Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
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Autore: max_ff_stories    28/04/2018    0 recensioni
Un misterioso stabilimento nella periferia più desolata di Seoul.
Una serie di sparizioni.
Min Yoongi, 25 anni. Residente della camera 215. Da 17 anni.
(...) Passo le mani tra i miei capelli e poi sugli occhi, come per spazzare via il sonno e la sensazione d’intontimento che mi rimane sempre addosso dopo una dose di quelle droghe. Mi allungo verso il pavimento, ancora nel buio, e faccio per prendere la tazza di the che ancora fuma e brucia contro la mia pelle. Bevo qualche sorso e la riappoggio. Ripeto lo stesso gesto un paio di volte prima di accorgermi che c’è qualcosa che non va. La tazza bianca è screziata da una linea di luce che non dovrebbe esserci. (...)
Genere: Mistero, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Min Yoongi/ Suga, Park Jimin
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Vi chiederete chi sia io. Vi chiederete cosa ci faccio davanti a questo computer, nel pieno della notte, in questo grande ufficio, seduto su questa sedia troppo grande per il mio corpo. Avevo intenzione di bruciarlo. Questo quadernetto di carta sgualcita, intendo. Poi ho realizzato quale potere esso abbia. La gente capirà, grazie a questo, com’era prima che arrivassi io. Capirà cos’è la vera perfezione, invece che lamentarsi continuamente. Li sento persino ora, i loro guaiti, le loro grida e qualcuno sta anche piangendo. Devo ricordarmi di far spegnere i microfoni durante la notte.

Giorno 1:

Ricordo alla perfezione quel giorno. 2 marzo di una ventina di anni fa, qualche giorno prima del mio settimo compleanno. Stavo giocando a pallone nel giardino di uno dei miei amici, Jung Hoseok, conosciuto giusto un anno prima con l’inizio della scuola primaria. La madre lo aveva richiamato all’interno, chiedendogli una mano per portare fuori la merenda.
-Arrivo Omma!- aveva ridacchiato dandomi in mano la palla. Ed io rimasi lì fuori, ad attenderlo, seduto in mezzo all’erba tagliata qualche giorno prima, poco nascosto dal cespuglio di rose bianche che completava una bassa siepe.
Un pungente dolore mi colpì alla base del collo. D’istinto mi diedi una pacca sulla zona, pensando che fosse un qualche tipo d’insetto, nel tentativo di scacciarlo.  Con l’arrivo della bella stagione era normale tornare a casa con qualche puntura se si stava fuori a giocare.
Inaspettatamente cominciai a sentirmi stanco, molto stanco, troppo stanco. Gli occhi si chiudevano da soli, le palpebre si facevano pesanti, e lentamente perdevo il controllo del mio corpo. Ricordo solo di essermi sdraiato per terra, con quest’imminente bisogno di dormire che mi martellava in testa.
Qualche attimo, dopo riaprii gli occhi, con enorme sforzo, come se mi fossero state cucite le palpebre tra loro. Sembrava fossero passate ore, forse un’intera giornata, considerando il buio che mi avvolgeva strettamente. Molto lentamente, mi abituai all’oscurità, riuscendo a scorgere il profilo di due porte bianche nelle tenebre. La stretta finestrella, molti metri sopra la mia testa, lasciava entrare qualche raggio di luna, che faceva brillare i pomelli di metallo. Il mio cervello non realizzava, non capiva, faticava a far combaciare quelle poche informazioni che aveva a sua disposizione. Il mio corpo era pesante e intorpidito, come dopo una lunghissima corsa, i muscoli tremavano leggermente sotto la pelle, e i miei arti non rispondevano ai comandi. Riuscii a mettermi seduto, subito preso da un capogiro che mi costrinse ad appoggiarmi alla parete lì accanto. Era liscia e fredda, per non dire congelata, così come il pavimento. Passai le dita su di essa varie volte, per avvertire la sua ruvidità contro i miei polpastrelli. Il senso del tatto sembrava essere l’unico rimastomi, e non ero intenzionato a perdere quel solo contatto con la realtà cui ero abituato. Le lacrime cominciarono a salire e salire, le sentivo percorrere il mio stomaco, la mia gola, il naso, fino ad arrivare agli occhi. E al loro passaggio, ogni organo attaccato, si chiudeva in una morsa, come una pianta carnivora alla quale è stato appena offerto un moscerino. Bagnai la parete di pianti, che durarono ore, fino a quando il sole non sorse. La stanza s’illuminò della luce dell’alba, tingendo le mura bianche di un grazioso rosa che stonava assurdamente in quel momento. Mi addormentai per sfinimento, completamente prosciugato della linfa vitale. Dov’era mia madre, dov’erano i miei fratelli? Tutti mi avevano abbandonato…forse non mi volevano più. Si lamentavano sempre del mio comportamento, e forse si erano stufati di me una volta per tutte. Non avrei dovuto rompere il naso a mio fratello.


Spazio autore: 
Hello :3
​Questa storia è stata scritta (e sta continuando ad essere scritta, dato che è ancora in fase di completamento) per un progetto scolastico. Ho deciso di pubblicarne le varie parti qui per ricevere (forse) un parere da parte di qualcuno un po' più "easy-going" della mia prof di quasi settant'anni. Capitemi. 
​In ogni caso, come si sarà capito, sarà divisa in giornate, come un diario. Il che significa che i capitoli avranno lunghezze variabili, dalle poche righe, alle pagine e pagine di storia. Cercherò di pubblicare con regolarità, ma dipenderà tutto dagli impegni. Potete trovare la medesima storia anche su Wattpad (Nick: max_ff_stories ; Nome: ROOM 215).
​Per ora credo sia tutto, se dovessi avere altre comunicazioni le troverete in fondo al capitolo :)
​Byess
   
 
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