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Autore: Xion92    17/05/2018    3 recensioni
Introduzione breve: se immaginate un sequel di TMM pubblicato su Shonen Jump invece che su Nakayoshi, probabilmente verrebbe fuori qualcosa di simile.
Introduzione lunga: Un'ipotetica seconda serie, in cui il tema serio di fondo è l'integralismo religioso e il nemico principale è un alieno, Flan, intenzionato a portare a termine la missione fallita nella serie precedente. E' suddivisa in tre parti:
I. In questa parte c'è il "lancio" della trama, del nemico principale, l'iniziale e provvisoria sconfitta di gran parte dei personaggi, l'approfondimento della relazione tra Ichigo e Masaya, fino alla nascita della loro figlia;
II. Questa parte serve allo sviluppo e all'approfondimento del personaggio della figlia di Ichigo, Angel, la sua crescita fisica e in parte psicologica, la sua relazione con i suoi nonni e col figlio di Flan, i suoi primi combattimenti in singolo;
III. Il "cuore" della storia. Torna il cast canon e i temi tornano ad essere quelli tipici di TMM mescolati a quelli di uno shonen di formazione: spirito di squadra, onore, crescita psicologica, combattimenti contro vari boss, potenziamenti.
Coppie presenti: Ichigo/Masaya, Retasu/Ryou.
Nota: rating modificato da giallo a arancione principalmente a causa del capitolo 78, molto crudo e violento.
Genere: Azione, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aoyama Masaya/Mark Aoyama, Ichigo Momomiya/Strawberry, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eccomi qua, buonasera a tutte! Se ve lo siete perso, su fb ho pubblicato un disegno che mi è venuto molto bene, e che ho messo in lista tra quelli da colorare. Sicuramente lo retinerò al più presto, in modo che abbia un aspetto gradevole all'occhio anche in bianco e nero. Buona lettura!

 

Capitolo 86 - Nonno e nipote


Trascorsero altri giorni senza nulla di nuovo che scuotesse quelle fredde giornate invernali: le mattinate, i pomeriggi e le sere scorrevano lenti, tutti uguali, nell’indolenza della quotidianità ritrovata. I ragazzi, ora che la squadra si era ricomposta e tutto sembrava essere rientrato nella normalità, portavano avanti la loro solita routine: mattina, chi a scuola, chi a preparare dolci, chi a fare ricerca, chi a svolgere il proprio lavoro di attrice; pomeriggio, turno fisso al Caffè. Solo la sera prima di andare a letto ognuno di loro si sentiva preso da una certa inquietudine. Nessuno sapeva quando sarebbe avvenuta la prossima mossa di Flan: avrebbe attaccato? E quando? Fra un giorno, un mese, un anno? Nonostante queste domande, nessuno dei guerrieri era preso dall’angoscia per questo dubbio. Tutti, o quasi tutti, avevano il proprio spirito rafforzato dalla consapevolezza che una volta avevano affrontato un nemico molto peggiore di quello che poteva essere Flan; Profondo Blu era stato un dio, e loro erano riusciti a batterlo. Chi poteva mai essere Flan al suo confronto? Era l’equivalente di una persona comune che, per quanti poteri avesse potuto sviluppare, non avrebbe mai potuto eguagliare il dio che lui stesso adorava. Consideravano il doverlo affrontare più una formalità che altro: coi loro nuovi poteri, non avrebbe potuto nulla contro di loro. L’unica cosa a cui dovevano stare attenti era assicurarsi di non mancare mai da Tokyo per i tempi che sarebbero venuti. Quando Flan avesse colpito, loro sarebbero stati pronti a riceverlo.
Ryou concluse presto le sue analisi sui nuovi poteri delle Mew Mew e, quando fu sicuro del fatto suo, riunì la sua squadra nei sotterranei.
“Ora che ho concluso le mie ricerche, posso dirvi con precisione ogni potere che avete acquisito, nel caso aveste ancora dubbi”, cominciò, parlando lentamente e scandendo le parole. “Finora siete andati ad intuito, ma ora la scienza può confermarvi il potere che avete, senza paura di sbagliare. Ovviamente la farò semplice, così mi capite. Inizio dicendo che il potenziamento che avete ottenuto porta a un esatto raddoppiamento dei poteri che avevate prima: Ichigo, il fascio di luce che puoi sprigionare copre una superficie più ampia ed ha una potenza doppia rispetto a prima. Minto, la freccia che scagli può ora perforare anche le superfici più resistenti. Retasu, il tuo getto d’acqua ha un’intensità molto maggiore di prima. Bu-ling, puoi immobilizzare il bersaglio per il doppio del tempo di cui disponevi in passato. E Zakuro, la tua frusta ha una gittata doppia ed ha una presa maggiore.”
“Questo è utile”, osservò Retasu. “Tutti noi avevamo notato che i nostri poteri erano aumentati, ma non sapevamo esattamente di quanto. Quindi, Ryou-kun, ora sono doppi?”
Il ragazzo annuì. “C’è un’altra cosa. Insieme alla vostra capacità di attacco, è aumentata anche la vostra capacità di parata.”
“Di questo ce ne eravamo accorti da soli”, alzò gli occhi al cielo Ichigo.
“Non interrompere”, disse Ryou lanciandole un’occhiataccia. “Il vostro attacco è semplicemente raddoppiato, di potenza e di gittata, ma la difesa ha acquisito un aumento di efficacia molto maggiore.”
“Sarebbe a dire?” chiese Minto, incuriosita.
“Avete sempre potuto proteggere, insieme, una certa area attivando la parata in sincronia. Ma il terreno che poteva essere difeso era piccolo. Poche decine di metri quadrati, proprio al massimo. Ora invece potete coprire in modo efficace un’estensione di decine di chilometri, sistemandovi in modo equidistante una dall’altra.”
“Avete sentito?”, chiese allora Ichigo sbalordita alle altre. “Di questo non c’eravamo mai accorti.”
“Per forza”, rispose Ryou alzando le spalle. “Finora è una cosa che non vi è mai servita.”
“Benissimo!”, esclamò allora, grintosa, Bu-ling. “Adesso che sappiamo tuuuuutti i poteri che abbiamo, possiamo metterci giù tutti insieme a elaborare la strategia adatta contro quel cattivone di Flan!”
“Aspetta, Bu-ling, c’è un problema”, intervenne Masaya.
Bu-ling gli lanciò un’occhiata curiosa, poi si mise a saltellargli intorno. “Problema? Quale problema, Aoyama-niichan? Non c’è nessunissimo problema! Shirogane-niichan ci ha rivelato tutto, ma tutto! È chiaro come il sole!”
“Certo che sappiamo i nostri poteri”, le spiegò lui, scuotendo la testa. “Ma se non sappiamo anche i poteri del nostro avversario, non è possibile elaborare una giusta strategia.”
Ma questo non bastò a far passare l’entusiasmo alla più piccola. “Oh, ma noi li sappiamo!” Corse verso Angel, che stava in disparte senza essere contagiata dall’entusiasmo degli altri, e si mise a tirarla per un braccio, rischiando di provocarle una lussazione alla spalla. “Angel-neechan lo sa che poteri ha quello lì! Allora, Angel-neechan? Eh? Eh?”
Angel le afferrò la mano e la staccò dal suo polso. “Kunai elettrificati. Di solito cerca di teletrasportarsi alle spalle. Questo so”, rispose in modo svogliato.
“Visto?” esclamò Bu-ling a braccia conserte, occhi socchiusi e un’aria soddisfatta, senza badare al tono distante che aveva usato la sua amica.
Masaya la guardò con comprensione. “Ti sei dimenticata che Flan ha potenziato i suoi poteri in un modo che non conosciamo? Chi ti dice che combatterà nel modo che conosce Angel?”
A quelle parole, Bu-ling perse il suo entusiasmo e si afflosciò come un sacco vuoto. “A questo Bu-ling non pensava…” mormorò.
“E tu che ne dici, Angel-san?” chiese Retasu a Angel.
Quest’ultima sembrava che non avesse ascoltato nemmeno la metà di tutto quel discorso. “Cosa dovrei dire? Penso che potrei essere l’ultima ad avere il diritto di dirne qualcosa.”
Minto la guardò storto. “Ma che discorsi fai?”
“Niente… lascia perdere”, rispose Angel volgendo lo sguardo al muro.
“Ovviamente”, intervenne Ryou per chiudere il discorso prima che la situazione degenerasse. “Se a qualcuno di voi dovesse venire in mente qualche indizio per indovinare la data in cui Flan attaccherà, è caldamente tenuto a comunicarmelo.”
Una volta tornati di sopra, Minto si avvicinò ad Angel.
“Ascolta… forse ho capito…” disse tra l’incerto e il riluttante. “Se è per quello che ti ho detto l’altra volta nel bosco… non prenderlo troppo sul serio.”
“Come?” fece Angel sorpresa, girandosi verso di lei.
“Ma sì”, sbuffò Minto. “Quando ti ho accusata di averci quasi fatto ammazzare. È per quello che sei così di cattivo umore, vero? Ancora ci pensi e ti senti in colpa.”
Prima che l’altra avesse il tempo di replicare, continuò. “Beh, forse, dopotutto, quella volta ho esagerato. Ti sorprenderà, ma qualche volta posso sbagliare anch’io.”
Angel la fissò a lungo, poi rispose, con un accenno di ironia nella voce: “deve essere qualcosa di veramente terribile… non lo posso nemmeno immaginare.”
“Vedi che mi capisci?”, annuì Minto, che non aveva colto, appoggiandosi le mani sul petto. “Ma d’altra parte, nessuno è perfetto. Neanche io, devo ammetterlo.”

Angel, tuttavia, non rivelò a nessuno il vero motivo per cui aveva parlato in quel modo, e nessun altro gliene chiese il motivo. Veramente, lei non faceva nessuno sforzo per cercare di nascondere il suo stato d’animo, perché aveva capito che ognuno dei suoi compagni l’aveva attribuito a una errata motivazione che si erano costruiti da soli. Nonostante i giorni precedenti all’incidente contro il serpente Angel avesse cercato di far loro capire che la morte di sua nonna non era per lei una fonte di depressione, i ragazzi non avevano abbandonato l’idea che essa potesse venirle come a tutte le persone comuni, e quindi la motivazione fra loro più quotata per cui lei si sentiva giù era quella. E lei aveva finito per lasciarglielo credere. L’unica cosa che desiderava era che la lasciassero in pace: quello era un periodo nero della sua esistenza, e doveva portarne il peso da sola. Benché ancora non fosse avvenuto un altro scontro, dopo il chimero-serpente, era terrorizzata al pensiero che qualcuno potesse accorgersi del suo handicap. Sapeva che Ichigo, che in quegli ultimi mesi si era affezionata a lei per ragioni – dal suo punto di vista – non chiare, la teneva d’occhio, e se anche avesse subodorato il presentimento che aveva una menomazione fisica, l’avrebbe esclusa all’istante dalla squadra. Quando pensava a quella prospettiva, Angel sentiva il midollo ghiacciarsi nelle ossa. Era consapevole della sua inutilità all’interno del team: non aveva un attacco di potenza sufficiente, non poteva parare, non poteva più saltare, non poteva sopportare pesanti sforzi fisici. Con grande amarezza, constatava che Ichigo avrebbe avuto tutte le ragioni del mondo per mandarla via dalla squadra. Con la sua disabilità, era solo un peso per gli altri. E tuttavia, Angel non voleva accettare il suo nuovo stato. Aveva già deciso che, la prossima volta che avessero combattuto, avrebbe fatto il possibile per fare meno sforzi fisici che avesse potuto e per nascondere ai compagni la sua sofferenza. Non aveva ancora idea del metodo, ma si sarebbe inventata qualcosa. Lei non voleva essere esclusa dalla squadra, assolutamente.
Nonostante la sua tenacia interiore, la ragazza aveva ormai realizzato che tutti gli obiettivi, gli scopi, le risorse su cui aveva fondato la sua intera vita, erano crollati come un castello di carte. Qualunque combattimento avesse affrontato in futuro, non sarebbe stato altro che un mascheramento, un’illusione che voleva costruirsi a tutti i costi per avere l’impressione di essere ancora utile e di avere uno scopo. Ma la verità la sapeva: non poteva più combattere sul serio, non poteva più proteggere nessuno, e contro Flan probabilmente non sarebbe durata più di pochi minuti.
‘Sei inutile, inutile’, si ripeteva nella mente le poche volte che si ritrovava sola.
Nessuno le faceva domande. Nessuno le chiedeva delucidazioni sul suo stato d’animo. Nessuno poteva immaginare quale fosse il suo vero problema. Ed Angel, nella sua disperazione, preferiva così.

Un pomeriggio, subito dopo pranzo, disse risoluta Ryou: “vado a fare un giro.”
Lui aggrottò le sopracciglia. “Per conto tuo?”
“Sì. Ci metto poco”, aggiunse lei, col tono di chi ha preso una decisione dopo aver valutato i pro e i contro.
“Dimmi prima dove vai e quando hai intenzione di tornare”, insisté Ryou, duro.
Angel non gli rispose male: sapeva che il suo boss diceva così per poterla tutelare da eventuali attacchi. Se avesse fatto tardi, avrebbe preso provvedimenti per riportarla lì salva.
“Al parco qua vicino. Faccio svelto. Torno fra una mezz’ora”, gli disse addolcendo il tono.
Ryou annuì. “Va bene. Sta attenta. Se dovesse esserci un pericolo, torna qui di corsa.”

Aveva scelto di fare un giro al parco per trovare un po’ di sollievo e conforto nella natura a lei tanto vicina, ma questa volta non servì. Già Angel si sentiva nera di suo, e l’ambiente esterno certamente non aiutava, nemmeno quello naturale. I prati del parco erano bruciati dal gelo, i cespugli e i pochi alberi sparsi erano nudi e spogli, e il cielo era coperto da una cappa di nuvole grige che non lasciavano filtrare i raggi del sole. Vedeva solo qualche persona in lontananza: a quell’ora e con quel tempo, non era molta la gente che andava a fare un giro nel parco, quindi lei poteva fare quello che voleva senza paura che qualcuno la notasse. Si avvicinò al laghetto al centro dello spiazzo. Nonostante il freddo, la temperatura era di quattro o cinque gradi, non sufficiente perché l’acqua ghiacciasse, e quindi lo stagno rifletteva le immagini come uno specchio. Angel vi si avvicinò e, rimanendo in piedi, osservò la sua figura riflessa sulla superficie immobile. All’apparenza era la stessa di sempre, vedeva una ragazza quasi quindicenne con i suoi jeans, la sua giacca pesante, le mani infilate nelle tasche perché non si gelassero, le guance un po’ arrossate per il freddo, i capelli scuri e in disordine e quel sottile ma evidente solco che le attraversava la fronte in tutta la sua lunghezza. Ma lei sapeva che quel corpo all’apparenza così sano nascondeva qualcosa che era per lei fonte di vergogna, che le impediva di poter fare quello che aveva sempre desiderato, ossia lottare per la salvezza della sua patria insieme ai suoi compagni. Osservando il suo riflesso con aria mesta e rassegnata, a un certo punto le venne un moto di disgusto: tanti bei discorsi, tanta moralità e tanti progetti che non avrebbero portato a nulla, e una vita che non aveva più uno scopo, per colpa di quel corpo rovinato per sempre. A che serviva una guerriera che non poteva combattere?
Alla fine, come a concretizzare i suoi pensieri, diede un calcio col lato del piede a un ciottolo che si trovava sulla riva davanti a lei, facendolo cadere in acqua. La sua immagine riflessa si spezzò in tanti frammenti, finché non ne rimase più nulla.

In quel momento anche Masaya stava camminando per quella zona del parco, costeggiando la riva del lago. Non aveva un motivo particolare per farlo, ma, dopo una giornata stressante a scuola, poter stare un po’ da solo nel silenzio di quella natura ricreata, lontano per un po’ dal chiasso e dal rumore della metropoli e di altre persone, lo aiutava. Anche se aveva fatto grossi miglioramenti in quanto a rapporti sociali da quando aveva conosciuto Ichigo, il suo bisogno, in certe circostanze, di stare da solo nella natura che tanto amava, lo spingeva lontano dai suoi amici e dalla sua compagna. Mentre camminava inspirando forte l’aria fredda, asciutta e un po’ meno inquinata di quel parco, scorse da lontano Angel che si specchiava nell’acqua. Era a poche decine di metri di distanza, e la vedeva di profilo, ma lei era così intenta a osservare il suo riflesso che non si accorse di lui. Si sorprese: non era da lei andarsene in giro per conto suo, soprattutto dopo quello che era successo con Waffle. La vide tirare un calcio a un sasso vicino ai suoi piedi fino a farlo finire in acqua. Dal punto in cui era, non riusciva a distinguere la sua espressione, ma teneva la testa china e lo sguardo fisso, e questo già per lui era sufficiente.
Non sapeva spiegarsi perché Angel ultimamente fosse così assente e distaccata da loro. Al contrario dei suoi amici, non voleva credere che fosse dovuto semplicemente alla morte di sua nonna. Ci doveva essere qualcos’altro sotto. E, riflettendoci, riuscì a formulare un’altra possibile ipotesi. Decise di intervenire: non aveva prove che il motivo della tristezza di Angel fosse quello, ma, se aveva indovinato, avrebbe potuto risolvere il suo problema. L’anno scorso, quando aveva per la prima volta conosciuto Angel, aveva fatto in modo di starle vicino per aiutarla a recuperare la stabilità e l’equilibrio che aveva perduto allontanandosi dal mondo in cui era cresciuta. Man mano che i mesi passavano e lui la vedeva acquisire sempre più sicurezza e spigliatezza, se ne era progressivamente allontanato, spingendola avanti perché potesse proseguire per la sua strada senza di lui. Finora era andata bene, lei era diventata completamente autonoma in quel loro mondo civilizzato, non aveva più avuto bisogno del supporto del padre, Masaya aveva potuto staccarsi da lei ed era tornato al fianco di Ichigo. Adesso, invece, per un motivo o per l’altro, sua figlia stava avendo una ricaduta, e quindi era suo dovere farsi di nuovo avanti per sostenerla e darle un’altra spinta perché potesse poi ripartire da sola.
Si avvicinò a lei senza chiamarla e, quando fu abbastanza vicino, Angel, sentendo che qualcuno si avvicinava, girò la testa senza curiosità. Quando vide di chi si trattava, recuperò il suo contegno e si volse completamente verso di lui, stando dritta e composta.
Masaya sentì una certa soddisfazione vedendo il rispetto che Angel gli mostrava. Non c’era mai stata una sola volta in cui lei gli aveva parlato stando seduta mentre lui era in piedi, o voltandogli le spalle.
“Anche tu stai facendo una passeggiata in solitaria?”, le chiese affabile. “Ti disturbo se rimango?”
“No, no, assolutamente”, rispose velocemente lei.
“Sai, Angel, stavo pensando…” iniziò Masaya con aria vaga. “La battaglia contro Flan si avvicina.”
Angel annuì, guardandolo dubbiosa.
“Prima con Bu-ling l’hai fatta facile, ma sai anche tu che probabilmente sarà potentissimo. Sai che contro un nemico del genere bisogna saper sfruttare tutte le risorse di cui si dispone, te l’ho insegnato l’estate scorsa. Pensi che disponiamo di tutte le armi necessarie a sconfiggerlo? O potremmo fare di più?”
Angel abbassò gli occhi, confusa. “Veramente…”
Tu potresti fare di più?”, restrinse il campo Masaya.
“Io…” rispose Angel con voce incerta. “Se le cose andassero come dovrebbero andare, potrei fare di più, sì.”
Masaya rimase interdetto: non era la risposta che si aspettava. Pensava che sarebbe andata dritta al punto come era sua abitudine fare. Non era da lei fare giri di parole quando parlava.
“Tu puoi fare di più, Angel”, le disse risoluto. “Tu puoi usare il Tenshin Jinsekou, come me. Te lo sei scordato?”
Angel reagì con sorpresa a quella frase, come se fosse stata una cosa di cui non aveva mai sentito parlare prima.
“Il Jinseikou può essere un’arma efficace contro Flan. Ma non può essere utilizzato così, dal nulla. Non è come i normali potenziamenti delle nostre amiche. Quando l’ho spiegato a Shirogane c’eri anche tu.”
Angel annuì a queste parole, ma sempre con uno sguardo indeciso e confuso.
“È per questo, suppongo, che non hai ancora preso una posizione al riguardo. E hai ragione, è un attacco molto pericoloso. Ma c’è una soluzione, Angel, se è questo il problema.” Aspettò che lo guardasse bene in faccia prima di proseguire. “Io ti posso insegnare.”
Gli occhi della ragazza si allargarono appena per l’incredulità, e quando rispose il suo tono aveva assunto una sfumatura ancora più incerta.
“Insegnarmi… a usarlo?”
“Sì, ma non solo”, rispose Masaya cercando di infonderle entusiasmo. “Non è il saperlo usare il punto. La cosa fondamentale è saperlo controllare. Certo, anche dopo aver imparato a controllarlo, non è che si possa usare con leggerezza. Io non lo utilizzo mai, perché basta uno sbaglio, anche minimo, ed è finito chi lo usa e chi si trova intorno. Ma metti che ci sia l’impellente bisogno di usarlo: se sai controllare per bene quel potere, puoi utilizzarne una piccola parte in caso di emergenza. Contro Flan sarebbe una marcia in più.”
Angel lo guardava rapita e, quando il giovane ebbe finito di parlare, annuì in silenzio.
“Che ne dici, allora? Lo so che sei spaventata dalla pericolosità di questo attacco ma, credimi, una volta che ti avrò insegnato lo potrai utilizzare alla perfezione, senza paura che sfugga al tuo controllo.”
Angel distolse lo sguardo dal suo e abbassò appena la testa. Il ragazzo vide nel suo viso la confusione e l’indecisione di chi, ritrovandosi con troppi fattori che facevano pendere l’ago della bilancia da una parte e dall’altra, si ritrova impedito nel prendere una posizione netta. Anche se c’erano state delle volte in cui l’aveva vista fisicamente provata e ferita, quello fu il momento in cui più gli apparve fragile. Senza stare a riflettere, allungò una mano verso il suo viso, accarezzandole una guancia col dorso delle dita. Appena toccata, la pelle della ragazza era fredda per il gelo che li circondava, ma, una frazione di secondo dopo il suo tocco, la sentì bollente. Non riuscì però a capire se il rossore che aveva in viso fosse dovuto all’imbarazzo o meno, perché, per il freddo, era congestionato già da prima.
“Non devi avere paura, Angel. Ho visto come hai utilizzato tutte le tecniche che ti ho insegnato contro Waffle. Sei stata brava. Chi ti dice che non riusciresti anche stavolta?” le disse cercando di tenere il tono serio, ma sentendosi la commozione nella voce che lo tradiva.
Angel a quel contatto si era irrigidita e le gambe le avevano iniziato leggermente a tremare, ma non si scostò e, a occhi socchiusi, lasciò che il padre finisse di accarezzarle la guancia.
“Ci… devo pensare. Mi dai tempo fino a domani?” chiese con voce roca.
Masaya si lasciò scappare una risata. “Non c’è una data di scadenza. Prenditi il tempo che ti serve. Non ne parlerò con nessuno, così non verrai influenzata nella tua scelta.”
Girò poi la testa verso il laghetto, fermo, nella sua gelata immobilità. Non poté che ripensare allo strano gesto che aveva compiuto sua figlia poco prima: aveva gettato una pietra nell’acqua con un calcio che trasudava quasi disprezzo. Non riusciva a spiegarsi cosa ciò significasse. Era anche vero, però, che poteva trasformare questo suo gesto negativo in qualcosa di positivo. Bastava impiegare i sassi in un altro modo. Si chinò sulla riva e cercò con attenzione fra le pietre più piccole.
“Cosa fai?” sentì che chiedeva la voce di Angel.
Ecco un ciottolo piatto e liscio, proprio quello che cercava.
“Tu quanti rimbalzi sull’acqua riesci a raggiungere?” le chiese rialzandosi e mostrandole quello che aveva trovato.
“Rimbalzare cosa?” chiese Angel con tono incredulo.
“I sassi…” rispose Masaya con lo stupore nella voce: si sentiva stranito, perché, pensando ad Angel come a quella che si intendeva di ogni cosa sulla vita e i divertimenti all’aria aperta, aveva dato per scontato che fosse una campionessa in quel gioco. Ecco invece un’attività che sembrava non conoscere. Evidentemente non gliel’aveva mai insegnato né accennato nessuno.
“Le pietre possono rimbalzare sull’acqua?” insisté Angel. Masaya sentì con piacere che nella sua voce stava sparendo la tristezza e la malinconia per far spazio a quell’avida curiosità e sete di imparare che la caratterizzavano.
“Se usi quelle giuste e se fai pratica” le rispose lui. “Io riesco ad arrivare solo a tre rimbalzi, ma se si è bravi se ne riescono a fare anche di più.”
E, per dimostrarglielo, si posizionò lateralmente all’acqua, piegò appena le gambe, e con uno svelto movimento scagliò il ciottolo nello stagno. Sulla superficie, a distanza regolare, si formarono tre cerchi con le rispettive onde che si allargavano.
“Ma è strabiliante!” esclamò Angel, rapita. “Come ci sei riuscito?”
“Non è una magia”, si mise a ridere il ragazzo. “Chiunque, se si allena, può riuscirci. Cerca una pietra non troppo grande. Deve essere liscia e piatta, sennò non funziona.”
Angel si staccò da lui, iniziando a perlustrare la riva sassosa e, quando tornò indietro, si presentò con una decina di pietre che soddisfavano i requisiti, tutte abbastanza simili.
“Sì, queste vanno bene”, approvò Masaya.
Angel allora cercò di mettersi nella stessa posizione in cui prima si era sistemato lui, ma, quando lanciò il primo sasso, questo andò giù con un tonfo senza fare neppure un rimbalzo.
“Non riesco”, commentò delusa la ragazza.
“Ma sì che ci riesci. Vieni qua, che ti insegno io”, la esortò il giovane.
Si avvicinò e si mise dietro di lei, mettendole poi una mano sulle spalle. “Devi girarti di più. Gira la spalla sinistra verso il lago. E piega un po’ le gambe. Sì, così va bene. Poi…” tolse le mani dalle spalle della ragazza e, prendendo da terra uno dei sassi, glielo mise nella mano destra. “Devi stringerlo nel palmo in modo che non ti cada, ma non tenerlo troppo stretto” le spiegò chiudendole le dita attorno alla pietra. “Ora, memorizza questo movimento.” Tenendole stretto il polso con la mano, le piegò il braccio all’indietro esortandola con l’altra a ruotare appena il busto. “Questa è la posizione di partenza. Devi lanciare il sasso facendo così…” e, accompagnandole la mano, fece fare al suo braccio la traiettoria giusta per il lancio. “Quando arrivi più o meno a questo punto lo lasci andare. Ma non ritirare subito la mano, finisci il movimento anche una volta che hai lanciato il sasso.”
Si staccò da lei. “Su, fammi vedere.” Angel, con lo sguardo concentrato, cercò di assumere la posizione corretta e scagliò il sasso con tutta la forza che aveva, ma non riuscì a fargli fare nemmeno un rimbalzo.
“La posizione va bene, ma devi lanciarlo cercando di farlo stare parallelo all’acqua, sennò va giù. Riprova.”
Sotto il suo sguardo attento ed esigente, Angel scagliò uno dopo l’altro tutti i sassi che aveva trovato, senza mai commentare i suoi fallimenti in alcun modo, tale era il suo livello di concentrazione. Soltanto quando arrivò all’ultimo, appena dopo averlo lanciato, i due scorsero vicino al primo cerchietto di onde formarsene un altro.
“Ci sono riuscita!”, esultò Angel, congiungendo le mani sopra la testa.
“Vedi che ce la fai?” annuì Masaya annuendo soddisfatto. “Più ti allenerai, più rimbalzi riuscirai a far fare ai sassi che lanci.”
“Ancora! Ancora!”, lo pregò lei.
“Ma la scorta è finita”, obiettò Masaya. “Devi cercarne altri…”
Neanche il tempo di finire la frase, che già Angel si era lanciata nella perlustrazione della spiaggetta.
La riva del lago, che fino a poco prima era stata malinconica e silenziosa, si riempì di rumori: di sassi che colpivano l’acqua, di consigli e intimazioni a correggersi dati con una forte voce maschile, di esclamazioni frustrate dati da una voce un po’ più acuta, e da esultazioni e risate espresse da entrambe le voci quando di tonfi nell’acqua se ne udivano due.
Dopo quelli che pensava fossero cinque minuti, il ragazzo controllò l’ora sul suo cellulare. “Cosa… mezz’ora? Ma è molto tardi…” si sorprese. Quei momenti con la sua amata figlia erano volati, e gli erano parsi pochi minuti. “Sei brava, Angel, sei riuscita ad arrivare a due rimbalzi. Vedrai che i prossimi giorni andrà ancora meglio. Ma è ora di rientrare.”
Pazienza. Sarebbero arrivati al lavoro con un po’ di ritardo e con un rimprovero di Shirogane che li aspettava. Ma anche con un bel sorriso, gli occhi vivaci e l’assenza di malumore sul viso di Angel.

Quella sera, al momento di andare a letto, Angel si sentiva turbata, il che era già qualcosa, a confronto del senso di vuoto che aveva provato per alcune sere di fila. Il problema, nella sua mente, era però grave: suo padre le aveva offerto una magnifica opportunità di riscattarsi e di essere utile alla squadra, esattamente come aveva fatto la scorsa estate, quando lei aveva perso il suo potenziamento. Ma tutte le analisi dei pro e dei contro che potevano derivare da questa svolta degli eventi erano bloccate da un punto preliminare.
‘Io non voglio usare un potere che deriva da quel maledetto dio. Preferisco morire, piuttosto!’, pensò indignata. Era per questo, e solo per questo, che aveva rifiutato fin dall’inizio di usare, o anche solo di parlare, del Jinseikou. Non certo perché aveva paura della sua pericolosità come i suoi amici avevano supposto; se si fosse trattato solo della paura del male fisico e dei pericoli, Angel non si sarebbe mai mossa dalla tenda dei nonni. Ma, nonostante avesse ormai la mente molto chiara in fatto di alieni, e avesse capito che non poteva fare di tutta l’erba un fascio con quel popolo così strano, era anche vero che sapeva distinguere assai bene fra individui di quella specie che non avevano colpe o responsabilità dirette e chi si era macchiato di gravi delitti. E il dio che loro chiamavano Profondo Blu era in cima alla lista: era nel suo nome che Flan aveva sterminato un intero mondo. Se non fosse stato per il culto dedicato a lui, niente di tutto quello che loro avevano passato sarebbe mai successo. ‘Mai e poi mai accetterò di utilizzare un qualunque potere che derivi da quello!’, concluse con la mente schiarita infilandosi sotto il piumone.
E però… però… dalle poche spiegazioni che ne aveva dato Masaya, questo potere poteva costituire una grande risorsa, un asso nella manica, contro Flan. Se le cose si fossero messe male, il Jinseikou poteva risultare un’ottima carta da giocare. Se avesse fatto un compromesso ed avesse accettato di usarlo, avrebbero potuto non solo aumentare le possibilità di vittoria, ma lei avrebbe trovato di nuovo quello scopo della sua vita che era andato perduto. Il sentirsi di nuovo utile, poter partecipare attivamente a uno scontro, anche se di sicuro sarebbe durata molto meno dei suoi compagni. Era anche vero che quel potere era potenzialmente mortale per chi lo usava, ma alla fine di questo le importava poco. Il morire era l’ultimo dei suoi problemi: non era la morte che la spaventava, ma morire come una disgraziata, sentendosi inutile per la sua patria e i suoi compagni di battaglia. Che importava se comunque, contro Flan, non avrebbe resistito dieci minuti per via del suo fisico debilitato? Almeno avrebbe iniziato la battaglia sapendo di poter combinare qualcosa di buono. Andassero poi le cose come dovevano andare.
“No, non voglio usare un potere di quel bastardo!”, ripeté però alla fine del ragionamento, ostinata.
Non sapeva cosa fare. Si trovava di fronte a un bivio. Da una parte c’era il seguire in modo rigido la via che aveva sempre percorso, ossia il mantenersi il più lontano possibile da individui spregevoli e senza onore. Dall’altro, con il compromesso di accettare di utilizzare un potere di quel dio, poter rendersi utile per chi doveva proteggere e aiutare, e dare di nuovo uno scopo alla sua esistenza. Angel pendeva per l’una o per l’altra, e non si sapeva decidere. Nessun insegnamento che i suoi amici e i suoi genitori le avevano dato nel corso dell’anno passato la potevano aiutare; non trovava un appiglio che la aiutasse a decidere in nessuna delle cose che le avevano detto. Cadde infine in un sonno agitato, mantenendo una sorta di coscienza propria della veglia.
‘Nonno’, chiamò nel pensiero, sentendo che, in una questione delicata come quella, solo Shintaro, che l’aveva cresciuta e le aveva impartito le basi delle sue strutture mentali, poteva darle una risposta chiara e inequivoca. ‘Parla con me, nonno. Se c’è un momento in cui ho bisogno del tuo aiuto e delle tue parole, è adesso.’
Si tirò su e si alzò in piedi. L’ambiente intorno era scuro e non si vedeva nulla, ma era sicura di trovarsi ancora nella sua stanza. Non riusciva a distinguere niente perché le persiane erano chiuse e non filtrava la luce dei lampioni. Ma le parve di avvertire la presenza di qualcuno, anche se poteva benissimo essere un’illusione. Il dubbio le si fugò quando udì chiaramente una voce, l’unica voce che avrebbe senza dubbio riconosciuto fra altre mille simili.
“Eccomi, nipote: sono qui.”
Angel dovette sbattere le palpebre alcune volte per mettere bene a fuoco quello che vedeva. Dopo altri secondi, riuscì finalmente a capire con chi stava parlando: non importava che l’ambiente fosse buio, riusciva a distinguere con chiarezza la persona con le braccia conserte che aveva di fronte. I lineamenti, il viso e la corporatura di suo nonno non avrebbe potuto confonderli con quelli di nessun altro. Solo che lo vedeva diverso da come lo aveva lasciato: non era incurvato, coi capelli ingrigiti, gli occhi stanchi e l’espressione segnata dalle fatiche della vita e dalla vecchiaia prematura, ma era radioso come pensava di non averlo mai visto. Neanche nei suoi ricordi più lontani riusciva a far coincidere la sua immagine con quello che ora vedeva. Qui Shintaro era imponente nella sua altezza e stazza, con i capelli neri come la notte, gli occhi grigi brillanti e sani, il viso giovane, la postura fiera e un corpo pieno di salute. Forse quando ancora Flan non aveva colpito sconvolgendo la sua vita, poteva aver avuto un aspetto come quello. In ogni caso, il modo in cui la guardava era rimasto sempre lo stesso, uno sguardo intriso di profondo e virile affetto, e fra tutti, era uno sguardo che aveva sempre rivolto solo a lei. Era la prima volta che lo vedeva così, e ora che era quasi una donna, Angel per la prima volta lo contemplò con ammirazione, pensando per la prima volta, nella sua mente femminile, quanto fosse bello come uomo in sé, e non semplicemente perché era suo nonno. Negli ultimi tempi in cui era stato in vita, le aveva suscitato istinti di tenerezza e protezione per via della sua debolezza e della malattia, ma ora invece il vigore del suo fisico le incutevano un rispettoso timore. Se questa visione fosse avvenuta poco dopo la sua morte, Angel come prima reazione istintiva gli si sarebbe buttata tra le braccia, come avrebbe fatto da bambina, tenendolo stretto per assicurarsi che non potesse mai andar via. Ma, dopo tutto quel tempo, aveva raggiunto un grado di maturità e crescita che le impediva di abbracciare una persona verso cui provava quell’immenso rispetto e devozione, anche se si trattava di suo nonno. Quindi, senza avvertire impulsi di desiderio di vicinanza fisica, rimase ferma dov’era, continuando però ad ammirare l’uomo con gli occhi.
“Penso che sai già cosa mi è successo, nonno: ho un potere che potrebbe darci degli elementi in più per vincere contro quell’alieno, ma… è un potere che deriva direttamente da un nostro vecchio e terribile nemico. Deve avermelo trasmesso mio padre, e lui stesso si è offerto di insegnarmi a controllarlo. Nonno, io non lo voglio usare! Me l’hai insegnato te: non bisogna avere niente a che fare con individui senza onore, né con le cose che li riguardano. Non mi importa niente che sia un attacco pericoloso anche per chi lo usa. Non è questo il problema, è che non voglio macchiare il mio onore. Sai che per un vero guerriero l’onore è tutto. Ma se lasciassi perdere l’onore e lo usassi, potrei essere di nuovo utile alla mia squadra, e Tokyo e il Giappone avranno più possibilità di salvarsi. Dimmelo, nonno, cosa devo fare?!” chiese, agitata e con enfasi, Angel.
Shintaro la fissò a lungo negli occhi prima di parlare, tanto che a un certo punto lei, per il disagio, dovette abbassare lo sguardo.
“Chiedi a me un consiglio? Pensi veramente che io abbia ancora qualcosa da insegnarti, che te non sai?” rispose alla sua domanda con altre domande, il nonno.
“Sai sempre tutto, nonno. Sai molte più cose e hai molto più giudizio di me. Solo te puoi darmi una risposta. Dimmi cosa devo fare, e lo farò!”, insisté Angel, continuando a tenere lo sguardo basso.
“C’è una sola persona che può chiarire i tuoi dubbi: tu”, disse allora Shintaro con accento grave.
Angel alzò la testa e lo guardò in viso. “Io, nonno?”, chiese meravigliata.
“Non c’è più nulla che io sappia che non sappia anche tu. Non c’è nulla, che possa essere schiarito da me, che non possa essere schiarito anche da te”, rispose il nonno, serio. “Una volta era diverso, ma ora hai tutti gli elementi per trovare la risposta da sola.”
Angel abbassò appena gli occhi, pensierosa. “Forse, allora… il boss l’altro giorno mi aveva detto… che lui ha provato su se stesso un DNA modificato che il suo corpo non poteva tollerare, e ha fatto questo solo per proteggere noi… o meglio, le mie compagne. Quello che più desiderava, era vedere il progetto portato a termine, ma iniettandosi quel DNA avrebbe anche potuto morire subito, non realizzando quello che voleva. Però l’ha fatto per noi, ha messo da parte quello che per lui era importante per il bene di altri.”
Rialzò gli occhi per guardare suo nonno, che la fissava in silenzio. “Anch’io dovrei fare così. Devo essere disposta a scendere a questo compromesso, se è per un bene superiore. Anche se facendo così verrò meno ai miei principi, anche se potrei morire.”
Shintaro socchiuse gli occhi. “Sagge parole, Angel”, annuì appena. “Te l’ho detto: sei diventata completamente diversa da quando ci siamo lasciati.”
La ragazza accennò un sorriso. “È vero, nonno, ma non per merito mio, te lo assicuro.”
“Voglio che ti ricordi una cosa, Angel. E non devi dimenticarla”, aggiunse l’uomo con tono fermo.
“Sì, nonno”, rispose rispettosa lei.
“Voglio che tu sappia che, qualunque cosa accadrà, sarò sempre orgoglioso di avere una nipote come te”, le disse facendo un lieve inchino, col tono virile e rispettoso sporcato di commozione.
Dopo questa virile dichiarazione d’amore, ad Angel parve che l’immagine dell’uomo stesse incominciando a sbiadirsi. Era meno nitida, più effimera. Una consapevolezza la raggiunse: quella era l’ultima volta che suo nonno le avrebbe parlato. Era stato un punto fermo fin dalla sua più tenera infanzia, solido e sempre presente nella sua crescita e nella sua formazione: lui l’aveva nutrita, le aveva insegnato a parlare, a camminare, l’aveva fatta giocare, l’aveva portata in braccio, l’aveva educata insegnandole tutto quello che sapeva, aveva costruito le basi solide di quello che era ora, ed Angel gliene sarebbe stata grata per sempre. Ma ora non aveva più bisogno di stare nella sua ombra. Tutto quello che lui aveva potuto spiegarle, insegnarle e rivelarle, lei le aveva interiorizzate, e tutte le cose nuove che aveva imparato nell’anno appena trascorso non derivavano da lui. Era il momento di lasciare il nonno confinato nei ricordi, dove era giusto che restasse. Continuò a fissare il suo vecchio antenato con profondo rispetto che trasudava dal suo sguardo adulto, finché la sua immagine non si fu dissolta e rimase di nuovo sola nel buio della stanza. Solo allora chinò la testa in segno di congedo.
“Grazie, nonno. E… addio.”

Il giorno dopo, tutto proseguì nella solita routine. I ragazzi ormai parevano essersi abituati allo strano modo di comportarsi di Angel e dell’aria che ultimamente assumeva, anche se stavolta aveva qualcosa di diverso. Più che distaccata, sembrava essere come in uno stato di sospensione: era evidente a tutti che, anche mentre aiutava Keiichiro in cucina – divenuto il suo compito fisso ed immutabile da quando si era sfregiata il viso – pensava palesemente ad altro. Per sua fortuna, non si occupava di qualcosa che comportava il contatto col pubblico, e quindi poteva permettersi questo lusso senza che Ryou la richiamasse. Ormai tutti avevano fatto il callo a questa sua aria strana che si portava appresso da un po’, e nessuno ci faceva più caso. Soltanto a mezzo pomeriggio, in un momento in cui non c’erano clienti, le cose si chiarirono.
Approfittando della mancanza di gente nel bar, i ragazzi si erano riuniti nella sala, come erano soliti fare per scambiare due chiacchiere nei momenti di pausa. Angel era lì con loro ma, invece di stare rivolta verso i suoi amici, guardava con intensità dalla finestra.
“Dimmi, che ha il paesaggio urbano di così interessante?”, le chiese a un certo punto Minto con ironia, interrompendo la chiacchierata.
Ichigo, che osservava sua figlia da un po’, approfittò di quella frase per avvicinarsi e sbirciare da dietro la sua spalla. “Cos’è che guardi?”
Fuori le ombre si stavano allungando. Ancora era inverno, e la notte calava presto. Non era nuvoloso quel giorno, il sole arancione si stava nascondendo dietro gli edifici e, nella sua luce calante, dei grattacieli che gli si stagliavano davanti erano tinti di luce rossa. Ed Angel stava guardando quelli, più che il paesaggio nella sua interezza.
“In certi momenti della giornata, il profilo di Tokyo può essere davvero bello, è vero”, annuì Ichigo.
Ma Angel non sembrava affatto colpita dalla bellezza intrinseca dello spettacolo di luce. Anzi, il suo sguardo non era rapito, ma estremamente serio. Si girò verso i suoi amici.
“Vedete quei grattacieli là? Sembrano coperti di sangue. Beh, fra non molto i palazzi di questa città coleranno sangue davvero.”
“Pessimista è un eufemismo”, commentò Ryou, che stava appoggiato al muro a braccia incrociate.
Tutti la guardavano interdetti e a disagio, per quelle parole funeste.
“Ma!”, esclamò Angel a quel punto con gli occhi duri. “Non sarà il nostro. Sarà il sangue di Flan!”
I ragazzi spalancarono gli occhi a quella conclusione. “Ma cosa ti è successo, Angel-san?”, le chiese Retasu, preoccupata. “In questi giorni parevi così… sembrava che non ti importasse più niente della nostra missione.”
“Ve lo dico io”, se ne uscì Minto. “Si è data una svegliata!”
“Questo è parlare”, approvò però Ichigo, con un sorriso. “Grinta e voglia di andare fino in fondo!”
“E quel brutto alieno  avrà quello che si merita” esclamò Bu-ling, scrocchiandosi le dita.
“Ma questo, Angel, significa che…?”, iniziò Masaya, lasciando la frase in sospeso.
Angel lo guardò. “Sì. Ci ho pensato. Va bene”, disse inchinandosi piegando la testa.
“Davvero?”, chiese il ragazzo emozionato. “Dunque accetti!”
“Cosa-cosa-cosa?”, si mise a dire freneticamente Bu-ling. “Non lasciateci in sospeso. Dite a Bu-ling tutto!”
“Il Jinseikou”, rispose Masaya. “Insegnerò Angel ad usarlo, come l’ho addestrata l’estate scorsa.”
Zakuro fece un lieve sorriso. “Saggia decisione. Qualunque arma in più ci potrà essere utile.”
“Ah-ehm!”, si schiarì la voce Ryou. “Fino a nuovo avviso, qui non si prendono decisioni senza la mia approvazione. Ricapitoliamo.” Passò lo sguardo da Angel a Masaya. “Ho capito bene? Volete sperimentare un potere distruttivo come quello in mezzo alla città? Volete seriamente allenarvi qui vicino? Sapete che succederebbe se quel potere dovesse sfuggire al vostro controllo? Soprattutto a lei?”
“No, infatti, Shirogane-san”, si spiegò Masaya. “Pensavo di portarla per un po’ di giorni in un luogo in cui non si trovano persone. Per esempio sulle Alpi Giapponesi. Non sono molto lontane da qui, ma presentano comunque dei luoghi disabitati che sarebbero adatti.”
“Ma Masaya”, protestò Ichigo. “Come farò se ve ne andate via? Non vi vedrei più per un sacco di tempo…”
“Tranquilla, Ichigo, il problema non esiste”, intervenne Ryou. “Non potete partire”, disse fermo a Masaya.
“Cosa?! Perché?”, chiesero lui ed Angel insieme.
Ryou scosse la testa. “Non abbiamo idea di quando Flan attaccherà. Non possiamo permetterci, nessuno di noi, di mancare da Tokyo anche per un solo giorno. Se lui dovesse colpire quando manca qualcuno, saremmo scoperti. Mi dispiace”, concluse guardando con comprensione Angel, che lo fissava con la delusione e l’amarezza negli occhi. “Dovrete fare a meno del Jinseikou, per forza.”
Angel chinò la testa fissando i pannelli del parquet. Retasu le si avvicinò per consolarla. “Non farne una tragedia, Angel-san, tu sei fortissima anche senza quel potere. Hai vinto contro Waffle pur non avendo l’arma potenziata, non hai bisogno del Jinseikou per fare la tua parte contro Flan.”
Angel alzò la testa guardandola con gratitudine, ma era evidente che quelle parole non le bastavano. Se solo Retasu, e tutti gli altri, avessero saputo come stavano realmente le cose… In quel momento, entrò un gruppetto di ragazze, e tutti spezzarono la conversazione tornando alle loro solite occupazioni.

Quella sera Angel andò a letto maledicendo gli antenati di Ryou fino alla settima generazione che l’aveva preceduto. Sapeva che non era giusto, e che il boss era stato lucido e razionale dicendole una cosa simile, eppure non riusciva ad evitare di essere arrabbiata con lui. Era vero, non potevano, lei e suo padre, allontanarsi per molti giorni di fila – anzi, neanche per uno – lasciando con solo le altre cinque Mew Mew a proteggere Tokyo. Anche se avevano avuto tutte il loro potenziamento, non potevano correre il rischio enorme di privarsi di due membri della squadra, di cui uno era tra gli elementi più forti. Ma con quelle parole così logiche, Ryou aveva spezzato, di nuovo, l’obiettivo che la ragazza si era prefissata. Poter utilizzare quel nuovo potere era l’unico modo in cui avrebbe potuto essere utile alla sua squadra; tolto quello, cosa le rimaneva? Si ritrovava al punto di partenza, con la depressione e la disperazione che stavano tornando ad afferrarle l’anima.
“Maledetto boss, te e chi t’ha fatto”, ringhiò, lieta che non potesse sentirla, affondando la faccia nel cuscino.
E tutto questo per cosa? Perché non si sapeva quando quel dannato guercio avrebbe colpito. Se Angel o un altro dei compagni avesse potuto risolvere questo dubbio, sarebbe stata bell’e fatta. Ma così…
Eppure le pareva che ci potesse essere un modo per trovare la risposta. Anzi, che essa fosse già nota, ma nel frattempo stava provando quella sensazione sgradevole di quando si vuol pronunciare una parola ovvia e scontata, ma quella rimane sulla punta della lingua e non c’è modo di pronunciarla. E questo la rendeva ancora più nervosa.
“Sono sicura di saperlo… io lo so quando Flan attaccherà. Ma allora perché di fatto… non lo so?”, si chiedeva mordendosi il labbro inferiore con energia, sentendo un brutto aroma di ferro.
Si sentiva stanca e spossata ma, nonostante questo, si tirò su a sedere. Questa volta non avrebbe dormito. Si alzò in piedi, andò ad aprire piano la porta della camera e sbirciò nel corridoio. Tutte le luci erano spente, comprese quelle delle stanze dei suoi capi, che si trovavano al lato opposto del corridoio. Di sicuro già dormivano della grossa: non avrebbero potuto interromperla.
Quindi richiuse la porta, accese la luce della camera, si sedette a gambe incrociate sul letto e, facendo mente locale, cercò di richiamare tutti i ricordi della sua esistenza, fin dai suoi giorni più remoti, fin dalla più sfumata memoria, scandendo i giorni uno per uno. Tentò di riportare alla mente ogni frase che aveva pronunciato, e ogni frase che aveva sentito pronunciare, dalla bocca di qualunque persona che aveva incrociato nella vita: dai nonni, ai suoi compagni, ai suoi capi, a Flan, a Waffle, ai tanti individui con cui aveva parlato una volta sola e che poi non aveva visto più…
Alle cinque del mattino, quando ormai era mezza morta di sonno ma ancora con gli occhi spalancati, una scintilla le scoccò nella testa.
“Da piccolo mio padre mi ha obbligato a fare i due mesi di lutto dopo la morte di mia madre. Quando uno della nostra famiglia muore, per due mesi non possiamo né combattere né fare altre attività che ci distraggano dalla preghiera. Però ha aspettato che avessi dieci anni per farmelo fare, quando lei è morta ero troppo piccolo per capire.”
Waffle! Quella notte di novembre quando si erano parlati, seduti sul grattacielo! Allora lui gliel’aveva buttata là, lei non ci aveva quasi fatto caso e aveva velocemente rimosso quel particolare dalla mente, ma il punto era in quelle poche frasi.
La ragazza iniziò velocemente a ragionare, facendo dei gesti frenetici con le dita come a cercare di tenere il conto. “Ecco perché Flan ha detto che ancora non poteva attaccarci… doveva rispettare il periodo di lutto per la morte di suo figlio… e ha detto che Profondo Blu lo avrebbe perdonato per qualcosa che aveva infranto… ma certo! Avrebbe dovuto iniziare il periodo di lutto il 25 dicembre, ma invece l’ha rimandato per poter sterminare la Tokyo da cui sono venuta… e in quel periodo ha anche completato lo sviluppo dei suoi poteri… questo si capiva da come poi ci ha parlato… ma certo! Tutto torna! E quando è riapparso davanti a noi aveva appena iniziato il lutto… e che giorno era? Che giorno era?”
Si grattò la testa arruffandosi i capelli un paio di volte. “Era il 18 gennaio! Quindi, contando altri due mesi… il 18 marzo! Ecco quando attaccherà!” concluse con il sudore freddo che le inumidiva il corpo.
Senza aspettare oltre, saltò giù dal letto e corse fuori in pigiama e a piedi nudi, spalancando la porta della camera di Ryou. Ma, una volta lì, recuperò un po’ di contegno e non se la sentì di accendere la luce e dare un pugno contro lo stipite della porta, come aveva fatto il giorno dopo il suo arrivo. Si avvicinò in punta di piedi al letto. Ryou dormiva disteso sulla schiena, con le coperte che gli coprivano quasi solo le gambe, un braccio buttato giù e l’altro che gli copriva gli occhi. Angel si accucciò e gli sussurrò all’orecchio, in modo quasi rispettoso:
“ehy, boss?”
Ryou lasciò andare un verso contrariato nel sonno, e non si mosse.
“Boss, ti svegli?”, insisté Angel alzando un po’ la voce.
Ryou allora, senza togliersi il braccio dagli occhi, con l’altro iniziò a cercare tastando e, quando ebbe trovato Angel con la mano, le diede una spinta per allontanarla, facendola sbilanciare e cadere all’indietro.
Allora lei perse la pazienza, si avvicinò di nuovo e si arrampicò sul letto, mettendosi a cavalcioni sopra il busto del ragazzo e iniziando a scuoterlo per le spalle.
“Boss, accidenti a te! Ti vuoi svegliare?!”
Non riuscì a capire il perché, ma a un certo punto sul viso del suo capo, che aveva ancora gli occhi coperti dal braccio, si accennò un lieve sorriso compiaciuto. Angel non aveva idea di cosa gli stesse passando per la testa, e nemmeno le importava. Dopo che l’ebbe scosso un altro po’, Ryou alzò appena il braccio e diede una sbirciata. Nel buio, Angel notò che i suoi occhi rispecchiavano lo stato d’animo della sua bocca: come se avesse piacere che lei si fosse sistemata lì.
Ma, dopo un attimo, il ragazzo si rese conto di chi si trattasse. Si tolse il braccio dalla testa e guardò Angel negli occhi con i suoi spalancati ed attoniti. Quando la ebbe identificata, cacciò un gridò di orrore, al quale lei, colta di sorpresa, iniziò ad urlare a sua volta. Subito Ryou le diede una manata, buttandola giù dal letto, e tirandosi poi su a sedere.
“Mio Dio! Che stavi facendo lì… sopra di me?!” le ruggì rabbioso e coprendosi la faccia con le mani, lasciando scoperti solo gli occhi scioccati.
“Se ti svegliavi subito, non arrivavo a mettermi lì!”, protestò piccata Angel, che era finita contro il muro.
“Non farlo mai più!”, le gridò contro lui, imbarazzatissimo. “Seduta sopra di me in quel modo… oddio… non oso immaginare cosa ti passava per la testa…”
“Ma che discorsi fai?”, chiese confusa Angel a quel punto. “Sembrava addirittura che ti piacesse.”
“Non lo sapevo che eri tu!”, rispose lui, nervoso e con la vergogna che trasudava dalla voce.
“Beh, e chi credevi che fosse?”, chiese ancora lei, rialzandosi.
“Basta, basta con queste domande!”, le ingiunse a quel punto lui. “Perché sei venuta a svegliarmi?”, le chiese cercando di dare alla sua voce un tono normale. “Spero per la tua incolumità fisica che sia qualcosa di serio.”

Alle cinque e mezzo, il telefono di Masaya squillò. Il ragazzo si svegliò di botto, con gli occhi appestati di sonno. Chi poteva mai essere a quell’ora, così presto? Si portò il cellulare all’orecchio senza nemmeno controllare sullo schermo chi fosse quel pazzo che lo stava chiamando.
“Pronto?...” chiese nervoso e strascicando la voce.
“Sono Shirogane, Aoyama. Potete andare ad allenarvi”, rispose la voce sicura dell’interlocutore.


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...a questo capitolo abbinerei la canzone "Sound the bugle" di Bryan Adams. Questa. Ci sta benissimo secondo me, sia per la depressione in cui si trova Angel all'inizio, sia per la ripresa e la grinta finale che sembra trasmetterle suo nonno.

A proposito del nonno, un appunto: questa serie non è religiosamente orientata, affronta il tutto in modo assolutamente laico e senza propendere per una visione materialista o spiritualista. Quindi la parte del sogno di Angel può essere interpretata in diversi modi, secondo la coscienza del lettore. Siete liberi di pensare che suo nonno le sia apparso e le abbia parlato per davvero, oppure che il tutto sia stato in realtà solo un monologo di Angel, e in realtà lei non ha parlato con nessuno ma si è ripetuta concetti che già sapeva per incoraggiarsi. In ogni caso, sia che suo nonno le abbia parlato veramente, sia che no, la conclusione è sempre la stessa, ossia che la risposta la trova lei, e non gliela dà lui. Quindi entrambe le visioni sono valide e non influiscono sulla trama, scegliete quella che preferite.

Al prossimo aggiornamento, e grazie per le eventuali recensioni e il vostro supporto!

PS: l'ispirazione per la scena in cui Angel e suo babbo fanno rimbalzare insieme i sassi sull'acqua mi è venuta grazie alla Sara. Non specifico oltre, ma lei capirà. Grazie, Sara! <3

   
 
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