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Autore: Ghillyam    01/05/2018    2 recensioni
Solo quando si sedette alla toeletta per pettinarsi si accorse che nella sua camera qualcosa non andava, un dettaglio che per quanto insignificante era stato in grado di rompere l’equilibrio usuale.
Lo notò riflesso nello specchio, l’unico in cui il genio non potesse materializzarsi, e constatò che forse a qualcuno della sua vendetta dovesse interessare.
Una piccola bambolina giaceva sul suo cuscino, una bambolina con i capelli neri come l’ebano e la pelle bianca come la neve. E non potevano mancare le labbra color del sangue.
[Fa parte della serie "We all do shipping"]
Genere: Erotico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Regina Mills
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
- Questa storia fa parte della serie 'We all do shipping'
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A necklace for Evil
 
Quando scese dalla carrozza, ad accoglierla nel giardino del palazzo c’erano solo una guardia ossequiosa e il profumo di mele che, con l’arrivo della bella stagione, aveva iniziato a diffondersi per tutto il castello. Regina inalò a lungo quella fragranza prima di rivolgere le sue attenzioni al biglietto che un esitante Berkeley – o almeno credeva che fosse lui, con gli elmi scuri che indossavano era sempre difficile dire quale guardia fosse al suo cospetto – le stava porgendo. Il simbolo con cui la ceralacca era stata sigillata non lasciava spazio a dubbi su chi fosse il mittente: almeno Jefferson continuava a rendersi utile. Nonostante negli ultimi tempi si fosse mostrato sempre più recalcitrante a fornirle il suo aiuto, l’oro con cui l’aveva ricompensato, almeno per il momento, gli era bastato per far tacere la sua coscienza.
Attese di essere arrivata nelle sue stanze per scoprire se la sua richiesta avesse avuto buon fine o no e il vuoto lasciato dall’assenza di suo padre, che di norma si sarebbe dovuto trovare lì ad aspettarla, si fece sentire immancabilmente. Soffocò il bisogno di urlare che, prepotente, si fece largo in ogni fibra del suo essere – ma più di quello era la necessità di sapere che almeno lei c’era ancora, che non era un’inutile mucchio di ossa e polvere in attesa del soffio di vento che l’avrebbe spazzata via – e si ripromise che presto si sarebbe occupata anche di lui. Prima, però, Biancaneve.
Spezzò il sigillo e piccoli frammenti di cera rossa caddero tra le stoffe del vestito e sul pavimento, ma l’ambiguità delle quattro parole – se non si contava il nome del Cappellaio – che risaltavano sulla carta bianca non gliene fece preoccupare.
 
Credo ti stesse aspettando
- Jefferson
 
Qualunque cosa volesse significare, Regina non era sicura di volerlo sapere. Un ringhio frustrato richiamò l’attenzione dello Specchio, ma i suoi ammonimenti e le sue adulazioni erano l’ultima cosa che avesse voglia di sentire in quel momento e lo liquidò con un semplice gesto della mano.
Quello che avrebbe voluto, invece, era sapere quale strana divinità avesse deciso che lei non meritasse la sua vendetta. In caso contrario, non avrebbe proprio saputo spiegarsi perché ogni sua azione sembrasse generarne altre dieci opposte.
Con il diavolo in corpo percorse il corridoio che la separava dalla sua camera da letto e non appena fu dentro – né specchi magici né guardie che la potessero disturbare – si strappò di dosso bustino, gonna e stivali, buttandoli sul pavimento accompagnati dalla valanga di nastri e forcine con cui si era acconciata i capelli. Che per apparire belle occorresse soffrire era una delle regole più sacre che Cora le avesse tramandato e, per quanto odiasse sua madre, doveva ammettere che avesse ragione.
Dopo aver riposto e ricucito con un piccolo aiuto magico l’abito sventurato di quel giorno, gli sostituì una più leggera vestaglia da notte che andasse a coprire la biancheria – e perché fosse necessario un corsetto anche per dormire non le era chiaro – sottostante. Solo quando si sedette alla toeletta per pettinarsi si accorse che nella sua camera qualcosa non andava, un dettaglio che per quanto insignificante era stato in grado di rompere l’equilibrio usuale.
Lo notò riflesso nello specchio, l’unico in cui il genio non potesse materializzarsi, e constatò che forse a qualcuno della sua vendetta dovesse interessare.
Una piccola bambolina giaceva sul suo cuscino, una bambolina con i capelli neri come l’ebano e la pelle bianca come la neve. E non potevano mancare le labbra color del sangue. Un moto di gioia scosse Regina: quella versione di Biancaneve non poteva che rivelarsi migliore dell’originale.
La fattura era incredibile, ogni dettaglio era stato riprodotto magnificamente e se non fosse stato impossibile la sovrana avrebbe detto di poter sentire un minuscolo cuore battere in quel petto di paglia. La magia era qualcosa di davvero meraviglioso.
E a tal proposito si chiese quale fosse il prezzo che ne sarebbe derivato; se c’era una cosa che Tremotino le aveva insegnato era che la magia veniva sempre con un prezzo.
«Non preoccupatevi, Maestà, non è niente che non possiate pagare.»
Lo spavento nell’udire una voce sconosciuta alle sue spalle fu secondo solo alla rabbia dovuta all’intrusione non autorizzata tra le mura del suo castello e, soprattutto, tra quelle della sua camera da letto. Ignorando il fatto di essere in tenuta da notte, si armò di tutta la sua regalità e si voltò per fronteggiare il nuovo ospite: alto, dalla pelle scura e con un luccichio sinistro negli occhi che poco la rassicurava. Senz’altro l’uomo che stava cercando.
«Questo sarò io a deciderlo, Dottor Facilier
«La mia fama mi precede.» ghignò lui, soddisfatto.
«Solo le vostre cattive abitudini. Di solito si bussa.»
«Chiedo perdono.»
Volute di fumo rosso le ostruirono la visuale, espandendosi nella stanza, e un attimo dopo dei colpi scanditi la indirizzarono verso la porta. Regina trattenne uno sbuffo a metà tra il seccato e il divertito e andò ad aprire, una mano sul fianco e il sopracciglio inarcato; il sorriso di scuse del cartomante la portò a interrogarsi sulla singolarità del soggetto in questione: poteva sentire la meschinità e l’arte dell’inganno scorrergli nelle vene e si era trovata abbastanza spesso nel ruolo della manipolatrice per non sapere che, così come il bianco latteo e fin troppo abbagliante dei suoi denti stonava col pizzetto nero, anche i toni gentili e i gesti galanti non erano altro che una mera facciata. Usata per quale scopo ancora non lo sapeva, ma aveva intenzione di scoprirlo.
«Sua Maestà desiderava vedermi?»
Il tono ironico velato da una punta di scherno con cui Facilier le si rivolse indispettì Regina, l’unica persona che aveva mai osato parlarle in quel modo – da quando era diventata regina naturalmente, prima sua madre non ne aveva mai perso l’occasione – era stato Tremotino e considerati i recenti attriti nel loro rapporto nemmeno al suo vecchio maestro lo avrebbe permesso, ma il desiderio di liberarsi di Biancaneve era più forte del suo orgoglio e lo fece accomodare, per la seconda volta.
Il fatto che fosse ancora in veste da camera sembrò non disturbarla affatto.
«Dunque, a proposito del prezzo, che cosa volete?»
«Una cosa di poco conto – cantilenò lo stregone, facendo scorrere tra le dita la stoffa pregiata del baldacchino per poi tornare a fissare Regina – Il vostro sangue.»
La sovrana sgranò gli occhi e strinse i denti nel tentativo di mascherare l’accelerazione del suo respiro; era a conoscenza delle pratiche cui Facilier faceva ricorso e le trovava tanto inquietanti quanto profondamente affascinanti – in confronto il collezionare cuori sembrava un gioco per bambini – ma ciò non la rendeva più incline a cedere gocce del suo sangue.
La sua esitazione fece sogghignare l’uomo e la bambolina che ancora stringeva al petto scomparve per riapparire nelle sue mani, sapeva fin troppo bene come giocare le sue carte.
«Temo di non potermi trattenere oltre, Maestà, anche i morti non gradiscono attendere.»
«Fermo.! – Regina si ricompose immediatamente quando si accorse di aver urlato e con fermezza gli si avvicinò – Abbiamo un accordo.»
Uno sfavillante moto di vittoria gli illuminò lo sguardo e facendo una piccola riverenza le restituì la bambola, che subito Regina mise al sicuro facendola svanire in una nuvola viola. Un’appagante sensazione di benessere si propagò in tutto il suo corpo, mettendo a tacere i pensieri assillanti e la voce che costantemente le ricordava quanto lei e i suoi tentativi di vendicarsi fossero un completo fallimento; fu un attimo di pace che volle godersi fino in fondo.
«Il vostro pagamento.» disse – l’incertezza iniziale spazzata via in pochi istanti – e porse la mano all’uomo, che solo in quel momento realizzò aver invaso del tutto il suo spazio personale, ma Regina non arretrò.
Da una delle tasche del frac viola che indossava, Facilier estrasse un elegante ciondolo tondeggiante che avvicinò al palmo della sovrana, ora curiosa di vederlo all’opera, e, quasi fosse dotata di vita propria, la collana si illuminò, pizzicandola all’altezza del pollice. Una smorfia contrasse i lineamenti di Regina, ma così com’era iniziato il lampo di dolore svanì e insieme ad esso anche il ciondolo riacquistò le sue normali fattezze.
«Ebbene?»
«Questo ora è un talismano – spiegò Facilier, prolungando in una carezza l’incantesimo con cui eliminò i due piccoli tagli sulla mano della donna – Un artefatto piuttosto potente, aggiungerei.»
«E cos’ha di speciale? Ne avete abbastanza di diavolerie, suppongo.»
«Oh, ma questo è diverso – lo stregone si portò alle spalle di Regina, sorridendo quando lei non mostrò segni di irrigidimento – Contiene il sangue della regina cattiva.»
Regina lo lasciò fare quando allacciò il nastro del pendente attorno al suo collo e un leggero brivido la percorse nel sentire le sue dita scostarle i capelli dalla schiena. Una delle maniche della vestaglia le cadde lungo la spalla, e ne sapeva abbastanza di magia per capire che non era stato un caso, e le labbra dello stregone andarono a sostituire il tessuto leggero. Scintille incontrollate scaturirono dalle dita della sovrana, ma riuscì a richiamarle immediatamente a sé; così vicini erano un concentrato di magia che poche volte si sarebbe potuto osservare e anche Facilier se ne accorse.
Si separò da lei e suadentemente le sussurrò all’orecchio «Spero che vorrete conservarlo per me, Regina.» poi scomparve nella sua nuvola rossa.
Regina portò una mano a sfiorare il ciondolo, inebetita da quell’incontro che aveva preso una direzione del tutto singolare. Forse troppo vicina al suo cuore.
 
*
 
Un raggio di luce si infranse sullo spillo appuntito che si stava rigirando tra le dita, creando un breve ma pittoresco sfavillio che riverberò nella penombra della stanza. Fuori il sole era alto e dal canto persistente con un cui ogni passerotto del regno aveva deciso di torturarla sembrava quasi che ci fosse qualcosa per cui festeggiare, ma era a quel quasi che apparteneva Regina.
Ormai da più di tre giorni tutto ciò su cui riusciva a concentrarsi era la copia in pezza della sua rivale, che con i suoi occhi vitrei – unico vero dettaglio a differenziarla dalla Biancaneve originale – pareva giudicarla per la sua codardia: avrebbe dovuto guardarla soffrire mentre implorava perché non riducesse in polvere il suo cuore, e con esso quelli delle persona a cui teneva di più. Affidarsi ad una pratica voodoo era un scorciatoia che non era più sicura di voler imboccare; se solo il pensiero della sua figliastra viva e vegeta e innamorata non avesse rischiato di farla impazzire.
«Dovresti farlo tu.»
Non si sforzò nemmeno di mettere a tacere la parte della sua coscienza – che di coscienza non meritava neanche il nome – che da troppi anni aveva preso la forma della voce di Cora e lasciò cadere a terra lo spillo. Irritata come poche altre volte si mise a camminare avanti e indietro nel tentativo di sbollire la rabbia, che in pochi attimi le era salita in corpo: forse era il caso di chiamare una delle sue guardie per il puro gusto di vederla stramazzare al suolo con le unghie ad artigliarsi la gola o, ancora meglio, poteva rivolgersi al Cacciatore.
Come quel pensiero la sfiorò, portò automaticamente una mano a sfiorarsi il petto dove capeggiava il ciondolo di Facilier. Non avrebbe voluto, ma più del suo incantesimo era stato l’uomo ad invadere le sue elucubrazioni in maniera prepotente negli ultimi giorni e non era servito relegarlo in un angolo insignificante della sua mente; non aveva escluso l’idea che la causa di quell’interessamento potesse essere una bambola con le sue di sembianze.
Tornò a concentrarsi sul punto dove si trovava quella di Biancaneve, ma il suo sguardo non venne ricambiato dagli occhi di vetro.
«Ma che diavolo-»
«Credevo non la volessi più.»
Regina sobbalzò: a quanto pareva, palesarsi all’improvviso era una caratteristica comune a tutti i maghi oscuri.
Appoggiato allo stipite della finestra, Facilier la stava esaminando con interesse e, come la prima volta, la sovrana avvertì una forte carica di magia posarsi come un velo sulla stanza. Anche il passaggio dal voi  al tu non le sfuggì.
«Se è questa che volete, riprendetevela pure. Ho cambiato idea.» disse Regina, porgendogli la collana.
«Credevo che le formalità fossero superate – con un gesto della mano Facilier riallacciò il pendente al collo della donna – Ma del resto rimani una persona difficile da leggere.»
«Devo ritenermi offesa?»
Regina si avvicinò con circospezione. Quell’uomo era stato capace di confonderla in così breve tempo da averle fatto credere, per un momento, di essere tornata alle sue prime lezioni con Tremotino, quando ogni gesto e parola erano studiati per assuefarla sempre di più all’oscurità.
«Cosa vuoi?» chiese nel sentire ignorata la sua prima domanda, abbandonando lei stessa il tono formale.
«Raramente qualcuno ha rifiutato il mio aiuto quando era già tra le sue mani. Mi chiedo perché.»
«Voglio sentire il cuore di Biancaneve sgretolarsi tra le mie dita e vedere la vita abbandonare i suoi occhi. Questo – e nel dirlo indicò la figura di Facilier – Non è il mio genere.»
Il sorriso sghembo che le rivolse gli scoprì i canini appuntiti e dalla risata gutturale che seguì, sembrò che le parole di Regina fossero tutto quello che avesse voluto sentire.
«Ne sei sicura?»
L’uomo avanzò di due passi, sovrastandola; nonostante i tacchi, era molto più alto di lei. Regina affrontò il suo sguardo indagatore senza lasciare il suo posto.
«Sono sempre sicura.»
«Sei una donna interessante, Regina.»
In risposta, la sovrana accorciò ulteriormente la distanza tra loro non lasciando altro che i loro respiri a separarli; fu una strana vibrazione quella che le attraversò la spina dorsale, ma il non riuscire ad indentificarla non fece altro che incrementare il desiderio di scoprire perché quell’uomo fosse stato in grado di insinuarsi con così tanta facilità nel suo essere. E soprattutto perché lei non avesse fatto niente per impedirlo.
«Ti piacerebbe saperne di più?»
Quello che seguì fu inevitabile come lo scontro tra due entità ad alta velocità che si fossero trovate sulla medesima traiettoria, frapporsi tra esse sarebbe stato inutile quanto distruttivo.
Fu Regina la prima a condurre il gioco: avidamente si impossessò delle labbra di Facilier, mordendole e stuzzicandole in un fervido ed insaziabile intrecciarsi di lingue. Lasciò che lui l’afferrasse per i fianchi e che da lì risalisse fino al corsetto che le costringeva il seno prosperoso; gli prese le mani, guidandolo nastro dopo nastro e godendo con lui nell’ardente sfiorare che faceva desiderare ad entrambi di eliminare definitivamente l’ostacolo. Del resto, non era nella loro natura il saper aspettare.
Non ci volle molto perché decidessero di ricorrere alla magia e da quel momento in poi fu un susseguirsi di provocazioni a cui, per quanto strenuamente, nessuno dei due fu in grado di opporsi, regalando ad entrambi l’illusione di aver ottenuto il controllo sull’altro.
 
*
 
Ancora una volta, quella notte, Regina si rigirò nell’ampio letto in quella che ormai era diventata la sua camera personale nel castello di Tiana.
Allungò la mano verso il comodino, alla cieca. Le ci volle qualche istante per afferrare quello che stava cercando e nel farlo ebbe la sensazione di essere appena stata catapultata nel passato, un passato in cui giocherellare con quella collana in attesa che il sonno sopraggiungesse era stata una piacevole abitudine. Questo fino a quando, nel tentativo di recuperare un ingrediente fondamentale per riuscire a lanciare il Sortilegio Oscuro, aveva dovuto affrontare un maledetto coccodrillo.
Aveva perso il conto degli anni trascorsi dal suo ultimo incontro con Facilier, ma il momento in cui aveva incrociato nuovamente il suo sguardo era bastato ad annullarli tutti. Si era stupita nel constatare che le emozioni provate in sua presenza erano rimaste pressoché le stesse e non se ne sarebbe preoccupata se non fosse stato per quel dettaglio che la stava costringendo a una nottata inquieta: non era più la persona cui il pendente che si stava rigirando tra le dita era stato donato. Ancora adesso, però, era una la domanda che l’assillava: per quale motivo l’aveva lasciata a lei?
Erano state numerose le supposizioni e le storie che aveva costruito al riguardo – all’epoca le aveva considerate una pausa dalla sua ossessione per Biancaneve – fino a che non era diventata solo un altro dei suoi numerosi gioielli, il cui unico scopo era quello di abbinarsi in maniera perfetta ai suoi abiti. Ne aveva dimenticato l’importanza, specie dopo che Facilier era svanito nel nulla fornendo come unica scusa i sussurri dei morti e il volere delle carte. I seguenti erano stati giorni duri per il regno.
Regina si rigirò nuovamente sotto le coperte nella speranza di trovare una posizione confortevole che le permettesse di addormentarsi, ma ogni tentativo fatto si rivelava più futile del precedente; la tentazione di usare la magia si fece forte, ma dovette scartare l’ipotesi. L’ultima volta che l’aveva usata in quel modo era diventata quasi una dipendenza, solo così poteva placare gli incubi.
Dopo ore interminabili, quando le prime luci dell’alba fecero capolino tra le tende scure, fu con la collana al collo che la trovarono addormentata.
 
*
 
Esitò prima di bussare, la mano sospesa a mezz’aria e lacrime di rabbia che ancora minacciavano di sfuggire al suo controllo.
Seccamente batté le nocche sul legno pregiato, in attesa. Non ne rimase sorpresa, ma nel sentire la maniglia abbassarsi subito dopo una piacevole sensazione la colse; sapere che, nonostante tutto, la stava aspettando riuscì a rassicurarla.
«Sono felice che tu sia passata – la salutò Samdi, il solito sorriso enigmatico in volto – Hai trovato il tuo ladro?»
«Non voglio parlarne.» ribatté Roni categorica.
«Immagino non sia andata bene.» osservò lui, sfilandole il cappotto e appendendolo all’attaccapanni dietro la porta.
«Deduci bene, ma ho già detto che non mi va di discuterne.»
Senza troppi complimenti, Regina si fiondò sul tavolino dove erano esposti in bell’ordine i vari liquori e versò due drink, poi ne porse uno all’uomo.
«Sei troppo tesa.»
Non si oppose quando Facilier la fece sedere accanto a lui sul divano e iniziò a massaggiarle le spalle; lei stessa poteva avvertire la contrattura che, da quando Genoveffa l’aveva risvegliata, l’aveva tenuta in allerta costantemente. Il pensiero che la maledizione venisse spezzata prima che fosse riuscita a trovare un antidoto che curasse Henry non le dava pace, e ora Weaver aveva ridotto drasticamente le sue possibilità di riuscita.
Non poté trattenere un mugolio frustrato e in automatico finì lo scotch che aveva nel bicchiere. Nello stesso momento Samdi l’attirò più vicino a sé e Roni si abbandonò contro il suo petto; non avrebbe dovuto, ma era sfiancante cercare di mantenere il controllo in sua presenza, senza contare lo strano filo invisibile che sembrava intenzionato a condurla da lui a tutti i costi.
Tentò comunque di mantenere una parvenza di reticenza «Spero che tu non ti stia facendo un’idea sbagliata.»
«Certo che no.»
Risultò tremendamente difficile credergli date le sue labbra ad un soffio dal suo orecchio, per non parlare delle mani scese fin dove non avrebbero dovuto. Ma il suo tocco era caldo e gentile e Regina era davvero troppo stanca per continuare a tenere le fila di tutto.
«Non credo che dovrem-»
Il bacio in cui la coinvolse le fece dimenticare il resto della frase e non riuscì a protestare quando la intrappolò sotto di lui. Era come se qualcosa sopito da tempo si fosse appena risvegliato.
Sentire le sue dita accarezzarle il viso, scorrere sui fianchi, sulle gambe… Ogni nervo reagì perché lei rispondesse. Gli sbottonò il gilet e la camicia e ne baciò il petto, leggermente villoso sui pettorali; si aggrappò alle spalle possenti e intrecciò le gambe attorno alla sua vita perché le fosse ancora più vicino. Desiderava spogliarlo e a quel pensiero ogni ostacolo tra loro svanì, si interrogò appena su come fosse potuto accadere.
Samdi si sollevò sulle braccia, quel tanto che bastava per poterla guardare in viso, e a fior di labbra sussurrò «Ho un regalo.»
Regina riconobbe subito il ciondolo e sorrise nel constatare che, non importava dove fosse, riuscisse sempre a ritornare da lei. Con piacere tornò ad indossarlo, mentre Facilier si riappropriava della sua bocca.
Una strana luce illuminò la stanza per qualche secondo, ma Regina aveva gli occhi chiusi e non si accorse della stilla nera che le si infranse sulla pelle, esattamente all’altezza del cuore.
 
*
 
Dopo una settimana era chiaro che qualcosa non andasse.
Un torpore suadente le aveva avvolto le membra e concentrarsi sul suo obbiettivo diventava sempre più difficile. Immagini sporadiche del suo passato si ripresentavano nei momenti più svariati ed era sempre maggiore la difficoltà che trovava nel non abbandonarvisi. Ma la ricerca di una cura per Henry l’aveva portata a vagliare tutte le opzioni e, fallimento dopo fallimento, non le era rimasta indifferente l’idea di affidarsi ad arti più oscure.
Scosse la testa cacciando per l’ennesima volta quel pensiero e ricominciando a giocherellare con la collana, sembrava che solo quel movimento riuscisse a farla concentrare.
Però, forse…
Non badò al pizzicore che le serpeggiò nel petto e ricambiò la stretta della mano di Facilier attorno alla sua vita; era la settima mattina che si svegliava nel suo letto, di certo non potevano dire di non star recuperando il tempo perduto.
«Ci stai ancora pensando?»
La voce dell’uomo risultò impastata contro la sua spalla. Regina ringhiò.
«Dannazione a Gold e al suo dannato egoismo!»
«Gold?»
«Il nome di Tremotino a Storybrooke – spiegò – Avrei dovuto ucciderlo allora.»
«Potrei sempre aiutarti io.»
Roni sapeva che avrebbe dovuto negare, che un rimprovero sarebbe stato più adatto come replica, ma quello che le uscì fu un ghigno degno della regina cattiva e il pensiero che Samdi non avesse tutti i torti.
In quel momento un sottile filamento scuro si chiuse del tutto attorno al suo animo e la collana brillò di nuovo.
 
 
 
NdA: Cristo, che parto!
Mai storia fu più difficile da scrivere. Se non ci avete capito niente, tranquilli, anche io non sono del tutto sicura.
Il finale è aperto? Sì. Avrei saputo come continuare? Sì. Perché non l’ho fatto? Perché sono talmente curiosa di sapere come questi due si siano incontrati e quali siano effettivamente i piani di Facilier che non ho trovato un modo per esplicitare in maniera decente quelle che sono le mie idee a riguardo. Spero comunque che qualcosa abbiate potuto intuire.
Madonna, è stata una sfida la caratterizzazione di Facilier: a me ha dato un’impressione di continua ambiguità – il termine adatto è subdolo – che ho tentato in tutti i modi di mantenere, ma non so quanto ci sia riuscita. Regina, invece, non la vedevo così “sotto” dai tempi di Cora (che è anche il motivo per cui non vedo l’ora di saperne di più su loro due).
Perdonate le note chilometriche e lo sfollo. Per ogni critica, dubbio ecc. fatemi sapere!
   
 
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