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Autore: i luv rainbow    21/05/2018    2 recensioni
La grotta finalmente si fa più affollata con l'aggiunta di Oliver al gruppo, anche se il giorno in cui saranno tutti riuniti è ancora lontano. Jason però, dopo essersi assicurato che tutti quanti stanno bene, cerca come sempre andarsene e sparire nella giungla. Le cose però andranno diversamente, visto che stavolta i suoi nemici sono stati più bravi del solito a cercare di ucciderlo...
FanFic incentrata sul rapporto d'amicizia tra Ollie e J, con contorno di Bromance tra fratelli Brody e quel pizzico di Vaas/Jason che ovviamente non guasta mai. Pubblicazione settimanale (possibilmente, altrimenti slitta a quella dopo...o a quella dopo ancora).
Max lunghezza tra i 5 o 6 capitoli (Forse anche 8 o 9).
[2° Parte The Warrior Inside Me - Tutti i missing moment del gioco parte 3]
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Slash | Personaggi: Jason Brody, Oliver Carswell, Vaas Montenegro
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Warrior Inside Me'
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I Got You

Author - I luv Rainbow
(I_luv_Rainbow_000)
EFP | AO3

The Bogeyman Over My Bed

Jason non riusciva più a trovare Oliver. Il bambino non si sentiva ancora esattamente a proprio agio a girare in solitaria per quella grande casa labirintica, ma il coetaneo con cui ormai stava entrando in confidenza era sparito – gli era simpatico, forse un po’ esuberante e soprattutto parlava in continuazione, come se dovesse riempire il silenzio – aveva abbandonato Jason da solo in giardino, con alcuni giocattoli, dichiarando che ne avesse uno strepitoso da fargli vedere ma poi non era più tornato.

Così J era andato a cercarlo.

Non si stupì di sentire anche la signora Carswell chiamarlo a gran voce, ne sentì il bisogno di andarle incontro, decise di proseguire la ricerca per conto proprio senza incrociare quella donna tanto strana, che sorrideva sempre ma fulminava ininterrottamente con lo sguardo, facendolo sentire sotto esame, costantemente. Non era una bella sensazione. Ma forse era sempre meglio del marito, che sembrava sempre estraniato da tutto ciò che lo circondava e questo era il massimo che poteva dire su di lui, dato che l’aveva a malapena visto due volte, nonostante stare a casa loro fosse ormai divenuta un’abitudine.

Il piccolo Brody continuò a girare a vuoto finché arrivando nella grande camera dell’amico, sentì dei singhiozzi provenire da sotto il letto. Confuso allora si inginocchiò e sbirciando sotto le pieghe penzolanti delle lenzuola, finalmente lo vide; disteso a pancia in giù, le braccia chiuse sotto la testolina bionda per nascondersi il viso. In una mano stringeva ancora il giocattolo di cui gli aveva parlato.

Avrebbe tanto voluto dirgli qualcosa, chiedergli perché fosse là sotto e cosa fosse successo, ma iniziò ad udire dei passi avvicinarsi improvvisamente alla stanza e chissà perché, si fece prendere dal panico e reagì infilandosi anche lui là sotto, fino a raggiungere il coetaneo. Quando Oliver si accorse di non essere più solo alzò un viso rosso, confuso e pieno di lacrime, verso di J, tentando disperatamente di tramutarlo in un sorriso, ma non ci riuscì e per questo tornò a nasconderselo iniziando a piangere più di prima, ma silenziosamente, ora persino vergognandosi.

Jason era così dispiaciuto per lui, ma fece appena in tempo ad allungare una mano e mettergliela sulla schiena quando la persona misteriosa entrò prepotentemente nella stanza.

«Oliver!» urlò la madre adirata, ma non sentendosi rispondere in alcun modo e avendo ormai girato tutta quanta la casa, si fermò: «Ecco! Sei contento ora? Guarda che cosa hai fatto egoista bastardo!» urlò poi rivolta ad una seconda persona, che giunse dopo di lei e che il piccolo J riconobbe subito essere il signor Carswell.

Dopodiché, i due bambini passarono un bel po’ di tempo sotto quel letto; perché nessuno dei due ebbe il coraggio di annunciarsi, soprattutto per come il litigio appena incominciato peggiorò di minuto in minuto, passando atti verbali così violenti, che lo stesso J non si sarebbe più scordato, rabbrividendo nel pensare che Oliver assisteva a tutto questo quasi ogni giorno della propria vita.

«P-perché…p-perché non si lasciano e basta?» singhiozzò il bambino biondo tra le lacrime dopo che finalmente i suoi genitori si volatilizzarono, ma senza che i due trovarono ancora il coraggio di uscire da sotto il letto: «P-perché non riescono ad andare d’accordo?»

Jason non seppe che rispondere.

.... .... .... ....

Ancora seduto accanto a Jason, ma abbastanza scomposto nella sedia da lasciarsi sprofondare dentro e fissare il soffitto, Oliver rimase pensieroso. Aveva fatto un errore prima, tirando fuori un argomento che evidentemente l’amico non era ancora preparato ad affrontare e solitamente lo avrebbe accettato, non tormentandolo oltre fino a quando non fosse venuto il momento più opportuno. Ma stavolta era diverso, stavolta il ragazzo biondo aveva il pessimo presentimento che la questione “Grant” prima si affrontava e risolveva, meglio era, o le conseguenze non sarebbero piaciute a nessuno di loro.

Eppure decise che non ci avrebbe provato una seconda volta.

Rubando qualche altro tiro dallo spinello che aveva regalato a Jason, e che tornò nuovamente a giacere sul portacenere, provò allora a pensare a ciò che avrebbe potuto comunque fare. Non era facile.

«Ecco qui ragazzi! Come promesso» fece capolino nella stanza il Dr. E con in mano un vassoio; sopra trasportava tazze e teiera in porcellana, forse risalenti alla seconda guerra mondiale. Erano splendide. All’interno, delizioso thè inglese. Si sentiva già dal profumo.

«Grazie» gli sorrise il ragazzo prendendo in mano una delle tazzine, ma il dottore inglese tornò subito al piano di sotto. Dall’espressione si poteva intuire come fosse ancora perso tra gli effetti delle pillole che aveva ingerito – per un momento il giovane americano si chiese come fosse stato capace a non combinare un disastro nel mettere l’acqua a bollire; o a portargli tutto quanto fin là sopra. Ma lasciò perdere quel pensiero e si portò il bordo della propria tazzina alle labbra, stava quasi per berlo quando si ritrovò la mano di Jason ad allontanargliela con lenta fermezza, anche fin troppo gentile.

«Non farlo» gli disse debolmente. La sua mano non arrivò a toglierli la tazzina, ma si limitò soltanto a coprirla, guidando quelle di Oliver ad abbassarla e a lasciarsela accostata al grembo: «Non lo fa con cattiveria, al contrario, vuole solo farci piacere; ma ha la pessima abitudine di aggiungere della roba un po’ troppo pesante nelle sue ricette. Io ci sono già cascato…» lo avvertì Jason ed il ragazzo biondo fu subito d’accordo a non prenderne neanche un sorso. Probabilmente l’avrebbe versato ad una delle piante della stanza facendo finta di averlo bevuto, così da evitare di farci stare male il dottore.

«Pensavo stessi già dormendo» gli disse quasi distrattamente, in realtà era abbastanza preoccupato. Gli sembrava come se Jason non dormisse più ormai. Al ragazzo moro invece scappò una mezza risata. Oliver non poteva averne idea, ma il dormire decentemente era diventata un’opzione molto rare per il giovane guerriero bianco.

«Oh, è tanto divertente? Sicuro che non l’hai già bevuto un po’ di te?» gli rispose prendendolo un po’ in giro con quel suo solito sorriso.

«Non sono fatto Oliver» gli rispose sinceramente.

Né il giovane Carswell che Jason ancora sapevano come gli spinelli non avessero più il loro effetto sul guerriero bianco. Non dopo tutte quelle sostanze molto più assuefacenti e pesanti che era costretto ad assumere tra una battaglia e l’altra: «ma vorrei esserlo, cazzo» si lasciò sfuggire con disagio, stavolta, aggiungendo una mezza smorfia.

«Perché? Fa male?» gli chiese subito preoccupato Oliver.

«Sì, un po’…» gli rispose, con gli occhi chiusi ed un braccio a coprirsi il viso, come se avesse la testa tra le nuvole. Forse le canne non gli facevano più chissà quale effetto, ma la stanchezza finalmente l’aveva un poco disarmato del massiccio scudo dietro cui aveva iniziato a ripararsi sempre da quando l’aveva rivisto: «Puoi dargli un’occhiata?» gli chiese persino e l’amico annuì.

Oliver si sporse in avanti dalla sedia su cui era seduto e sollevò la maglietta blu cobalto ormai mezza imbratta di sangue. Non appena i propri occhi incrociarono la vista di quella ferita un verso istintivo di disgusto, lasciò la propria bocca.

Jason alzò un sopracciglio, guardandolo con estrema confusione e anche un pizzico di ansia.

«Scusa J» gli disse, dispiaciuto di essersi tradito a questo modo e rimettendo l’orlo della maglietta al suo posto, facendo estrema attenzione a non sfiorare neanche la ferita nascosta sotto: «Ma il Dr.E non scherzava quando diceva che è più bravo a fabbricare la droga che ricucire la gente. Non è un bello spettacolo da vedere, però sono sicuro che ti lascerà una cicatrice pazzesca. Una di quelle di cui potrai vantarti con le ragazze» sdrammatizzò in fine ed entrambi risero.

«Tu dici?» gli rispose ancora sorridente, ancora divertito.

«Perché no? Il tatuaggio sul tuo braccio fa già la sua sporca figura; non so come questi rakyat ti abbiano convinto a farlo visto che hai sempre odiato l’idea di fartene uno, ma direi che meritano stima. È davvero figo» affermò poi convinto, alzandosi dalla sedia che scostò lontano. Jason sorrideva e questo era quello che contava, anche se ora osservava con sguardo enigmatico i simboli tatuati sul suo avambraccio.

«Dove vai?» gli chiese poi l’amico moro non appena lo vide in prossimità della porta.

«A chiedere qualcosa che ti faccia passare il dolore. Per me dovresti bere quel thè e farti pure un bel viaggetto, ma se non vuoi, andrò a cercare qualcosa di più a norma di legge» gli rispose divertito, sollevando anche le spalle.

Oliver se li ricordava quando se li era fatti, “i viaggetti”. Alcuni gli erano piaciuti, altri decisamente meno. Ora toccava solo l’erba, pura, coltivata da ricchi studenti universitari come lui e persino biologica – qualunque cosa volesse dire – e qualche volta gli ricapitava di tornare sulle nuvole. Ma non aveva nulla a che fare con la robaccia che gli aveva quasi distrutto il cervello e il fisico tanto tempo prima – quando nessuno si curava di lui.

«No uscirai dalla casa, vero?» gli chiese allora J, ma sembrava più una promessa.

«Ed io ti ritroverò qui, quando risalgo?» gli rispose sagacemente Oliver - ogni tanto anche a lui gli risultava essere brillante. Ma forse era più la preoccupazione a parlare, probabilmente sarebbe stato colpito da un’angoscia senza fine se nel risalire le scale non l’avrebbe più trovato e Jason, nell’incrociare il suo sguardo, parve leggere questo sentimento negli occhi dell’altro.

«Affare fatto» Jason sorrise toccato e rincuorato.

.... .... .... ....

Ero stanco, questo non potevo più negarlo. La ferita mi faceva male ed ero quasi tentato di bere un po’ di thè per sfuggire alla realtà, peccato di come ormai fossi quasi spaventato dalle cose a dir poco assurde che riuscivo a vedere mentre ero completamente drogato. A volte erano semplicemente la palese manifestazione del dolore…la ferita sempre aperta della perdita di mio fratello, altre volte invece era l’odio verso di Vaas e l’amore quasi romantico che sentivo di provare verso questo mondo, verso questa selvaggia e spietata isola, nonostante tutto.

Ma altre volte…

Maledizione, mi sentivo un folle anche solo a pensarlo possibile per un breve momento, ma alcune volte, mi pareva quasi di riuscire a scoprire cose che nessuno sapeva o che non potevo di certo aver udito nemmeno per sbaglio. Di poter scorgere persino il futuro.

«Ma piantala…» mi sgridai fra me e me, ricordandomi che certe cose non esistevano e che piuttosto dovevo stare attento a non finire pazzo per davvero con tutte le allucinazioni che lo stress, che questa guerra mi stava provocando. Come il credere per un momento che le sostanze che i rakyat definivano “divinatorie” lo fossero per davvero, invece che semplici droghe.

Ma era tutto sotto controllo, giusto? Non stavo ancora passando fuori…

Non ancora. Era questa la parola che mi preoccupava; sarei stato capace, un giorno, di capire se ero pericolosamente vicino ad attraversare quella linea? A non distinguere più la realtà dai sogni, a non distinguerla più dagli incubi.

Il dolore mi distrasse all’improvviso ed istintivamente allontanai una delle mani con cui mi coprivo il viso per posarla sulla ferita, come se avessi la possibilità di diminuirlo.

«J, brutte notizie…» mi arrivò poi alle orecchie la voce bassa di Oliver, appena tornato dal piano inferiore: «Il Dr. E mi ha detto di averti dato una dose bella potente prima, nella grotta, quando avresti dovuto continuare a dormire. Mi ha anche avvertito che se ti dà qualcos’altro di simile ora potresti anche finire in overdose» mi informò poi dispiaciuto, appoggiandosi per un momento allo stipite della porta e guardandomi affranto.

Io sospirare. Sapevo che sarei dovuto starmene fermo in quella tenda invece che tentare di andarmene, ma io ero un idiota e questo me lo meritavo.

«Magnifico» commentai ironico ma con una punta di sofferenza.

«Ha detto che tra poco porta su del ghiaccio e qualcosa che va bene per un’anestesia locale, ma non durerà molto» aggiunse visibilmente dispiaciuto. Dopodiché, qualcosa all’improvviso cambiò.

«Hai sentito?» dissi io all’improvviso, sollevandomi di colpo, anche se di poco e giusto con la testa, ma come un gatto allarmato che muove lo sguardo in tutte le direzioni quando sa di non essere solo.

Ma la mia sensazione era diversa.

Oliver si guardò intorno anche lui ma decisamente confuso: «Io non ho sentito niente» mi rispose poi sincero e del tutto perplesso, come se avessi appena udito un fantasma. E forse era proprio così, forse l’avevo sentito solo nella mia testa.

«Ero convinto…» iniziai a dire, ma poi mi fermai.

Non ancora. Non avevo ancora passato la linea di confine tra sanità mentale e follia, vero? Forse no, ma mi ci avvicinavo ogni giorno di più.

«…no. Niente Oliver, lascia perdere» gli dissi e lui mi guardo completamente incerto.

Delle volte mi capitava di sentire delle voci che non c’erano. Le loro, quelle dei miei amici, la sua, quella di mio fratello Grant e persino quella di…

«Hai sentito stavolta?!» gli dissi tirandomi su allarmato, per quanto possibile, solo che ora non ero stato l’unico ad aver udito qualcosa. Anche il mio migliore amico aveva sentito uno strano lamento in lontananza. Proveniva da fuori, ma prima che potessi fermalo si avvicinò alla finestra.

«Oh cazzo!» lo sentii esclamare e allontanarsi di colpo, nel panico ed io non ebbi nemmeno il bisogno di chiedergli cosa avesse scorto, perché iniziai a sentire delle persone che conversavano, più che altro urlavano, in spagnolo – mentre qualcun altro invece si lamentava e piangeva.

Erano pirati e si stavano avvicinando alla casa.

«Ti hanno visto?!» fu la prima cosa che chiesi ad Oliver con serietà mortale, afferendolo per il braccio e trascinandolo verso di me, con una forza che non credevo ancora di avere viste le mie condizioni.

«N-no, io n-on credo» stava balbettando, il suo sguardo si muoveva in tutte le direzioni, ormai nel panico, iniziando a tremare mentre di colpo era divenuto un immesso crogiolo di sudore. Ed io, nonostante tutta la mia stupida esperienza, non ero messo chissà quanto meglio: «C-che facciamo?»

Lo sapevo, dannazione. Sapevo che sarebbe dovuto rimanere nella grotta!

«Usciamo! Se loro entrano, noi ce ne andiamo dalla finestra!» gli dissi con fermezza, ma anche con discrezione perché ormai erano sotto la veranda e potevamo sentirli. Fortunatamente quella maledetta casa era costantemente in ristrutturazione, c’erano delle impalcature da muratore che da quella cameretta infantile potevano farci scendere fino a terra.

Oliver annuì. Fortunatamente rimaneva il mio sangue freddo e la mia lucidità era forte. Era pronto a seguire ogni mio ordine ed io stavo per dargliene, quando all’improvviso udii l’unica voce ancora in grado di farmi sentire come un bambino solo e spaventato, che si nasconde sotto le coperte per paura dell’uomo nero…

«Tan mierda inglés, ¡cuánto tiempo necesitas para reparar este maldito imbécil!?» l’urlo infuriato di Vaas mi arrivò come un pugno improvviso in pieno stomaco, facendomi congelare il sangue nelle vene, paralizzandomi. Era al piano inferiore, proprio lui, il bastardo, circondato dai suoi tirapiedi ma inconsapevole, almeno da quel poco che mi era dato riuscire a capire, che noi eravamo ad appena due rampe di scale di distanza. Che avrebbero tranquillamente potuto correre su di sopra con i loro kalashnikov, a finirci da un momento all’altro.
(Allora merdoso inglese, quanto cazzo di tempo ti serve per ricucire questa maledetta testa di cazzo!?)

Seguì un acuto lamento di sofferenza e dolore che si udì in tutta la casa, sempre dal piano inferiore.

«¡No rompas las bolas de Felipe! La próxima vez te llenaré de agujeros, si vuelves a hacer tantas tonterías!» Seguì in risposta, sempre da lui, ormai del tutto alterato. Il suo sottoposto probabilmente piangeva ancora.
(Non rompere i coglioni Felipe! La prossima volta ti pianto personalmente una cazzo di pallottola nel cervello se fai di nuovo una stronzata del genere!)

«J-jason…j-jason che facciamo?» mi chiese insistentemente Oliver ancora nel panico, sapendo già quale fosse la mia risposta e cosa dovessimo fare, eppure comunque completamente bianco in viso e di nuovo balbettante, perché io non mi muovevo e fissavo il vuoto con occhi spalancati come lo avessi visto per davvero, quel fantasma. Il diavolo in persona che era venuto a prendermi.

Quell’esitazioni finì quasi per costarci cara.

All’improvviso udimmo dei passi, singoli, farsi strada al piano superiore. La mia mente si svuotò di colpo e come un fulmine a ciel sereno ebbi la prontezza di buttarmi a terra e ficcarmi sotto il letto, trascinando un povero e inebetito Oliver, senza poter riservagli alcuna gentilezza. Ma facemmo giusto in tempo, Dio, pochi secondi ancora e saremmo stati beccati come due mocciosi che giocano a nascondino. Ed invece ci rintanammo in un attimo là sotto, con il respiro bloccato in gola a vedere quei stivali neri avanzare nella stanza, più che altro ad entrarci di prepotenza e con la voglia di distruggere tutto. Sorte che toccò alla sedia dove poco prima sedeva il mio migliore amico. Come quel maledetto squilibrato entrò nella stanza, tirò un calcio talmente forte a quella povera sedia da farla schiantare contro il muro, rompendola, mentre lanciava una marea di insulti senza fine nella sua lingua madre. Era spaventoso ed io mi ritrovai fin da subito a tappare la bocca ad Ollie, perché non si lasciasse scappare nient’altro che i primi sussulti – fortunatamente coperti dallo stesso frastuono provocato da quel mostro mascherato da uomo.

Dopodiché tutto divenne calmo.

Io e Oliver eravamo congelati al nostro posto, il figlio di puttana borbottò qualche altra parolaccia in spagnolo che riconobbi solamente perché i suoi uomini ne urlavano in continuazione, prima di sedersi e poi sdraiarsi tranquillamente sull’unico letto della stanza, facendoci quasi sussultare come il materasso si deformò sotto il suo peso.

Era assurdo ed a stento riuscivo a credere che fosse vero. Ma l’uomo che più odiavo a questo mondo era sdraiato ad appena una decina di centimetri dalla mia testa ed era completamente ignaro della mia presenza. Non solo, dai rumori che percepivo pareva ora disteso a fumare, forse nel tentativo di rilassarsi. Ma altri lamenti giunsero dal piano inferiore ed il pirata tornò in un attimo su tutte le furie.

«Porca puttana…FELIPE!» Batte all’improvviso con furia un pugno su parete, prima di iniziare ad urlare a squarciagola: «CHIUDI QUELLA CAZZO DI BOCCA!»

Sotto il letto sussultammo un’altra volta, ma per fortuna non se ne accorse. Accanto a me sentivo Oliver tremare, nella mia testa invece sentivo solo una violenza cieca rinascere; con un braccio continuavo a stringere il mio migliore amico per aiutarlo a stare fermo e ben nascosto, nell’altro, il cacciavite arrugginito era serrato nella mia mano e pronto a colpire.

Nota Finale: ok, ok, ormai non è più una novità l’uscita di Farcry5, ma vogliamo parlare di quanto siano fighi fhather Joseph Seed & brothers? No, vogliamo parlarne? Lo so, non centra niente la nota con questo capitolo.

   
 
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