. E Damianos, maledetto sia lui!, non glielo aveva lasciato fare nemmeno per un singolo istante, neanche quando lo trattò orribilmente cacciandolo dalla sua tenda. Era rimasto lì, lo cercava con lo sguardo, catturava la sua attenzione con gesti e parole fino a quando non cedette, durante una sera laddove l'alcool aveva preso a traboccare di coppa in coppa.
Mi manchi, aveva detto.
Anche tu mi manchi, si era sentito rispondere.
E da quel momento i passi in avanti divennero duecento solo qualche notte dopo, quando, da perfettamente lucido e sobrio, aveva gettato via la gabbia eretta intorno al suo cuore. Ma anche lì, anche in quel momento, pur convincendosi che fosse stato lui a scegliere, in realtà era stato Damen. Damen, così ottuso da porgergli ancora una volta la mano, con il suo cuore sincero e gli occhi impregnati di reale affetto.
«Se ti dessi il mio cuore, sarei certo che te ne prenderesti cura.»
Nessuno gli aveva mai parlato così. Era abituato a sentirsi dire di essere un manipolatore, un bugiardo, una frigida puttana. Aveva lavorato sodo per crearsi quell'immagine bugiarda, fortificata dallo zio che di tutto faceva per farlo risultare incompetente e ingiusto seduto sul trono che in realtà gli spettava. Per lungo tempo quella facciata divenne perfetta per portare avanti la sua lotta, la partita che doveva vincere per lui stesso, e per il suo popolo che stava ritrovandosi governato da un sudicio uomo divenuto reggente dopo aver ucciso il proprio fratello e abusato del nipote.
Abituato com'era al doppiogiochismo, alla crudeltà più oscura, Laurent non sapeva rispondere al cospetto dell'unico uomo che riuscì a vedere la sua anima priva di maschere.
«Baciami», gli aveva detto allora. Baciami e portami via da tutto questo.
Baciami, te ne prego. Non toccarmi per farmi del male, non parlarmi per ferirmi.
Lo hanno fatto troppo a lungo.
Stringimi la mano. Scapperò via con te,o morirò con te. Con te, andrò ovunque.
Devi solo baciarmi.
«A cosa stai pensando?» Gli stava chiedendo Damianos, gli occhi ancora impastati dal sonno. Laurent aveva tra le dita alcune delle sue ciocche scure con la quale giocava amorevolmente.
La sua mente ricordò fughe da bordelli, travestimenti, guerre, un processo.
Erano passati mesi, eppure sembrava solo ieri dal giorno in cui si era trovato sul punto di morte con Damianos pronto a morire con lui. Quel giorno aveva sentito il proprio cuore piangere per l'ultima volta al pensiero di aver quasi trovato l'uscita dell'infinito tunnel e precipitare nel vuoto ad un passo dalla salvezza. Ma, alla fine, era andato tutto bene. Damianos aveva mantenuto la sua promessa e non l'aveva più lasciato da solo. Avevano ucciso Castor, avevano tolto la reggenza a suo zio ed ora erano entrambi re di un unico regno.
«Niente, ti osservavo dormire e mi chiedevo quando avevi intenzione di svegliarti.»
Il bracciale d'oro che condividevano rifletteva la luce del sole che penetrava dalla finestra. Anche un anello rifletteva la medesima luce, anch'esso d'oro ed indossato sull'anulare della mano sinistra.
«Mi sveglio solo se rimaniamo a letto.»
«Credo sia impossibile. I nostri compiti da re ci attendono.»
Damianos mugolò qualcosa di incomprensibile contro la sua spalla e lui sospirò roteando le iridi verso il soffitto. Poi, un tenero sorriso curvò le sue labbra e Damen alzò lo sguardo proprio in quel momento.
«Che c'è?»
«Baciami.» Gli disse.
Damen fece quanto gli era stato richiesto e Laurent si abbandonò a quel contatto che purtroppo durò poco, giacché Damen non aveva ancora finito di lamentarsi come un bambino.
«E se fuggiamo dai nostri doveri oggi?»
Laurent sospirò ancora una volta e con fare dolce le sue labbra toccarono la guancia altrui.
«No, non si può fuggire.» Aveva detto, posando gli occhi di ghiaccio sul mantello di Damen e la sua giacca, gettati per caso sul comodino accanto il letto. Il blu e il rosso si confondevano.
Rosso...
Il rosso era stato il colore che gli aveva portato via suo fratello.
Il rosso era stato il colore di suo zio.
E tuttavia, il rosso era stato il primo colore che vide all'uscita del tunnel e ora conviveva accanto al suo blu, intrecciati per sempre fino a quando avrebbe avuto respiro.
Già. Ora, il rosso, significava salvezza.
«Finalmente, non c'è più nulla da cui fuggire.» Ripeté, in un amorevole sussurro.


 
Angolo dell'autrice.
Ho letto questa trilogia tutta d'un fiato, praticamente in soli tre giorni e me ne sono innamorata perdutamente tanto che non ho resistito dallo scriverci qualcosa anche se spero anche qui di poter presto scrivere tanto altro. Ho così tante idee in testa...
Comunque, alla prossima! Sperando che sia il più presto possibile.
  
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