Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: Blablia87    02/05/2018    5 recensioni
John Watson, ex medico militare, non ha mai utilizzato - benché gliene sia stato fornito uno come sostegno durante il periodo di riabilitazione a seguito di un ferimento in missione - un R'ent. 
Preferisce continuare a percepire la realtà attraverso i sensi, invece di riceverla sotto forma di impulsi elettrici.
John Watson non comprende come possano esistere persone, i Ritirati, che decidono di isolarsi in modo permanente dal mondo lasciando ai propri Sostituti il compito di unico filtro tra loro e l’esterno.
John Watson è convinto che, per lui, la guerra sia finita.
Fino a quando il R'ent di un Ritirato, Sherlock Holmes, non compare sulla porta del suo studio in cerca di aiuto.
[Sci-Fi!AU][Johnlock][“Android”!Sherlock]
Genere: Angst, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il passato è solo il presente diventato invisibile e muto […].
(Mary Webb)


19.
(ovvero delle sorti di due informatori)


 
«Ci hai messo molto.» Sherlock sciolse le gambe con un movimento fluido, alzandosi dalla poltrona. «Devo dedurne che l’informazione richiesta fosse particolarmente difficile da reperire?» chiese, con tono distaccato, dirigendosi verso la cucina.
«Praticamente impossibile, Shezza» rispose la giovane ragazza con i capelli corti e rossi che – avvolta da un vecchio cappotto troppo grande per lei – aveva appena varcato la soglia di Baker Street. «Ho dovuto chiedere aiuto a mio fratello, alla fine.»
«Oh.» Il R’ent si arrestò, la mano sospesa a pochi centimetri dal pomello di uno dei pensili fissati sopra i fornelli. «Immagino che questo voglia dire un aumento della parcella.» Aprì lo sportello, estraendo un piccolo barattolo in di tè. «Mi sembra corretto.»
«In realtà… - ribatté lei, seguendo l’altro in cucina – pensavo di saldare la differenza con l’ospitalità per un paio notti. Sai, questi giorni si gela, in strada…»
Sherlock scoperchiò il contenitore di latta, estraendone un mazzetto di banconote arrotolate con cura. Senza aprirlo lo allungò verso la ragazza, che lo prese con entrambe le mani, aprendolo. Le unghie, corte e sbeccate, erano circondate da un leggero alone di sporcizia.
«Shezza, sono decisamente troppi!» esclamò, quando ebbe contato l’ultima banconota. «Preferirei restituirtene una parte e restare…»
«Tienili.» Sherlock richiuse il barattolo e lo rimise nella credenza. «Nella mia camera dovrebbe ancora esserci il materasso e qualche coperta» aggiunse poi, superandola per tornare nel salotto. «Adesso, però, siediti e racconta.»
Lei rimase immobile qualche secondo, spostando più volte gli occhi dai soldi al R’ent, le labbra socchiuse per la sorpresa.
«Grazie» sussurrò infine, scuotendosi.
«Non ringraziarmi. Sdebitati» si limitò a risponderle lui, facendole cenno di prendere posto sulla poltrona di fronte alla sua, prima di sedersi nuovamente.
 
 
***
 
 
Mosse la testa verso sinistra, lentamente. Poi, piano, la portò a destra, aspettando di sentire i muscoli del collo tendersi e dolere. Solo allora, sempre con estrema calma, sollevò di nuovo il capo in posizione eretta.
Appoggiò i gomiti alla scrivania in legno dietro la quale era seduto e intrecciò le dita delle mani davanti al mento, posandolo sopra di loro con un sospiro.
Un bussare concitato alla porta alle sue spalle lo fece voltare di scatto, allontanando i suoi occhi - per la prima volta dopo quasi un’ora - dai piccoli schermi che ricoprivano quasi del tutto la parete di fronte a lui.
Assottigliò le palpebre, attendendo di scoprire se quanto erano venuti a riferire fosse davvero tanto urgente da obbligare uno dei suoi uomini a correre il rischio di bussare ancora una volta.
Passò qualche secondo. Poi, di nuovo, si sentì battere con forza alla porta.
Stirò le labbra in un sorriso divertito. Quindi fece roteare la sedia sulla quale era seduto in modo da avere una visuale completa dell’ingresso. Alle sue spalle, la luce azzurra dei monitor creava un velo scuro attorno alla sua figura, trasformandolo in un’ombra dal profilo abbozzato, confusa con tutte le altre che si agitavano attraverso la stanza.
«Avanti» trillò, allegro.
La porta si socchiuse, restando accostata per qualche secondo. Poi - cigolando leggermente sui cardini - si aprì del tutto, mostrando la silhouette asciutta di un uomo alto e magro. Questi mosse un paio di passi nella stanza, rigido e impacciato.
«Alex!» lo salutò l’uomo, aprendosi in un sorriso enorme. «C’è qualcosa che devi dirmi?»
«Sì, Capo» rispose l’altro, la voce fredda e rallentata.
«Avanti, allora. Dimmi.»
Lui si bloccò, muovendo appena la testa da un lato. Poi, con un piccolo scatto, la riportò in posizione eretta.
«Sì» ripeté. «C’è un problema, Capo.»
«Ti ascolto» rispose l’uomo pazientemente, incrociando le dita e appoggiando le mani sulle gambe.
«La Tana è stata scoperta, Capo.» La figura in piedi attese qualche secondo, in completo silenzio. «La polizia è appena stata lì» terminò quindi, con cautela, quando realizzò che l’altro non era intenzionato a rispondere a quanto appena sentito.
«Tutto qui, quello che dovevi dirmi?» L’uomo annuì, alzandosi dalla sedia. «Sei venuto fino a qui per questo?»
«Sì, Capo» replicò la figura, oscillando la testa.
L’altro gli si avvicinò con passo lento, un sorriso obliquo a tirare le labbra. Quando si trovò con la fronte a pochi centimetri dalla sua gli poggiò entrambe le mani su volto, all’altezza delle orecchie.
Chiuse gli occhi, lento, senza smettere di sorridere. Poi, con un colpo secco, girò di colpo la testa del visitatore verso sinistra, sentendola disarticolarsi dal collo.
La figura spalancò gli occhi, sorpresa, sentendo le gambe cedere e le spalle cadere inermi verso il basso.
L’uomo lasciò andare la presa, osservando divertito il corpo accasciarsi a terra con un tonfo.
Una piccola scintilla rossa gli illuminò fugacemente lo sguardo, spengendosi pochi istanti dopo, inghiottita dal nero delle pupille spalancate.
«Dovresti saperlo, Alex» sussurrò l’uomo, sbattendo tra loro i palmi, come a liberarsi da un po’ di polvere. «Non si bussa al mio studio se non per un buon motivo.»
Tornò verso la sedia, prendendo posto nuovamente dietro la scrivania, gli occhi ai monitor.
Si voltò verso uno di quelli più in basso, sulla sinistra, che mostrava in bianco e nero il muoversi laborioso di tante piccole figure umane. Alcune trasportavano barelle. Altre, radunate al margine del display, erano intente ad alzare e spostare di lato pesanti sacchi neri, delle dimensioni di un uomo.
 
Alle loro spalle, sullo sfondo, lo scorrere lento di un fiume.
 
 
***
 
 
John lanciò un’occhiata veloce al proprio cellulare, appoggiato schermo in giù di fianco alla tastiera del computer sul quale stava lavorando.
Sovrappensiero, chiuse il labbro inferiore tra i denti, mordendolo appena.
Alzò lo sguardo sull’orologio affisso sopra la porta del suo studio. Erano le otto di sera passate, e Sherlock non aveva ancora dato notizie.
Accedere al suo localizzatore, cosa che stava meditando di fare, era qualcosa da prendere in considerazione come ultima opzione, un’extrema ratio alla quale – in caso di uso improprio – avrebbe dovuto trovare una valida spiegazione, ne era conscio.
Eppure, nonostante conoscesse quel R’ent da meno di ventiquattro ore, qualcosa nel prolungarsi del suo silenzio lo stava facendo innervosire. Non era un fastidio vero e proprio, più un vago senso di irrequietezza che risaliva ad ondate attraverso il petto.
«Andiamo, è ridicolo…» cercò di convincersi, scuotendo la testa e tornando a concentrarsi sulle cartelle dei pazienti.
Pochi minuti dopo, senza essersene reso conto, si trovò nuovamente immobile, le dita sospese sulla tastiera e gli occhi al rivolti al telefonino.
«Va bene, ho capito…» sbuffò alla fine, arrendendosi. Allungò una mano verso l’apparecchio, girandolo tra le dita un paio di volte prima di sbloccarlo. Le luci al neon della stanza proiettarono un’ombra densa sotto il suo pugno, scurendo parte della scrivania.
Il medico ripassò un paio di vote la nota, distogliendo lo sguardo ad ogni lettura.
C’era qualcosa, nella password, che richiamava prepotentemente l’attenzione, destando la sua curiosità. Il perché era abbastanza chiaro: era composta dal nome del R’ent unito a quello di un’altra persona ed una data, cosa che suggeriva in modo abbastanza chiaro la grande importanza di entrambe nella vita di Sherlock. Quello che non riusciva a comprendere del tutto era il motivo per il quale la sola idea di digitarle su un motore di ricerca gli mozzasse il respiro al centro del petto. Aveva l’opportunità di poter sapere qualcosa in più sulla persona che aveva scelto di accompagnare in un viaggio folle e pericoloso e – allo stesso tempo – quello che riusciva a scorgere tra quelle lettere scure era qualcosa che non era certo di voler affrontare.
«Non sono… affari… tuoi» borbottò, riappoggiando il cellulare sulla scrivania, rivolto verso il basso.
Inserì un altro paio di cartelle, battendo lettere e informazioni con estrema lentezza.
Iniziò ad inserirne una terza, tornando inconsciamente ad intervalli regolari con lo sguardo al telefono. Se ne rese conto solo quando, provando a salvare i dati inseriti, il programma aprì una grossa finestra di errore al centro del monitor per segnalare l’errata collocazione di alcune informazioni.
«Maledizione!» scattò, chiudendo con un gesto stizzito il file.
Scuotendo la testa afferrò il telefono, rileggendo la nota un’ultima volta prima di digitare le informazioni contenute nella password sulla barra della ricerca on line.
 
“Sherlcok ("Holmes", aggiunse lui),Victor, 2071”
 
Il cursore scomparve per qualche secondo, sostituito da una piccola rotella di caricamento. Alla fine, con un leggero ronzio da parte del corpo centrale del computer, i risultati della indagine comparvero in un elenco cadenzato. Sorprendentemente, nessuno conteneva i dati per intero. Il nome di Sherlock appariva poche volte, e mai in associazione a quello dell’altro. “Victor” e la data 2071, invece, generavano riscontri eterogenei e senza un’apparente coerenza.
Notizie di sport, scoperte scientifiche, compleanni e avvenimenti vari accaduti nel 2071 ad opera di persone con lo stesso nome di battesimo si accavallavano tra loro, mescolandosi davanti ai suoi occhi. John scorse la pagina fino alla fine, consapevole che – senza la presenza del nome di Sherlock, così tanto particolare, a “indirizzarlo” verso la corretta risposta – non avrebbe ricavato alcun tipo di informazione utile.
Rifletté per qualche secondo, socchiudendo le palpebre per aiutarsi ad indirizzare i pensieri. Poi, rapido, cancellò l’intera barra di ricerca e la riempì con il solo nome del R’ent.
Di nuovo, il puntatore divenne un cerchio in movimento, restituendo in pochi attimi i risultati.
Il medico arcuò un sopracciglio, sorpreso. Istintivamente si piegò in avanti, come se avvicinarsi con il viso allo schermo potesse cambiare quanto stava vedendo. Alla fine si convinse che sì, quella schermata era realmente, sorprendentemente ed inspiegabilmente vuota.
Non gli era mai capitato di cercare un qualcosa che restituisse come risultato il nulla più assoluto, e ne rimase turbato. In una società dove ogni persona era costantemente connessa ad una rete, che la rete stessa non trovasse traccia di qualcuno era così insolito da risultare allarmante.
Una parola, incamerata chissà quando durante i suoi studi superiori, gli affiorò alla mente: damnatio memoriae.
John si domandò se l’avesse scelta Sherlock, o gli fosse stata imposta. In entrambi i casi, i motivi dovevano essere seri. Così tanto da poter essere persino pericolosi.
Razionalmente si rendeva conto che questo avrebbe dovuto azionare i suoi meccanismi di difesa, convincendolo a desistere dalla follia di seguire ancora una volta il R’ent da qualche parte. Era cosciente però, allo stesso modo, che la sua mente non era tanto sollecitata e attiva da tempo. Anni. E non era certo di essere pronto a lasciar andare quanto Sherlock aveva trascinato nella sua vita, per tornare ad una routine innocua quanto desolante.
Alzò nuovamente gli occhi verso l’orologio. La lancetta delle ore era ora molto più prossima al nove che all’otto. Quasi cinque ore senza avere notizie.
Di getto scrisse l’indirizzo indicato da Sherlock sulla barra URL, ed inserì user e password. Non era riuscito a comprendere chi fosse Victor, o cosa lo avesse legato al detective nel 2071, quasi dieci anni prima, ma poteva scoprire dove quest’ultimo si trovasse al momento. Si sorprese a sperare di vedere il localizzatore ancora immobile al numero 221 di Baker Street. Non tanto e non solo perché avrebbe significato sapere l’altro in un luogo sicuro, ma anche perché gli avrebbe dato conferma di non essere stato lasciato indietro.
Lo schermo divenne buio, attraversato da una ragnatela intricata di strade bianche che si intersecavano tra loro. Un cerchio azzurro, opaco, comparve sulla via della clinica, ad indicare la posizione del computer che stava svolgendo la ricerca.
John mosse gli occhi sulla mappa, in cerca di un segnale. Attese qualche secondo, senza che succedesse nulla.
“Mi ha fregato… come ho fatto a cascarci?” si rimproverò, scuotendo la testa.
«Se il localizzatore e il punto di ricerca coincidono, non vedrai mai la mia posizione» esordì una voce bassa dalla porta.
Il medico sollevò la testa di colpo, comparendo al di là dello schermo con un’espressione sorpresa che lo fece apparire, per un attimo, molto più giovane della sua età.
«Sherlock» sussurrò, alzandosi. «Che… come?» balbettò poi, chiudendo in fretta la finestra del computer.
«Credi davvero che io non venga avvertito, quando qualcuno accede al chip?» domandò il R’ent, appoggiato allo stipite. «Sarebbe davvero una leggerezza imperdonabile.»
Il medico alzò le spalle, arrendendosi. «Sono davvero prevedibile, eh?» chiese, con un sorriso tenue.
«In verità no. Molto meno degli altri, comunque» rispose Sherlock, dandosi una spinta per tornare in posizione eretta. «Allora: sei molto impegnato, o potresti sgattaiolare via prima della fine del turno?»
John si guardò attorno, controllando quante cartelle fossero rimaste da inserire e quanto lavoro avrebbe di conseguenza lasciato a chi sarebbe arrivato a dargli il cambio dopo poco più di un’ora.
«Devo rimanere reperibile. Se succede qualcosa…» iniziò, aggirando la scrivania.
«Prometto che se dovessero arrivare delle urgenze sarò io stesso a caricarti sul primo taxi» lo anticipò Sherlock.
Il medico sembrò riflettere un attimo sulla proposta. Poi, rapido, si diresse verso il corridoio superando l’altro.
«Avviso Sarah di anticipare l’arrivo del collega» spiegò velocemente, incamminandosi in direzione della hall.
«Fai pure» rispose il R’ent, recuperando il soprabito dell’altro dall’attaccapanni di fianco alla porta ed avviandosi a sua volta.
 
«Tanto gli ho già inviato un messaggio a tuo nome per avvertirlo che saresti andato via prima» sussurrò soddisfatto, lasciandosi andare ad un sorriso divertito.
 



 
Angolo dell’autrice:

Sembra passato un secolo, dall’ultimo aggiornamento.
Era il 6 marzo, e tante cose erano già successe. Tante altre, invece, dovevano ancora accadere.
Avevo ancora trent’anni, per cominciare (ne ho compiuti trentuno esattamente una settimana dopo), e passavo molto tempo ferma a letto, tutte le mie speranze legate a date sul calendario che mi sembravano lontanissime e che non vedevo l’ora di raggiungere.
 
Piano piano ogni tappa è stata toccata e, con un po’ di fatica, superata.
Fino ad arrivare ad oggi, con il cuore e la testa finalmente più leggeri.

Spero di essere molto più costante, adesso che posso stare seduta (anche se non per ore intere come ero abituata).
 
La prima parte della storia, comunque, è già conclusa. Al momento sto scrivendo la seconda. ^_^
Piano piano ce la faremo!
 
Grazie, come sempre e di cuore, a chiunque abbia letto fin qui.
 
A presto,
B.
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Blablia87