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Autore: sissir7    20/05/2018    0 recensioni
Questa storia è ambientata in un AU dove Jimin è tutt'altro che umano e Tae è un ragazzo che ama la vita e che non ha paura di andare incontro al suo destino, anche se significa rinunciare a tutto quello che ha. Dolore, spensieratezza, paura, amore, bellezza sono i cardini della loro storia che rovescerà ogni certezza e porterà alla consapevolezza che amor vincit omnia, anche attraverso la morte.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Taehyung/ V, Park Jimin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quel Natale fu il giorno più’ incredibile che Jimin avesse mai vissuto nei suoi 300 anni.
Quel Natale capì fino in fondo che non conta il luogo o il tempo che ti circonda, conta solo chi ti è vicino
e Tae era lì come nessuno mai c’era stato per lui.
Nevicava e si tenevano stretti sotto un cielo costellato da decine di fuochi d’artificio che dipingevano il Tamigi di colori accesi.
Si scambiarono i regali e i guanti che Tae disse gli avrebbe regalato glieli regalò per davvero, ed erano davvero bellissimi.
Jimin invece aveva scoperto che lui amava Gucci e gli regalò un maglione costosissimo di quella marca.
La reazione che ebbe Tae fu scioccante; tra le lacrime e l’euforia non smetteva di ridere e ringraziarlo.
Passò anche Capodanno tra giorni freddi ma riscaldati da quell’amore che cresceva poco a poco sempre di più e in modo così naturale,
come se stesse sbocciando un fiore.
I corsi all’università sarebbero iniziati fra qualche giorno e Tae per la prima volta ne era dispiaciuto perché significava non poter più
passare mattine al parco con Jimin o fare tardi la sera guardando film o andare in giro per Londra con Jimin che lo portava sempre in posti diversi e bellissimo.
Si sarebbe dovuto staccare da quella specie di sogno e riconcentrarsi sullo studio.


“Ahhh, non voglio chiudermi in quelle aule e passare ore sui libri.”
Disse con l’umore visibilmente sottoterra.
Erano a casa di Jimin, il sole tramontava e se ne stavano seduti sul morbido tappeto nel salone a mettere in ordine le polaroid che avevano fatto da quando si erano conosciuti.
Jimin sospirò e gli disse che doveva solo riprendere il ritmo, poi tutto sarebbe filato liscio.
Tae si stese a terra e sconsolato strinse un cuscino tra le braccia.
Iniziò a dire qualcosa.
“E’ solo che…”
Fissava il soffitto.
Strinse ancora di più il cuscino al petto.
Il cuore ci martellava contro e Jimin lo sentiva.
“Tae…”
Si alzò e si distese al suo fianco.
“Dimmi cosa pensi.”
Disse Jimin, prendendogli la mano e intrecciando le loro dita.
Tae si voltò verso di lui.
Dopo mesi, quella bellezza era ancora sorprendente e poi gli vennero in mente tutti i ricordi che aveva collezionato con quel ragazzo che era lì,
ad ascoltarlo, a volerlo supportare in quel momento e come aveva fatto da tanto ormai.
Sentiva che era un regalo che la vita aveva deciso di fargli dopo tutto il dolore che aveva sopportato senza poter trovarci un senso.
Un senso che ora aveva davanti.
La risposta che aspettava.
Si girò di lato guardando Jimin dritto negli occhi e disse:
“Penso che ti amo.”
E non si erano nemmeno ancora baciati.
Non c’era un motivo.
Semplicemente ancora non era successo.
Ma in quel momento, Tae sentì un tale desiderio di voler baciare quelle labbra che i brividi gli corsero lungo la schiena velocissimi,
le mani iniziarono a sudare e le labbra d’istinto si separarono come pronte ad accogliere altre labbra.
Jimin era senza fiato, senza speranza, senza raziocinio, senza volontà ormai.
Sentiva ogni centimetro del suo corpo tendere verso quello di Tae che si avvicinò pericolosamente.
Chiuse gli occhi.


Tae poggiò le labbra sulle sue, carnose, bramose.
Si baciarono così lentamente che il tempo sembrò paralizzarsi.
Ogni piccolo movimento delle lingue, delle labbra che si toccavano era lento e dolce e passavano i minuti ma non si stancavano,
non volevano andare più veloce, non desideravano altro che quel sapore piano, pianissimo, invadere le loro bocche.
Tae morse il labbro inferiore di Jimin e poi con le labbra lo succhiò piano, ancora e ancora.
Era una sensazione così piacevole.
Le mani di Jimin scorrevano sulla schiena di Tae che era su di lui.
Si staccarono e si guardavano persi l’uno negli occhi socchiusi dell’atro, bocche umide e aperte, respiri calmi, estasi pura.
Non capivano nulla.
Sentivano il mondo tremare sotto i loro corpi.
Tae voleva di più, voleva divorare non solo quelle labbra, ma quel corpo perfetto che aveva sotto di lui.
Gli vennero in mente pensieri pazzeschi che lo fecero arrossire.
Avrebbe fatto cose a quel corpo che non pensava poter desiderare di voler fare.
“J-Jimin…”
Si baciarono ancora, più sicuri.
Jimin sentiva l’erezione durissima di Tae sul suo ventre e, oh mio Dio, cosa gli avrebbe fatto.
Cosa poteva fargli se solo avesse potuto.
Tae mosse i fianchi per premere contro Jimin ma Jimin lo serrò in una morsa di ferro e lo spostò.
Tae si sentì morire.
Stava per esplodere.
“Jimin! Cosa diamine…”
“Io…io…”
Se ne stava con la testa tra le mani.
Tremava tantissimo, stringeva i pugni, gli mancava il fiato.
Tae vedendolo si preoccupò e si rese conto che qualcosa non andava.
“Hey…cos’hai?”
Si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla.
“Non posso farlo. Non posso…”
Il pianto rese quella voce triste, che faceva male ascoltare.
Tae sospirò.
Non stava capendo niente anche perché l’eccitazione non passava e non sapeva cosa fare,
si sentiva terribilmente incapace di affrontare quella situazione.
Cercò di tranquillizzare il fidanzato, di minimizzare la cosa che in fondo non era così grave.
Magari non era la serata giusta e lui aveva troppo insistito.
Ma Jimin non alzava la testa, non rispondeva, quasi sembrava non respirare neanche.


“Devo dirti una cosa.”
disse dopo un silenzio interminabile e con una voce dura, così profonda che non sembrava sua.
“Certo. Certo, dimmi.”
Fuori era buio ormai.
Tutto taceva.
Jimin si alzò e si asciugò le lacrime.
Tae anche si alzò, con fatica, con un’ansia che gli divorava lo stomaco.
Cosa stava succedendo?
Perché era tutto così strano all’improvviso?
“Ti prego, siediti.”
Tae lo fece e si sedette sul divano.
Jimin si passò la mano tra i capelli scuri e sospirò.
Non voleva trovare scuse, non voleva mentire.
Era stato già troppi decenni incastrato in una bugia che lo stava poco a poco divorando.
Ma non era un atto solo egoistico.
Avrebbe dovuto confessare tutto anche per il bene del ragazzo che amava.
“Tae, io so che quello che sto per dirti…”
Scuoteva la testa.
Non erano le parole giuste.
C’erano parole giuste per dire quella cosa?
“Le parole che stai per sentire sembreranno uscite da chissà quale libro o film sovrannaturale ma…sono una realtà che non  tutti conoscono, che non tutti accettano o credono ma sono comunque una realtà.
Devi credermi. Devi sforzarti di credermi perché se ti sto per confessare questa cosa è perché innanzitutto so che una persona intelligente e sensibile come te può capire, e so anche che mi crederesti perché mi conosci.
Perché io non sono mai stato così sincero con qualcuno se non con te dal primo momento che ti ho parlato.”
Tae aveva un’espressione sul viso indecifrabile.
Si sentiva impazzire.
Sorrise piano ma Jimin rimase serissimo.
“Io sono ciò che vedi ora, Tae. Sono Jimin. Sono quel ragazzo che sembra altezzoso e troppo serio ma che in realtà è timido,
a volte impacciato, che cerca di farti sorridere sempre.
Sono…sono quello che ti parla delle cose che ama con occhi sinceri. Sono quello che vedi, okay? Sono la persona che ami.”
“Sì. Sì, lo sei.” Disse Tae sbattendo velocemente le palpebre.
“Lo sono.”
“Sì”
“Ricordatelo. Dopo ciò che sto per dirti, ricordalo. Ricorda chi sono perché lo sarò per sempre.”
“Jimin…ma cosa dici. Per favore, non scherzare. Se c’è un problema, qualsiasi cosa”
“T-ti prego. Fammi parlare…”
Tae sospirò ed annuì.
Passò qualche secondo e Jimin disse:
“Quando hai letto dell’ Inferno in Dante, quando hai letto del Diavolo in Milton, quando…hai letto Dracula di Stocker, quando hai studiato questa letteratura inglese tu pensavi di star leggendo storie di fantasia, storie di cose impossibili.”
Jimin prese fiato.
Non riusciva a guardarlo negli occhi.
“Non sono impossibili. Non sono finzione. Sono vere. Sono cose che ho visto, che conosco. Sono chi sono.”
Nella stanza tutto sembrò più cupo, angosciante, pesante.
A Tae girò la testa.
“Non…non è così. Ma cosa…”
Scuoteva la testa a quelle parole.
Erano assurdità.
Erano uno scherzo durato fon troppo a lungo.
“Jimin, non so cos’hai ma parliamone domani, okay?”
Lo disse quasi scocciato ma Jimin non lo ascoltò.  
“Io, ciò che vedi, non è umano. Sono un demone. Sono…sono senz’anima. La mia storia è complicata e assurda ma mi devi credere.”
“Dovremmo andare a dormire, okay? Hai bisogno di dormire, Jimin. Deliri. Non so se è per quello che è successo poca fa ma…”
Tae sorrideva.
“Bene. Okay. Non volevo mostrartelo. Io non voglio ma non ho scelta. Se veramente vogliamo che tra di noi ci sia qualcosa di unico, se veramente vuoi me… devi guardare ora e devi credere.”
“Va bene. Fammi vedere.”
Tae incrociò le braccia, quasi a prenderlo in giro.
Jimin sapeva che quello era l’unico modo e allora chiuse gli occhi e iniziò a parlare in una lingua che Tae non aveva mai sentito.
Tutto quello che sentiva era solo un senso di inquietudine.


Quando Jimin riaprì gli occhi, non erano umani.
Erano di un rosso profondo, rosso sangue, caldo e brillante.
La pelle divenne ancora più chiara, quasi trasparente e le vene blu divennero nere sotto la pelle sottilissima.
Le labbra persero il loro colorito.
Sembravano marmo.
Tae indietreggiò.
Aveva la nausea e non controllava il tremore alle mani, alle gambe.
Una sorta di aura nera avvolse Jimin che separò le labbra facendo vedere i lunghi canini.
Le luci in casa andarono ad intermittenza per qualche secondo e quando ritornò la luce quell’aura nera introno al corpo di quell’essere
sparì come alla fine di una magia oscura.
Tae ormai non si reggeva e finì in ginocchio, con il viso imperlato di sudore e il fiato corto.
Jimin parlò ancora ma stavolta si capì cosa disse.
Gli sorrise.
“Lo so. Neanche a me piace ciò che vedi.”
Gli occhi rossi si abbassarono. Erano così tristi. Quella creatura dall’aspetto inquietante appariva in realtà agli occhi di Tae così vulnerabile.
Lo guardava.
Lo stava guardando bene.
Vedeva quella pelle bianchissima, morta, quel volto immobile, quei denti affilati, quelle vene nere, quelle tenebre che sembravano risucchiarlo,
vedeva tutto quello ma vedeva anche altro, l’unica cosa che importava.
Vedeva il suo amore, vedeva semplicemente Jimin.
Si alzò piano e andò verso di lui, il cui volto fu bagnato da una lacrima nera.
Tae ormai gli era di fronte.
Non pensava fosse reale.
Forse era un sogno.
Si diede un pizzico sul braccio. No, era vero.
“Okay.”
Disse, con la bocca secchissima e l’adrenalina a mille.
Jimin non riusciva a guardarlo.
Non poteva fargli questo.
“Okay.” Disse ancora Tae.
Poi chiuse gli occhi.
Sentì il buon odore di Jimin, quello che avrebbe riconosciuto ovunque e sempre.
Li riaprì.
Alzò la mano destra a fatica, sentiva il corpo pesante, ancora sotto shock.
Toccò quella pelle.
Fredda.
Ancora fredda, come sempre.
“Jimin…”
Ma Jimin non faceva nulla.
Aspettava solo di essere rifiutato.
Colpito.
Aspettava di sentire le urla di Tae, di vederlo correre via.
“Jimin, per favore, guardami.”
Scosse la testa.
“Ti prego…”
Niente.
Tae indietreggiò.
“Ho paura. Lo ammetto. Probabilmente…un altro come te potrebbe uccidermi all’istante. Ma non sei un altro. Non sei…uno sconosciuto, okay?
So chi sei. Ed ora, non ho paura di morire, non è quella la mia paura.”
Si portò una mano al petto.
Il cuore gli faceva malissimo, stava pompando troppo sangue.
“Non so neanche come faccio a parlare, ora.”
Jimin era impassibile.
“Probabilmente hai più paura tu adesso. Paura…paura che io possa impazzire o chissà cosa ma, va bene. Insomma, cioè, wow.
Ecco, è tutto assurdo ora ma…”
Jimin alzò la testa.
I loro sguardi si incrociarono.
Tae rabbrividì.
L’aria era pesante, la distanza tra loro la sentivano tutta sulla pelle, ma Tae era incredibilmente coraggioso come mai Jimin aveva immaginato.
“Non ti farò del male, non ne sarei capace. Io ti proteggerei con la mia vita.”
Tae annuì anche se palesemente ancora stordito.
“Ti credo. Io non so ancora come farà la mia mente ad accettare questo ma…ora, in questo momento, io ti credo. Voglio solo che tu…non pianga.
Non piangere.”
Detto questo, gli si spezzò la voce.
Lacrime nere scendevano ancora da quegli occhi cremisi che Jimin asciugò mentre quelle di Tae iniziarono a scendere.
“Oddio non so perché sto piangendo anche io, non  voglio piangere.”
Si asciugò in fretta il volto e corse letteralmente tra le braccia di Jimin che lo strinse a sé.
“Taehyung…”
“Non andartene, Jimin. Non fare pazzie ora, non abbandonarmi. Sarò muto, non lo saprà nessuno, davvero.”
“Oh, Tae, ma cosa dici…”
Le mani di Tae si agganciarono alla schiena di Jimin, le dita era ferme e decise, lo teneva stretto contro di sè con foga.
“Non importa che tu sia così fuori. Non importa!”
Singhiozzava.
Il volto tra il collo e la spalla di Jimin.
“Dentro so cosa sei. E’ quello che voglio, Jimin. E’ tutto quello che voglio.”
Posò una mano sul capo di Tae.
Lo strinse a sé.
Non aveva molte parole in quel momento, era sotto shock anche lui.
Avrebbe solo voluto rimanere in quell’abbraccio fino alla fine.
“Tae…” sussurrò.
Quel nome era l’unica cosa che lo attaccava al suo lato umano ormai.
Era l’unica cosa reale, sicura, giusta.
Tae si tranquillizzò.
Quanto tempo passò non lo sapevano.
Si sentivano al sicuro però, quello lo sapevano.
Quando Tae alzò lo sguardo, Jimin era umano anche fuori.
Le labbra erano di un rosa forte e bello, la pelle più sana, anche se comunque pallida, gli occhi cioccolato fondente, caldi, rassicuranti.
Jimin poggiò la fronte su quella di Tae che un po' tremava ancora e disse piano:
“Ora ti racconto la mia storia.”
   
 
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