Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS)
Ricorda la storia  |      
Autore: JoiningJoice    24/05/2018    1 recensioni
- Oh mio dio, ti sei fatto male? - Aveva domandato lo spilungone.
- Hai bisogno che ti portiamo un'infermeria? Vuoi un po' di cioccolato? Vado a chiamare Yoongi-sunbaenim, lui saprà sicuramente cosa fare! - Aveva aggiunto il secondo, in preda al panico.
Era stato così, stordito e con un ecchimosi in via di sviluppo nella parte posteriore del suo cranio, che Jungkook aveva fatto la conoscenza di Park Jimin e Kim Taehyung; e due giorni dopo, non ancora certo di aver preso la decisione giusta ma mosso da un forte senso del dovere, aveva consegnato a Namjoon una richiesta formale di iscrizione al club di fotografia.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kim Taehyung/ V, Park Jimin, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Threesome
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Sky, People


Jeon Jungkook aveva passato i primi tredici anni della sua vita convivendo con una realtà che con il tempo si era fatta via via più dolorosa e faticosa da accettare: non era in grado di farsi degli amici, e non lo sarebbe mai stato. Non che non fosse un bambino simpatico, altruista o spontaneo: il problema era che ovunque andasse non riusciva mai a scrollarsi di dosso un'etichetta scomoda e ingombrante, quella de “l'ultimo arrivato”. I suoi genitori viaggiavano per lavoro da prima che nascesse, spostandosi da una parte all'altra del paese e tentando di compensare con amore, affetto e regali l'assenza di stabilità che quello stile di vita comportava; ma per quanto Jungkook avesse sempre per sé l'ultima console o videogioco uscito, non aveva mai nessuno con cui giocare.

Poi, a quattordici anni, si era trasferito a Busan. Nulla aveva lasciato intendere che quella destinazione potesse cambiargli la vita; certo, suo padre aveva dichiarato che questa volta sarebbero rimasti lì ben più a lungo dei loro soliti otto o nove mesi, ed era la prima volta che andavano a vivere in una città costiera – ma eccezion fatta per quei dettagli nulla sembrava essere diverso dal solito: la scuola era una normale scuola media, i compagni dei normali compagni – troppo presi dalle proprie amicizie d'infanzia per badare ad un perfetto sconosciuto – e per quanto apprezzasse poter fare il tragitto da casa a scuola sul lungomare Jungkook non era stato in grado di creare nessun reale rapporto nei sei mesi precedenti alla fine delle medie. La sua vita da recluso non era cambiata.

L'ingresso alle superiori gli era sembrato un buon punto per ricominciare, e nonostante le aspettative fossero basse e le speranze ancor più infime Jungkook aveva affrontato i primi giorni nella nuova scuola con una certa positività in corpo; se non altro qui non era meno “ultimo arrivato” degli altri, con qualche eccezione. Era persino riuscito ad ottenere il numero di telefono di qualche compagno, un risultato più che eccellente.

Il giorno in cui le cose erano veramente cambiate, però, era stato quello in cui si era finalmente deciso ad iscriversi ad un club. Aveva valutato a lungo le proprie opzioni... abbastanza a lungo da scoprire poi che i posti rimasti vacanti erano pochi, e tutti in club che non gli interessavano. - Namjoon-sunbaenim, non potrei semplicemente... non iscrivermi? - Aveva domandato a Namjoon, il presidente del comitato studentesco; il ragazzo l'aveva guardato con aria di sufficienza da dietro le lenti spesse, sospirando.

- Hai idea di quante volte al giorno mi senta ripetere questa domanda? -

Jungkook non era mai stato presidente del comitato studentesco, e non ne aveva la più pallida idea, ma a giudicare dalle vene che aveva visto pulsare sul collo di Namjoon aveva capito che non era il caso di insistere troppo sulla questione: si sarebbe iscritto ad un club e avrebbe fatto lo sforzo necessario a socializzare coi membri, forse. Aveva osservato la lista di quelli rimasti escludendo le opzioni che non gli piacevano, mentre attraversava il cortile – niente uncinetto, niente cucina, e assolutamente niente club di meditazione tantrica, qualunque cosa fosse. Stava rivalutando il club di uncinetto quando la porta davanti a cui stava camminando si era spalancata all'improvviso e violentemente, e uno spilungone ne era uscito camminando a grandi falcate, le mani ficcate in tasca.

- Taehyungie, fermati! - Aveva urlato qualcuno dall'interno della stanza; un istante dopo un secondo ragazzo era corso dietro al primo, afferrandolo per un polso e bloccandolo. Il primo si era voltato furioso verso il secondo, e Jungkook aveva potuto finalmente vederlo in faccia: gli occhi e le sopracciglia folte erano a malapena visibili sotto la zazzera di capelli tinti di biondo, e sul naso aveva un enorme livido scuro a malapena mascherato da un cerotto.

- Non possono farlo, Jiminie! Non è giusto, solo perché abbiamo pochi membri! - Aveva urlato in faccia al secondo ragazzo, notevolmente più basso e minuto di lui ma con un'espressione altrettanto irata a irrigidire i lineamenti delicati. - Fotografare è... è tutto quello che mi rimane. Senza questo club, io... -

Aveva chiuso la bocca, serrandola con violenza. Sembrava deluso, più che arrabbiato, e tutt'a un tratto Jungkook aveva sentito un moto di pena ed empatia nei confronti di quello sconosciuto; e quando il secondo ragazzo aveva lasciato andare il suo polso per abbracciarlo Jungkook era stato lì per lì per scappare, pur di non farsi scoprire ad osservare una scena tanto intima.

Purtroppo per lui la vita aveva altri piani: appena dopo un passo era inciampato sui suoi stessi piedi, cadendo rovinosamente contro uno dei pilastri del porticato e sbattendo con violenza la testa contro di esso. Al suo risveglio dalla botta che l'aveva temporaneamente derubato dei suoi sensi i due erano chini su di lui, preoccupati a morte.

- Oh mio dio, ti sei fatto male? - Aveva domandato lo spilungone.

- Hai bisogno che ti portiamo un'infermeria? Vuoi un po' di cioccolato? Vado a chiamare Yoongi-sunbaenim, lui saprà sicuramente cosa fare! - Aveva aggiunto il secondo, in preda al panico.

Era stato così, stordito e con un ecchimosi in via di sviluppo nella parte posteriore del suo cranio, che Jungkook aveva fatto la conoscenza di Park Jimin e Kim Taehyung; e due giorni dopo, non ancora certo di aver preso la decisione giusta ma mosso da un forte senso del dovere, aveva consegnato a Namjoon una richiesta formale di iscrizione al club di fotografia.


Nei mesi successivi i due, entrambi al secondo anno, avevano accolto Jungkook nella loro ristrettisisma cerchia d'amicizie come ne facesse parte da sempre; non esistevano persone più spontanee, per quanto diverse, di loro, e Jungkook aveva imparato in fretta a fare rapporto del loro rapporto come gruppo e come individui.

Jimin era ad un passo dall'essere lo studente perfetto: sempre in orario, sempre educato e rispettoso nei confronti di professori e compagni, l'unico ostacolo tra lui e quel titolo era probabilmente la sua incapacità di organizzare le proprie priorità; che si trattasse del club, dello studio o dell'aiuto domandatogli da un compagno, Jimin dava ad ognuna di quelle attività lo stesso impegno senza mai preferire il proprio studio all'amicizia. Così facendo equilibrava voti e vita sociale, ma non eccelleva nella media quanto avrebbe potuto se solo fosse stato capace di dedicarvi un po' più tempo. A Jungkook, tuttavia, quella sua incapacità non dispiaceva affatto: lo rendeva più umano, semmai, e infinitamente più gentile.

La vita scolastica di Taehyung, invece, era un disastro fatto e finito – ma non sembrava importargli affatto. Se Jimin domandava a Jungkook di cercare Taehyung, Jungkook non perdeva neppure tempo a cercarlo in aula: sapeva che avrebbe avuto molta più probabilità di trovarlo sul tetto, o in un angolo remoto del cortile, ad osservare un angolazione particolare del cielo con la macchina fotografica – il suo più grande tesoro – tra le mani con le nocche sempre graffiate, sempre rosse. - L'ho acquistata dopo un anno e mezzo di lavoretti! - Gli aveva spiegato una volta, mostrandogliela fiero. Jungkook aveva abbassato la propria fotocamera, vergognandosi: nel suo caso aveva semplicemente dovuto domandare ai genitori di acquistarla. Quando aveva chiesto a Taehyung cosa pensasse suo padre delle sue fotografie lui era scoppiato a ridere e aveva esclamato divertito: - Non sa neanche che ce l'ho! Mi ucciderebbe, se sapesse quanto l'ho pagata. -

A bilanciare la semplicità con cui Jimin intratteneva rapporti ed il fascino magnetico che Taehyung, da tutti considerato un ribelle, attirava su di sé, c'era Min Yoongi – presidente del club di Fotografia e suo fondatore. Durante il suo primo incontro con Yoongi Jungkook aveva a malapena spiccicato parola, congelato sotto il suo sguardo sottile e privo d'emozioni, ma col tempo il sunbaenim l'aveva persino preso in simpatia: la sua facciata all'apparenza gelida si era spaccata pian piano, lasciando intravedere a Jungkook quanto dietro quel ghiaccio ci fosse un'anima infuocata di passione per tutto ciò che riguardava la fotografia. Yoongi era stato un buon insegnante e un ottimo amico, una definizione di cui Jungkook andava parecchio fiero: gli amici di Yoongi, infatti, si contavano sulle dita di una mano. Oltre a Jimin e Taehyung c'erano Jung Hoseok, Kim Seokjin e Kim Namjoon stesso: tutti ottimi studenti del terzo anno, figure quasi mitologiche che Jungkook si era accontentato di guardare da lontano, accettando il loro saluto e ringraziando quando capitava che loro glielo rivolgessero durante gli sporadici incontri nei corridoi. Alla fine del suo primo anno Jungkook non aveva un gruppo di amici, ma tre ottimi amici e un gruppetto di conoscenti: più di quanto avesse avuto tutta la vita.

Ma più degli amici e dei conoscenti, nel club di Fotografia Jungkook aveva trovato una vocazione inaspettata: dopo le prime titubanti settimane la macchina fotografica aveva preso a sembrargli un naturale prolungamento delle sue dita, dei suoi occhi. Guardare il paesaggio attraverso l'obiettivo lo rilassava: era come inserire una barriera protettiva tra sé e il mondo esterno, che dietro la lente diventava un quadro con una cornice via via più chiara, e composizioni via via più ambiziose. C'era un intero mondo, dietro quello che era nato come un hobby, e mentre i manuali e i libri di fotografia si accumulavano sulla sua scrivania Jungkook spendeva sempre più del suo tempo libero dietro l'obiettivo di quanto ne spendesse sui libri. - Non ho mai visto qualcuno tanto appassionato. - Aveva commentato Jimin, un giorno. - Voglio dire, Yoongi-sunbaenim è bravo e Taehyungie ne fa una ragione di vita, e naturalmente anche a me piace molto, ma tu... sembra che tu non possa farne a meno. Ti brillano gli occhi ogni volta che accendi la macchina fotografica, Jungkookie! Mi piaci! -

A quell'ultima parte Jungkook non aveva risposto, naturalmente, ma questo non significava che non l'avesse compresa o che non avesse avuto modo di pensarci; a dire la verità ci aveva pensato spesso, nei giorni a seguire. La cerimonia di diploma di Yoongi e degli altri sunbaenim del terzo anno era andata e venuta – tutti e tre loro avevano pianto, abbracciando Yoongi, e aveva la netta impressione che avesse pianto un po' anche lui – e Jungkook non aveva smesso di pensarci. La fine della scuola era arrivata, e lui ci stava ancora pensando – e quando l'ultimo giorno Jimin aveva battuto sulla sua spalla e gli aveva promesso che si sarebbero visti, quell'estate, Jungkook aveva pensato che la prospettiva della sua prima estate in compagnia di amici non fosse l'unica ragione per cui il cuore aveva preso a battergli così forte.

Jimin aveva mantenuto la promessa; oltre i cancelli della scuola lui e Taehyung erano diversi, più inclini a mostrare la propria intima indole tranquilla. Nel silenzio di pomeriggi spesi in riva al mare, nella pace che era stato potersi sedere e chiacchierare di tanto in tanto o semplicemente sonnecchiare sotto ad un albero in loro compagnia Jungkook aveva scoperto quanto fosse grato della loro presenza; non erano solamente i suoi primi amici: erano i migliori che avrebbe potuto desiderare.

- All'inizio del prossimo anno qualcuno più piccolo di me si unirà al club. - Aveva detto un giorno, esprimendo ad alta voce un pensiero che gli era saltato in mente la sera precedente. - E non sarò più il più piccolo. -

Taehyung aveva risposto alla sua apparente lamentela carezzandogli i capelli com'era solito fare. - Oh, Jungkookie, tranquillo. Sarai sempre il nostro piccolo. - Aveva risposto.

Era stato allora, sdraiato sotto ad un faggio e con le dita di Kim Taehyung tra i capelli, intento ad osservare il suo sorriso e quello di Jimin, che Jungkook aveva finalmente compreso cosa fosse quello strano sentimento a cui non aveva mai saputo dare un nome, quell'attorcigliarsi di stomaco che lo coglieva ogni volta che loro due gli rivolgevano la parola.


Aveva passato tutto il secondo anno a nascondere la propria cotta per Taehyung e Jimin, imponendosi di scegliere – era già strano che avesse una cotta per un suo amico, figuriamoci due. Ma per quanto valutasse le proprie opioni accuratamente, non sapeva scegliere: li adorava entrambi per motivazioni completamente diverse. Dirlo anche solo ad uno di loro avrebbe rovinato tutto ciò che aveva costruito, però, perciò Jungkook era rimasto in silenzio – a dannarsi per qualcosa su cui non aveva il benché minimo controllo. Prima che potesse accorgersene erano passati i mesi, e l'ultimo trimestre di Jimin e Taehyung aveva portato con sé una notizia che aveva completamente ribaltato lo status quo con cui si era abituato a convivere.

- Io e Jiminie andiamo a Seoul assieme. - Gli aveva detto Taehyung; per poco Jungkook non aveva fatto scivolare la macchina fotografica giù per il cornicione oltre cui la stava puntando, nella speranza di riuscire a fotografare il campo scolastico dall'alto. Taehyung non aveva fatto caso alla sua reazione. - Lui studierà all'università e io mi cercherò lavoro. Dice che lo fa per me, per... per portarmi via di casa. -

Jungkook l'aveva fissato, annuendo lentamente e tentando in ogni modo di non dimostrare la propria infelicità; Taehyung non lo meritava. La sua situazione familiare era difficile, e spesso Jungkook aveva sperato in una svolta che gli consentisse di scappare da quell'ambiente tanto tossico. - Jiminie-hyung è proprio un angelo. - Aveva mormorato, ritirando la macchina fotografica. Aveva avuto lo scatto tanto agognato, ma non gliene importava più molto; i suoi pensieri erano rivolti ad altro, ormai. Specificatamente a Jimin e Taehyung, che nel giro di qualche mese l'avrebbero lasciato solo.

Taehyung era rimasto in silenzio per qualche secondo a godersi la brezza, riflettendo. - Jungkookie. - L'aveva chiamato, poi. - Posso confidarti un segreto? -

Jungkook aveva annuito.

Taehyung gli aveva confidato un segreto.

Cinque minuti dopo, Jungkook era corso via dal tetto e fino alla propria aula; fortunatamente per lui, la campanella era suonata proprio nel momento in cui si sedeva, impedendo a Taehyung di fare irruzione nella classe e raggiungerlo – e fortunatamente per lui era l'ora di inglese: aveva nascosto il volto dietro il raccoglitore con la scusa di poterosservare meglio gli appunti e aveva posato la testa sulle braccia conserte, trattenendo lacrime furiose e confuse dal riversarsi sulle sue guance.

Nelle settimane successive aveva smesso di recarsi al club di fotografia. Quando uno dei suoi hoobae l'aveva approcciato per domandargli cosa fosse accaduto Jungkook aveva dato la colpa agli impegni scolastici, allo studio e ai voti; non era mai stato un buon bugiardo, ma il ragazzino sembrava averci creduto.

Taehyung e Jimin non avevano tentato di avvicinarlo, spaventati da una sua reazione – e Jungkook era arrivato a detestarsi, pertanto, a odiare l'essere la causa delle loro espressioni miserabili, dei loro sguardi bassi; ma per quanto si sforzasse di cercare le parole adatte ad avvicinarli e a dir loro quanto gli dispiacesse, e cosa pensava di quella questione, più il tempo passava e meno Jungkook si sentiva in grado di farcela. Senza contare che ogni volta che pensava di scusarsi per quella reazione improvvisa il pensiero di ciò che sarebbe venuto dopo la fine della scuola lo spaventava a morte.

Forse Jimin e Taehyung non avevano bisogno di lui. La confessione di Taehyung l'aveva ampiamente dimostrato.

* * *


- Sunbaenim! Jungkook-sunbaenim, possiamo farci una foto assieme? -

Jungkook, che si era fermato nell'ingresso della scuola ad osservare il caos di saluti e risate nel cortile a pochi metri dal punto in cui si trovava, si voltò verso i suoi tre hoobae del club di Fotografia. Si sentiva in colpa nei loro confronti quasi quanto si sentiva in colpa nei confronti di Jimin e Taehyung: erano tre ragazzi dolci, che l'avevano da subito ritenuto un ottimo insegnante, e lui li aveva abbandonati per due mesi per paura di affrontare quello che forse era stato solo uno spiacevole inconveniente. Sorrise loro, annuendo e chinandosi alla loro altezza per rientrare nell'inquadratura della fotocamera.

Un tempo detestava l'arrivo dell'ultimo giorno di scuola: nonostante la mancanza di amici, il periodo scolastico gli forniva almeno un'obbligatoria via di fuga dalla solitudine che era la sua vita – mentre durante le vacanze era solo, lasciato a se stesso. Sembrava fosse passata una vita, da allora; ma per quanto la fine del precedente anno scolastico avesse portato con sé la prima vera vacanza della sua vita, quella in procinto di arrivare si preannunciava un disastro tanto quanto tutte quelle precedenti. Salutò gli hoobae, lasciando che scorrazzassero verso il cortile e alla ricerca di qualcun altro a cui domandare una foto ricordo. Non li seguì: non si sentiva affatto in vena di affrontare la folla di saluti ed abbracci, o di congratularsi con i diplomandi. Avrebbe lasciato che se ne andassero e poi sarebbe sgattaiolato fuori dalla scuola, evitando il più possibile interazioni che non avrebbero fatto altro che rattristarlo e sperando che nessuno, tra i suoi compagni di classe, gli telefonasse.

Diede le spalle al cortile e si incamminò per i corridoi vuoti, quindi: non c'era nessuno, all'interno del complesso scolastico, e dove un altro si sarebbe lasciato avvolgere dall'aria inquietante dell'ambiente privo di vita Jungkook fu tentato di aprire lo zaino ed estrarre la macchina fotografica che non aveva mai abbandonato per catturare quella situazione tanto singolare. Lo fece, dedicando ad ogni scatto tutta la precisione e la minuzia che possedeva; ma le voci aldilà delle enormi finestre, provenienti dal cortile, continuavano a distrarlo. Alla fine continuò ad incespicare sempre più avanti nei corridoi, su per le scale, superando anche l'ultimo piano.

Nel voltarsi verso l'ultima rampa di scala si accorse che la porta del tetto era stata aperta. L'idea di incontrare qualcuno che si era appartato lassù non lo divertiva granché – specie se il “qualcuno” in questione si fosse rivelato essere una coppietta – ma non aveva neppure la forza di tornare indietro, o di girovagare per i corridoi all'infinito: alla fine, si disse, il tetto era grande ed ampio. Non era neppure detto che incontrasse chiunque si era diretto là sopra.

Salì i gradini uno alla volta, tendendo le orecchie per cercare di captare un suono, una voce di qualche tipo; ma arrivato all'ultimo gradino non aveva ancora sentito niente che potesse confermargli la presenza di vita umana, e dopo un ultimo respiro profondo Jungkook si fece coraggio ed uscì allo scoperto.

Lassù la luce era molto più forte, e per qualche istante ne fu abbagliato; quando finalmente riuscì a riaprire gli occhi, però, vide che non solo non era solo – ma che le persone che si erano appartate sul tetto erano esattamente quelle che aveva cercato di evitare rifugiandovisi. Jimin fu il primo a notarlo, e non appena fu sicuro che fosse proprio lui tirò la manica della camicia di Taehyung – che, seduto accanto a lui nel bel mezzo del tetto, aveva il viso rivolto al cielo.

Si guardarono in silenzio per un po', Jungkook in piedi e gli altri due seduti immobili; gli unici movimenti erano il lieve dondolio di Jungkook da un piede all'altro e il masticare di Taehyung, che tentava di finire un boccone del pranzo che stava consumando nell'istante in cui Jimin lo aveva informato del suo arrivo. Fu proprio quest'ultimo a parlare, la voce dolce e lievemente preoccupata come la prima volta in cui gli aveva rivolto la parola.

- Jungkookie. - Disse. - Da quanto tempo. -

Con quattro semplici parole fece comprendere a Jungkook che non c'era via di scampo; che quell'incomprensione, che aveva aleggiato su di loro come una nuvola troppo carica di pioggia e troppo vicina alle loro teste, andava affrontata lì e subito. E Jungkook, che non era mai stato in grado di negare loro niente, si avvicinò a testa china e si sedette poco dietro al punto in cui si erano seduti loro. - Sì, è passato un po' di tempo. - Ammise, in un filo di voce. Jimin annuì, sorridendogli: aveva ancora lo stesso sorriso, e i suoi occhi sparivano ancora non appena le sue labbra si sollevavano.

Jungkook era sempre stato più basso di Taehyung, e più gracile di Jimin, ma in quel momento – sotto i loro sguardi inquisitori – si sentì più piccolo di entrambi, minuscolo, insignificante. - Hyung... - Mormorò, richiamando l'attenzione di entrambi; e nonostante avesse pensato a lungo a cosa dire o alla semplicità con cui avrebbe parlato loro, quando l'occasione si fosse presentata, in quel momento riuscì solo a mugugnare mestamente: - Mi dispiace così tanto... -

Sentiva il nodo alla gola di cui aveva negato l'esistenza farsi più stretto, insopportabile. Con orrore si rese conto che le lacrime avevano già iniziato a scendergli sulle guance, e che Jimin e Taehyung l'avevano visto; chinò il capo, nascondendole a loro. Non desiderava la loro pietà. - Io...quando... - Cominciò. Fu immediatamente interrotto, però.

- Jungkookie, sta calmo. -

Era stato Taehyung a parlare; Taehyung, il suo migliore amico – che adorava quanto adorava Jimin, che amava quanto amava Jimin, ma con cui aveva sempre trovato un po' più facile scherzare o parlare di videogiochi di cui Jimin non capiva praticamente nulla. Taehyung, il suo migliore amico, che aveva ignorato per due mesi per una ragione tanto stupida e disinterpretabile, e che ora lo implorava di stare tranquillo e di spiegarsi. Jungkook sentì che aveva voglia di piangere, ma non lo fece: si calmò, ridonando al proprio respiro un ritmo regolare, e quando finalmente fu nuovamente calmo le parole vennero a lui come un fiume in piena.

- Quando hyung mi ha parlato della vostra relazione, due mesi fa, non me la sono p...presa perché m...mi danno fastidio queste cose. - Mormorò, giocherellando coi tasti della macchina fotografica in maniera pericolosa. - M...mi sono sentito tradito perché... perché quando voi ve ne andrete, io non avrò più nessuno. E m...mi dispiace se sono un tale egoista, ma io... -

Per un momento pensò di non dire nulla; di mangiarsi la lingua, e accettare che loro due si amavano e che se ne sarebbero andati via assieme a Seoul, e che niente di quanto avrebbe potuto dire avrebbe cambiato la cosa. Ma Jungkook non era mai stato bravo a pianificare le proprie azioni, e prima di rendersene conto stava premendo la fronte contro il pavimento del tetto in segno di scuse e stava urlando ciò che si era tenuto dentro negli ultimi due mesi – no, nell'ultimo anno. - Io mi sono...mi sono innamorato di entrambi voi! - Urlò, sentendo il cuore stringersi nel petto. Era una sensazione terrificante, come di vertigine, e Jungkook scoprì di avere sinceramente paura – molta più paura di quanto avesse creduto possibile. - E...ed è una cosa così stupida ed egoista, e me ne rendo conto, mi...mi dispiace... -

L'entusiasmo con cui si era dichiarato svanì in un borbottio sommesso. Non aveva il coraggio di alzare il capo, o di aprire gli occhi; cercò invece di comprendere che genere di reazione avessero avuto dai suoni, dai loro respiri.

La voce di Jimin arrivò dopo quelli che gli erano sembrati minuti. - Aaaah...ah, Taehyungie. - Sospirò; sembrava stesse trattenendo una risata, e Jungkook sentì la confusione sopraffarlo. - Cosa dovremmo fare con questo idiota? -

Idiota?

Taehyung prese parola. - Non saprei, Jiminie. Tu cosa pensi che dovremmo fare? - Domandò; e nel farlo lasciò scivolare le dita tra i capelli di Jungkook. A quel tocco inatteso Jungkook reagì sollevando la testa, mettendosi seduto e fissando i sorrisi entrambi sbalordito; Taehyung stava ancora accarezzando la sua testa, e Jimin allungò due dita a pizzicargli una guancia.

Jungkook continuava a non comprendere.

- Io credo, - Rispose Jimin. - Che un certo qualcuno sia un po' troppo piccolo per parlare d'amore, ma che sono lieto l'abbia fatto, perché fermarsi e parlare è molto più coraggioso che scappare per sempre. -

A quell'accusa velata Jungkook arrossì, colpevole; e nonostante non avesse ancora compreso bene cosa stesse succedendo, fu grato che non lo stessero guardando orripilati.

Taehyung proseguì. - Però penso anche che se questo qualcuno dovesse sentirsi ancora così, tra...tra un anno, circa... Potrebbe raggiungerci a Seoul. - Suggerì, inclinando il capo. - E potremmo riparlarne. -

La confusione di Jungkook si era trasformata in un'eccitazione sorda, scomposta; era felice, ma non aveva ancora realizzato pienamente il perché lo fosse. Ciò che sapeva era che non lo odiavano, ma gli stavano dando l'opportunità di riflettere. - Mi aspetterete...? - Domandò, incapace di trattenersi. Jimin scoppiò a ridere, e Taehyung si avvicinò per abbracciarlo.

- Ti abbiamo viziato troppo. - Borbottò Jimin; ma non sembrava troppo dispiaciuto, e raggiunse lui e Taehyung per unirsi all'abbraccio.

Nell'ascoltare le voci dei loro compagni di scuola farsi più rade e tranquille, mentre il sole si acquietava dietro l'orizzonte, Jungkook pensò di non essere mai stato così felice in vita sua.



* * *



Prima che partisse sua madre gli aveva fatto mille raccomandazioni, rimproveri che a volte si trasformavano in utili consigli. - La metropolitana di Seoul non è la linea d'autobus di Busan, Jungkook. - Gli aveva detto, sospirando. - Quindi per favore, cerca di guardare la mappa e controllare le fermate. -

Jungkook le aveva sorriso, sicuro di sé; in fondo aveva vissuto a Seoul, per un periodo – anche se si era trattenuto nella capitale solo per quattro mesi, ed era successo quando aveva sette anni. Ma la mattina della sua partenza tutto era andato storto: il caricabatterie del cellulare era morto durante la notte, la colazione era andata a fuoco, e la cerniera della valigia – che aveva riaperto per un ultimo controllo – gli si era rotta tra le mani. Nonostante gli inconvenienti, a poco meno di tre ore dalla sua partenza era a Seoul, con un cellulare al 5% di batteria e una valigia tenuta chiusa da un quantitativo industriale di nastro adesivo. Lo zaino contentente la macchina fotografica, il PC e tutta l'attrezzatura che si era trascinato dietro da Busan iniziavano a pesare, ma ignorò la fatica: era facile farlo, eccitato com'era. Stava andando tutto bene, e alle 16 in punto – orario in cui Taehyung staccava da lavoro – avrebbe finalmente avuto l'occasione di rispondere alla domanda che si era posto per un anno intero.

Questo, però, implicava che riuscisse a raggiungere l'Hangang Park – cosa che stava rivelandosi più difficile del previsto. Ad ogni fermata l'espressione di Jungkook si faceva un po' più intensa, e quando tentò di approcciare uno stuolo di ragazzini per domandare loro informazioni riuscì solamente a farli scappare via preoccupati. La batteria del cellulare era morta non appena aveva provato ad aprire il GPS, l'orario avanzava senza pietà, e l'ansia lo rendeva sempre più nervoso; quando finalmente riuscì a raggiungere il parco, dopo aver cambiato linea quattro volte ed aver chiesto informazioni ad almeno dieci persone diverse, erano le 17 passate. La valigia pesava, lo zaino pesava, le gambe gli pesavano, e davanti a sé Jungkook aveva un enorme parco da esplorare e zero idee su dove si trovassero Jimin e Taehyung. Gli veniva da piangere.

Prese a camminare a passo svelto, incapace di godersi le meraviglie paesaggistiche che aveva davanti a sé; ma più camminava, più sentiva una strana quiete prendere controllo della sua mente. Prima o poi avrebbe dovuto dirigersi al suo appartamento, dove avrebbe potuto mettere in carica il cellulare, e da cui avrebbe avvisato i suoi due hyung dell'inconveniente; non era l'idilliaca riunione che aveva immaginato, ma non poteva fare altrimenti. Cominciò a guardarsi attorno con più calma, rinvigorito da quel pensiero: il fiume Han splendeva nella luce del sole in procinto di lasciar spazio al cielo notturno, immerso in tinte rosa e gialle che si riflettevano sulla superficie dell'acqua. Non resistette alla tentazione: si fermò in un punto dove poter agire indisturbato e, sistemata la valigia, recuperò la macchina fotografica dallo zaino.

Aveva lasciato il vecchio modello regalatogli dai genitori a casa e portato con sé quella acquistata con i soldi per cui aveva lavorato dopo la scuola: maneggiarla e lavorarvi gli sembrava più corretto, come se lo fosse effettivamente meritato. Attraverso l'obiettivo inquadrò il fiume Han, con i profili dei palazzi di Seoul sullo sfondo; non era un'inquadratura originale, ma era certo che se vi avesse lavorato un po' avrebbe trovato la luce o l'angolazione necessarie a farla diventare una fotografia più bella e personale di una qualunque altra fotografia di quel paesaggio, qualcosa di suo.

Lavorò in quel modo per parecchio tempo, scattando solo di tanto in tanto e voltandosi a controllare che la valigia e lo zaino fossero ancora nello stesso punto ad ogni scatto; perso com'era in quella personale ricerca, notò a malapena quanto rapidamente avanzasse l'orario e quanto tempo fosse rimasto lì fermo, alla ricerca della fotografia perfetta.

C'erano pochi passanti, e molto spesso Jungkook non li notava neppure; ma quando il cielo aveva iniziato a scurirsi, mentre controllava l'ultima fotografia scattata, Jungkook sentì una voce profonda e familiare giungere a lui: era una risata, subito seguita da un'altra – più chiara ed acuta, cristallina. Non aveva fatto neppure in tempo a voltarsi che sentì il proprietario della prima risata esclamare: - Che ti dicevo, Jiminie? Ha deciso di mollarci per una fotocamera. -

- Ti somiglia proprio. - Ribattè l'altro, immediatamente. Jungkook li guardava con le mani ancora strette attorno alla fotocamera, sulle labbra un sorriso tanto ampio da essere quasi doloroso: davanti a lui, in carne ed ossa, c'erano Jimin e Taehyung. Avevano l'aria stanca di chi ha aspettato a vuoto per ore, ma sembravano star bene: i capelli di Jimin, che erano stati bruni, erano ora di tonalità parecchio più chiare – tendenti all'arancione. Taehyung, invece, aveva lasciato che il suo colore naturale facesse capolino dai capelli biondo platino; sulle sue nocche non c'erano cerotti, sul suo viso non c'erano lividi – e non appena Jungkook si fu voltato spalancò le braccia per accoglierlo.

- Bentornato, Gukkie. -

Aveva iniziato a correre verso di loro prima ancora di rendersene conto, il suo intero essere attratto dalla loro esistenza, dalla loro vicinanza; e quando cadde fra le loro braccia, ora più alto di e più grosso di entrambi, seppe che da quel momento in poi tutto sarebbe andato bene. Sapeva che non si sarebbe mai più sentito solo.




- - - - - - - - -



QUESTA COSA E' COSI' SCEMA E CLICHE' ma ogni tanto un po' di zucchero è proprio quello che ci vuole. Mi sono divertita da morire a scriverla, spero sia stato lo stesso anche per voi :'D

Grazie per aver letto e alla prossima!

- Joice

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Bangtan boys (BTS) / Vai alla pagina dell'autore: JoiningJoice