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Autore: Heihei    11/05/2018    1 recensioni
Della vita che ha lasciato, a Beth non resta nient'altro che un buco in testa e qualche incubo. Quindi cerca di tornare indietro, seguendone le tracce.
Nel frattempo, le certezze di Daryl vacillano e ritorna su ciò che ha lasciato, seguendone la luce.
Questa storia NON mi appartiene; mi sono limitata a tradurla con il consenso dell'autrice, che è Alfsigesey. Potete trovare la storia originale su fanfiction.net
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Smoke in the distance.


 

È passata più o meno un’ora da quando ha ritrovato Daryl. È ancora difficile ricordare; è ancora difficile capire che tipo di persona è diventata. L’unica cosa che sa è che, da sola e in silenzio, è diventata quel che doveva diventare per sopravvivere. Se avesse continuato a stare da sola, avrebbe comunque avuto una vita, ma non sarebbe mai stata completa. Anche se il mondo è finito, non si può fare a meno degli altri.
“Magari potrei dirglielo io, prima che ti vedano”, borbotta l’uomo al suo fianco.
Mentre camminano, i loro corpi non sono più in contatto, ma è così vicino che è difficile non cedere alla tentazione di prendergli la mano.
“Sembra che molte cose siano cambiate”, risponde, cercando di soffocare il nervosismo della sua voce. “Li ho osservati a distanza, ma solo per un secondo o due. Poi mi sono spaventata e sono andata via. Adesso li conosci meglio tu.”
Nell’ascoltare quelle parole, Daryl sembra a disagio e rallenta il passo. Sono vicini al campo, abbastanza da vedere Shepherd e il dottor Edwards avvicinarsi alla strada. Affiancandolo, Beth nasconde la mano nella sua, stringendola con forza, e lui ricambia la pressione.
“Sembra che Aaron e Licari ci abbiano battuti sul tempo.”
Proprio quando vede quei due comparire sul ciglio della strada e incontrare Edwards e Shepherd nel campo, Daryl si volta, lanciando al suo viso uno sguardo fisso e indagatore. Non si sente a disagio, è evidente, ma Beth continua a chiedersi che cosa stia cercando nei suoi occhi, o se l’abbia già trovato.
“Che c’è?” batte le palpebre; le guance si riscaldano.
Lui risponde con una misteriosa alzata di spalle, ma continua a guardarla, facendola arrossire. Sente il suo sorriso allargarsi.
Shepherd ed Edwards li hanno raggiunti di corsa. Aaron lancia loro un’occhiata, per poi seguire Licari e gli altri nel campo. D’un tratto, Beth sente la voce di Licari gridare a tutti di andare a vedere. Ed è lì che comincia a sentirsi un fenomeno da baraccone, un po’ perché stanno correndo, un po’ perché anche da un numero consistente di metri può vedere le loro bocche e i loro occhi spalancati come dischi volanti. Così, si nasconde il più possibile dietro la schiena di Daryl, sperando di rendere le cose più semplici.
Hey. Già, sono viva. So che non alletta molto l’idea di viaggiare insieme, quindi statemi lontani, dice, ma solo nella sua testa.
Ci deve essere qualcosa da dire che non scateni il caos. Non ha nessuna intenzione di dare spettacolo, né di starsene lì a farsi controllare la ferita finalmente guarita dal dottor Edwards, né discuterne con lui. Non vuole neanche guardarlo, così come non vuole parlare con nessuno di loro, o essere costretta a ricordare quello che ha passato al Grady. Era pura schiavitù e a loro stava bene. Ci vorrà ancora molto tempo prima che ci passi davvero su.
È Shepherd ad arrivare per prima.
“Non stanno mentendo!”, grida alle sue spalle e, dopo aver dato voce alle ultime imprecazioni incomprensibili che aveva da esternare, riesce finalmente a chiudere il becco. È molto pallida.
Tra le persone del Grady, di lei si ricorda a stento. Shepherd le è sembrata subito una tirapiedi, una che sa di non poter comandare e quindi segue la personalità più forte, la quale non deve essere necessariamente la migliore. Ha manifestato più volte la sua antipatia per Dawn, ma manteneva rapporti amichevoli sia con Gorman che con O’Donnell, che Beth ricorda benissimo di aver ucciso.
Certamente, ha conosciuto meglio il dottor Edwards. È arrivata a disprezzarlo quasi quanto ha disprezzato Dawn, anche se non ha mai desiderato che morisse, cosa che invece ha desiderato nei confronti di altri. Lo ricorda come un debole, un codardo. Un debole e un codardo che, per eccessiva compensazione, tratta le persone che lo circondano come se fossero deboli e codarde. Infatti, non appena incontra i suoi occhi, il suo viso trasuda vergogna.
“I-io… io non potevo avvicinarmi a te. Non potevo vedere...” È ancora più incolore di Shepherd e le gambe che lo sorreggono sono instabili, come se lo shock potesse farlo svenire da un momento all’altro.
Forse intuendo la situazione, Shepherd si affretta ad acciuffarlo. Beth, in quel momento, realizza che se fosse stato per lei l’avrebbe lasciato cadere.
“È da lì che...” Edwards ha bisogno di fare qualche respiro profondo prima di completare la domanda. Avanza per il massimo che gli è concesso, fermandosi a tre metri buoni di distanza. La spalla di Daryl gli sbarra ancora l’accesso diretto al suo viso. Beth lo fissa senza interruzioni quando alza lentamente una mano verso di lei, indicando la fronte. “...È da lì che è entrato il proiettile?”
Beth gli concede un rapido cenno del capo, senza staccare gli occhi dal suo viso.
“Ho visto la traiettoria… per com’eri posizionata, ero certo che il proiettile fosse entrato dal mento...”, dice, appoggiandosi di peso a Shepherd per ricevere supporto fisico.
“Sto bene”, gli risponde seccata. “Sono viva, tutto qui.”
Edwards scuote la testa in segno di diniego, ma non dice più nulla. Non è finita e lei lo sa. Hanno dei conti in sospeso, ma per il momento le sembra sinceramente terrorizzato, e quindi innocuo. Perfetto.
“Hai un altro paziente adesso, no?” Distoglie finalmente il suo sguardo feroce da lui, rivolgendolo al campo. “Quella donna che avete trovato nei boschi, sola e ferita.”
Il dottore la guarda come se non l’avesse davvero sentita, come se si stesse ancora sforzando di respirare bene. Shepherd, al suo posto, spalanca di nuovo gli occhi e annuisce.
“Sì. L’hanno trovata Franco, Licari e Tanaka. Tu come…?”
“Sono ciò da cui stava fuggendo”, ammette. “L’ho seguita per un po’, per capire se potevo fidarmi di lei. È stata braccata da un gruppo di vaganti, ho cercato di aiutarla, ma l’ho spaventata, spingendola dritta verso di voi.”
“Non ci ha ancora detto praticamente nulla.” La donna rivolge un cipiglio in direzione del campo. “So che si chiama Lily, che era sola e che, da quanto sembra, deve esserlo da un pezzo.”
“È in condizioni di viaggiare?”
“Ha solo bisogno di molta acqua. Mi siederò accanto a lei per accertarmi che sia stabile”, risponde Edwards.
A quel punto, Beth si convince di non avere più niente da dirgli, o almeno per il momento. Se anche lo facesse, non potrebbe fare a meno di fare dei riferimenti al trattamento che hanno riservato a lei e agli altri inservienti quando era una schiava-prigioniera del Grady.
Daryl la conduce nel cuore del campo, dove tutti gli altri li stanno aspettando. Stanno raccattando la roba il più velocemente possibile per caricare le auto e partire. Le viene spontaneo chiedersi se stiano scappando da qualcosa in particolare, o se questo comportamento dipenda semplicemente dall’evidenza dei fatti, cioè che la loro situazione sarebbe stata sempre più incerta, perché stare nello stesso posto troppo a lungo causa problemi.
A ritrovarsi di nuovo a contatto con quella gente e con i loro squilibri, sente una morsa in petto per la sua vera famiglia. Certo, ha ritrovato Daryl, ed è più che abbastanza. Si sente riconnessa a quella sensazione di pace che ha provato quando è rimasta da sola con lui e con i morti, dopo la morte di suo padre. Avrebbe potuto tranquillamente continuare a vivere in quel modo; avrebbe potuto se lei, Beth Greene, fosse stata davvero l’ultima donna rimasta sulla terra e se lui, Daryl Dixon, fosse stato davvero l’ultimo uomo. La vita andava ancora vissuta, perché lui era abbastanza, ma non è quello il mondo in cui vive adesso. Le ha detto che Judith, Rick, Glenn, Maggie, Carl, Carol e Michonne sono tutti vivi, e questo non fa altro che rendere la sua attuale compagnia ancora più scadente di quanto non sia già. Shepherd, Edwards, Licari, Tanaka, Franco e Lily, quella donna praticamente muta, sono solo i sostituti più scadenti della sua vera gente.
Guarda Daryl e percepisce quell’energia selvaggia che da sempre gli scorre dentro, anche quando sembra tranquillo e pacato.
Corriamo a casa insieme.
Sente il suo cuore tremare mentre formula quel pensiero e si sforza di pensare a un modo con cui esternarlo.
Non possiamo semplicemente andarcene, dirgli che li incontreremo strada facendo?
Voglio raggiungere la mia famiglia.
Nel frattempo che ci pensa, però, acquista la coscienza necessaria per capire che non può essere un’opzione plausibile. Effettivamente, l’ultima volta che Daryl le ha detto di incontrarlo per strada non è andata poi così bene. E poi, oltre a questo, può facilmente intuire che quel ragazzo, Aaron, sia ormai parte integrante del loro gruppo, o almeno così sembra per Daryl, e il loro compito è reclutare quella gente. Non ha ancora capito perché, ma sembra importante; sembra che abbiano bisogno di loro, altrimenti Daryl l’avrebbe già portata via. Non possono lasciarlo indietro, così come non possono abbandonare quel gruppo, perché ne hanno bisogno.
Ma perché? Perché tornare in Georgia per un dottore? Va bene che è importante essere preparati e tutto il resto, ma sono centinaia di miglia. Sembra che si tratti di una situazione specifica, altrimenti ne avrebbero trovato uno più vicino, anche solo andando alla ricerca di chi ha un minimo di formazione medica. È sicura che Rick non avrebbe mai mandato Daryl così lontano, che non l’avrebbe mai sottoposto a un tale rischio se non fosse stata un emergenza. Ora che lo shock iniziale e l’euforia di averlo rincontrato si sono schiantati su di lei come un’onda anomala, adesso ormai distesa, si sente nella posizione di poter fare alcune domande pratiche, perché non sapere quello che sta succedendo la spaventa. Dopo mesi passati a occuparsi di se stessa, rimettersi nelle mani di qualcuno non avrebbe dovuto essere così semplice, ma si fida ciecamente di Daryl e, ogni volta che il cuore comincia a batterle più forte nell’osservare la lunga strada che hanno da fare, le basta guardarlo per ritrovare la calma.
“Credo che dovremmo cambiare i nostri piani.” Aaron li ha raggiunti non appena hanno superato la soglia del campo. Scavalcando sia Franco che Tanaka, ha attirato sia la loro attenzione che quella di tutti gli altri. “So che negli ultimi giorni non hai dormito più di quattro misere ore, ma credo che non sia il caso di aspettare domani per partire. Credo che dovremmo andare adesso.”
Daryl sta già annuendo, d’altronde lei sta facendo la stessa cosa. Deve essere ansioso di tornare, a maggior ragione ora che c’è anche lei.
“Sto bene, sono completamente sveglio. Potremmo percorrere buona parte della strada stanotte, fermarci a riposare qualche ora prima dell’alba, per poi riprendere al mattino. Carburante permettendo.”
È un piano piuttosto ottimistico; un piano che già avrebbe potuto avere problemi di realizzazione prima che il mondo finisse, quando le strade erano ancora sicure e il carburante non era un impiccio finché si possedeva una carta di credito. Nonostante ciò, né Aaron né Daryl sembrano preoccuparsene granché. Anche se fallissero nel compiere il viaggio in due giorni e ce ne mettessero quattro, non sarebbe comunque troppo male.
“Dovremmo averne abbastanza.” Aaron getta un’occhiata alle taniche di benzina che Licari sta sistemando sul pavimento di una grande Chevrolet gialla. “Hanno delle scorte anche loro, quindi non dobbiamo necessariamente finire quelle che abbiamo portato.”
Beth aveva già pianificato di lasciare lì la sua auto. Non vuole proprio gettarla via; magari un giorno, se mai si ritroverà a passare di là, le sarebbe tornata utile. Le ipotesi sono che qualcun altro possa ritrovarla, o che resti ferma per così tanto tempo da diventare inutilizzabile. In ogni caso, le ha fornito un bel servizio quando ha vagato da sola e non si sente come se la stesse abbandonando. Più che altro, la sta parcheggiando.
Nel giro di un’ora, hanno spostato i loro rifornimenti nella macchina di Aaron e il gruppo del Grady ha smesso di fissarla in modo strano, mentre trasferiva tutto il loro accampamento nel resto dei veicoli. La carovana è pronta a partire. Daryl è in testa, in sella alla sua moto. Lei è alle sue spalle e si tiene il più vicino possibile a lui, schiacciando la testa contro le ali d’angelo cucite dietro la sua schiena.

 

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Verso l’una di notte, incontrano il primo ostacolo, che si preannuncia con una puzza di fumo nauseabonda. Atlanta è andata e sono quasi al confine di Stato quando notano quel lembo di luce dal quale si libera una scia grigia che arriva a coprire anche le stelle.
“Incendio boschivo”, grida Daryl, spingendola a stringersi ancora di più alla sua vita. “Solleva un pugno e tienilo alto finché Aaron non si ferma!”
Esegue prontamente le sue istruzioni e ci vogliono solo pochi minuti prima che le luci rosse dei freni si accendano dietro la macchina di Aaron. A quel segnale, tutta la carovana rallenta dietro di lui, ma Daryl accelera. Dalla cresta della collina, riescono a ottenere una visuale migliore: l’incendio è molto esteso, ma sembra che sia in corso già da un po’ e che non ci voglia molto prima che si esaurisca. L’aria è densa di fumo nero e oscura la strada. Tuttavia, nel buio, riescono ancora a individuare altre piccole torri di fuoco sparse qua e là.
“Pensi che si placherà entro domani mattina?”, gli chiede, non troppo entusiasta di fronte all’eventuale idea di provare ad attraversarlo.
“È lì già da un pezzo e il vento tira verso nord, ma non riesco a capire quanto altro legno ci sia ancora in giro. In ogni caso, non si fermerà finché non avrà inghiottito tutto.”
Fa inversione con la moto e Beth conclude quel pensiero da sola. Quell’incendio potrebbe farli tardare, soprattutto nel caso in cui li dovesse costringere a seguire una strada diversa. Tra l’altro, non sanno quanto sia estesa la regione colpita dalle fiamme e, di conseguenza, non possono neanche sapere quanto esattamente dovranno allungare. Aspetteranno il mattino per prendere una decisione.
Quando ritornano nel punto dove hanno lasciato tutti gli altri, gli occhi di Beth lacrimano ancora per il fumo. Se lo sente ancora nel naso, anche se sono abbastanza lontani da poter prendere una boccata d’aria fresca.
“Non sono riuscito a vedere nulla”, borbotta Daryl ad Aaron. “Ricontrolleremo all’alba, ma forse abbiamo sprecato solo tempo e carburante.”
Lanciando un’occhiata ai veicoli alle loro spalle, il ragazzo fa una smorfia. “Gli dirò che ci fermeremo qui per stanotte… e che farò io il primo turno di guardia”, aggiunge tempestivamente. “Tu hai bisogno di dormire.”
Daryl alza lo sguardo sul suo, come a voler ribattere, ma Aaron non gli permette di pronunciare neanche una singola sillaba, perché si è già voltato per raggiungere le loro potenziali reclute.
Nel frattempo, Beth raggiunge a sua volta la macchina di Aaron, aprendola dal lato del baule. Non deve prendere nulla, getta solo un’occhiata alle armi, alle munizioni e alle scorte di carburante per assicurarsi che sia ancora tutto lì. È ancora stordita da tutto quel fumo; il cuore le batte forte e le trema la pelle per le ore passate in moto, schiaffeggiata dal vento.
Daryl ha seguito il suo stesso percorso e, per la prima volta da quando l’ha rivisto, sembra imbarazzato dalla loro vicinanza. Dopo ore passate insieme a invadere il suo spazio personale, ora è strano rivederlo in piedi, a guardarla di sbieco come di solito fa quando è nervoso. È uno spettacolo piuttosto bizzarro, quello a cui assiste mentre lo osserva per qualche altro istante, con una mano ancora sulla maniglia del bagagliaio. Sotto i suoi stivali sporchi di fango, i pantaloni rattoppati, la cintura spessa, la camicia in flanella e il gilet da motociclista, lei sa che ogni suo muscolo è in tensione. La sua espressione, celata da un sottile strato di polvere, non è più tranquilla. È in quel momento che realizza che la sua dev’essere simile. Sono stati abbastanza vicini al fuoco da sporcarsi di cenere.
“Stai bene, signor Dixon?”, gli chiede, facendo scivolare nuovamente lo sguardo su di lui. Sta stringendo i pugni. È teso, attento, come se stesse aspettando che qualcuno, probabilmente lei, gli dica cosa fare.
La sua risposta è latente, lo sguardo profondo scava nei suoi occhi per qualche secondo prima di annuire e di arricciare le labbra tra i denti. “Sì, alla grande.” La bocca si curva in uno dei suoi rari sorrisi.
Adesso, spera di potergliene strappare uno ogni giorno.
“Dormirai in macchina di Aaron prima di dargli il cambio per il turno di guardia?”
Crede che sia questo il motivo per cui stava bazzicando lì intorno, prima di vederla e pietrificarsi. In risposta, alza le spalle, ma si dimentica di riabbassarle; le mani si fanno strada nelle tasche dei pantaloni.
“Beh, allora andiamo. Prendiamoci queste ore di sonno.” Beth si volta nuovamente verso il bagagliaio, decidendo di abbassare i sedili posteriori. Si sarebbero sentiti più sicuri con le armi a portata di mano, anche se l’idea di averlo così vicino basta e avanza.
È passato molto tempo dall’ultima volta che hanno dovuto dormire in uno spazio stretto. Infatti, quando richiude la portiera del bagagliaio, chiudendoli nel silenzioso abitacolo, le trema la mano. Le scappa una risatina isterica quando trova posto tra il petto di Daryl e una vecchia scatola di esche per pescatori, adesso riempita da proiettili da nove millimetri.
“Hai i miei capelli in faccia?”
Non le risponde, ma continua a muoversi, cercando di ritagliare il suo angolo di spazio. Dopo un po’, lo sente finalmente rilassarsi contro di lei.
La sensazione del suo petto che si espande sotto le sue spalle la fa rilassare a sua volta, spingendola a stringersi a lui finché non lo sente lungo tutta la lunghezza del suo corpo. Forse la sua testa è diventata ancora più invasiva.
“Hai… hai i miei capelli in faccia?”, chiede di nuovo, pensando di non essere stata ascoltata la prima volta.
Sente un leggero e incerto contatto sulla sua spalla. Il peso aumenta lentamente finché non riesce a riconoscere la sua mano, poggiata a malapena sul muscolo che le collega la spalla al collo. Le punte delle dita le sfiorano la clavicola, e il pollice arriva ad accarezzarle il collo. Un brivido le percorre la schiena. Si porta una mano al petto e la fa incrociare con la sua, intrecciando le loro dita.
“Mi piacciono.”

   
 
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