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Autore: MackenziePhoenix94    19/05/2018    0 recensioni
"L'uomo che voleva divertirsi con me giace a terra con un profondo taglio alla gola. In piedi, davanti al suo corpo, c'è un altro detenuto che stringe nella mano destra un punteruolo affilato: ha il fiato ansante e la maglietta bianca che indossa è sporca di sangue.
E' T-Bag".
Tutto quello che Nicole Baker vuole, è ricominciare una nuova vita lontano dal luogo in cui è cresciuta, e sembra essere sulla strada giusta quando viene assunta come dottoressa a Fox River: un carcere maschile di massima sicurezza a Joliet, nell'Illinois.
Nicole non sa nulla del mondo che si snoda dietro le sbarre di una cella ma, come le raccomanda il direttore Henry Pope, tutto ciò che deve conoscere è racchiuso in una semplice regola: mai innamorarsi di un detenuto.
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, T-Bag, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Sollevo gli occhi dal foglietto che ho tra le mani e guardo le imponenti mura che sorgono a pochi passi di distanza da me; è praticamente impossibile sbagliarsi, non possono che appartenere a Fox River, un carcere maschile di massima sicurezza.

 Mi avvicino al citofono, schiaccio il piccolo pulsante e resto ferma, in silenzio, in attesa di una risposta che non tarda ad arrivare sottoforma di un ordine: un uomo, sicuramente una guardia, mi chiede d’identificarmi.

“Sono la dottoressa Nicole Baker. Sono qui perché ho un appuntamento con il direttore” rispondo subito; frugo all’interno della mia borsa e poi posiziono un foglio, che dimostra la veridicità di quello che ho appena detto, davanti alla telecamera posta sopra il citofono.

Sento un rumore metallico, qualcuno apre l’altrettanto imponente cancello ed un uomo mi fa cenno di entrare velocemente: dall’altra parte c’è un lungo sentiero lastricato che conduce alla porta d’ingresso di un edificio grigio, mentre ai lati di esso ci sono due alte recinzioni, con tanto di filo spinato, che delimitano due prati tenuti con estrema cura.

 In entrambi ci sono delle tribune ed un campo da basket, capisco subito che sono i posti in cui i detenuti trascorrono il loro tempo libero e dentro di me tiro un sospiro di sollievo perché non sono arrivata proprio in quel momento.

Non sono ancora pronta all’idea di dover ignorare apprezzamenti pesanti o fischi; so che è una cosa normale per chi lavora in un posto simile dal momento che ci sono uomini che non vedono una donna da anni, ma preferisco posticiparlo il più a lungo possibile.

La guardia mi porta all’interno dell’edificio grigio situato alla fine del sentiero e mi conduce fino alla porta di un ufficio, bussa due volte prima che una voce femminile risponda; ci accoglie una donna con i capelli castani, corti, pettinati con estrema cura, che indossa un completo color cipria: a giudicare dal suo aspetto non può che essere la segretaria del direttore e poco dopo, infatti, mi dice che il suo Capo è pronto a ricevermi.

Apre la porta di un altro ufficio e quando entro resto totalmente spiazzata da un modellino, costruito a metà, del Taj Mahal che occupa quasi tutta la superficie di un pesante tavolo di legno scuro.

“Le piace?” mi domanda un uomo ormai vicino ai sessant’anni, con i capelli grigi lisciati con cura e con un paio di baffi della medesima tonalità.
“È bellissimo, chi lo sta facendo è davvero un artista” rispondo io, continuando ad ammirare la costruzione.

“Se ne sta occupando una persona di fiducia. È un regalo per mia moglie dato che a breve ci sarà  il nostro anniversario di matrimonio. Durante uno dei nostri viaggi è rimasta letteralmente stregata dall’originale”

“Immagino” commento a bassa voce, provando una punta d’invidia per la ricca coppia: per un momento penso a tutti i meravigliosi viaggi intorno al mondo che i due hanno sicuramente fatto, ma poi è lo stesso direttore a riportarmi alla realtà presentandosi.

“Henry Pope”

“Nicole Baker” rispondo prontamente, stringendo la mano che mi offre dall’altra parte della scrivania; mi domanda se ho incontrato difficoltà a trovare il suo carcere e quando rispondo con un cenno negativo della testa inizia a raccontarmi tutto ciò che devo sapere su Fox River: mi spiega che ci sono due Bracci (il Braccio A ed il Braccio B), che l’edificio dell’amministrazione è posizionato a sud mentre l’infermeria è situata dalla parte opposta del Braccio A ed è direttamente collegata ad esso.

“Questo perché lì dentro è concentrata la maggior parte dei nostri detenuti, ma lei non si deve preoccupare, dottoressa” precisa subito per tranquillizzarmi “in infermeria ci sono sempre delle guardie a controllare la situazione e quando un detenuto ha bisogno di cure prendiamo sempre tutte le dovute precauzioni. Da quando sono direttore non è mai accaduto nessun fatto grave e nessuno dei miei dipendenti è mai stato aggredito”

“In ogni caso so badare a me stessa”

“Sono contento di sentirglielo dire… Ahh… Dottoressa, c’è un’altra cosa che deve sapere”

“Mi dica, direttore” rispondo tornando a sedermi; il cuore inizia a battermi con più forza nel petto perché ho l’impressione di essere in procinto di sentire parole per nulla piacevoli.

“Io penso che ognuno abbia diritto ad una seconda possibilità, dottoressa, ma non dimentichi mai che ha a che fare con uomini che hanno commesso anche azioni più gravi di un semplice omicidio. Sto parlando di detenuti che sanno come manipolare le persone e che non si faranno scrupoli ad approfittare di una ragazza giovane come lei. E se dovesse capitarle una situazione poco chiara venga subito a riferirmela. Come le ho detto prima: da quando sono direttore non è mai accaduto nessun fatto grave e non voglio che la situazione cambi”

“Non si deve preoccupare, direttore. Farò esattamente ciò che mi ha chiesto”.

Non sono più una bambina da tempo, ormai, ed anche se questa è la prima volta che lavoro dentro un carcere so perfettamente che non bisogna mai lasciarsi abbindolare dalle parole di un detenuto; molti di loro lo fanno per passare il tempo o per riuscire ad estorcere qualche favore, raramente dietro c’è un vero interesse e comunque non è mai una buona idea avere una relazione sul posto di lavoro, soprattutto con una persona che, magari, è costretta a passare il resto della sua vita dietro le sbarre.

Non sono preoccupata da questa cosa, però, perché so che a me non accadrà.

Dopo la nostra breve chiacchierata Pope mi congeda e lo stesso fa la sua segretaria con un sorriso affabile; quando esco nel corridoio mi ritrovo faccia a faccia con una ragazza dai vaporosi capelli rossi che indossa una divisa azzurra, da infermiera: anche lei allunga la mano destra e si presenta.
“Sono Karla, ho il compito di accompagnarti in infermeria e di mostrarti il tuo Studio. Posso darti del ‘tu’? sei così giovane che mi farebbe strano darti del ‘lei’, anche se sei una dottoressa”

“Non preoccuparti, non sono una persona che guarda queste formalità” la rassicuro cercando di rispondere al suo sorriso; mentre c’incamminiamo verso l’altro edificio mi racconta che si trova a Fox River per un tirocinio di sei mesi e che la vita, qua dentro, non è così difficile una volta che ti abitui ai ritmi della prigione.



 
L’infermeria è una struttura simile a quella dell’amministrazione; si sviluppa in due piani: sotto c’è l’ingresso e la zona riservata alle guardie mentre sopra ci sono due piccoli uffici ed una stanza con diversi lettini per i pazienti.

Karla mi dice che a me spetta lo Studio situato a sinistra ed allora le chiedo a chi appartiene quello a destra.

“Alla dottoressa Sara Tancredi”

“Tancredi? Come il governatore?”

“Si, è sua figlia”.

La sua risposta mi sorprende, perché mai la figlia di una personalità così illustre ha scelto come posto di lavoro una prigione? Lascio che questa domanda senza risposta abbandoni la mia mente ed entro nel mio nuovo, piccolo, Studio personale, dotato appena di una scrivania, una sedia, un computer, uno scaffale ed una finestra con vista sul cortile del Braccio A.

Karla mi lascia da sola perché ha altro di cui occuparsi ed a me non resta che togliermi la giacca e la borsa a tracolla ed indossare il camice bianco che qualcuno ha gentilmente lasciato sull’appendiabiti; prendo posto dietro la scrivania e rivolgo lo sguardo verso la finestra.

Pope ha spiegato che il mio turno inizia alle nove di mattina e finisce alle nove di sera ed ho diritto ad una pausa pranzo dall’una alle due di pomeriggio; di conseguenza non posso fare altro che aspettare e sperare.

Dopo pochi minuti qualcuno bussa alla porta: si tratta di una giovane guardia con gli occhi scuri ed i capelli lunghi, che scendono in tante onde da sotto il berretto d’ordinanza fino a sfiorargli le spalle.

“Spero di non disturbarla, dottoressa. Volevo darle il benvenuto” dice sorridendo timidamente “mi chiamo Adam e mi devo occupare della sua sicurezza… Cioè… Della sicurezza sua e dell’infermeria… Perché io…”

“Ho capito perfettamente quello che volevi dirmi, Adam, ti ringrazio per la tua premura”

“L’ho fatto con piacere” risponde lui con un altro sorriso, prima di allontanarsi e lasciarmi nuovamente da sola.



 
Manca poco alla fine del mio primo giorno di lavoro a Fox River e proprio quando, ormai, ho perso ogni speranza, nel mio Studio entra una guardia e mi dice che hanno urgentemente bisogno del mio aiuto per un detenuto; mi alzo dalla sedia e lo seguo nella stanza affianco, dove dei suoi colleghi si stanno occupando di far sdraiare un uomo sul materasso di un lettino e di ammanettarlo con cura ad esso, in modo che non possa essere un pericolo per sé stesso o per noi dello staff medico.

“Che cosa è successo?” domando, noto che perde del sangue dal naso e che si regge lo stomaco con la mano destra, senza mai smettere un momento di lamentarsi.

“Non lo sappiamo. Lo abbiamo trovato in queste condizioni in uno dei capannoni e lo abbiamo portato subito qui. Questa è la sua cartella clinica. Vuole che restiamo, dottoressa?”

“No, uscite pure” dico, senza la minima esitazione, mentre prendo in mano la cartella rigida; la apro e cerco velocemente il suo nome “allora, signor Bagwell, che cosa le è successo? È in grado di raccontarmelo?”

“Ma non vedi che ho bisogno di un antidolorifico? Non c’è della morfina qui dentro? Qualcosa che non mi faccia più sentire questo dolore insopportabile?” risponde lui a denti stretti, continuando a lamentarsi, ed io già capisco di trovarmi davanti ad un caso complicato.

“Lasci che sia io a decidere quello di cui ha veramente bisogno, signor Bagwell. Ora dovrebbe smetterla di lamentarsi e stringere i denti perché così mi rende tutto più difficile. Devo visitarla per controllare se ha qualcosa di rotto e se non collabora sarò costretta a richiamare dentro le guardie e sono sicura che i loro metodi non saranno altrettanto gentili”.

Incredibilmente apre gli occhi, smette di gemere e distende le labbra in un sorriso che mostra due file di denti perfetti, bianchissimi.

“D’accordo, dottoressa, come vuole lei”.

Si lascia visitare senza più pronunciare una sola parola e questo comportamento è così strano che mi sfiora il sospetto che quella di prima sia stata solo una sceneggiata.

“Non sembra esserci nulla di rotto, ma per sicurezza le farò fare qualche esame più approfondito e per questa sera è meglio che rimanga qui. Può dirmi come è successo?”

“Posso avere un antidolorifico?”.

Queste sono le uniche parole che escono dalla sua bocca: decido di rimandare la conversazione ad un altro momento e di accontentarlo somministrandogli qualcosa che gli permetta di dormire senza sentire il dolore dei lividi che si stanno già formando sul  viso e sulle braccia; qualcuno lo ha picchiato selvaggiamente ma è impossibile dire se mi trovo davanti ad un semplice regolamento di conti tra detenuti o se dietro c’è altro.

Ritorno nel mio Studio, mi tolgo il camice, indosso di nuovo la giacca e prendo la borsa a tracolla perché per me è arrivato il momento di tornare a casa.

Quando appoggio la mano destra sulla maniglia della porta sento una voce che mi coglie di sorpresa e mi volto a fissare l’unica branda occupata.

“Si?” domando in tono gentile, cercando di mascherare la paura.

“Dottoressa, mi promette che il suo viso sarà la prima cosa che vedrò domani quando aprirò gli occhi?” mi chiede Bagwell, con il volto leggermente inclinato verso sinistra.
   
 
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