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Autore: Dihanabi    20/05/2018    3 recensioni
[Soukoku]
Chuuya veniva consumato da quegli incontri come Dazai consumava quella dannata sigaretta: lentamente, girandosela tra le dita un po’ prima di aspirare di nuovo, posandovi le labbra delicatamente fino a portarla alla sua fine.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Chuuya Nakahara, Osamu Dazai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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cigarettes

 

Soffriamo di ricordi, osserva Freud, ricordi
dimenticati, che non ci dimenticano.
(Ángel de Frutos Salvador)


 

I ricordi di tempi trascorsi apparivano come insolite gocce di pioggia in un giorno di sole: fuori luogo e inaspettate.

Potevano presentarsi in un sabato sera, mentre si versava l’ennesimo bicchiere di vino, unica compagnia di quelle notti, fingendo anche a sé stesso di non essere altro che sollevato dall’assenza del suo partner.

Alle volte succedeva al mattino e senza alcuna ragione apparente, con la vaga sensazione di bende spesse sotto le dita che portava memorie di commenti irritanti che non era mai stato in grado di ignorare.

 

 

 

Si chiese se Dazai lo avesse abbandonato in un martedì notte, fumando una sigaretta nel balcone del suo appartamento.

 

Dazai è sempre stato un soggetto particolare. Quel tipo di persona che riesce a manovrarti a suo piacimento, muovendo il tuo corpo con i fili invisibili delle sue parole e, inerme, non puoi far altro che diventare una sua marionetta.

Chuuya lo aveva sempre odiato per questo, per i suoi commenti inopportuni e sfacciati, quelle battute sottili che lo innervosivano come solo poche cose riuscivano a fare e per averlo fatto sentire una semplice pedina di un disegno perfetto che solo Dazai conosceva.

 

Una marionetta. Così lo aveva reso quel suo silenzio, quella sua ingiustificata assenza: un oggetto da manovrare a proprio piacimento.

 

 

Aveva stappato un buon vino, la notte in cui Dazai se ne era andato. Aveva urlato qualche insulto vago e poco sensato fingendo a se stesso di essere solo che felice.

Aveva lavorato di più, tenendosi impegnato costantemente, come se fare le missioni completamente solo non lo disturbasse, non sentisse la mancanza di qualcosa.

Ed era anche stato bravo, all’inizio, a reggere quell’impassibile maschera d’indifferenza.

 

 

 

Si chiese se Dazai fosse morto in una notte d’inverno, fredda e senza stelle.

Si strinse nel cappotto elegante e abbassò il cappello sul viso, impedendo alla sue debolezze di mostrarsi a quella cupa volta.

 

 

Il fumo volteggiava in soffici ricami astratti, affascinanti sotto la luce arancio del lampione. Chuuya lo osservava in un silenzio quasi innaturale, seduto sui gradini all’ingresso.

Sembrava quasi non respirasse nemmeno, tanta era l’assenza di suoni.

 

La cenere cadde placida dalla sigaretta, depositandosi nel marmo bianco, ma Chuuya sembrava non essersene accorto, perso in chi sa quali pensieri. Aveva dimenticato anche di doverla fumare, quella sigaretta.

 

Assorbiva solo l’odore che disperdevano nell’aria, un odore così familiare ma così lontano. Si perdeva nelle immagini distorte dal grigio fumo e tutto appariva più confuso.

 

 

 

“Chuuya.”

 

Rivide Dazai all’ingresso del suo appartamento, dopo mesi di assenza senza una parola, senza un vero addio.

Chuuya neppure lo sentì, quando lo chiamò.

Al secondo tentativo pensò di avere le allucinazioni. Gli venne il dubbio che quello che stava fumando non fosse tabacco.

 

Quando si ritrovò quegli occhi castani davanti, però, ebbe la certezza che fosse reale.

 

E avrebbe riso, forse. Di una risata sguaiata, isterica e anche rabbiosa. O magari avrebbe urlato e lo avrebbe preso a calci.

Avrebbe anche voluto piangere, per la frustrazione principalmente, e per aver riportato a galla con un solo sguardo quei demoni che si era impegnato per mesi a seppellire.

 

Non fece niente.

Le troppe emozioni contrastanti lasciarono solo il vuoto dentro di lui.

 

Gli occhi cerulei erano insolitamente spenti e l’espressione priva della sua solita grinta e aggressività.

Sembrava il guscio di quello che era solitamente Chuuya.

 

Posò le labbra sul filtro, senza degnare Dazai di alcuna attenzione, e ispirò piano e a lungo, come se fosse l’ultima sigaretta di una vita da fumatore.

 

“Ora fumi?”

Il silenzio di Chuuya lo lasciò con l’amaro in bocca, e il burattinaio con sempre la tattica pronta si ritrovò incerto su cosa dire.

Dazai lo avrebbe riconosciuto ovunque, l’odore di quelle particolari sigarette, quelle che avevano seguito le loro notti insieme, quelle che erano state passate tra le loro labbra.

Porta tanti ricordi, quell’odore: la cenere che aveva lasciato un buco sulle lenzuola sfatte, i capelli di Chuuya stretti tra le sue dita, le bende che avevano lasciato il suo corpo, il fumo che passava tra le loro bocche.

Quelle sigarette erano parte del loro rituale. Nessuno dei due fumava, se non insieme, se non dopo il sesso.

 

Rivederlo dopo mesi, con quell’odore sulla sue pelle, quel blu profondo dei suoi occhi ora così spento, il sangue fresco della missione che ancora sporcava i suoi guanti: era come una stregoneria che Dazai non poteva prevedere. il suo secondo errore in una scelta altrimenti esemplare.

 

Quando la sigaretta giunse al suo termine e il fumo che li separava in una finta distanza cessò, Dazai fece un passo avanti, le parole che premevano per uscire.

 

Ma come Dazai conosceva Chuuya alla perfezione, l’altro poteva vantare la medesima cosa e chiuse in partenza con un freddo e apatico “No.”

 

 

 

 

Chuuya si convinse che Dazai lo aveva abbandonato, eppure continuava a fumare quelle sigarette, nelle notti troppo solitarie.

 

 

Dazai tornò spesso, sempre più frequentemente.

 

Trovò Chuuya in una pozza del suo stesso sangue in un venerdì mattina. Le ciocche arancio erano macchiate del liquido secco e la pelle ricoperta di un sottile strato di sudore.

 

Quando Dazai aveva cercato di aiutarlo il ragazzo aveva cercato di respingerlo ringhiando basso con quelle poche forze che aveva.

 

“Non- non ti azzardare.”

La mani di Dazai aprivano la camicia di Chuuya, la ferita bendata si era riaperta nella notte.

“È tutta colpa tua.” gli aveva detto. “Lasciami da solo.”

“Fottuto stronzo”

“È colpa tua.”

 

E Dazai non lo aveva negato, lo sapeva.

Chuuya non avrebbe potuto usare il suo vero potere, senza di lui.

 

 

 

Stava dormendo, Chuuya. La bende in perfetto ordine e la ferita ripulita. La febbre stava scendendo lentamente, ma il suo sonno non sembrava sereno.

 

“Mi hai abbandonato”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dazai continuava a tornare e Chuuya continuava a cadere a pezzi.

Il castano si era presentato alla sua porta con del buon vino, come ai vecchi tempi. Aveva detto qualcosa di fastidioso e poi schivato il calcio del più basso ricordandogli di sapere alla perfezione le sue tempistiche.

 

Lo aveva baciato sulle labbra dopo troppi bicchieri, e per un attimo era tornato tutto come mesi prima, dopo aver rischiato la vita insieme, dopo essere stati una squadra perfetta, dei partner perfetti e degli amanti perfetti.

 

Chuuya si era lasciato andare e per una notte aveva finto che andava tutto bene e che era solo il solito Dazai rompi palle.

Lo aveva stretto così forte da lasciar i segni, avevano macchiato di cremisi il lenzuolo quando il bicchiere quasi vuoto era scivolato dalla mano di Chuuya prima che la stessa si avventasse a tirare le ciocche corte della chioma dell’altro.

 

 

 

 

 

Chuuya veniva consumato da quegli incontri come Dazai consumava quella dannata sigaretta: lentamente, girandosela tra le dita un po’ prima di aspirare di nuovo, posandovi le labbra delicatamente fino a portarla alla sua fine.

 

 

Andava avanti così, e non se ne lamentava. Quasi ci aveva preso gusto a sgretolarsi e cercare di rimettere i pezzi insieme.

 

 

 

 

 

Sono tornati a combattere insieme quattro anni dopo che Dazai se ne era andato.

 

La fiducia di Chuuya forte come un tempo, mentre affida la sua vita a quelle mani ricoperte di bende.

 

Dazai si è preso cura di lui come dopo quelle vecchie missioni per la mafia. Lo ha riportato nel suo appartamento sano e salvo e gli ha versato quel vino che Chuuya ha sempre amato.

 

 

Lo bacia fino a consumargli le labbra, ridisegnando ogni angolo di quel corpo insolitamente minuto e inaspettatamente forte.

Stringe la carne pallida fino a lasciar segni, impronte e morsi. Si sofferma sul collo, sull’orecchio. Non si lascia sfuggire il brivido che travolge il corpo sotto di lui e gli sussurra qualcosa di estremamente inappropriato, qualcosa che irrita il ragazzo e gli fa ribaltare le posizioni.

 

Dazai lo solleva, schiacciandolo contro la vetrata dell’appartamento. Le mani vanno a stringere il collo, alla base della mandibola, e Chuuya si trova costretto a piegare il capo verso l’alto. La presa è forte, abbastanza da fermargli il respiro, ma non da fargli del male. Ed è bello, il modo in cui i tratti sottili e spigolosi del rosso sono resi evidenti. È bello come lo sguardo di quest’ultimo non sia affatto sottomesso, ma quasi di sfida, come a provocarlo. Ed è un gioco di dominio in cui i ruoli si rompono, non ci sono burattinai o burattini, non c’è controllo, e non vi è definizione.

Non è amore, non è sesso.

È come quel consumarsi dell’ultima sigaretta di un fumatore,

Un lento bruciare, una passione agrodolce, un fuoco che divora. È come un addio e un arrivederci, quelle mani che toccano e poi stringono ancora, e osano di più, applicano più forza.

 

Il vetro è freddo contro la schiena, il corpo di Dazai è bollente contro il suo, dentro il suo. Il contrasto di quelle notti gelide con il fumo che corrode la gola, che brucia i polmoni. Ma anche lo stesso contrasto delle labbra di Dazai sul suo corpo, bollenti e affamate, con quello dei suo occhi simili ad acqua nel deserto.

 

“Ti odio” ringhia e getta il capo all’indietro. Dazai sorride compiaciuto e non commenta. I fili arancio si fondono al vetro, scheggiano la patina creata dalla condensa, e creano un’opera d’arte in blu, grigio e arancio, quasi fosse un quadro di Jackson Pollock, ma Dazai non si permette nemmeno un secondo per apprezzarlo quando l’espressione sul viso di Chuuya è mille volte meglio, infuocata, calda, e viva, così brutalmente sconvolgente che solo i cieli dipinti da Turner potrebbero reggere il confronto.

 

Le mani di Dazai sono accanto alle ciocche arancio, l’impronta impressa sul vetro, i denti vezzeggiano l’orecchio delicato dell’altro, delle gambe sottili gli stringono il busto mentre i bacini ondeggiano e si scontrano in una danza senza fine, che logora e appaga, che crea e distrugge.

 

 

Sono tra le lenzuola scure, comprate da poco ma che già odorano di loro. Il capo di Dazai giace sulla coscia pallida di Chuuya.

C’è il fumo che si sparge nella stanza, il sole che si accinge a sorgere al di la delle vetrate, il ticchettio di un orologio lontano e distorto, quasi rallentato al cospetto di un momento che non vuole saperne di giungere al termine.

 

E forse non è amore, e non è neppure sesso.

Forse è solo una marca di sigarette e il loro lento diventare cenere. È il bruciare di due animi che si infiammano a vicenda, che si consumano ad ogni incontro, ad ogni addio.

Ma ciò che resta è il ricordo, il profumo, la cenere e due cuori legati da un qualcosa senza etichetta, perché in fondo, di una definizione, non ve ne è bisogno.

 

Fumano in silenzio, senza parole o definizioni. Colmano i loro vuoti e le distanze e si uniscono ancora al sorgere del sole, un nuovo inizio, ma come se fosse una fine.

 

 

Il piacere è il fiore che passa; il ricordo, il profumo duraturo.
(Jean de Boufflers)

 

 

 

 

nda:

La fanart utilizzata per la copertina non è mia, i diritti vanno al proprietario (che ignoro vista l’assenza di firma :( )

 

  
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