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Autore: bouncing05    21/05/2018    1 recensioni
Se si ama veramente, si sa lasciare andare...ma chi ama veramente, poi torna
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Giulio!! Non mangiarti i sassi!!” Quel bambino mi sfiniva. Ma lo adoravo. Ero pazzamente innamorata di mio figlio. Un adorabile tappetto di 13 mesi, con i miei ricci ribelli e gli occhi come quelli di suo padre, del colore del mare. Occhi che non avrebbero mai smesso di guardarmi.
Mi ero innamorata di quel marinaio la prima volta che lo avevo visto. Io una ragazzetta di 24 anni, alle prese con il lavoro dei miei sogni, lui un affermato manager di 46 anni. Io ribelle, fuori dagli schemi, al limite del selvaggio. Lui, l’uomo del nord, serio, l’affidabilità fatta persona. Eppure, era successo. Un sentimento che non eravamo riusciti a contenere, una storia travolgente durata quasi due anni. Poi, il gelo, lui che si allontanava sempre di più, il test positivo nel bagno della biblioteca.
E la decisione più drastica che avessi mai preso in vita mia. Lasciarlo andare. Lasciarlo alla sua vita, alla sua famiglia, a sua moglie, ai suoi figli. Prendere quella decisione che lui non riusciva a prendere.
Non avevo nessuna intenzione di “incastrarlo”, per quanto la cosa non fosse stata voluta. 
Non ci pensai poi molto, semplicemente uscii dal bagno con il test nascosto nell’astuccetto con i fazzoletti e le salviette e me ne tornai al mio posto, ai miei libri di inglese. Se c’era una cosa che quella relazione mi aveva insegnato era stato credere in me stessa. Non eccessivamente, ma comunque più di quanto avessi mai fatto nei miei precedenti 32 anni di vita. Sulla strada di casa mi fermai al negozio di telefoni e cambiai numero al cellulare. Scomparsa nel giro di 5 minuti. 
Tornai a casa, guardai i miei genitori preparare la cena. Aspettai di aver lavato anche l’ultima forchetta e, con un sorriso, dissi loro che sarebbero diventati nonni. Nonni di un bambino senza padre, un padre del quale non mi avrebbero mai dovuto chiedere niente. C’era stato ma ora non c’era più, ma non per questo io avrei rinunciato al nostro bambino. 
I mesi passarono veloci e il mio piccolo Giulio nacque poco dopo la mezzanotte del 14 febbraio. Il giorno degli innamorati. Quando me lo avvicinarono, ancora sporco di sangue e urlante come un disperato, dissi a me stessa che mai avevo visto niente di più bello. Piansi. Piansi perché avevo paura. Perché ero felice. E perché mi sentivo in colpa per aver negato ad Andrea di assistere alla nascita del suo bambino. Ma quando Giulio piantò i suoi occhietti nei miei, rimorsi, dubbi e incertezze scomparvero all’istante. Eravamo io e lui, ora.
 
Le persone mi facevano ridere, non riuscivano a capacitarsi del fatto che quel bambino tanto bello non avesse un padre nella sua vita. Non mi infastidivano, solo mi chiedevo come sarebbe cresciuto il mio topo in mezzo a tutte quelle domande che non avevano una risposta. Ma era un bambino amato, e quello era l’importante. Avevo fatto quello che suo padre mi aveva insegnato, credere in me stessa e inseguire i sogni. Fotografavo. Tutto e tutti. Avevo cominciato quando la pancia ancora non si vedeva e ora, a distanza di poco più di un anno e mezzo, avevo uno studio tutto mio, appena fuori città, con un giardino che si affacciava sul mare. Lavoravo praticamente solo la mattina, così quando Giulio usciva dal nido, ero completamente sua. 
 
Quel pomeriggio di metà marzo, col sole che cominciava a scaldare come si deve, avevo lasciato Giulio a giocare in giardino, mentre io sistemavo delle foto scattate la mattina. Era un bellissimo set di famiglia, madre, padre, i due bambini e il loro pastore tedesco. Quel tipo di lavoro era la principale fonte di introito del mio studio, ma io continuavo a preferire soggetti e situazioni spontanei, non artificiali. Alzando gli occhi dallo schermo mi soffermai a guardare il culone pannolinato di mio figlio. Gli avevo tolto scarpe e calzini perché potesse camminare scalzo sull’erbetta del giardino, i piedini paffuti uscivano dalla salopette che gli avevo comprato pochi giorni prima. Con la camicia a quadri, sembrava un boscaiolo in miniatura. Allungai la mano, afferai la Nikon e mi sdraia sull’erba vicino a lui, il sole che baciava le sue guance, che giocava a nascondino fra i suoi ricci morbidi, lo sguardo rapito da chissà quale magia appena scoperta, erano particolari che non mi volevo perdere per niente al mondo. Scattai diverse foto, finchè il suono molesto del campanello all’ingresso non ruppe l’atmosfera.
“E’ aperto!! Basta spingere la porta!!” mi tirai su, posai la Nikon e mi voltai per prendere in braccio Giulio. Mente lo tiravo su, sentii il suono di una voce che credevo non avrei mai più sentito
“Ehi aragosta…”
Andrea
Dopo…quanto era passato? Più di un anno e mezzo, sicuro.
Rimasi a guardarlo, incapace di proferire parola. 
Giulio.
Vedevo lo sguardo di Andrea che si spostava veloce da me a lui. La contrazione della mascella, segno inequivocabile del fatto che si stava innervosendo, arrivò dopo una manciata di secondi.
“E lui?”
Non sapevo cosa fare, non ero preparata a dover affrontare una situazione del genere. Cercai di rimanere sul vago…come se fosse possibile! Quell’uomo mi leggeva dentro anche se eravamo al telelfono con centinaia di km di distanza, se mi guardava negli occhi ero…beh, ero morta.
“Lui è Giulio”
“Figlio di una tua amica?”
“No”
“Cliente?”
“Nemmeno”
“Non dirmi che è tuo…”
E di nuovo, io che per lui ero un libro aperto, mi ritrovavo a non saper decifrare i suoi pensieri
“Ti pare così assurdo?”
“No no, è solo che io credevo…”
“Il mondo ha bisogno dei tuoi bambini. Me lo ripetevi spesso. E ora sei contrariato?”
“No, solo un attimo shockato, se permetti” il tono della voce si stava alzando “sei sparita. Scomparsa nel niente. Ti ho chiamato la mattina e la sera il telefono non era raggiungibile. Non un messaggio. Una mail. Niente. Avevo paura ti fosse successo qualcosa”
“Già talmente preoccupato che ti sei precipitato a vedere se fossi ancora viva eh!” 
“Poi ho capito che avevi troncato. Che dovevo fare? Mi hai lasciato senza neanche dirmelo!”
Sentivo la rabbia che mi ribolliva nelle vene. Ma con Giulio in braccio non volevo fare scenate. Si stava comportando come un bambino viziato, non come l’uomo perfetto che mi aveva rubato il cuore.
“Fino a prova contraria, quello sposato eri tu. Quello che non avrebbe mai lasciato la sua famiglia per me, eri tu. Tu mi hai portato al limite, io ho solo agito di conseguenza”
“Vedo che comunque non ci hai messo molto per consolarti di questa drastica decisione. Quanto ci hai messo? Una settimana? O meno?”
“Non ti permettere…”
“oh si che mi permetto. Sono stato quasi due anni a chiedermi come stessi, a chiedermi…”
E li, le mie certezze, la mia forza, la mia risolutezza, andarono a farsi benedire. Trasparente, rotonda, e pensate come il piombo, una lacrima gli solcò il viso, fino a perdersi fra i fili verdi del prato.
“A chiederti cosa?”
“Se mi amavi ancora. Ma mi pare evidente la risposta”
“Come tuo solito, non capisci un granchè.”
Accennai un sorriso, il suo sguardo interrogativo che mi chiedeva spiegazioni.
“Prendilo”
“Cosa? Io…no, non scherzare, non è proprio il cas”
“ANDREA! PRENDI IN BRACCIO QUESTO BAMBINO!”
prese Giulio in braccio, neanche fosse stato una bomba innescata. E continuava a guardarmi
“Non guardare me. Guarda lui”
“L’ho visto. Bel bambino. Grossino, anche”
Giulio cercava di prendergli gli occhiali, era fissato con tutto ciò che aveva riflessi. Non vi dico che gioia con gli obbiettivi delle macchine fotografiche, da quando aveva cominciato a camminare un paio di mesi prima mi pareva di vivere con un terrorista nano in casa.
“Quanto ha?”
“13 mesi, fatti tre giorni fa. Stai continuando a non guardarlo…guardalo Andrea”
Mentre girava la testa verso il bimbo che lo guardava perplesso, agguantai veloce la Nikon. Era più forte di me, volevo immortalare tutto, sempre. Specialmente i momenti importanti, come quello.
Un padre e un figlio che si vedono per la prima volta, la prima volta che i loro occhi si specchiano in quelli dell’altro.
   
 
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