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Autore: T612    16/05/2018    4 recensioni
Plié. Pirouette. Bang!
Natasha si sveglia di soprassalto, il suono dello sparo ancora vivido nella sua mente.
I sogni non le fanno paura, quelli non possono ucciderti.
AVVISO: eventi post-infinity war (se non l'avete visto, FUGGITE; SCIOCCHI)
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Brevi avvisi dalla regia:
  1. Tutto ciò che sta scritto qui sotto si colloca cronologicamente dopo Avenger Infinity War quindi i vari accenni ecc. sono fonte di spoiler per chiunque non l’ha ancora visto.
  2. Personalmente ritengo ingiusto la completa assenza di riferimenti alla Stanza Rossa all’interno dell’MCU (a parte l’accenno in Age of Ultron) quindi, a modo mio, voglio porre rimedio.
Fine.
Buona lettura.
 
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà della Marvel Comics/Marvel Studios; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
 
 
 
Plié. Pirouette. Bang!
 
Natasha si sveglia di soprassalto, il suono dello sparo ancora vivido nella sua mente.
I sogni non le fanno paura, non possono ucciderti. 
Però i frammenti di memoria che le fanno visita di notte la tengono sveglia fino al mattino successivo... solo da sveglia si rende conto che in realtà le cose sono andate diversamente, come se la sua mente conservasse due versioni della stessa storia.
In mancanza di sonno ha preso l’abitudine di restare sveglia fino all’alba, di girovagare per il Complesso con un caffè in mano cercando di non pensare a quanto vuoto sia. 
 
È passata a malapena una settimana da quando Thanos ha schioccato le dita e gli Avengers sono stati decimati. 
Quelli che erano rimasti si sono ritirarti al Complesso per leccarsi le ferite, Natasha compresa. 
In realtà Thor e il procione avevano recuperato una navicella e si erano lanciati alla ricerca degli altri “guardiani della galassia”, forse erano nascosti da qualche parte, forse non avevano mai raggiunto Titano. 
Bruce era rimasto in Wakanda nel tentativo di meditare e venire a patti con Hulk, si era offerto di curare i feriti e voleva stare il più lontano possibile da lei. Non l’aveva detto ma Natasha l’aveva percepito e aveva accettato di comune accordo. Non avevano funzionato, lei ne era venuta a patti già da molto tempo prima di lui.
Dopo un giro di chiamate andate a vuoto avevano scoperto che Fury e Hill erano passati all’altro mondo, di Scott e Clint non avevano notizie e Steve si rifiutava di prendere una posizione in merito. 
A conti fatti al complesso erano rimasti solo loro due, avevano lasciato un messaggio nei canali di comunicazione riservati agli Avengers, chiunque sentiva il messaggio era gentilmente pregato di raggiungere il Complesso per accertarsi di chi fosse vivo. 
Era passata una settimana ed ancora nessuna notizia. 
 
Girovaga per i corridoi e si dirige in cucina per prepararsi il caffè. 
Armata di termos va a controllare cosa stia facendo Steve, se sta disegnando, se sta ancora cercando i quaderni di Bucky o se finalmente dopo cinque giorni ha ceduto al sonno e sta finalmente dormendo. 
Natasha si ritrova a pensare che ormai gli sta facendo da babysitter, non che abbia di meglio da fare visto che sembra averla contagiata con l’insonnia. 
Quando raggiunge la porta sente il segno inequivocabile che Steve stia finalmente dormendo: russa. 
Lo sente anche con la porta chiusa e con un pizzico di invidia pensa al sonno arretrato che il suo corpo non vuole recuperare. 
Aveva intenzione di proporgli una corsa notturna, un tentativo vano di stancare il corpo per conciliare il sonno però a quel punto il suo piano non è più attualizzabile. 
Cambio di programma. L’ennesimo. Non che avesse un piano.
Si dirige nella palestra e recupera le sue punte, lega i nastri e si infila le cuffie Bluetooth. Non vuole intralciare i movimenti del corpo con il filo e sa che sparare a tutto volume la musica alle tre di notte non è una grandiosa idea. 
Chiude gli occhi e segue il ritmo, più il crescendo aumenta e più si muove velocemente. 
Quando gli archi si aggiungono al pianoforte il suo corpo automaticamente inizia a piroettare su sé stesso, una pirouette dopo l’altra in punta, come guidato da un ricordo legato alla musica.
 
Plié. Pirouette. Plié. Bang!
 
Qualcosa dentro di lei scatta, un interruttore che accende le lucine dell’albero di Natale che sono rimaste spente troppo a lungo nella sua testa. 
È un momento, l’interruttore come si è acceso si è anche spento. 
La caviglia si storce, il ginocchio si piega e si ritrova a terra.
Il pianoforte continua di sottofondo, anticipa il suo cervello e si prefigura un’ombra appoggiata allo stipite della porta.
Si volta, controlla, ma sullo stipite non c’è nessuno ad osservarla.
   
 
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