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Autore: Ksyl    02/05/2018    5 recensioni
FF che apre un varco temporale AU tra il litigio di Always e il finale di Always per come lo abbiamo sempre conosciuto. Cioè come se non fosse avvenuto.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Richard Castle
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
Capitoli:
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"Dove mi hai portato, Beckett? Nella tua personale versione dello "Sturm und Drang"? Non sapevo ti interessassi al Romanticismo e avessi una predilezione per la natura selvaggia".
La voce di Castle si dissolse nel vento che, con raffiche impetuose, spazzava furiosamente la costa e disperdeva senza pietà quel che rimaneva del loro esiguo calore corporeo.

Beckett avvolse qualche altro giro della lunga sciarpa di lana colorata, che aveva fortunatamente portato con sé con insospettata lungimiranza, intorno al collo, seppellì le mani in tasca e, impavida, si mosse verso il mare, una massa scura e minacciosa sconquassata da onde gigantesche che con energia inesauribile si schiantavano contro la riva, travolgendola a ogni assalto.
Il piccolo, gradito accenno di estate del mattino era stato congedato dalle temperature polari che avevano trascinato con sé nuvoloni gonfi di pioggia visibili in lontananza – aveva sbagliato a non dare importanza a quel vento del nord citato da Castle che lei aveva creduto essere soltanto una delle sue solite invenzioni.

Avanzò caparbia verso la linea cupa dell'orizzonte, resistendo alla forza del vento che si era trasformato in un muro d'aria quasi tangibile, che le scompigliava con astio i capelli e minacciava di farla volar via a ogni passo, se non si fosse ancorata saldamente sulle proprie gambe. Non aveva nessuna intenzione di fermarsi, il cattivo tempo non l'avrebbe scoraggiata.
I pochi alberi spogli erano ormai piegati sotto una forza tanto imperiosa, da non concedere attenuanti. C'era qualcosa di primordiale in quella furia naturale che si scatenava senza controllo e lei ne avvertiva tutta l'energia esaltante, che la spronava ad andare avanti, a non arrendersi.

Castle doveva chiedersi che cosa accidenti ci facessero lì, proprio in un giorno del genere e in tutta onestà lo capiva. Anche lei avrebbe trovato poco sensato avventurarsi all'aperto in condizioni tanto avverse.
Se non fosse stato che tutti quegli elementi in tempesta, gli ululati prolungati che emergevano dal mare in burrasca nel suo infrangersi contro le rocce della scogliera sottostante erano in sintonia con il suo turbamento interiore, andavano a toccare potenti corde interiori e ne potenziavano gli effetti. Sentiva la vita tremarle nelle ossa e non ne era impaurita, per una volta.
Guardò di sotto, senza timore, a occhi ben aperti, sentendosi parte di quella natura ribollente.

"Ehi, Beckett".
Non si era dimenticata del suo compagno di avventure, era solo stata sopraffatta per qualche minuto dall'energia naturale che si insinuava nel suo corpo e le faceva battere forte il cuore. Castle si era fermato qualche passo dietro di lei, un po' ingobbito e provato dal freddo. Doveva averla chiamata più volte, ma il vento si era mangiato le sue parole.
Si voltò verso di lui e gli fece cenno di avvicinarsi. Castle mosse qualche cauto passo nella sua direzione, ma poi si fermò, scrutandola.
"Se hai intenzione di buttarti di sotto, ti giuro che vengo a prenderti anche in mare aperto. Preferirei evitare di bagnarmi i vestiti, e non credo che il clima sia ideale per farci una bella nuotata, ma non ti lascio di certo lì dentro da sola".
Le indicò il mare nero di rabbia con un volto che tradiva l'intima certezza di mettere in pratica quello che le aveva appena urlato con tanta enfasi. Sapeva che stava cercando di fare dello spirito – nessuno pensava davvero che intendesse buttarsi dalla scogliera – ma percepì qualcosa d'altro nelle sue parole, una sorta di promessa, la sicurezza che non si sarebbe fermato davanti a niente, per lei. Le si riempì il cuore di un'emozione molto più lieve e rasserenante di quelle che le suscitava la mareggiata.

"Non temere, Castle. Non c'è lo strapiombo che immagini", gli gridò a sua volta. La scogliera digradava sul mare più dolcemente di quanto si potesse supporre da lontano. Lui non poteva saperlo, ma si fidò di lei e la raggiunse, allungandosi per dare un'occhiata molti metri più in basso, con un po' di apprensione. "Nessun rischio, hai visto?", lo tranquillizzò, tornando a un tono di voce normale, adesso che erano vicini.
Lui non sembrò molto convinto. Le afferrò un braccio con delicatezza, che sospettò dovesse essere un modo gentile, ma fermo di tenerla al sicuro e impedirle di proseguire. Le fecero piacere quei piccoli gesti di cura, se pur eccessivi. Come aveva detto, non c'era nessun pericolo. "Rimane valida la mia promessa di venire a salvarti, se dovessi cadere, inciampare o rimanere appesa a un costone di roccia. Vengo a prenderti io", annunciò solennemente.

Lo guardò inarcando un sopracciglio. Il volto di Castle era imperscrutabile. Il riferimento all'immagine di lei che penzolava pericolosamente sopra il vuoto era troppo preciso per essere casuale. Così come la determinazione di portarla in salvo, qualsiasi cosa accadesse. Il ricordo di un evento non troppo lontano tornò a farsi vivo in modo bruciante. Chissà che cosa gli avevano raccontato di quel giorno. Non era un discorso che nessuno dei due aveva mai avuto il coraggio di affrontare. Chissà che idea si era fatto lui, anzi, era l'interrogativo più opportuno da porsi. Forse si rammaricava di non essere stato con lei, non averla protetta, non essere stato lui l'eroe che aveva impedito una rovinosa morte sull'asfalto, dopo un volo di parecchi metri. Era una faccenda chiusa, per lei, ma forse non per Castle, che doveva averci rimuginato parecchio.
Quante cose non aveva considerato, quando si era chiusa nel proprio punto di vista, che per molto tempo aveva considerato l'unico e il solo.
"So che lo faresti", lo rassicurò, allungando una mano a trovare la sua.
"Lo farò sempre", aggiunse lui stringendogliela, usando quella parola magica, privata che non smetteva di scombussolarla, molto più della tempesta di vento che li stava ancora travolgendo e di cui quasi non si accorgeva più.

"In ogni caso nessuno cadrà di sotto, o si farà male", insistette lei, per convincerlo del tutto che aveva intenzioni molto meno cruente di quelle che lui doveva avere in mente.
"È un sollievo sentirtelo dire, Beckett, perché credevo che mi avessi preso in parola quando ti ho proposto di spingermi giù da una scogliera per scaricare la tua rabbia, la sera della presentazione del mio libro. Adesso che sono qui comincio a rivalutare il mio invito", scherzò, ma non del tutto. Lei si ricordò solo allora delle sue parole, che non aveva naturalmente preso sul serio, ma si rallegrò in segreto all'idea che lui non fosse del tutto sicuro che lei non l'avesse trascinato lì per ucciderlo, una volta per tutte, mettendo finalmente in atto quelle minacce che erano sempre state fonte di divertimento tra loro. O almeno così aveva sempre pensato.

"Vieni con me", lo invitò, sorvolando sul resto e andando al sodo.
"In qualche posto al coperto, caldo, dotato di tutti i lussi che possiamo comprarci con sterline sonanti, dove è possibile parlarsi senza diventare sordi? Molto volentieri".
Dovette trattenerlo per una manica, si era già voltato per tornare alla macchina e cercarvi conforto.
"Castle, ti facevo un po' più intrepido". Si prese in cambio una smorfia offesa, ma bastò per fargli abbandonare l'idea di fare dietro-front.
"C'è un sentiero che scende in spiaggia".
"Vuoi stare a pochi passi da quelle onde alte due metri? Sei impazzita?!". Ai suoi occhi doveva esserlo senza nessun dubbio. Non erano ovviamente alte due metri, lui esagerava sempre.
"Conosco un punto riparato e sottovento, senza pericoli. E lontano dalle onde, te lo garantisco. Devi solo fidarti di me e smettere di agitarti. Potremo perfino parlare senza gridare", lo allettò.
Era proprio così, non lo stava ingannando, sperava che se ne convincesse. Non aveva previsto che sarebbe stato tanto riottoso, invece di apprezzare quella bellezza selvaggia che aveva il potere di smuoverle qualcosa dentro.

Non gli lasciò il tempo di decidere e lo precedette.
Conosceva il sentiero come le sue tasche. Aveva scovato quel posto per caso, nei primi tempi del suo soggiorno inglese, nei lunghi pomeriggi in cui aveva guidato senza meta lungo le strade di campagna, tra i saliscendi della costa, le viste mozzafiato che si aprivano all'improvviso dalle alture, i tappeti di erica, le nuvole così basse da poterle toccare, il mare in tumulto, la luce bianchissima che filtrava dal cielo.

Solo a quel punto la solitudine calava su di lei come un balsamo prezioso, mentre le onde irruenti mimetizzavano le turbolenze interiori. La natura le era stata amica, compagna, consigliera. L'aveva riconosciuta, in qualche modo. E l'aveva rispettata, le aveva dato tempo, spazio, l'aveva tenuta per mano. Ripensò a tutto questo, respirando l'aria salmastra che sapeva lenire ogni sua ansia. Dopo un attimo di esitazione Castle la seguì in silenzio. Sentiva i passi dietro di lei, solo un po' più cauti i rispetto ai propri, che si muovevano d'istinto sul sentiero accidentato, con una familiarità dovuta al tempo trascorso nei dintorni.

"Avevi ragione, Beckett. Qui sotto sembra di essere in un altro mondo", commentò alla fine guardandosi intorno, raggiungendola con un ultimo salto. "Anche il mare è più tranquillo".
"Di' la verità", lo canzonò. "Eri convinto che volessi adescarti in un luogo appartato solo per poterti far del male senza testimoni. O abbandonarti senza viveri e senza aiuti nel posto più desolato del Regno Unito".
Le indirizzò un sorriso scanzonato. "Confesso di averci pensato, ma solo per un minuto. Il resto del tempo ho cercato di non uccidermi scivolando sulle rocce ricoperte da una poltiglia di alghe decomposte e chissà cos'altro. O era questo il tuo piano fin dall'inizio? Farlo sembrare un incidente?".
"No", ammise sincera. "Anche se adesso che me l'hai detto rimpiango di non essermi organizzata meglio. In effetti nessuno sospetterebbe che non si tratti una caduta accidentale. Potresti picchiare la testa, perdere i sensi, e mentre io corro a cercare aiuto, la sorte avrebbe la meglio su di te e...".
La fermò preoccupato. "Sta diventando troppo realistico. E tu più brava di me a inventare trame, lascia almeno che prenda nota".
Il Castle galante che non si smentiva mai.

Per quanto potessero scherzare, per quanto le piacesse punzecchiarlo, non era per quel motivo che si era spinta fin lì. Non lo aveva portato in quello che amava definire uno dei suoi posti dell'anima solo per impegnare un pomeriggio libero, o fargli ammirare il paesaggio. Era arrivato il momento della verità, per quanto la facesse ridere una scelta semantica tanto pomposa e poco aderente al vero. Quale verità? Ciascuno ha la propria. Omicidi a parte, naturalmente, lì la verità era una sola e spettava a lei trovarla, per onorare le vittime.
Si voltò verso di lui, nonostante il ritmo sempre uguale delle onde cercasse di trattenerla a sé, ipnotizzandola con una cantilena rassicurante.
"Castle, io...", esordì senza avere la minima idea di come gestire il tutto da lì in avanti.
"È un bel posto, grazie di avermi portato qui", la interruppe garbato. Forse si era accorto del suo disagio e voleva tenderle una rete di sicurezza, che questa volta non sarebbe servita, l'avrebbe rifiutata. Doveva saltare.
"L'impatto della scogliera non è decisamente adatto a uno stomaco sensibile, ma la brutalità della natura ha un suo fascino. Capisco perché ti piaccia. Anche io al tuo posto mi sarei rifugiato qui. O un club di lusso ai tropici, molto più probabilmente".

"Non sono arrabbiata con te", confessò guardando lontano, torcendosi le mani di nuovo infilate nelle tasche.
Non aveva senso perdersi in chiacchiere, quando il punto della questione era uno e uno soltanto. Il resto comprendeva solo i suoi tentativi, o gli interventi della sorte, di temporeggiare, ritardare l'inevitabile.
Lo avvertì avvicinarsi, ne percepì la fisicità, il lieve sentore del suo dopobarba, che inalò perché la faceva sentire bene, la faceva sentire a casa.
"Kate...".
Si voltò verso di lui, con un ultimo impeto di coraggio. "Sono arrabbiata con me", sussurrò piantando gli occhi nei suoi, accorgendosi solo allora che era molto meno distante di quanto avesse calcolato, trovandoselo alla distanza perfetta perché il suo braccio, quello più vicino, si sollevasse di propria volontà per accarezzargli una guancia scomparendo poi dietro al collo, mentre lo tirava contro di sé con troppa foga e, senza aver deciso nessun gesto, nessun epilogo, avvertendo solo l'euforizzante sensazione di essere viva centuplicata rispetto al solito, e non avendo nessun motivo al mondo per non farlo, lo baciò.

Non fu preso alla sprovvista, come forse si era aspettata, o forse si era aspettata che non lo fosse, non era semplice ragionare con il fiato corto, le labbra frementi che si rincorrevano alla cieca, cavalcare una girandola impazzita che scagliava bagliori scintillanti e accecanti dietro le palpebre, la sensazione di cadere, affondare, aggrapparsi, cedere, riemergere.
Avrebbe dovuto parlare, aprirsi, raccontarsi, incontrarlo su quel ponte che aveva deciso di costruire, invece di sprecare la sua energia nel rafforzare muri che tenessero fuori la sofferenza. E forse era esattamente quello che stava facendo, che stavano facendo entrambi, perché la sensazione era quella di tornare a conoscersi, tornare uniti, infrangersi contro l'altro, unirsi, mescolarsi, perdere i propri confini, costruirne di nuovi.

Ignari di tutto, non si accorsero che il mare aveva accresciuto il suo rombo, che il vento ululava più rabbioso che mai e che il cielo si era incupito, sfogando la minaccia che aveva lasciato incombere su di loro.
Si staccarono ansanti, rimanendo allacciati, restando in piedi solo perché avvinghiati l'uno all'altro, quando le prime pesanti gocce di pioggia gelata li colpirono sulla testa, rigarono i loro volti, infilandosi sotto i vestiti, inzuppandoli nel giro di pochissimo.
Si fissarono stupefatti, incapaci di reagire nel modo appropriato di fronte a tanta improvvisa violenza, incapaci di cercare riparo, o semplicemente di muoversi da lì, forse non volendo allontanarsi dall'altro, per non rischiare di perdersi.

Castle la tirò sotto una roccia sporgente, usando la propria giacca per coprirla, per creare un riparo d'urgenza. Tremava. Tremava anche lei, e scommetteva che non fosse dovuto alle temperature in picchiata.
La baciò delicatamente sulle labbra. Lei rispose come se avessero tutto il tempo del mondo e non fossero gli unici esseri viventi nel bel mezzo di quello che sembrava a tutti gli effetti un tifone di inaudita violenza, impossibile da prevedere e molto raro da incontrare sotto i cieli europei. Il miglior tempismo di sempre.
"Dobbiamo andare via. E in fretta", le sussurrò all'orecchio con una voce che non aveva mai pensato potesse esistere. E che non avrebbe mai voluto smettere di ascoltare.
"Non ho finito di dire tutto quello che dovevo", si ribellò con tono petulante, del tutto inadatto alla circostanza. Le labbra di lui si tesero in un sorriso divertito, proprio sopra le sue, facendole il solletico. Erano talmente morbide e calde. Come aveva potuto resistere così a lungo senza?
"Anche io avrei diversi... ehm, argomenti da affrontare, ma temo che dovremo farlo altrove, prima di finire annegati in qualche grotta sommersa. Forse avresti dovuto tener conto dell'alta marea". Le indicò il livello del mare, per niente rassicurante. Era l'ultima cosa di cui si fosse preoccupata, onestamente. Rimaneva pur sempre una ragazza di città.
"D'accordo. Andiamocene da qui e troviamo un posto dove... finire tutti quei discorsi, Castle".

La beneficiò di un sorriso così felice, così pieno di aspettativa, promesse, desideri e sogni realizzati da indurla a correre in auto senza notare gli arbusti che le graffiavano i jeans stretti, i chicchi di grandine grossi come sassi pronti a colpirli, mentre loro cercavano di sfuggire in un movimento a zigzag, del tutto ignari della generale atmosfera apocalittica che mieteva vittime intorno a loro, al sicuro dentro la loro bolla di pura beatitudine.

   
 
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