Anime & Manga > Dragon Ball
Ricorda la storia  |      
Autore: Hoi    01/05/2018    8 recensioni
Storia classificata al primo posto del contest “Il Diavolo e l’acqua Santa” indetto da Ssjd e Vegeta_Sutcliffe sul forum di EFP
Il girone scelto è il Limbo, quando il comportamento o la disposizione non è condannabile in sé, ma rappresenta una condanna per l’individuo.
"Se c’era una giustizia nelle scelte di re Enma, lei non la vedeva. Se c’era un senso in quella divisione ossessiva tra bene e male, lei non lo comprendeva e se proprio doveva essere sincera, forse era vero che non meritava l’inferno, ma anche non meritandolo lo desiderava"
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bulma | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



Sull'orlo dell'inferno

Con le mani contratte e la mascella serrata Bulma mentiva ed ostentava una tranquillità inesistente, fingendo d’interessarsi a problemi che la riguardavano solo parzialmente.
Il paradiso l’aveva accolta a braccia aperte dopo che Majin Bu l’aveva divorata, eppure il sollievo dal dolore tardava ad arrivare.
Attorno a lei i sospiri delle amiche ammorbavano l’aria, con interrogativi vani. Gohan era vivo? Era morto? Che importanza poteva mai avere!?
Per Videl e Chichi era senza dubbio un problema primario, saperlo avrebbe determinato ogni cosa per loro. Bulma lo capiva, capiva il dolore e la paura instaurate dalla certezza che lei non avrebbe mai potuto rivedere l’uomo che amava. Così, per non pensare al proprio dolore e forse anche un po’ per mentire a sé stessa, Bulma supportava una ricerca che per prima aveva condannato come inutile. Con le mani contratte e la mascella serrata, Bulma sputava menzogne ad alta voce attraverso un sorriso teso.
“Sai, io credo che se si desidera una cosa con tutti sé stessi, questa diventa vera”

Bugiarda e vile, persino in paradiso, Bulma mentiva per non ammettere che alcune cose erano semplicemente impossibili, che desiderare qualcosa non lo rende vero e che allo stato attuale delle cose nulla aveva senso.
Non aveva senso la dolce sensazione di calore che le accarezzava le braccia. Come poteva il sole sfiorare un corpo che lei non aveva?
Non aveva senso che Darbula fosse accanto a loro. Lui che era il sovrano degli inferi, che si era macchiato di chissà quante nefandezze era stato accolto in paradiso a braccia aperte ed era bastato quel gesto a redimerlo. Allora perché non era bastato per suo marito, che certamente aveva molti più motivi di quel demone malvagio, per aspirare alla redenzione?
Più di ogni altra cosa, Bulma sospirava e sbuffava per la collera al pensiero che Lei stessa, dopo tutto ciò che aveva fatto e pensato, fosse finita in paradiso. E quest’odio irragionevole, che provava per il giudizio esageratamente positivo attribuito a tutta la sua vita, era senza dubbio la cosa più insensata.

A Bulma era stato spiegato in più occasioni il funzionamento sommario del giudizio divino, quindi sapeva bene che essere ammessi in paradiso era senza dubbio la massima aspirazione per un’anima, era il premio finale, il raggiungimento di ogni bene, eppure Bulma non si sentiva appagata, non si sentiva premiata. Un tarlo maligno la stava divorando dall’interno, senza che lei potesse impedirlo. Avrebbe voluto negare, mentire anche adesso e fingere di non sapere quale nome portasse quel dolore, ma lo vedeva riflesso negli occhi di Chichi che cercava suo figlio e in quelli di Videl, che sperava in un futuro impossibile.
Bulma avrebbe voluto e dovuto abbandonarsi alla sensazione di estasi e di bene, che permeava ogni frammento di quel mondo senza senso. Avrebbe dovuto lasciare che il profumo dei fiori e il calore del sole penetrassero nella sua anima e redimessero quella piccola e ostinata parte di lei che ancora si ostinava a mentire e soffrire. Sfortunatamente, Bulma era troppo orgogliosa e arrabbiata per arrendersi. Con le mani contratte e la mascella serrata, Bulma stringeva a sé il suo dolore, senza lasciarlo trasparire, quasi con il timore che sarebbe svanito, se solo lo avesse mostrato. E nel farlo peccava anche in paradiso. Peccava di superbia, perché riteneva di poter mettere in discussione le decisioni di re Enma. Peccava di orgoglio, perché non permetteva che un bene supremo influenzasse le sue decisioni e i suoi sentimenti. Eppure, nonostante la blasfemia che di certo era rappresentata dalle sue decisioni, Bulma era in paradiso.

Com’era possibile?

Per quanto potesse affondare nei ricordi e ripercorrere ogni sua decisione, Bulma non riusciva a vedere che egoismo e autocompiacimenti in ciò che faceva. Anche quando si era spinta in grandi atti di generosità, come ospitare i Namecciani o partire per un viaggio folle per salvare i suoi amici, lo aveva fatto con leggerezza.

Senza intenzione il bene poteva davvero essere tale? Se non le era mai importato delle sorti del pianeta Namek e dei suoi abitanti, poteva davvero essere premiata per avergli dato asilo? In fondo non le era costato e non aveva significato nulla, non per lei.

No, non potevano averla premiata solo per questo. Non quando Vegeta bruciava all’inferno, nonostante avesse dato tutto ciò che aveva, per salvare lei e Trunks.
Allora per cos’era stata premiata? Bastava davvero non essersi macchiati di grandi crimini per meritare il paradiso? Oppure le erano stati addebitati anche i meriti di Goku, che in fondo, senza di lei, sarebbe rimasto su un monte per tutta la vita? Ed eccola nuovamente, la superbia, insinuarsi nei suoi pensieri e addebitarle meriti esagerati, meriti non suoi. Se si esaminava quell’episodio, non si poteva non notare che lei aveva ingannato Goku il giorno del primo incontro e l’aveva fatto per sé stessa. L’aveva fatto solo per trovare un fidanzato, di certo non per salvare il mondo o per aiutare quel bambino.
Effettivamente, se si soffermava a pensarci, quel sentimento doloroso che le divorava l’anima, quel sentimento assurdo che non poteva non pensare strettamente intrecciato alla lussuria, era stato l’origine di ogni sua decisione. L’aveva guidata da quel giorno in una folle ricerca per ogni angolo della terra e poi su namek, per salvare un uomo che stava già dimenticando. L’ironia atroce e spietata, che le torceva le mani e spezzava il respiro, era proprio che finché aveva agito ostinatamente alla ricerca dell’amore, era rimasto tutto sotto controllo. Poi ci aveva rinunciato, aveva dimenticato i propositi romantici e si era dedicata ad un alieno che per lei non era altro se non un passatempo fisico. Quando Vegeta se n’era andato, lasciandola in attesa di un figlio, Bulma non aveva pianto, al contrario, era stata quasi sollevata. Non aveva mai pensato che sarebbero stati qualcosa di più che amanti, poi lui era tornato e loro avevano iniziato a conoscersi, a capirsi e alla fine, quel sentimento si era ripresentato più spietato e forte che mai. Lo aveva tenuto stretto nel petto, il dolore sordo che l’aveva afferrata quando Vegeta si era tolto la vita ed ancora pulsava prepotente, combattendo contro la beatitudine che quel luogo tentava di inculcarle.

Improvvisamente una risata isterica iniziò a premere per sfuggirle dalle labbra. Ora capiva, era così che la condannavano. Semplicemente Bulma non avrebbe mai potuto essere felice sapendo che non avrebbe mai rivisto Vegeta, sapendo che il dolore lo stava consumando. Era così che la punivano, costringendola a soffrire per la mancanza e la pena che solo un sentimento spietato e irrazionale come l’amore può dare.
No, non era vero, nonostante tutto ciò che aveva fatto in vita non era Enma che la condannava, a Bulma sarebbe bastato lasciare che il dolore scemasse e il sole del paradiso arrivasse ad illuminare ogni angolo nascosto della sua anima, per raggiungere la beatitudine. Bulma soffriva per sua scelta, per non lasciare andare i ricordi che la legavano a quell’uomo malvagio e nel farlo non poteva smettere di guardare Darbula che sorrideva ingenuamente.

Si era condannata da sola, a scontare una pena troppo grande per un peccato che per chiunque altro era una virtù.

Se c’era una giustizia nelle scelte di re Enma, lei non la vedeva. Se c’era un senso in quella divisione ossessiva tra bene e male, lei non lo comprendeva e se proprio doveva essere sincera, forse era vero che non meritava l’inferno, ma anche non meritandolo lo desiderava. Sapeva che laggiù sarebbe stata sottoposta a dolori inimmaginabili, ma li stava soffrendo già adesso ed almeno laggiù avrebbe avuto lui e forse se l’avesse potuto vedere, ogni dolore sarebbe scomparso.
No, in fin dei conti quello non era il paradiso per Bulma e che gli altri lo chiamassero come gli pareva, lei sapeva, sapeva di per certo che quella in cui si trovava era solo una ben architettata menzogna. Era un premio incompleto, che lei non aveva fatto nulla per meritare, nel bene e nel male. Un inganno che voleva rubarle quel sentimento assurdo e masochista.
Pur comprendendo l’insensatezza del suo atto, l’anima di Bulma si piegava e distorceva, sospesa a metà, tra la certezza che non avrebbe mai ritrovato Vegeta e la vana speranza che se solo fosse riuscita ad estendere abbastanza la sua essenza, come sapeva fare Goku, avrebbe potuto rivederlo, anche se solo con gli occhi della mente.
Fosse servita l’eternità intera per riuscirci, Bulma avrebbe tentato invano per ogni istante a venire a sporgersi oltre i bordi di quell’assurdo inganno, per vedere, anche solo di sfuggita il profilo dell’uomo che amava.
  
Leggi le 8 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Dragon Ball / Vai alla pagina dell'autore: Hoi