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Autore: _astronaut_    01/05/2018    1 recensioni
Bucky. Assassino. Impossibile. Sbagliato. Bucky, dove sei? Bucky, torna.
Steve pensa all'amico di una vita; a fargli compagnia, solo il rumore della pioggia fredda che, incessantemente, batte sui tetti delle case di Brooklyn. Ci sono persone che aspettano la pioggia per non piangere da sole: forse Steve è una di quelle.
||Ambientata subito dopo Captain America: The Winter Soldier||. Enjoy!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Steve Rogers/Captain America
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Cold Water
Songfic ispirata a Brother – Kodaline
Ambientata in un ipotetico post-CA:WS.
 
 
When we were young, we were the ones
The kings and queens oh yeah, we ruled the world
 
Acqua fredda batteva sui tetti delle case e dei grattacieli di Brooklyn.
Steve era solo, seduto sul letto nella sua modesta casa, poco distante dal luogo dove aveva vissuto da bambino, non lontano da dove aveva trascorso momenti indimenticabili assieme a Bucky.
Già, Bucky.
Bucky, che non era morto, come aveva creduto fino a quel momento.
Bucky, che aveva la missione di ucciderlo, ma che non lo aveva fatto: si era fermato, e lo aveva salvato da una sicura morte per annegamento.
Bucky, che era l’unica persona al mondo che con lui non avesse mai alzato il tono di voce, e meno che mai alzato le mani se non per stringerlo a sé in un dolce e fraterno abbraccio.
Quel Bucky aveva fatto sì che la furia omicida del Soldato d’Inverno non ponesse fine alla sua vita. Nonostante il lavaggio del cervello subito mentre era prigioniero dell’HYDRA, James Buchanan Barnes esisteva ancora, prigioniero di catene spesse e pesanti, tenuto stretto dal Soldato. Ma aveva vinto. Quel giorno, quando si era fermato e lo aveva salvato, Bucky aveva vinto contro quella personalità deviata e latente all’interno del suo essere.
Quel Bucky sperduto e solo meritava di essere salvato, accudito, accolto. Meritava una seconda possibilità, meritava di tornare a vivere la vita di cui era stato ingiustamente privato.
Ma prima, era necessario che Steve lo trovasse.
Il Capitano sbuffò, asciugandosi nervoso una lacrima che era scesa sul quaderno dei disegni sul quale, in preda a una profonda tristezza e malinconia, aveva riprodotto il viso di Bucky così per come l’aveva visto l’ultima volta, in una maniera così dettagliata e precisa, che gli sembrava di averlo lì davanti in carne ed ossa.
“Torna, Buck” sussurrò, la voce ridotta ad un filo a stento udibile.
Quelle due parole le aveva mormorate contro il petto dell’amico, prima che partisse per l’Inghilterra, più di settanta anni prima. Le aveva ripetute nella sua testa centinaia, migliaia, milioni di volte, dopo averlo visto sparire tra le rocce della stretta gola attraverso la quale era passato il treno dell’HYDRA.
Quelle parole non avevano mai smesso di tornargli in mente, ogni notte, anche dopo che si era risvegliato dal profondo sonno nel quale era piombato. Erano marchiate a sangue nella sua anima. E in fondo, non voleva che se ne andassero.
Erano come una ninnananna, una silenziosa preghiera a quel Dio in cui credeva, ma verso il quale nutriva del rancore: Egli gli aveva tolto tutto, persino la vita, in un certo senso, e così come tutto gli era stato sottratto, tutto gli era stato nuovamente dato, ma in un modo, e in un mondo, completamente diverso.
Steve percepiva ciò come una grande fortuna, come una seconda opportunità, come una resurrezione, ma anche come una crudele maledizione, come se fosse stato illuso di aver vissuto solo un incubo, dal quale si sarebbe svegliato e avrebbe trovato tutto a posto… Come gli toccò scoprire, in realtà, l’incubo era appena iniziato.
Che mondo era un mondo senza Buck? Un mondo senza l’unica persona per la quale avrebbe dato la vita? Un mondo senza l’unica persona della quale gli importava più del mondo stesso, e che non era riuscito a salvare? Che mondo era un mondo così, dove quella persona, che prima credeva morta, ora aveva rischiato persino di ucciderlo, non riconoscendolo?
Nessuno di coloro che Steve aveva come conoscenti e amici negli anni quaranta era più in vita. Eccetto Peggy, ma anche lei si era spenta da poco come una candela che, terminata la notte, giunto il giorno, cede finalmente al calore del fuoco e si lascia andare, cessando di fare luce.
Bucky era stato il suo faro, il suo porto sicuro di un mare in tempesta sin da quando erano bambini: lo aveva trovato, sperduto e solo, e i due erano diventati migliori amici nel giro di qualche settimana: non esisteva un Bucky senza Steve, così come non esisteva uno Steve senza Bucky.
Andavano assieme a scuola, facevano i compiti assieme, giocavano assieme a pallone - quando Steve non era troppo debilitato a causa dell’asma - e la domenica andavano assieme a prendere qualche caramella all’oratorio, per poi stendersi nel prato e, mentre Bucky faceva qualche tiro, Steve disegnava su un quadernetto.
Ciò che disegnava erano scene o ritratti aventi come soggetti lui e James, che sorridenti godevano della spensieratezza tipica della loro giovane età.
Non c’erano soldi per permettersi una macchina fotografica, perciò quel quadernetto era la cosa più vicina ad un album di ricordi che Steve possedesse, e lo custodiva così gelosamente che nemmeno i suoi amici del presente, gli Avengers, lo avevano mai visto.
I disegni coprivano l’arco temporale che andava da quando lui e Bucky avevano cinque anni a quando ne avevano ventidue. Si vedeva l’evoluzione della bravura e del talento di Steve nel disegno a matita: già da piccolo aveva doti innate e impressionanti, e crescendo non aveva fatto che migliorare.
Guardò i loro visi da bambini, disegnati quando aveva undici anni: sorrise ad un ritratto di Bucky concentrato a scrivere un tema, steso a pancia in giù su un prato durante una bella giornata primaverile.
Il cuore gli balzò in petto quando vide il suo disegno preferito, fatto qualche settimana prima che Bucky venisse reclutato nell’esercito: loro due ridenti, sereni, stretti l’uno all’altro in un abbraccio fraterno e affettuoso.
In guerra il Capitano aveva fatto un solo disegno: un altro abbraccio tra i due, ma stavolta privo di ogni spensieratezza, pregno di triste felicità: Bucky in lacrime stretto fra le sue braccia, non più gracili come prima, ma possenti. Braccia da supersoldato. Braccia da Captain America.
Accarezzò dolcemente la pagina che li ritraeva, poi guardò in alto, tentando con tutte le sue forze di trattenere le lacrime. Senza risultato.
 
We smoke cigarettes, man no regrets,
Wish I could relieve every single word
 
Quei due erano inseparabili, nonostante la pensassero differentemente su molte cose, in primis, le sigarette.
James ogni tanto ne fumava qualcuna, mentre Steve non ne sopportava nemmeno l’odore. Proprio quel disegno gli fece ricordare un altro episodio, che ancora gli faceva scaldare il cuore.
 
“Sei proprio un soldatino”, gli aveva detto James una calda sera d’estate, quando a diciassette anni avevano avuto il loro primo, vero e proprio, battibecco.
“Ti fa male. E ti uccide”, aveva risposto Steve, gracile e malato, tra un colpo di tosse e l’altro.
“Come no. Ora mi vedi stramazzare a terra!” rise Buck, soffiando il fumo verso l’alto.
“Uccidi me. Sono asmatico, James. Questo fumo per me è veleno. Io rischio di morire ogni giorno a causa dei miei polmoni malati!” alzò la voce Steve, alzandosi in piedi e puntando il dito contro l’amico, con fare accusatorio.
Bucky rimase interdetto, rendendosi conto solo in quel momento di quanto il suo comportamento fosse stato scorretto e insensibile nei confronti del migliore amico. Steve non lo chiamava mai James. Lo chiamava sempre Buck, o Bucky, o Buchanan (solo quando voleva prenderlo un po’ in giro), e questo era indicativo di quanto Steve fosse alterato.
“E tu fai lo sbruffone, a rovinarti i polmoni!” continuò infatti il più piccolo dei due “Se proprio ci tieni a diventare come me, se proprio ci tieni a non respirare più bene, allora facciamo cambio, tieniti i miei polmoni e dammi i tuoi, ne farò certamente buon uso! Certamente migliore di quello che ne stai facendo tu!” terminò la frase con la voce spezzata il futuro Captain America, le spalle curve, il respiro affannato.
“Steve, io… mi dispiace”
“Sei sano, Buck. Tieniti sano, non rovinarti, ti prego. Se non vuoi farlo per te stesso, fallo almeno per me”
Bucky spense la sigaretta, lanciando il pacchetto ancora mezzo pieno in un cestino accanto alla panchina sulla quale i due, seduti, si stavano godendo un po’ di fresco su di un prato, per poi stringere a sé Steve in un abbraccio.
Non servivano parole. Quel gesto significava tutto.
Significava che gli chiedeva perdono. Che aveva capito. Che non avrebbe più fumato, o almeno ci avrebbe provato. Steve comprese tutto questo, e ricambiò la stretta dell’amico, sentendosi immensamente piccolo fra le braccia muscolose dell’altro.
“Scusa se ho alzato la voce. Non volevo” brontolò
“Me la sono cercata. E poi, non ti avevo mai visto arrabbiato” ridacchiò James
“Ti è piaciuto come spettacolo?” domandò Steve sciogliendosi dall’abbraccio guardando con un po’ di ironia il ragazzo che aveva di fronte.
“No, per niente. Non litighiamo più, Steve. Non sopporto l’idea di farti del male, anche solo con le parole”
“Nemmeno io, Buck”
Si guardarono negli occhi. “Senza di te non so cosa farei” ammise Steve.
“Moriresti” rise Bucky “O saresti in ospedale ogni settimana per una costola rotta, dato che vai sempre a cacciarti in brutte situazioni con gente poco raccomandabile”
“Sei tu il ragazzaccio che mi ha influenzato, cosa credi?” rise a sua volta Steve, intimamente felicissimo di avere a suo fianco qualcuno che ci fosse sempre, anche quando si trattava di fare a botte. Mai una volta Bucky l’aveva lasciato solo, mai lo aveva abbandonato a sé stesso. Le loro anime si tenevano per mano, compagne di una vita, ed erano sicure che non si sarebbero mai lasciate, nonostante la guerra, nonostante il futuro ancora incerto. Nonostante tutto e nonostante tutti.
“Ti voglio bene, Stevie” disse Bucky facendo passare un braccio sulle spalle dell’amico, stringendolo a sé e cominciando ad incamminarsi verso casa.
“Anche io, Buchanan”
 
Senza che se ne accorgesse, Steve aveva cominciato a piangere senza ritegno, singhiozzando, le spalle in preda ad un triste tremolio, il viso rigato di lacrime, le labbra tremanti, gli occhi gonfi, le gote rosse e calde.
Tirò su col naso, andando poi in bagno a sciacquarsi il viso, nel tentativo di fermare il flusso di ricordi che ora scorreva impietoso nella sua testa, in un turbinio confuso, felice e al contempo malinconico, che lo lasciava senza fiato e con un’angoscia opprimente.
 
We’ve taken different paths, and travelled different roads
I know we’ll always end up on the same one when we’re old
 
Acqua fredda sulle mani.

Fredda, come il lettino sul quale era stato messo durante le visite mediche per l’arruolamento. Fredda, come la cabina dentro alla quale era stato messo, dove gli era stato iniettato il siero che lo aveva reso il primo supereroe della storia, il primo degli Avengers. Il primo vendicatore. Fredda, come il ghiaccio che lo aveva intrappolato per anni, facendo sì che si svegliasse in un’altra epoca: allora ne non sapeva il motivo, ma ora gli pareva così chiaro ed evidente, che quasi faceva male: Bucky.
Un nome, cinque lettere. Una vita.

Acqua fredda sul viso.

Fredda, come la giornata che aveva inghiottito James, facendolo finire dritto nelle grinfie dell’HYDRA, dritto nelle bocche di torturatori spietati che lo avevano reso una macchina da guerra infallibile, guidata da una furia cieca e incontrollabile.
Avevano preso strade diverse, lui e Buck.
Steve era diventato un supersoldato, difensore del bene e della pace.
Bucky era diventato un assassino, senza scrupoli e senza identità.
Ma alla fine, si erano ritrovati. Era giusto così, pensava Steve. Non avrebbe potuto essere più giusto di così: non meritavano di essere separati in quel modo, era come se mancasse un anello nella catena che avrebbe reso giusta la loro separazione.
E quell’anello aveva un nome: morte naturale, morte in pace.
Al suo posto era stato messo un anello il quale mostrava una morte che aveva visto le loro mani vicinissime, tanto vicine che se solo fossero riuscite a toccarsi e a stringersi, forse, Bucky sarebbe stato ormai un tranquillo anziano in punto di morte, avrebbe vissuto la sua vita, avrebbe rivisto per un’ultima volta Steve, e come Peggy, si sarebbe spento in pace.
Mancava, quell’anello, o meglio c’era, ma era sbagliato. La catena doveva essere riparata. Steve e Bucky si dovevano ritrovare. Era scritto nelle stelle.
Ma in realtà, altro che stelle: era scritto nella catenina che Steve portava al collo da ormai più di settant’anni, alla quale era appesa la targhetta identificativa di Bucky.
Era scritto lì. Era tutto, inesorabilmente, scritto lì, in quel piccolo pezzo di metallo che pesava più del martello di Thor.
 
And when you’re in the trenches
And you’re under fire I will cover you
 
Acqua fredda sull’asciugamano, che accolse il viso stravolto e umido del Capitano.

Fredda come la medaglietta identificativa che Bucky gli aveva dato la sera successiva al salvataggio operato da Steve, grazie al quale tutti i prigionieri, Barnes compreso, erano riusciti a scappare dai Nazisti e dai loro pericolosi esperimenti.
 
Erano seduti su di un tronco, Steve e Bucky, vicini, stretti l’uno all’altro, felici di essere vivi, felici di essere di nuovo assieme. Steve non era più il piccolo e gracile ragazzo che Bucky aveva lasciato, era diventato più alto e più muscoloso di lui, ma la cosa non disturbava il sergente: negli occhi azzurro cielo di Steve vedeva ancora quel ragazzo asmatico di Brooklyn, la sua innocenza, la sua bontà, il suo coraggio. Non era cambiato nulla, dentro di lui. E questo a Barnes bastava.
“Non puoi darmela, Buck” mormorò Steve quando, prima di andare a dormire, il sergente Barnes gli aveva messo in mano la sua medaglietta identificativa.
“Sì invece che posso” rispose l’uomo deciso “Tienila tu, Steve. Così mi avrai sempre con te, qualunque cosa dovesse accadere. La guerra è ancora lunga, non sappiamo come andrà a finire, e…”
Il Capitano si tolse delicatamente la catenina, e la diede in mano al Sergente.
“Tieni la mia, allora” sussurrò Steve “E vediamo di stare vivi entrambi”
Buck sorrise, stanco. “Spaccheremo il culo a quei mangiapatate!” esclamò mentre indossava la medaglietta di Steve e se la infilava sotto la camicia.
“Buck! Linguaggio!” protestò fiaccamente Steve, causando la risata sommessa dell’amico di una vita.
“Mi eri mancato”
“Anche tu”
 
Quella sera per Steve era stata la sera più tranquilla passata in guerra, ma quella idilliaca tregua durò ben poco. E di nuovo, prepotentemente, la scena della morte di Barnes si dipinse nuovamente nella mente di Steve.
Sul treno dell’HYDRA i proiettili schizzavano veloci attorno al corpo del Capitano, che tentava in tutti i modi di uccidere i nemici, non tanto per salvare la vita a sé stesso, quanto più per evitare che Bucky venisse ferito, o peggio, finisse prigioniero, o morisse.
Era stato proprio Bucky a raccogliere lo scudo e a utilizzarlo contro i soldati nemici, coprendo Steve che stava combattendo contro altri uomini. Come sempre, gli copriva le spalle.
Come sempre, assieme, i due erano invincibili.
Ma Bucky era caduto, era caduto difendendo Steve. E questo Steve non se lo era mai perdonato, men che mai ci sarebbe riuscito ora che aveva visto cosa era rimasto di James: cocci, nient’altro che cocci.
James Buchanan Barnes era come un vaso rotto, che forse non si sarebbe mai più potuto aggiustare.
E Steve sentiva che la colpa era, in parte, anche sua: non avrebbe dovuto portarlo con sé, non avrebbe dovuto mettere a repentaglio la sua vita, ma invece l’aveva fatto, e Bucky aveva sofferto pene che nemmeno all’Inferno, probabilmente, nessuno avrebbe mai potuto soffrire.
 
If I was dying on my knees, you would be the one to rescue me
And If you were drowned at sea, I’d give you my lungs so you could breathe
I’ve got you, brother
 
All’improvviso Steve sentì bussare alla porta. Non aspettava alcuna visita, e la cosa lo mandò in allarme.
Prese lo scudo dalla mensola sul quale lo teneva e si diresse circospetto verso l’entrata.
Sbirciò da dietro i vetri, e per poco non svenne.
Tornò nel giro di un secondo ad essere il gracile, fragile e testardo ragazzino di Brooklyn, che aveva sempre bisogno della presenza famigliare di Bucky che lo toglieva, spesso e volentieri, dalle situazioni difficili. Dovette chiudere gli occhi e riaprirli poco dopo per accertarsi di non avere delle allucinazioni.
Ma quella non era affatto un’illusione, James era lì, e aspettava solo che lui aprisse la porta.
Il cuore di Steve batteva all’impazzata, la bocca secca, i muscoli non rispondevano al suo volere, non riusciva a respirare.
Era come annegare, di nuovo, ma con la certezza che il mare in cui stava annegando fosse un mare di quella che era, probabilmente, una gioia tale da non poter nemmeno essere descritta a parole.
 
Oh brother, we’ll go deeper than the ink beneath the skin of our tattoos
Tough we don’t share the same blood, you’re my brother and I love you, that’s the truth
We’re living different lives, heaven only knows if we’ll make it back with all of our fingers and our toes
5 years, 20 years, come back, it will always be the same
 
La nera figura davanti alla porta di Captain America attendeva con un po’ di impazienza e ansia che l’uscio si aprisse e da esso facesse capolino il viso dell’uomo che aveva fatto breccia, per la prima volta dopo tanti anni, nella sua corazza da impietoso e infallibile assassino.
Si ricordava il nome dell’uomo che abitava in quella casetta umile, e si ricordava anche che un tempo fra loro ci fosse un profondo legame. Un legame che non era mai riuscito a cancellare per davvero, nonostante tutto. Quegli occhi e quel sorriso, quella voce, erano marchiati a fuoco nella sua anima. E questo i Nazisti che avevano giocato con la sua mente non erano riusciti a toglierlo. Steve non era solo un ricordo. Steve era la sua ancora, il suo lato migliore. Steve era una parte di Bucky, una parte della sua anima, l’unica parte che aveva resistito agli attacchi del siero dell’HYDRA, l’unica parte che lo aveva salvato dalla più totale perdizione.
Si toccò istintivamente la medaglietta che, per puro miracolo, gli era stata lasciata appesa al collo.
Sempre gli era stato detto “Su questa c’è il nome della tua missione più importante. Quando sarà il momento, dovrai uccidere l’uomo che porta questo nome. E non dovrai fallire”
Steven Grant Rogers, citava, con la data di nascita dell’uomo e il ruolo nell’esercito: capitano.
L’aveva letta e riletta mille volte, quando era tornato in sé dopo che, a seguito di una lunga lotta interiore, aveva riacquistato con fatica i suoi ricordi.
Steve.
Steve non era la sua missione.
Steve era il suo migliore amico, la sua famiglia. Tutto ciò che gli rimaneva, in quel futuro così caotico e nebbioso, era lui.
“Chi sei?” chiese la voce dal citofono, che mal celava l’agitazione che la pervadeva.
“Steve” mormorò James “Sono Buck. Ti giuro, sono io, non è un inganno”
“Dimostramelo” rispose con voce tremante il Capitano.
“Mi chiamavi Buchanan solo per farmi imbestialire. Tua madre si chiamava Sarah, e mettevi il giornale nelle scarpe se ti erano grandi. Amavi le caramelle dell’oratorio, eri bravissimo a disegnare, ma letteralmente pessimo a giocare a pallone, odiavi il fatto che fumassi sigarette, tant’è che mi hai fatto smettere facendomi una ramanzina con la “R” maiuscola, e…”
La porta si aprì di scatto, e l’ormai ex Soldato d’Inverno si trovò stretto tra le braccia forti di Captain America, come tanti anni addietro era successo in occasione del grande salvataggio operato da quest’ultimo.
James sentì con dolce sollievo che, lentamente, i pezzi della sua anima andavano ricomponendosi.
Non fece nulla per allontanarsi da Steve, o allontanarlo: ricambiò semplicemente la stretta, non curandosi del fatto che sopra di loro la pioggia fosse aumentata e li stesse inzuppando, quasi volesse lavare via tutto il dolore che aveva pervaso le loro anime fino a quel momento.
Nessuno dei due parlò per molto tempo, e ben presto le lacrime andarono a confondersi con le gocce di pioggia che imperlavano i loro visi e le loro guance, mentre i loro cuori, lentamente, tornavano a conoscere il battito l’uno dell’altro.
Piano, tutte le ferite rimaste aperte si stavano saldando. Entrambi da quel contatto traevano forza, felicità, serenità. Fu per questo che si staccarono giusto il tempo necessario a Steve per farli entrare in casa e chiudere la porta a chiave, per poi tornare a stringersi, Bucky contro il muro, Steve attorno a lui.
“Dimmi che ce l’hai ancora” disse Bucky, stringendosi al Capitano per cercare di contrastare il freddo che a causa dell’umidità gli stava penetrando nelle ossa.
“Sì” rispose Steve con un sospiro, irrigidendosi appena, percependo sulla sua schiena una carezza operata dalla mano metallica di Bucky “Non l’ho mai tolta dal collo”, affermò deciso.
“Nemmeno io” mormorò Bucky.
“Non toglierla mai” pregò allora Steve “E giurami che sei tornato per restare. Giuramelo, perché un altro addio non riuscirei a reggerlo”
“Sono qui. Non me ne vado”
Finalmente i loro occhi si incontrarono: verde nell’azzurro, azzurro nel verde, in un misto di gioia, disperazione, ansia, incredulità, speranza, sollievo.
 “Sei reale…” gemette Bucky "Sei reale..."
“Sì, Buck, sono reale, e dovranno passare sul mio cadavere prima di riuscire a farti nuovamente del male”
Bucky sorrise. “Non mi piace l’idea di vederti morire. E mi dispiace di averti quasi ucciso, io…”
“Non darti colpe che non hai. Non eri tu, tant’è vero che ti sei fermato, quando ti sei reso conto di cosa stessi facendo” lo interruppe Steve, serio.
James però guardava in basso, pieno di vergogna e di sensi di colpa, incapace di reggere lo sguardo gentile, affettuoso e serio del Capitano.
“Guardami, Buck. Sono qua. Sei qua. Siamo qua. Siamo a casa”
Il Soldato alzò lo sguardo, trattenendo a stento le lacrime, che prepotentemente spingevano per uscire dai suoi occhi e tornare a bagnare le sue guance dopo tanti, troppi, anni.
 “Sì. Siamo a casa”
 
I’ve got you, brother
 
 
 
 
Angolino disagiato
Saaalve *fa timidamente capolino da dietro una porta immaginaria*. Spero di non avervi annoiati troppo!
Nata da un delirio post-maratona di film Marvel, questa Song-Fic è nata praticamente nel giro di qualche oretta.
Fatemi sapere se vi è piaciuta, e in caso contrario, cosa secondo il vostro parere dovrei migliorare!
Intanto grazie a tutti coloro che hanno letto fin qui, un abbraccio, a presto!
_astronaut_
   
 
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