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Autore: MadLucy    14/05/2018    0 recensioni
{what if: Danganronpa V3 era un gioco, ma tutti sono sopravvissuti | e sono diventati famosi | Saimota hints}
Il telefono squillò: per Tsumugi Shirogane non fu altro che l'ennesima telefonata, tra le centinaia che riceveva al giorno, e che per la maggior parte delegava ai segretari. Se glie l'avevano passata, doveva essere importante.
«Con chi parlo?» Si mise in ascolto. Si scaldò. «Si dà il caso che io sia la responsabile delle dichiarazioni stampa, social manager, consulente d'immagine, PM, direttrice degli eventi dell'intera troupe.» Altra pausa. «Se vuole organizzare una convention, le faccio uno specchietto dei nostri prezzi. C'è un pacchetto che vi permette di presentare al pubblico tre personaggi secondari, o due di maggior successo. Se puntavate a un protagonista, ovviamente è un'altra storia... Riceviamo molto richieste, sa?» Pausa. Tsumugi rimase di sasso. «Tutti?! Tutti quanti insieme?! Oh, santo cielo... Già trovare una data per radunarli sarà un'impresa. Un po' come una rimpatriata. Una Danganronpa V3 Convention di tale portata...» I suoi occhi brillarono. «Sarà un successo.»
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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«Dove siete?» Tsumugi ascoltò per una decina di secondi, corrucciata, poi fece un gesto secco nell'aria con la sua tavoletta portablocco, la cui pinza teneva insieme dieci pagine di tabelle orarie. «Tutto il perimetro, ma permettete la visuale.» Poi premette un tasto nel microfono ad archetto con cuffie. Infine, puntò di nuovo gli occhi sui due ragazzi che sedevano sul sedile di fronte. 
«Voi siete i prossimi» dichiarò. 
«Pensavo che io e Himiko saremmo entrati insieme, come a Kyoto» ribattè Shuichi. 
«Himiko aveva il carpet a mezzogiorno» rimbeccò Tsumugi, distrattamente. «Ha già finito l'intervista ed è alla signing session insieme a Keebo. I tecnici l'hanno già dovuto riparare due volte.» Riaccese il microfono rapidamente. «Allora?» Silenzio. «Quindi in tutto abbiamo venduto il servizio fotografico a undici riviste. Però alza il prezzo per loro. Non sono sponsor. Perchè cazzo chiamano adesso? bah.» Lo rispense. 
Kaito brandì il cellulare. «So che sei impegnata, ma c'è un'altra ragazza che dice di essere stata la mia fidanzata prima del programma. Ha scritto un messaggio molto lungo e molto dettagliato in cui afferma che voi mi state mentendo sul fatto che non esisteva solo per tenerci separati.»
Tsumugi non parve impressionata. «Ma come fanno a trovare il numero tutte le volte?» Si voltò verso la cabina anteriore del furgone blindato. «Un cellulare pulito.» Glie ne fu subito allungato uno, e lei lo porse a Kaito, strappandogli di mano il vecchio. «Il numero è salvato in rubrica.» Lui annuì e lo mise in tasca. 
«Nessuna di queste tipe può stare dicendo la verità. Voi non avevate uno straccio di nessuno prima di partecipare al programma, ed è esattamente il motivo per cui avete partecipato, ricordate? a proposito, Maki non si è fatta sentire?» chiese Tsumugi. 
Kaito fece cenno di no, incerto.
«Beh, all'answer time di twitter al 70% chiedono che opinione hai sulla sua scelta di non partecipare a nessun evento e non rilasciare dichiarazioni.»
Lui assunse un'aria perplessa. «Che opinione dovrei avere? È una sua scelta, appunto, no?... Lo si può capire. Per lei è stato molto... coinvolgente. A un livello profondo, dico.» Si zittì, imbarazzato. Tsumugi prese rapidamente nota e inviò il tweet. «Pazienza. Parla comunque di lei nell'intervista a un certo punto, anche a sproposito. È la componente polemica che ci sta sempre bene.» Cliccò qualcosa sul tablet. «Ok, Shuichi, Kaede è alle foto promozionali. Entrerete insieme. Niente mano, però quando arrivate alla fine del carpet, batti cinque. Capito?»
«Capito» annuì Shuichi. Doveva svolgere tutto con precisione e sicurezza, dare le pose esatte all'obiettivo delle macchine fotografiche, distribuire sorrisi e saluti, con aria esperta e controllata. Lui era Shuichi Saihara, e apparteneva per contratto al team Danganronpa. Per quelle ore, apparteneva anche al pubblico. Ciò lo emozionava, in parte in senso buono -anche se l'ansia restava predominante. Si va in scena, pensò. 
Tsumugi indicò con il dito entrambi i ragazzi. «L'intervista di Kaito sarà subito prima della tua. Quando lui si alza per uscire, tu entri. Vi incrociate e fate una stretta di mano... Tipo... Oh, hai presente, quella dei ragazzini?»
Kaito piegò il gomito e strinse la mano di Shuichi afferrandola lateralmente. «Così?»
«Sì, quella roba lì. Shipper soddisfatti equamente. Poi... cosa rimane...» Tsumugi accese il microfono. Ascoltò attentamente. «Devi dire: preferisco dipingere unghie, per la verità.» Riattaccò. Fissò di nuovo loro. «Mettete qualcosa nelle storie di instagram in contemporanea. Una foto vecchia, o una scritta, o quello che volete.» Loro due armeggiarono con i cellulari. Dopo averci riflettuto un attimo, Shuichi mise il selfie di una cena, una delle prime dopo la fine del gioco. Erano tutti abbastanza rilassati, a quel tempo. Ancora non erano rimasti invischiati in quel mondo eclettico e alienante. Shuichi incontrò lo sguardo di Kaito e gli sorrise, esitante e complice, come per dire "sì, tutto questo è ridicolo e esagerato, vero?". Avrebbe voluto dirgli che era contento che lui non fosse morto davvero, invece domandò: «Tu a che ora finisci la signing session?» 
«Alle due. Alle quattro ho l'aereo per Parigi, a quanto pare c'è una convention su di me.» Si grattò la testa. Shuichi non si stupiva più, ormai. Una volta gli sarebbe sembrata un'assurdità che qualcuno pagasse più di cento yen per vedere Kaito da lontano su un palco e fare delle foto con lui, ma adesso era talmente abituale che andava bene così. Lui ce la sapeva fare tantissimo coi fan, poi. Faceva sentire ciascuno particolarmente importante e unico, non come l'ennesima faccia che gli si parava davanti in una giornata devastante e monotona. 
«La sola che resterà per la signing session fino a che non c'è più nessuno là fuori, e dico nessuno, è Kirumi» intervenne Tsumugi, digitando sul tablet. «Sarebbe out of character il contrario. Potrebbero volerci anche ventiquattr'ore, ma l'ha già fatto a Kyoto...» S'interruppe e riaccese le cuffie. «Multateli. Sì, va bene.» Spense.
«Che succede?» chiese Kaito. 
«Hanno strappato la blusa a Miu durante la group photo session. Di nuovo.»
«Sono degli animali...»
«No, va bene. Tutto quello che fa impazzire i social va bene. E lei ci è abituata.» Tsumugi accese le cuffie. «Ok, mi collego.» Lo schermo del tablet si illuminò. Riprendeva il carpet, lunghissimo, infinito in lunghezza, largo circa tre metri, rosso, deserto. E poi, ai due lati, due mari. Due mari sconfinati di folla rumoreggiante. Flash fotografici ovunque. Ragazzine sedute a gambe incrociate sotto il nastro divisorio. Zaini ovunque, bambini ovunque, teste ovunque. C'era la tensione del momento arrivato che serpeggiava tra loro. Brusii. Strilli. 
«Kokichi?» indovinò Shuichi. 
Tsumugi sembrava sull'orlo di una crisi di nervi. «Hanno intercettato il suo furgone. Lo abbiamo messo su un aereo, e sono riusciti a far passare uno striscione davanti ai finestrini. Abbiamo cancellato la signing session già da una settimana, e gli faremo cancellare la group photo session sul palco alla fine dell'intervista. Senza rimborso.»
«Ma non costava centocinquanta yen? Lo odieranno» si scandalizzò Shuichi. 
«Lo ameranno» tagliò corto Tsumugi. «Lo amerebbero sempre e comunque a prescindere, ma in questo caso particolare lo troveranno in character. Pensavamo di annullare anche il suo carpet, perchè c'erano delle armi tra il pubblico. Ma poi le hanno solo sequestrate. The show must go on.»
Eh, già. Nelle loro vite lo show andava avanti fin troppo a lungo, pensò Shuichi. Non finiva mai. Alberghi assediati, appartamenti temporanei assediati, ristoranti assediati. Un mucchio di sconosciuti che invocavano i loro nomi, pensavano solo a loro, li idolatravano come eroi o pop star. E perchè cosa? Perchè erano delle specie di attori? Ma non avevano nessun talento. Loro credevano di essere davvero quelle persone finte, sintetiche, che tutti amavano. Non c'era merito nelle loro prestazioni. 
«Non è giusto che non faccia nemmeno la fan photo session» si stava lamentando Kaito. «Noi stiamo come minimo tre o quattro ore lì a farle, e lui può andarsene libero e tranquillo, e viene pagato più di noi.»
Tsumugi si infastidì, come se fosse stata attaccata personalmente. «Me lo spieghi come facevo a far avere una foto a diecimila persone? Anche rendendo la group photo da venti a trenta o quaranta persone, non saremmo rientrati negli orari. O a tutti o a nessuno. Più democratico.» Mentre nel tablet si susseguivano filmati del pubblico che ora declamava il suo nome a piena voce, all'unisono, come un esercito, Tsumugi riaccese le cuffie. «Che cosa volete adesso?... Ok, consentito. Lo facciamo salire al terzo piano appena entra. Fateli trovare lì. Non più di un quarto d'ora in tutto.» Spense. «Qualcuno otterrà la preziosa foto e il prezioso autografo di Kokichi Oma, in barba alla democrazia. La figlia dell'imperatore del Giappone, un politico europeo e l'attrice di una serie tv che non guardo perchè è troppo mainstream. Sempre se lui non si rifiuta all'ultimo. Quel moccioso crede di poter fare quello che vuole, con la popolarità che ha, e purtroppo è proprio così. Solo Oma, sempre Oma...»
Shuichi lo sapeva bene, dai tempi in cui Kokichi aveva messo una storia su instagram di lui nudo nel proprio letto e ammanettato, dopo averlo addormentato con un sonnifero e spogliato. E più o meno da allora non facevano altro che chiedere a Shuichi nelle interviste cosa ci fosse tra loro. 
«Korekiyo e Angie in pausa dalla signing session. Diretta instagram. Falli rispondere a qualche domanda» ordinò Tsumugi al microfono. «Una delle quali te la dico io: Angie, se potessi tornare indietro, uccideresti Korekiyo prima che lui uccida te? Massimo dieci minuti. Risposte brevi.» Cambiò canale. «Preparate il banco per la signing session di Miu. Che problema ha adesso?! No, niente foto con più di un personaggio, nessuna eccezione. Non mi interessa.»
Sul tablet, qualcosa accadde. Facendosi largo tra una fiumana di persone, il suv con i finestrini oscurati accostò di fronte al carpet. La security si ammassò intorno, facendo capannello. Fotografi e giornalisti sfoderarono apparecchi di ogni forma e dimensione per immortalare quegli istanti. Era quasi stupido vedere tanti microfoni puntati contro una portiera chiusa. La folla impazzì. Nemmeno durante i goal di una finale di calcio il delirio era tale. Tutti sbraitavano, ruggivano, brandivano sciarpe, cartelloni, cellulari, in visibilio. L'attesa era stata esasperante, quasi maleducata, ma tutti quanti volevano solo acclamarlo, osannarlo, scagliargli in faccia amore con la violenza dell'odio. Poi la portiera si aprì. Cameraman e addetti stampa strisciavano per terra entro la zona di sicurezza per beccare la visuale più esauriente, per catturare uno stralcio di lui che soddisfasse quella fame rumorosa, importuna, folle alle loro spalle. Kokichi scivolò fuori con disinvoltura, in fretta, senza soffermarsi e attribuire solennità a quel momento, come se fosse solo. Non sembrava guardare da nessuna parte. La cosa che sconvolse Shuichi era che non indossasse la divisa del personaggio. Testa bassa, occhiali da sole, felpa rosa, converse, passeggiò in mezzo al delirio quasi ignorandolo. Quando zoomarono sul suo viso imperturbabile, si potè distinguere i fili fucsia di un paio di auricolari nelle sue orecchie.
Kaito inarcò un sopracciglio. «Poteva almeno vestirsi come tutti noialtri.»
«No, è geniale» lo contraddisse Tsumugi, osservando avidamente. «La gente si aspetta qualcosa di diverso da lui, e lui lo fa. A livello di immagine, è geniale.»
Era una festa selvaggia, primitiva, universale. Nella prima fila, dietro gli scudi antiproiettile, la gente sembrava indemoniata. Si gettava contro gli schermi come se ne andasse della loro vita. Lui era dio e tutti volevano essere notati da dio, anche solo per un secondo. Era una gara a chi arrivava prima, a chi lo amava di più. In tempo reale, migliaia di profili social trasmettevano le immagini del suo arrivo, foto, video, torrenziali post di commento. Qualcuno lanciò fogli arrotolati, pupazzi, mazzi di fiori, scatole con dentro chissà cosa, cioccolatini, bombe. I flash piovevano come fuochi d'artificio, continui, ripetuti, intermittenti. Gli intervistatori lo inseguivano. Lui ignorò tutto, tirò dritto. Quando arrivò al termine del carpet, si fermò, immobile, la testa ancora bassa, le gambe appena divaricate. Calò un silenzio religioso. Tutti credevano avrebbe parlato. Poi, dal nulla, Kokichi puntò un pugno in alto, energico. E lì l'ovazione fu fragorosa, assordante, insopportabile. Erano i suoi schiavi, i suoi adepti. Un coro obbediente, devoto e orgoglioso di esserlo. Le telecamere si cibarono affannosamente della loro isteria. Persino dal tablet Tsumugi abbassò il volume. Poi Kokichi, con lo stesso pugno, compì il gesto del direttore per azzittire l'orchestra, e fu come se la sua mano riassorbisse tutto il rumore. Cadde il silenzio di nuovo, di botto. Dopo averlo ascoltato per qualche istante, Kokichi sparì all'interno dell'edificio, circondato da guardie del corpo che richiusero la porta, scacciando il plotone di giornalisti, di infiltrati potenti. La stampa era fuori di senno. La bolgia piangeva, urlava, saltava, si gettava a terra. La dimostrazione di potere era assoluta.
Shuichi sapeva cosa si provava a trovarsi gettati in pasto al pandemonio di schizzati, di esaltati, di fanatici, e non capiva come facesse Kokichi a restare così a sangue freddo.
«Un'orda di cretini» borbottava Tsumugi. «Quello è solo una marionetta con un bel faccino. Io sono Kokichi Oma. Io l'ho inventato. Lui, senza di me che gli scrivevo il carattere, sarebbe ancora un emarginato sociale che si ammazza di seghe e video di Danganronpa passati.»
«Non avete mai pensato di ingaggiare dei cosplayer ufficiali per fare convention anche dei giochi precedenti?» commentò Kaito. 
Tsumugi fece una smorfia. «Era stato tentato un esperimento circa vent'anni fa, ma la cosplayer di Kirigiri e quella di Pekoyama si erano fidanzate, e poi quella di Genocide Jack aveva stuprato quello di Togami con un paio di forbici, quindi la cosa era stata sospesa. Ma di certo è memorabile.» Tsumugi indicò Kaito. «Tu ricordi cosa dire sul carpet? Tra poco tocca a te.»
«Kaito Momota, luminare delle stelle, è qui?...»
«Sì, perfetto.»
Kaito fece un sorrisetto di vergogna. «È una cosa stupida da dire così, a comando.»
Nessuno gli disse che non era particolarmente brillante neanche quando lo diceva con spontaneità. 
«Non ti ho chiesto cosa ne pensi a proposito» lo freddò Tsumugi. «Allora, Kokichi, Kaito, Kaede e Shuichi... poi ci sono io, ovviamente. Devo prepararmi.»
Shuichi e Kaito si lanciarono un'occhiata complice, divertita. A pochi interessava di Tsumugi, ma lei sottolineava così la propria importanza, entrando per ultima. Intanto stava ancora verificando qualcosa sul tablet. «Dopo essere stato l'evento più velocemente sold out del mondo, adesso è l'evento con maggiore affluenza, e il cui hashtag è da più tempo al primo posto nelle classifiche di tutti i social, perchè dall'altro ieri non è mai calato, è ancora in vetta adesso. Stanno cacciando la gente da intorno allo studio, evacuano interi chilometri. I primi si sono accampati ai lati del carpet due settimane fa. Sono scoppiate ovunque risse per il posto, due persone sono morte schiacciate. Tutto il Giappone è là fuori.» La sua espressione era di orgoglio, ma mista a qualcosa di dolceamaro, una specie di malinconia, una commozione simile a quella di una madre che vede il figlio muoversi nel mondo indipendentemente da sè. Poi riaccese il microfono, riscuotendosi rapida. «L'intervista di Rantaro è finita. Bene. Fate entrare Kokichi. Cosa? Oh, vabbè.» Riattaccò. «Ha baciato in bocca l'attrice. Giusto perchè non parlavano della sua sessualità da almeno tre ore, probabilmente.» Riaccese il microfono. «Rantaro alla group photo session, grazie. Ormai è troppo tardi, inizierà gli autografi dopo la diretta delle nove, insieme a Kaito, Shuichi, Kaede e me. Quando finisce il tempo, se è rimasto qualcuno, mandatelo via.» 
«Sarebbe giusto che gli ultimi, i più attesi, fossero Monokuma e Junko» osservò Shuichi. «Sono quelli che i fan amano di più, sono leggende.»
«Monokuma e Junko non fanno il carpet» negò Tsumugi, sbrigativa. «La Junko attuale vive sotto protezione speciale. Loro compariranno solo alla diretta in teatro. Troppo pericoloso esporli al pubblico.» Accese il microfono. «Monokuma è pronto? Avete verificato? Non lasciategli fare quelle battute sessuali come a Kyoto, i bambini lo amano... Ecco, le battute tenetele per le dirette instagram. Cosa? No, niente Monocuccioli, non c'è tempo. Cosa vuol dire che ormai Monomi è accesa?! Ma cosa c'entra Monomi?! Spegnetela, e che cazzo!»
Shuichi ricordò che Monokuma era piuttosto schizzinoso con i camerini. Nonchè verso le truccatrici. Era abbastanza che un orso avesse delle truccatrici, ma ne aveva più di lui probabilmente. 
«Monokuma nel camerino c, settore 4» strillò infatti Tsumugi, per imporsi su qualche assistente che cercava di esporre il problema. Cliccò due volte il tasto. «Himiko, stai zitta. Non puoi dirlo. Resta sul vago. La tua presunta eterosessualità piace poco ai tuoi fan. Quindi non osare più dire una cosa simile.» Chiuse la comunicazione. 
Shuichi pensò che non era facile per nessuno. Non avevano nessuna esperienza in questo mondo. Si stavano ancora riavendo dallo shock del fatto che i loro caratteri fossero creati a tavolino, e dovevano pure abituarsi a farsi manovrare e indirizzare da Tsumugi circa il loro comportamento in pubblico. «Cosa gli hanno chiesto? di cantare?» continuava lei. «Sì, sì, lasciate che Keebo canti. Dopo vado a vedere nelle storie.»
Sul tablet, intanto, un'intervistatrice con un abbigliamento bicolore ispirato a Monokuma e due codini arrotolati a mo' di chignon si rivolgeva con un sorriso insinuante a un allegro Kokichi, che ingollava il contenuto di una delle molte lattine di Panta all'uva disposte sul tavolino di fronte alla sua poltrona di pelle bianca. 
«Qual è la cosa più bizzarra che i fan hanno mai fatto per te?»
«Una volta mi hanno fatto recapitare una testa di cavallo vera nel letto dell'albergo in cui dormivo -doveva essere qualcuno interno allo staff» cicalò lui, parlandole vivacemente, come fosse un'amica. «Un'altra volta, sempre in un hotel, appena entrato mi sono trovato davanti un gruppo di cosplayer esattamente identici ai membri della D.I.C.E., che mi hanno detto "capo, dove sei stato finora, ti stavamo aspettando".» Annuì sorridendo alla platea che rideva. «Ho i fan migliori del mondo. Anche se non hanno pensato al fatto che potrei ancora stare soffrendo per la loro morte.» S'incupì, poi rise di nuovo. «Scherzavo. Chi mi conosce sa che lo faccio ogni tanto.» Ammiccò al pubblico estasiato. 
«Quindi la D.I.C.E. esiste davvero o no?» lo incalzò confidenziale la ragazza, accostando leggermente la testa alla sua, come se la cosa potesse restare un segreto tra loro. 
Kokichi assunse un'espressione maliziosa. «Mi hanno proposto diverse volte di fondarla davvero, offrendosi anche di finanziarla completamente a loro spese. Ma è una società segreta, ragion per cui, se esistesse, non lo direi ad anima viva.»
Tsumugi ascoltava l'intervista con un orecchio solo, e continuava a parlare al suo microfono. «Mi stanno arrivando delle foto di ragazze che vogliono mandare nel camerino di Kokichi una bambola sessuale robot. Per favore, intercettatela e mandetela qua.» Cliccò il pulsante. «Ragazzi, niente strip per Miu. Fermatela. Basta con questi scandali, ha stufato. Fatele fare qualcos'altro. Fatele inventare un cazzo di qualcosa davanti a loro.» Cliccò il pulsante. «Adesso vi dico cosa deve succedere. Mandate Tenko da Himiko, lì al banco della signing session, e fatela buttare in ginocchio e chiederle di sposarla. Fatela reagire come le pare. Bene.»
«Cosa ne pensi in merito al recente rumor che una famosa stella del pop molto in voga, di cui ancora non possiamo rivelare il nome, ti avrebbe chiesto di prendere parte al suo nuovo video musicale?» chiedeva l'intervistatrice. 
«Penso che sono una persona molto impegnata e devo verificare di averne il tempo» miagolò Kokichi. «Per esempio, domani ho un droga party a Rio de Janeiro. Tutti quelli che ascoltano sono invitati, ovvio.» Acclamazioni, tripudio. Ovazione. 
«Con quali persone del gioco hai mantenuto di più i rapporti?»
Occhiatina seduttiva. «Per ovvie ragioni, Saihara-chan.»
L'intervistatrice si infervorò. «Ma lui ha più volte dichiarato di non avere, e non avere mai avuto, una relazione con te.»
Kokichi non battè ciglio. «Forse lui non considera delle notti occasionali una relazione.»
«Merda» si lamentò Shuichi. Era appena riuscito ad uscire da quell'uragano mediatico. Non ne sentiva la mancanza. 
Kaito lo distrasse. «Dai, ignoralo. Facciamo una foto io e te.»
«Per instagram?»
«No, non per instagram... Per noi.»
Shuichi rimase stranito, ma anche felice, in qualche modo. Sfoggiò un sorriso timido. Kaito fece le dita a v. Diede un'occhiata a Tsumugi, ma lei era ancora troppo intenta al microfono per badarli. «No, Rantaro, niente tacchi!»
«Una sera potremmo fare una cena da me. Quando sarà tutto più tranquillo» propose Kaito. Shuichi battè le palpebre.
«Io... sì. Mi piacerebbe.»
In quel tumulto assurdo, senza senso, era la prima cosa che aveva quasi senso. E che il mondo non poteva accaparrarsi, rivendicandola. Era quasi sua, solo sua.
«Cucini bene?» scherzò.
Kaito strizzò l'occhio. «Beh, scoprilo.»
Lo scoprirò, pensò Shuichi.
«Sono contento che tu sia vivo» disse.
Kaito lo fissò negli occhi, sorpreso. Ma disse: «Anch'io sono contento di essere vivo.»
  
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