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Autore: IneedLemons    27/04/2018    0 recensioni
- Credo che tu volessi colpire me invece di quel malcapitato. – una voce nuova si insinuò nella mia testa e questo portò a girarmi.
Il presunto assassino, vero questa volta, osservava gli alberi con fare risoluto.
- Peccato che quel tronco è lontano altrimenti avrei rimediato senza problemi. – risposi a tono a quell’affermazione.
Sogghignò.
- Sicura di non essere tu l’assassina? Forse tuo padre ha ragione a rinchiuderti in casa. – si voltò verso di me osservandomi. Potei giurare di aver scorto un leggero senso di ribrezzo. Chiusi le mani a pugno.
Mi avvicinai, molto.
- Meglio del tuo che ti ha cacciato dalla propria. – sibilai.
Inspirò in modo sospetto come se avessi toccato un tasto dolente, stava per rispondere ma…
A volte sembra che quel filo rosso della fantomatica leggenda cinese per noi non esista, che siamo destinati alla solitudine, senza trovare quella persona in grado di farci provare quelle emozioni così forti da perdere il fiato.
Così pensava Taissa, una giovane ragazza scozzese rassegnata al suo destino da proprietaria di un bed and breakfast, fino a quando...
ENJOY THE STORY XX
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Bondage | Contesto: Contesto generale/vago
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Angolo Autrice.

Salve a tutti lettori. Ecco a voi il primo capitolo di una storia che non so come continuerà. No davvero, non scherzo. Ho solo pensato ai due protagonisti, le location e stop. E' tutto nero. Per quanto riguarda i due ragazzi, pensateli come volete. Ovviamente io mi sono ispirata a due attori, che non voglio dirvi ma che penso abbiate capito, ahahah. Il motivo per cui io non vi dia un "cast" è per il semplice fatto che molte volte, leggendo una storia d'amore, fantascienza, horror, azione, io abbia avuto un'aspettativa diversa dei protagonisti rispetto all'autore/autrice quindi poi sono rimasta delusa e non riuscivo più a leggere come si dovrebbe ahahah. Pertanto vi lascio libera immaginazione, che poi, è anche più bello così. Leggere vuol dire immaginarsi in un mondo diverso, fatto di personaggi che piacciono a noi e non imposti. Detto questo, vi lascio alla storia, augurandovi una buona lettura. Aggiornerò al più presto, scrivendo questo capitolo mi sono venute delle idee per i prossimi.

Okay, ora vi lascio sul serio.

Terry xx

 

 

 

Glencoe, Scozia, 17 Maggio 2016 ore: 7:30 am.

MANNAGGIA IL CAZZO.

Imprecazione, prima della giornata, la regina che avrebbe aperto un musical di parolacce degno di nota. Le coperte di lana, calde, soffici, morbide, mi coprivano fin sopra la testa fungendo da rifugio impenetrabile. Mi sentivo come una principessa rinchiusa nella torre più alta del castello più alto della montagna più alta del cazzo che me ne frega. Ebbene si! Era inutile fantasticare su una storia d'amore perfetta tra me e il letto, dopo che mia madre era entrata come un'adoratrice di satana gesticolando all'aria come se quest'ultimo potesse scendere da un momento all'altro. Se lo avesse fatto, sicuramente mi avrebbe ceduto le chiavi dell'inferno idolatrandomi per averlo superato. Lanciai via le coperte con fare isterico e sbuffai sonoramente al che lei se ne uscì chiudendo la porta. Ecco e poi uno non deve imprecare, porca troia.

Ma non esiste il rispettare la fottuta privacy? No, le mamme sono sempre le sante che tutto possono e i figli sono i sudditi che non possono un emerito cazzo. La vita è troppo ingiusta. Mi alzai svogliatamente e andai alla finestra per vedere le condizioni meteo: pioggia, pioggia, uh un porcellino che vola, pioggia. Ci sarebbe stata altra pioggia e non sarebbe finita lì perché a Glencoe, il paese dimenticato dalla terra, il bel tempo era un evento sporadico. La pioggia significava vedere più gente, nel mio caso, e significava lavorare il triplo...sapete perché? Aiutavo i miei genitori nella gestione del "Glincoe Inn", un bed and breakfast che poteva ospitare al massimo una 50 di persone. Che nome di merda. La fantasia totalmente assente. Chiamare un hotel come il proprio paese era come incidersi quest'ultimo due volte nel cuore e, dato che il mio obiettivo di vita era andarmene da lì, per me voleva dire conficcarsi un paletto due volte nel cuore.

Ricordo ancora quando, al mio diciottesimo compleanno, i miei genitori mi chiamarono per darmi il regalo. Scesi al piano di sotto trepidante di felicità; talmente che ero felice caddi per le scale e rotolai provocandomi macchie violacee su tutto il corpo ma non mi importava...volevo il regalo. Pensai già ad una bellissima macchina che avrei usato per scappare da lì la sera stessa e invece quello che mi aspettò era tutt'altro che una macchina...

" - Allora, dov'è la mia macchina? – chiesi battendo le mani nel pieno della gioia.

Mia madre e mio padre si guardarono con uno sguardo ambiguo e ritornarono su di me. Il sorriso era scomparso e già mi aspettavo il monopoli 3.0 sul tavolo che mi fissava. Odiavo parco della vittoria, fottuti ricchi del cazzo.

- In realtà tesoro, il nostro è un regalo ancora più grande. – rispose mia madre con tono dolce e sorridendo. Mio padre la seguì.

Mmmm più grande eh? Ma non sarà per caso...

Mi avete preso un fuoristrada? Oddio che regalo magnifico. – saltellai come una foca in preda a danze sfrenate.

Taissa. – mi canzonò mio padre. Di colpo mi bloccai. Indicò una sedia con lo sguardo e io presi posto. Addio fuoristrada, welcome monopoli.

- Sei diventata grande ormai...tua madre e io stavamo pensando che fosse ora di trovarti un lavoro. – continuò lui.

Ma io lavoro già: sono impegnata nella difesa dei poveri cittadini di vicolo corto e vicolo stretto! – alzai le mani al cielo. – E' un lavoro pieno di responsabilità. – annuii incrociando le braccia al petto e sentendomi una paladina della giustizia.

Mio padre mi fissò torvo e scosse il capo passandosi una mano sul mento sfregandolo più volte, come se quel gesto potesse mettergli in ordine i pensieri.

- No. Ora basta fare la bambina, hai 18 anni ed è il momento di guardare in faccia alla realtà. – disse lui dopo qualche secondo. Mia madre, che sembrava affetta da mutismo, annuiva solamente. No ma fa pure; con me Satana, con papà l'angelo di 'sto cazzo. Che nervi.

- Io la guardo la realtà, ogni santo giorno della mia merdosa vita. Voglio andarmene da qui, da questo mondo in cui non c'è un ragazzo normale da guardare, solo vecchi decrepiti con nipoti troppo piccoli o coppie sposate in luna di bronzo per i loro 100 anni di matrimonio. – urlai sporgendomi leggermente dalla sedia.

La reazione di mio padre fu: indifferenza, totale indifferenza.

Lavorerai qui. – sentenziò duro facendomi sbarrare gli occhi. – io e tua madre abbiamo bisogno di una mano per mandare avanti questo posto. – no, no, no, fottutamente, cazzutamente, porcatroiamente no.

Ah si? Avete altri due figli di merda che se ne strafottono delle vostre condizioni, infatti se ne sono andati ma continuano a campare sulle vostre spalle e voi? Chiedete aiuto a me? Ma andate al diavolo. – imprecai alzandomi dalla sedia furibonda e facendola cadere.

Taissa aspetta. – mi chiamò mia madre.

Non mi fermai e corsi fino ad arrivare nel mio posticino segreto. "

Il perché ero rimasta? Beh semplicemente perché nonostante io sia un'acida, psicopatica, schizofrenica, avevo un cuore da qualche parte. Nell'intestino tenue, penso. Il sindaco di monopoly che albergava accanto alla mia dea interiore annuiva soddisfatto.

Qualche giorno dopo la mia sfuriata contro i miei genitori stile "THIS IS SPARTA", mio padre ebbe un infarto che lo costrinse a letto per un po'. Chi non sarebbe rimasto pur di aiutare un padre? E così, da allora, da due anni a questa parte, lavoro in un bed and breakfast sognando di scappare via.

Dopo essermi incantata per circa quindici minuti osservando quanto schifo facesse il tempo così come la mia vita, mi mossi nel vestirmi e prepararmi per una giornata intensa. I capelli erano come in preda ad attacchi zombie e il mio viso sembrava quello di Donatella Versace, giusto per fare un esempio. Raccolsi quella chioma ribelle in una coda alta e indossai un maglioncino beidge con dei jeans chiari. Scesi le scale di fretta facendo attenzione a non rotolare di nuovo ed uscii fuori beandomi dell'aria fredda scozzese. Per quanto facesse schifo quel posto isolato peggio del Burundi, qui l'aria era aria. Cazzo bastava un respiro per ritornare a pensare lucidamente; l'antidroga, l'antismog, l'anticancro. Entrai nella mia dimora lavorativa sfregando le mani e soffiandovi dentro per riscaldarle. L'aria calda mi accolse con un abbraccio.

- Hello Kitty – salutai la ragazza dalla carnagione mulatta e dai capelli afro che stava tagliando le verdure che sarebbero finite in una mega insalata.

Lei smise di fare quello che stava facendo e, con le mani sui fianchi, sbuffò sorridendo.

- Quando la finirai con questa tortura? – chiese divertita mentre io risi di gusto. Era l'unica gioia prenderla in giro.

- Credo di amare i tuoi genitori. Hanno scelto il nome alla perfezione. – mi avvicinai a lei rubandole la carota che stava per sminuzzare e sgranocchiandola.

- Pensavano giusto a te e ai danni che mi avresti inflitto. - riprese accennando un ghigno. Con un salto mi sedetti sul ripiano accanto a lei e iniziai a dondolare i piedi.

- Non è vero, dai! Tutti amano Hello Kitty, dovresti ritenerti fortunata. – scesi dal ripiano e incrociai le braccia osservandola.

- Si, fortunata di assomigliare ad un gatto zombie senza bocca. – questa volta rise anche lei guardandomi.

Kitty era davvero una ragazza fantastica. Nonostante fosse più grande di me di circa dieci anni, la consideravo una mia coetanea. Iniziai a gironzolare per la cucina non sapendo che fare, a breve avrei allestito un musical con le caprette e il nonno di Heidi.

- Taissa smettila di gironzolare che mi fai venire i mal di testa. – mi ammonì Kitty.

- Kitty, qui nessuno scende, sicuro che siano ancora vivi? – sperai ardentemente che se ne fossero andati tutti perché iniziavo a stufarmi di servire le persone.

- Il signore e la signora Mackintosh sono usciti per comprare del pane, torneranno a breve. – rispose alla mia domanda non formulata. C'era troppo silenzio in giro.

- Kitty. – la canzonai – lavori qui da circa cinque anni, facciamo lo stesso lavoro, è arrivato il momento di chiamare quei due cretini che ho come genitori per nome, cazzo. – la mia acidità era scesa di qualche livello, iniziai ad avere i brividi.

Come se avesse capito, Kitty tirò fuori una giara con del liquido giallo, non era pipì, non fatevi strane idee.

- Ecco la tua limonata, Tai. – disse soddisfatta mentre puliva le mani con uno straccio e si allontanò. – vado a controllare che siano davvero tutti vivi. – rise e salì di sopra.

- Sicura che non sia pipì? – chiesi dubbiosa. Eh si, avete influenzato anche me.

- Ma sei scema per caso? – urlò dalle scale. Avrebbe svegliato tutti così, anche la signora Constance, e lei era mezza sorda.

- No perché c'è Zac che mi odia particolarmente e non vorrei che mi facesse uno scherzo. - Lo avrei castrato se avesse solo pensato di fare una cosa del genere.

Mi gustai la mia limonata che riportò il mio livello di acidità ai valori normali. Senza i miei limoni non sarei potuta vivere. Lavai il bicchiere e indossai il grembiule dopodiché iniziai ad apparecchiare i tavoli per la colazione, almeno mi sarei tolta un pensiero per la testa. Dopo circa una quindicina di minuti, durante i quali avevo pensato ad un ipotetico buco nero che avesse risucchiato tutti i clienti Kitty compresa, vidi scendere quest'ultima raggiante.

- Stanno tutti scendendo finalmente. A causa della pioggia nessuno voleva alzarsi dal letto. – rispose alla mia espressione interrogativa, che aveva più o meno le sembianze di un gorilla affamato.

- Kitty hai quasi trent'anni ma a volte ti comporti come una bambina idiota. Che cazzo li hai svegliati a fare? Dovevi solo controllare che fossero ancora vivi. – sibilai avvicinandomi. Quella ragazza era proprio cretina.

- Si ma la colazione è pronta. – mi fece notare lei accennando verso la macchina per il caffè e i cornetti. Come mai non li avevo visti?

- Ecco sei doppiamente scema. Potevamo risparmiarci metà mattina mangiando a sbafo tutto e tu invece svegli tutti!! E levati quel cazzo di sorriso dalla bocca. – la puntai col dito.

- La tua acidità è impressionante. La limonata l'hai digerita bene. – mi poggiò una mano sulla spalla superandomi e indossando il grembiule. – muoviti che la signora Constance è impaziente di mangiare. –

- Vabbè lei è un caso a parte. Mi sa che è nata per reincarnazione di qualche suino non identificato. – constatai.

- BUONGIORNOO! – parli dei maiali, spunta la signora Constance.

Bassa, cicciottella, viso sempre dolce e una voce squillante. Il signore le aveva privato dell'udito ma le aveva donato una voce degna di una soprana. Faceva sempre spaventare tutti.

- TAISSA TESORO. – venne ad abbracciarmi con calore e io risposi con educazione.

Odiavo qualsiasi forma di affetto, faceva nascere in me l'istinto ninja, omicida e nazista. Avevo perfino un motto: "Ad ogni abbraccio corrisponde sempre un calcio uguale o più forte." Purtroppo non potevo prendere a calci e pugni la signora Constance, dato che lei soggiornava da noi da circa sei mesi e quindi rappresentava fonte di guadagno assicurato.

Mi staccai rapida come se stessi sul punto di prendere una malattia virale.

- Buongiorno a voi signora Constance, spero abb... -

- CHE COSA? – ovviamente, Taissa sembri una cretina peggio di Kitty, mi ammonì la mia dea interiore accompagnata dal sindaco di monopoly. Avevo un esercito di coscienze dentro di me.

- SPERO ABBIATE DORMITO BENE. – ripetei urlando per poi sbuffare. – ma perché non prendi fuoco? – continuai a parlare tra me e me mentre mi allontanavo dalla sala da pranzo lasciando tutto nelle mani di Kitty. Ne avevo già le ovaie piene.

Mentre camminavo per andare via da lì, sperai di non essere più disturbata ma questo al Glencoe Inn è un eufemismo. Infatti stavo per uscire quando...

- Taissa, cara, buongiorno. – e ci risiamo. Strinsi la maniglia della porta così forte che a breve sarebbe andata a terra sciogliendosi.

Mi costrinsi a sorridere e a girarmi. Ma perché non posso essere invisibile? Avrei preso a testate tutti.

- Buongiorno, Claire. – sorrisi. – Vostro marito e i nipotini? – chiesi dato che mi stava fissando. Era inquietante.

La signora Claire era una donna sulla cinquantina, nonna di due bambini bellissimi ma piccoli demoni che avresti voluto bruciare vivi in onore dell'anno nuovo.

- John è rimasto con Pit e Kyle sopra per aiutarli a prepararsi. Che c'è a colazione? – domandò curiosa. Taissa calma, respira. Volevo solo scappare, cazzo.

- Non so, sono appena scesa e ora ho delle commissioni da fare. Buona giornata. – mentii scappando via da quell'arpia.

Che cazzo chiedi cosa c'è da mangiare? Quel lavoro era diventato esasperante, nauseante, schifoso peggio degli esami di laurea e di tutta la cerimonia di sto gran cazzo. Fingere sempre di stare bene, col sorriso, mai rivolgersi male, sopportare i lamenti, sopportare, sopportare. SOPPORTARE. Io e questo verbo non andiamo per niente d'accordo. Io a stento riesco a sopportare me stessa, la mia dea interiore e il sindaco di monopoly e ora ci si mette pure Constance, Claire, John, Mamma, Papà, il papa, i cantanti. Avrei fatto un bel falò a breve.

Corsi per il prato dietro la struttura che ospitava quei parassiti e arrivai al mio posticino segreto. Scavato all'interno di una montagna, c'era una piccola caverna che scoprii qualche anno fa da sola. Taissa l'esploratrice. Vi avevo messo all'interno gli oggetti più cari per me: un album e dei colori.

Mi sedetti su una pietra e presi l'album cominciando a disegnare qualcosa. Ad ogni linea che tracciavo, parte della mia arrabbiatura fuoriusciva facendo entrare la voglia di scopirire, di viaggiare.

- Cosa c'è lì fuori? – mi chiesi osservando il panorama che mi si presentava davanti.

-Un emerito cazzo, cogliona. – rispose la mia dea interiore.

- Tu zitta, parli sempre quando devi stare fottutamente muta. – la ammonii. Si ero impazzita.

- Voglio andare via di qui. – Sospirai continuando a disegnare.

 

Manhattan, New York, 17 Maggio 2016 ore: 2:30 am.

- Eddai passamene un po' coglione. – Bill fece la sua solita faccia da cucciolo del cazzo.

- L'ho pagata io, testa di cazzo, e me la fumo io. – dichiarai facendo un altro tiro di quella roba subime.

Avrei dovuto ringraziare Tate, lui si che non sbagliava un colpo.

- Sei una merda, Evan. – disse Bill, mi fece ridere, non so se perché fosse divertente o perché quella roba mi aveva sballato parecchio.

Lo liquidai sbuffando mentre con gli occhi richiamai una ragazza che mi stava fissando da un bel po'. Lei parve cogliere il messaggio, si avvicinò.

- Vorresti provare della roba buona? – la invitai passandole la canna; guardai Bill, era furioso.

- Non so manco perché ti sono amico, ma fai schifo. - ammise ma non ci credeva nemmeno lui. Era ubriaco fradicio.

Dopo qualche secondo ridemmo insieme all'unisono. Avevo bisogno di quella serata. A Manhattan non è mai troppo tardi per festeggiare; era una città viva, satura di tutti i piaceri che la terra avesse. Non c'era altro posto in cui sarei voluto andare. Mi piaceva Manhattan, avevo il mio migliore amico con me, le ragazze non mancavano, il sesso era un pane quotidiano. La mia vita sembrava essere perfetta. Sembrava...la mia vita era invidiata da chiunque mi incrociasse o parlasse. Questo aspetto era così presente tanto che iniziai a pensarlo davvero. Ma come si dice, "Non è tutt'oro quello che luccica". Non mi sono mai vantato di essere uno dei ragazzi più benestanti dell'intero Upper East Side ma tutti sapevano le origini della mia famiglia. Mio padre, Teo Wright, aveva contribuito alla crescita industriale di Manhattan e così i suoi abitanti lo rispettavano sperando di averlo a cena almeno una volta nella loro vita. In competizione con Brad Pitt insomma. Purtroppo quello che non mi faceva vivere la mia vita al 100% era proprio il carattere di mio padre. Sono nato da uno spiacevole equivoco, una notte di fuoco tra mio padre e una donna che non ho mai conosciuto. E' ancora viva ma lui non vuole saperne di incontrarla. Ha deciso di prendermi in affidamento da neonato solo perché il mio DNA ha dei geni uguali ai suoi; sperava di farne un uomo d'affari come lui ma fondamentalmente non era nei suoi piani avere un figlio. E questa cosa mi provocava un dolore insormontabile.

- Guarda cosa ho rubato a quel coglione di mio padre. – cercai di riprendermi frugando nella tasca dei pantaloni e cacciando fuori una bustina contenente della polverina bianca.

Bill strabuzzò gli occhi alla vista.

- Ma sei uno stronzo nato tu. Se lo scoprisse tuo padre, ti ucciderebbe. – constatò lui strappandomi dalle mani quella roba.

Accanto a me, la ragazza dalle gambe infinite continuava ad accarezzarmi il collo lasciandovi dei baci.

- Evan, perché non ce ne andiamo da qua? – chiese lei impaziente.

- Perché non comandi tu, dolcezza. – le pizzicai leggermente la guancia e le sorrisi.

Per sua risposta, si alzò sbuffando. Le diedi uno schiaffo sul sedere che metteva in bella mostra con quel tubino dorato. Mi fece il dito medio.

- Bill. – chiamai il mio amico che ancora fissava quella bustina. – Bill cazzo, dammi questa roba. Ti sei sballato solo alla vista. – dissi riprendendomi ciò che era mio.

- Non preoccuparti...ho già in mente come usarla. – lo guardai compiaciuto mettendo fine alla sua agonia.

Quel locale mi stava letteralmente asfissiando; luci accecanti fumo di qualsiasi genere e origine, puzza di sudore, ragazze mezze nude. Era un putiferio. Decisi di andar via da lì. Mi alzai con fare deciso e trascinai Bill con me. Non me ne fregava un cazzo che stava pomiciando con una sgualdrina. Comandavo io tra i due. Come volevasi dimostrare, salutò la ragazza dispiaciuto e venne via con me.

- Spero che tu abbia un'idea migliore della mia imminente scopata altri menti giuro che ti sfracasso il cranio. – ruggì Bill.

- Tranquillo Matador, ora ci divertiamo sul serio. – dissi prendendo il telefono e digitando il numero del mio autista. – Augustus – risposi. – si, si al green. Ok a tra poco. – cazzo avevo dimenticato il dessert. – Aspetta Augustus. – santo uomo che mi sopportava. – prima passa a prendere Meg e Lol. A dopo. – sorrisi e misi via il telefono.

Mi girai e vidi Bill che mi fissò allibito. Successivamente sorrise.

- Cazzo Evan tu si che sai come organizzare le cose. – corse verso di me entusiasta per battere un cinque.

Sono il migliore, lo so.

Dopo una quindicina di minuti, ecco arrivare la mia limousine. Mi avvicinai chiamando Bill. Aprii la portiera e, come avevo chiesto, ecco spuntare le tette di Meg da un corpetto di circa due taglie in meno. Bill, ovviamente, aveva già la bava che gli arrivava sotto le scarpe. Lol era vicino Meg e ci invitò ad entrare. Erano due escort fantastiche e sempre disponibili, ovviamente Evan, è il loro lavoro del cazzo. Giusto coscienza.

Entrai e mi misi Meg sulle gambe cominciando ad accarezzarla tutta Lei provò a baciarmi ma la fermai. Augustus era già partito.

- No tesoro, stasera si fa altro. – la guardai malizioso e Bill, accanto a Lol, mi fissava insieme alle altre.

A questo punto cacciai il sacchettino contenente la coca e lo aprii. Ne versai un quarto sulle tette di Meg. Lei sussultò.

- Non ti muovere Meg. – la intimai. – questa roba costa più di te e Lol messe insieme. – dissi. Lei era ancora stranita.

Dopo aver diviso per bene e in modo accurato la droga in quattro strisce perfettamente parallele, poggiai la narice sulla tetta di Meg e aspirai tutto d'un fiato.

- Cazzo che piacere. – scossi la testa e invitai Bill a provare, il quale non esitò manco un secondo. Inutile dire che iniziò a starnutire senza fine. Era proprio un coglione.

Continuammo così, divertendoci all'insegna dell'eccesso, del piacere, delle risate; mi sballai così tanto che a stento riuscivo a vedere Bill con la testa nelle tette di Lol. Non capivo più niente  e mi piaceva così tanto come sensazione; non avere la percezione della realtà, non pensare a ciò che impregna le nostre giornate, la concretezza, la razionalità. Lì era astrazione pura. Piacere a livelli smisurati. Buttai la testa all'indietro beandomi di quelle ore intense e intrise di ogni forma di felicità, malsana e non. Ero davvero incosciente, continuai a ridere e ridere, anche quando si aprì d'improvviso la portiera, per qualche strana magia, e comparve mio padre con due agenti della polizia.  
 

                                              

ANGOLO AUTRICE!
E' da tanto che non scrivevo qualcosa su efp. Questo sito è stat un porto sicuro durante la mia adolescenza e in momenti particolari mi piace ritornare un po' bambina e allontanare i pensieri. Beh questo è il primo capitolo, spero che almeno un po' vi abbia incuriosito! Se vi ha colpito in modo particolare, lasciate una recensione, vi leggerò con piacere. Un bacio e buoa serata!!

   
 
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