Anime & Manga > Captain Tsubasa
Segui la storia  |       
Autore: Yoshiko    24/05/2018    5 recensioni
È trascorso molto tempo dal viaggio dei ragazzi a Kyoto. Era autunno, la città li aveva accolti nella sua splendida cornice di aceri rossi, promettendo un soggiorno piacevole tra visite ai giardini e ai templi, colloqui per nuovi ingaggi e prove per uno spot televisivo. La spensieratezza di quei giorni si era infranta di colpo e gli strascichi di quei tragici avvenimenti continuano tuttora a segnare le loro vite.
Holly e Patty sono a Barcellona, Benji ad Amburgo, Mark è atterrato in Italia inaspettatamente accompagnato, e il resto del gruppo si trova in Giappone finché un’amichevole contro l’Italia di Salvatore Gentile e Dario Belli li riunisce tutti, ancora una volta.
Rain è il sequel di Leaves che a sua volta è il continuo di Snow. Per capire la storia e seguirne l’andamento è consigliabile avere un po’ di pazienza e cominciare dall’inizio, anche per la presenza di personaggi out of character, già presentati nelle precedenti fanfiction.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Hikaru Matsuyama/Philip Callaghan, Kojiro Hyuga/Mark, Salvatore Gentile, Yoshiko Fujisawa/Jenny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Time'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Sedicesimo capitolo



Amy aveva fatto bene a insistere sulla questione delle foto e lei avrebbe dovuto darle retta. Jenny non era sicura di voler diventare la testimonial di una nota marca di profumo facendosi fotografare insieme a Gentile in qualche posa osé. In quello studio, tra lo staff che si muoveva frenetico tutt'intorno a lei, si sentiva perduta. Invece di starle accanto e aiutarla a prendere una decisione, Salvatore l’aveva mollata da sola per andare a parlare con il fotografo che li avrebbe immortalati. A lui non sembrava dare fastidio essere passato da mero accompagnatore a protagonista. Piuttosto il contrario. Jenny invece non era persuasa, e non riuscivano a convincerla neppure quelle spiegazioni assurde in un inglese così così sul magnifico contrasto dei colori, assolutamente da sfruttare, tra la sua pelle bianca e quella abbronzata di Gentile, tra i suoi capelli neri e quelli d’oro del ragazzo. Le avevano assicurato che non si sarebbe visto niente. Che soltanto Salvatore si sarebbe tolto la maglietta. Che il suo abito, fornito direttamente da loro, l’avrebbe coperta a sufficienza. Altri contrasti: un corpo nero e uno bianco, uno vestito, l’altro nudo. Sarebbero stati in piedi e basta, non si sarebbero neppure baciati. Lui l’avrebbe tenuta tra le braccia, appoggiata contro una roccia (finta) mostrando al fotografo la sua schiena muscolosa, lei avrebbe avuto i capelli raccolti, alcune ciocche le avrebbero incorniciato il viso. Un ciondolo d’oro si sarebbe morbidamente adagiato sulla scollatura dell’abito, un paio di orecchini avrebbero brillato accanto al volto. Nient’altro, giusto un po’ di trucco. Sarebbero rimasti a piedi nudi, appoggiati su uno scoglio contro un mare di zaffiro. Eppure lei non era convinta. Non ne poteva più di essere fotografata, non sopportava più di finire sotto gli occhi di tutti. Di essere vista, rivista e giudicata.
Così traccheggiava indecisa. Doveva essere un’intervista… o no? Forse Dario non aveva capito? Forse loro non si erano spiegati? Forse era stata lei a non capire? Forse era per questo motivo che tremila euro le erano sembrati troppi, per poche domande?
In quella mattinata di riposo in vista della partita della sera, Gentile si era offerto di accompagnarla e lei non sapeva se la sua presenza era stata una fortuna o meno. Forse se non fossero stati insieme non le avrebbero chiesto le foto. O forse gliele avrebbero chieste lo stesso ma per lei sarebbe stato più facile rifiutare… oppure più facile accettare? Non lo sapeva e non sapeva neppure cosa fare. La sua indecisione aveva aumentato il compenso. Forse anche a Gentile, che non si aspettavano di vedere, avevano promesso un guadagno. Rifiutandosi avrebbe fatto sfumare anche il compenso di Salvatore. E allora? Che fare? Perché non aveva dato retta ad Amy e non si era informata meglio prima di presentarsi lì?
Vide una giovane avvicinarsi alla truccatrice con il suo abito tra le mani. Doveva decidersi. Raggiunse Salvatore e gli si aggrappò ad un braccio.
-Che facciamo?-
Lui alzò le spalle.
-Per me è uguale.-
-Così non mi aiuti a decidere…-
-Qual è il problema? Non ti fanno comodo dei soldi?-
-Sì, però… Pensavo si trattasse di un’intervista.-
-Anch’io, ma non importa. Sono solo poche foto. Impiegheremo meno di un’ora.-
-Ti pagano?-
-Non mi interessano i soldi ma so che a te fanno comodo.-
Stava accettando per farle un favore? Certo tremila euro in quel momento non erano da buttare. Tremila euro non erano mai da buttare in realtà. Avrebbe potuto pagarsi il biglietto aereo senza attingere ai soldi che le erano rimasti sul conto. Per di più in quel momento, con la sua vita trasformata in un enorme punto interrogativo, faceva sempre comodo avere qualcosa da parte. E se poi le sue foto fossero finite sulle riviste di moda o sui manifesti pubblicitari, pazienza. Non aveva intenzione di restare in Italia ancora a lungo.
Si staccò da Gentile e andò verso il vestito che avevano preparato per lei.
Dieci minuti dopo, Jenny si trovava con la schiena premuta contro una parete di finta roccia sotto i riflettori, in una posizione piuttosto scomoda, osservata da tutto lo studio. Salvatore al contrario sembrava perfettamente a suo agio e rideva della sua ansia.
-Rilassati Jenny, stai andando in apnea.-
Era appoggiato contro di lei, una mano sul suo fianco fasciato dall’abito nero, l’altra premuta sulla parete, per non pesarle troppo addosso. Dava le spalle al team e si limitava a seguire gli ordini che gli arrivavano gridati dal fotografo e dai suoi assistenti.
-Non mi piace, non vedo nulla.- le luci l’accecavano.
-Chiudi gli occhi e respira.-
Non era facile respirare, con il tubino che indossava. Le avevano fatto togliere il reggiseno, il corpetto le era stato cucito addosso per adattarsi al suo corpo snello e la strizzava tutt’intorno al torace, la scollatura imbottita le aveva fatto aumentare il seno di almeno una taglia. Una spallina le era scivolata di lato, lungo il braccio, e quando aveva cercato di rimetterla al suo posto qualcuno aveva gridato qualcosa e Salvatore le aveva detto di lasciarla così, che era molto meglio. Jenny spostò una gamba per non perdere l’equilibrio e sentì il bordo di pizzo del vestito salirle lungo la coscia.
-Quanto manca ancora?-
-Jenny, lasciali lavorare in pace.- il ragazzo si mosse, eseguendo le istruzioni.
Il rumore degli scatti arrivava a raffica, dovevano aver fatto per lo meno cento foto.
-Non ne posso più. Non vedo l’ora di andarmene.- era tesa come una molla pronta a saltare e appena le avessero dato il via libera, sarebbe corsa dietro i paraventi, si sarebbe rimessa i propri vestiti e sarebbe uscita di corsa da quel posto.
-Ti peso?-
Lei scosse la testa. Al contrario, più Salvatore le era addosso e più la copriva, con il risultato di renderla meno visibile agli occhi del team e nelle foto. Aveva già cercato di nascondersi, di sprofondare dietro al suo corpo atletico ma qualcuno si era avvicinato, aveva scostato Gentile e l’aveva messa più in mostra di prima.
Quando pensava ormai di aver finito, la truccatrice si avvicinò, le sistemò i capelli, inumidendoli con uno spruzzino pieno d'acqua e scompigliandoli, se possibile, ancora di più. Jenny se li sentiva ovunque, sul viso, sul collo, a solleticarle la guancia e il naso, sulle spalle. Doveva sembrare uno spaventapasseri. Alcune gocce le finirono sulla schiena e Jenny le sentì scivolare verso il basso provocandole un insopportabile solletico, sull'olio alla mandorla di cui li avevano cosparsi entrambi per fare in modo che la loro pelle risplendesse alla luce.
-Per queste cose dovrebbero chiamare delle professioniste, non la prima che capita…- tornò a lamentarsi -Non sono neppure fotogenica.-
Salvatore rise. Si stava divertendo un mondo ed era contento di averla accompagnata. Jenny non lo capiva perché per lei era la prima volta, ma lui che ormai aveva una certa esperienza nel campo, sapeva che il fotografo aveva ragione. Il contrasto tra i loro colori sarebbe stato fantastico anche nelle foto in bianco e nero. Avrebbe dovuto accorgersene prima e proporla ai suoi contatti. L’avrebbe fatta guadagnare bene con il minimo sforzo.
-Dopo tutta questa fatica ci meritiamo una bella birra.-
-A quest’ora?-
-Finiremo per lo meno a mezzogiorno. Prendiamoci un aperitivo coi fiocchi! Tanto il pranzo sarà la solita fregatura prepartita.-
Tacque perché gli dissero di tacere, si volse perché gli ordinarono di guardare l’obiettivo. Sfiorò il suo viso con le labbra, quando gli chiesero di farlo e lei sentì il suo profumo mescolato all'aroma della mandorla. Cambiò posizione, le infilò una mano tra i capelli, gliela lasciò scendere lungo il collo, sulla spalla e sul braccio mentre le guance di Jenny, che continuava a tenere gli occhi socchiusi o al massimo pudicamente rivolti a terra, si colorivano di imbarazzo. Il suo rossore aveva mandato il fotografo in visibilio e adesso non la finiva più.
Quando quella tortura ebbe termine Jenny si sentiva esausta, spossata e scontenta e accettò ben volentieri l’invito di Salvatore a tirarsi su con un corposo aperitivo.

Evelyn era pronta per l’intervista. Sedeva nella hall dell’hotel, in attesa che Jenny e il suo ragazzo si facessero finalmente vedere. Avrebbero dovuto incontrarsi nella tarda mattinata, invece all’ora di pranzo l’amica le aveva telefonato per avvertirla che avevano avuto un contrattempo e l’avrebbero raggiunta nel primo pomeriggio. Evelyn aveva avuto tutto il tempo del mondo per tornare in camera e darsi una nuova passata di trucco. Aveva indossato la sua tenuta da lavoro, una camicetta bianca a righine nere con le maniche a sbuffo e una gonna nera molto seria, con uno spacco al centro del lato posteriore. Aveva infilato un paio di collant e le scarpe nere che Jenny aveva prestato a Patty per la serata di beneficenza. Si era lasciata i capelli sciolti sulle spalle, che le arrivavano quasi a metà schiena e aveva cercato di lisciarli con il fon per togliere il segno dell’elastico. Bruce, quando l’aveva vista arrivare al bancone del bar, non aveva creduto ai propri occhi.
-Con chi hai appuntamento, Eve?- le domandò Clifford dopo aver lanciato un fischio di apprezzamento -Per chi ti sei messa così in tiro?-
Sua cugina si presentava regolarmente al campo con un paio di jeans e una semplice t-shirt, i capelli legati in una coda e al massimo un velo di lucidalabbra trasparente.
-Sicuramente non per voi. Sto aspettando Salvatore Gentile, devo intervistarlo. Sta per arrivare.- si guardò intorno in cerca di un angolo tranquillo dove potergli fare le sue domande, senza che nessuno li disturbasse, senza che nessuno si impicciasse. Un angolo appartato per poter rimanere con lui in santa pace -Rob, vieni a farmi da interprete? In cambio ti offro da bere quello che vuoi!-
-Vai Rob.- Bruce lo spinse verso la fidanzata -E prendi appunti così ci racconti!-
-Neanche per sogno! L’intervista è top-secret! Se ti interessa, acquista il mio giornale!- prese Aoi per un braccio e trascinò il ragazzo su e giù per la hall, indecisa su dove sedersi.
-Quella cartastraccia? Neanche morto!- le gridò dietro Bruce ma lei non gli prestò ascolto -Questa maledetta intervista è diventata una questione di Stato!-
-Si vede che per lei è importante, Bruce. È il suo lavoro e non dovresti schernirla così. Evelyn ha il massimo rispetto per il tuo.-
-Taci Paul, non ti immischiare.-
Salvatore e Jenny entrarono nell’hotel mano nella mano e si guardarono intorno. Jenny individuò i ragazzi al bar e istintivamente si sciolse dalla stretta di Gentile, allungando il passo verso Evelyn e Rob.
-Mi dispiace, abbiamo fatto tardi.- si scusò lui, dedicando alla giornalista un sorriso luccicante d’azzurro che la fece sciogliere.
Se Evelyn non fosse stata già seduta, sarebbe crollata a terra.
-Va benissimo lo stesso! Tanto non ho nulla da fare!- strascicò in inglese -Rob, fai funzionare la lingua, il mio inglese fa schifo.-
-Che devo dirgli?-
-Di sedersi accanto a te e di ordinare qualsiasi cosa voglia bere. Pago io.-
-Salvatore non ti lascerà mai pagare.- s’intromise Jenny.
Completamente dimentica di lei, Evelyn la guardò sorpresa.
-Sei ancora qui?-
-Tranquilla, te lo lascio. Me ne vado subito.-
Jenny indossava ancora l’abito del servizio fotografico, diventato troppo corto e troppo scollato non appena aveva messo piede fuori dallo studio. Non faceva altro che tirarlo giù sulle gambe e rialzare la spallina che continuava a scivolarle sul braccio sotto il leggero cappotto primaverile. Era stata così impaziente di andarsene dal set che aveva preferito infilare i propri vestiti in una busta e cambiarsi dopo, con calma, in un ambiente più tranquillo e più riservato. Oltretutto il paravento che le avevano messo a disposizione non le era piaciuto, i pannelli le avevano dato l’idea di essere troppo sottili. Adesso aveva bisogno di un bagno.
Vedendola passare a pochi metri dal bar, Clifford sollevò una mano per richiamare la sua attenzione.
-Ciao Jenny, vieni a bere qualcosa con noi? Hai un vestito bellissimo, corto proprio come piace a me!-
Lei si volse e si sforzò di sorridere.
-Magari un’altra volta…- sparì dietro l’angolo, oltre un enorme ficus, diretta ai bagni.
Jenny nel bagno trovò Amy. Era appoggiata con lo stomaco contro il lavandino, il volto vicinissimo allo specchio. Si stava passando un fazzoletto sugli occhi, cercando di non far colare il rimmel.
-Stai piangendo o sei raffreddata?-
Amy sussultò, il fazzoletto quasi le cadde di mano. Quando si volse il suo sguardo era liquido e arrossato.
-Che ti succede?-
L’amica si lasciò sfuggire una smorfia scontenta.
-Sempre la solita solfa.-
-Quale solfa?-
-Quella delle fan di Julian.- scosse la testa a significare che era inutile parlarne tanto non ci si poteva fare niente -Che ci fai qui? Ci hai ripensato e hai deciso di venire allo stadio con noi?-
-Scherzi? Mai.-
-Mi pareva. E allora?-
-Ho accompagnato Salvatore per l’intervista di Evelyn.-
-Ah, finalmente! Così si tranquillizza e smette di assillarci tutti!-
-Speriamo.- Jenny appoggiò la busta con gli abiti sul lavandino e si tolse la giacca.
-Bel vestito.-
-Grazie, ma adesso lo tolgo.-
-Perché? Ti sta bene.-
-È troppo scollato, troppo stretto… troppo tutto. Sai, avevi proprio ragione a dirmi di insistere sulla questione delle foto. Quella che volevano da me non era un’intervista ma un servizio fotografico. Questo è il vestito che ho indossato.-
-Quindi l’hai fatto?-
-Sì.-
-È andato bene?-
-Salvatore è rimasto tutto il tempo insieme a me. Vai a tenere chiusa la porta?- Jenny riuscì a sfilarsi le spalline, poi afferrò la scollatura e la tirò su per togliersi l’abito dalla testa. Il vestito la fasciava stretto, non riuscì a sollevarlo. S’innervosì e tirò forte. Si udirono alcuni strappi.
-Piano, piano… Jenny! Così lo rompi!-
-Non importa, devo toglierlo!-
-Si sta strappando!-
-Perché me lo hanno cucito addosso!- strattonò con forza, le cuciture fatte in studio cedettero e con l’aiuto di Amy, riuscì a liberarsene. Si rivestì in fretta dei propri abiti, sentendosi decisamente meglio.
-Finalmente! Che liberazione!-
-Sei tu che profumi così?- domandò annusando l'aria -Mandorle?-
-Ci hanno cosparsi d'olio, neanche dovessero friggerci.-
-Poco male, ti è rimasto un buon odore addosso. Quindi allo stadio non ci vediamo, Jenny?-
Si guardarono attraverso il riflesso dello specchio.
-Io sarò sugli spalti, non so tu.-
-Io sarò in panchina. Gamo ci ha dato il permesso.-
-In panchina non ci vengo. Sto con Salvatore, la panchina giapponese non è il mio posto.-
-Non vedo perché! Tu sei giapponese, Jenny!-
-Amy, non parliamone più. Assisterò all’incontro dagli spalti, ci vediamo dopo la partita.-
-Nel senso che dopo la partita verrai in hotel?-
Jenny non disse né sì né no, frugò nella borsetta e tirò fuori il cellulare. Amy fremette. La sua insistenza era diventata un’urgenza. Il tempo a disposizione per convincere l’amica a tornare in Giappone si stava assottigliando. Con Philip non stava andando bene, o meglio non stava andando affatto. Amy e Patty avevano assistito alla manovra di Philip sulla pista di pattinaggio e avevano sperato che fosse la volta buona. Invece Jenny era scappata via, lasciandolo a incolparsi per l’ennesima volta per tutto ciò che era successo a Kyoto. Secondo il ragionamento di Amy, che ci aveva riflettuto quella notte, se lui la sera prima non era riuscito a persuaderla, ora era arrivato il suo turno di farle capire che non esisteva nessun motivo che la trattenesse ancora in Italia. Jenny doveva tornare in Giappone con loro. Punto.

*

-Gli spogliatoi della Juventus sono più belli di questi.-
Mark s’infilò scontento uno scarpino e allacciò strettamente i lacci, facendo poi un doppio nodo di sicurezza. Non era mai stato nella zona degli ospiti ma gli era bastata un’occhiata veloce nel momento in cui era entrato per capire che i locali riservati ai padroni di casa erano strutturati e organizzati molto meglio. Chissà se poteva sgattaiolare dall’altra parte e approfittare di tutti i comfort riservati alla nazionale italiana!
-Lo dici pure?-
Benji gli lanciò un’occhiata di traverso. Il portiere era già nervoso di suo da quando, quella mattina, era stato messo al corrente da Holly e Philip, ma soprattutto da Holly, che avrebbe giocato soltanto il secondo tempo. Warner l’aveva avuta vinta e lui, con grande sollievo del capitano e del suo vice, aveva abbozzato, evitando quella lunga serie di proteste e invettive che i due si erano aspettati. Era riuscito a non mandarli a quel paese, a non rispondere come meritavano alle loro finte rassicurazioni (del tipo: hanno deciso per il secondo tempo perché se Ed dovesse prendere un goal, sanno di poter contare su di te, e roba simile) ed era stato zitto, silenzioso, granitico. Così imperturbabile e imperscrutabile che alla fine Philip gli aveva chiesto se era sicuro di aver capito bene. A quel punto Benji era finito sull’orlo dell'omicidio, i due se n’erano resi conto e avevano tagliato la corda. Warner aveva vinto, gli avevano consentito di giocare il primo tempo. Che se i tempi fossero stati tre, avrebbe giocato anche Alan Crocker per par condicio. A Warner concedevano quarantacinque minuti, né più né meno di ciò che sarebbe toccato a lui. Li avevano messi sullo stesso piano, lui e Warner. Ed Warner, un mediocre portiere della J-League allo stesso livello di Benji Price, il miglior portiere del Giappone e della Germania, almeno fino alla cazzata della partita contro il Bayern.
Sapeva che avrebbe pagato caro quell’errore, sapeva che lo avrebbe pagato caro non soltanto nell’Amburgo. E se la sua splendida carriera era macchiata da quella stronzata, non poteva dare la colpa a nessuno. Se lui e Warner erano finiti allo stesso livello, doveva prendersela soltanto con se stesso. Se avevano deciso (Gamo? Marshall? Pearson? La J-League? L’intera squadra?) di far scendere in campo per il primo tempo quel portierucolo da strapazzo! Perché non si dedicava al karate e se ne andava affanculo una volta per tutte?
Rob era accanto alla lavagna portatile di Freddie e muoveva il dito da un nome all’altro dei giocatori italiani, facendo le ultime raccomandazioni. La formazione di Jenny si era rivelata esatta ma conoscerla in anticipo non aveva avvantaggiato Benji in nessun modo. Forse avevano deciso di farlo scendere in campo solo per il secondo tempo addirittura da prima di partire dal Giappone, e si erano degnati di informarlo soltanto quella mattina, i maledetti!
Si alzò furente, attraversando lo spogliatoio da un angolo all’altro senza degnare di uno sguardo Aoi che stava ancora parlando e che si interruppe per seguire la sua uscita in uno stupito silenzio. Solo Holly si premurò di chiedergli dove accidenti andasse visto che erano in piena riunione ma Benji lo ignorò, chiudendosi la porta alle spalle e neppure troppo silenziosamente. Mancava più di mezz’ora all’inizio dell’incontro e lui s’era già stufato. Percorse tetro il corridoio, la visiera abbassata sugli occhi, schivando lo staff che correva indaffarato qua e là. Si ritrovò d’improvviso nel ristorante, quello stesso ristorante che un paio di giorni prima era stato testimone dei baci di Jenny e Philip. Costeggiò la parete tenendosi alla larga dai tifosi abbonati che avevano libero accesso al locale e alle consumazioni. Vide i giocatori italiani sparpagliati ai tavoli, Gentile lo individuò e gli fece cenno di raggiungerlo ma Benji scosse la testa e cercò un tavolo in un angolo con vista campo, da cui continuare a maledire indisturbato Warner e i suoi sostenitori.
Jenny prese la borsetta e si alzò. Con addosso gli occhi incuriositi di Salvatore, raggiunse Benji e gli si sedette di fronte.
-Non è una buona giornata?-
-No.-
Tacquero, riempiendosi lo sguardo del tappeto verde e degli spalti che pian piano si affollavano di tifosi.
-Ti hanno fatto arrabbiare?- tentò di nuovo lei.
Benji sollevò appena la visiera, per permetterle di guardarlo negli occhi. I loro sguardi si incrociarono e un sorrisetto amaro gli incurvò le labbra.
-È difficile riuscire ad accettare di essere l’origine dei propri problemi. È più gratificante dare la colpa agli altri.-
-Basterebbe non concentrarsi sulle colpe ma sulla soluzione. C’è sempre una soluzione.-
-No, non sempre.-
Jenny lo guardò e fu d’un tratto d’accordo.
-Hai ragione, non sempre.-
-Non azzardarti ad arrangiare ciò che ho appena detto alla tua situazione!-
-Lo sto facendo?-
-Eccome.-
Lei sorrise.  
-Perché sei qui?-
-Mi ero stancato di sentirli blaterare le solite cose. Tutte chiacchiere inutili!-
-Dici?-
-Certo! Se sto in panchina a cosa mi serve ascoltare Aoi che spiega per la millesima volta chi fa cosa, chi gioca come, chi tira quando, chi segnerà e perché? Tanto so già perché l'Italia segnerà, semplicemente perché in porta nel primo tempo non ci sarò io.-
Jenny lo osservò in silenzio, poi allungò una mano e gliela mise sulla sua per trasmettergli tutta la sua vicinanza e la sua comprensione.
-Giocherai un secondo tempo fantastico, Benji. Evelyn scriverà su di te un articolo magnifico corredato da una splendida foto e le cose torneranno al loro posto prima che tu te ne renda conto.-
Il suo ottimismo lo colse alla sprovvista. Scoppiò a ridere.
-Cosa sei? Una veggente? Se il tuo pronostico si rivelerà esatto, ti porterò a cena nel ristorante più caro di Tokyo.-
-Smettila di provarci con Jenny e torna nello spogliatoio. Gamo ti vuole parlare.-
Si volsero all’unisono. Mark era lì e li fissava scontento. Holly lo aveva costretto ad andare in cerca del portiere ramingo soltanto perché era l’unico che sapeva muoversi nei corridoi dello stadio senza rischiare di perdersi.
Alessandro Marchesi si alzò, gli puntò un dito contro e gridò il suo nome facendo voltare mezza sala.
-Landers! Non dimenticare la nostra sfida!-
Dario drizzò le orecchie.
-Che sfida?-
-Fanculo Belli! Sono cazzi nostri!-
Il portiere italiano gli saltò addosso e lo prese per il collo.
-Che sfida? Parla!- gli agitò la  testa facendola ciondolare avanti e indietro.
-Non te lo dico neppure se mi strozzi!-
-Se non parli lo faccio davvero!-
-Mai! Mi hai distrutto cinquanta euro di fumo! Non te lo perdonerò mai!-
-Bravo! Fatti pure sentire!-
Mark lanciò loro un’occhiata, poi lasciò il ristorante seguito da Benji.
-Sei contento che il primo tempo tocchi a Warner?-
-A me interessa soltanto vincere, Price. Dovresti saperlo.-
-Ah, allora ti dispiace.- sollevò leggermente la visiera del cappellino e lo fissò negli occhi -Con Warner in porta perderemo, lo sai.-
-È un’amichevole.-
-Quindi non ti interessa vincere.-
-Ti ho appena detto di sì.-
-Allora?-
-Allora cosa?-
-Se ti interessa vincere ti dispiace che gioca Warner. Se sei contento che scende in campo vuol dire che ti è indifferente perdere. Quale delle due?-
Mark allungò il passo infastidito. Benji s’era girato la frittata in modo da avere ragione dall’inizio alla fine. Insopportabile come al solito, non gli rispose. Spalancò la porta dello spogliatoio ed entrò.
-Ho trovato Price, mister. Era in bagno con un cappio al collo, stava per suicidarsi.-
Venti e più paia d’occhi si spostarono increduli dall’uno all’altro.
-Vaffanculo, Landers.-
Amy si alzò dal tavolino che occupava con Patty ed Evelyn e raggiunse quello dove Jenny era stata lasciata sola da Benji e Mark.
-Che aveva Benji? Non ci ha neppure viste…-
-Hai bisogno di chiederlo a Jenny, Amy? Ovviamente gli rode perché non giocherà tutta la partita.- Evelyn si sedette e appoggiò il cellulare sul tavolo -Jenny, per favore. Fammi vedere la foto di Gentile. Un’unica sola volta, poi non ti rompo più.-
-Quale foto?-
L’altra la guardò strana, chiedendosi per un attimo se fingesse appositamente di non capire. Invece la confusione di Jenny sembrava sincera. D’un tratto fu curiosa di sapere cosa s’erano detti lei e il portiere.
-La foto di Gentile nudo, quella che mi hai fatto intravedere l’altro giorno. Ricordi?-
-L’ho cancellata, Eve. Non so neppure perché gliel’ho fatta.-
-Ma per me, ovvio! Sono tua amica, no?- la delusione le riempì gli occhi -Davvero l’hai cancellata?-
-Sì Eve, non era una foto da mostrare. Non era neppure da fare. Per favore accontentati di quello che hai visto.-
-Intravisto, vorrai dire…- sbuffò e le mise il broncio.
-Vieni Jenny.- Patty la prese per un braccio -Raggiungiamo i nostri posti prima che qualcuno ce li occupi.-
-Dove andate?-
Si volsero verso Evelyn.
-In tribuna.- disse Patty -Seguiremo la partita da lì.-
-E perché?-
-Lo sai il perché!- si spazientì la ragazza, allontanandosi con Jenny.
Forse Patty sarebbe riuscita a convincerla ad assistere alla partita dalla panchina della nazionale giapponese. Forse, se le avesse parlato della conversazione tra Benji e Philip che aveva ascoltato involontariamente la sera prima, avrebbe potuto sbloccare qualcosa. Invece aveva deciso di non farlo, perché era stato Philip a lasciare Jenny e Patty stentava a spiegarsi come l'amico avesse imbastito un tale casino tutto da solo, facendo soffrire l’amica inutilmente quando lei, di motivi per star male, ne aveva già a bizzeffe. Adesso provava nei confronti del ragazzo non soltanto una cocente incomprensione ma anche un insopportabile fastidio. Philip, con la sua presa di posizione, si era dimostrato di un'immaturità inaudita e finché non se ne fosse reso conto, Patty aveva tutte le intenzioni di proteggere Jenny affinché non continuasse a soffrire a causa sua. Non pensava certo che la vita dell'amica sarebbe stata migliore senza Philip, probabilmente solo tornando con lui avrebbe potuto sentirsi completa, ma capiva sicuramente più degli altri che in quel momento Jenny aveva bisogno di tempo per ricostruirsi e non di ricevere una nuova notizia sconvolgente, come poteva essere appunto apprendere il motivo per cui Philip l'aveva lasciata. C'era poi il fatto che a parere di Patty, Jenny non era ancora pronta ad accettare questa verità visto che tante cose nella sua vita e in quegli ultimi mesi erano cambiate. Nonostante le premesse non fossero proprio rosee, Patty era fiduciosa che le cose tra loro si sarebbero sistemate con il tempo, senza bisogno di forzare la mano o di mettere fretta all’una o all’altro.
*

-Controllati Mark!-
Il grido di Holly lo fermò ma l’impeto della corsa lo trascinò in una lunga scivolata sull’erba. Posò una mano al suolo per riprendere l’equilibrio e si volse a guardarlo. Holly lo aveva raggiunto, i capelli incollati intorno al viso dal sudore e il fiato grosso per la corsa. I suoi occhi guizzavano sul campo, seguendo il percorso del pallone, dei compagni di squadra e degli avversari.
-Ti passerò la palla come abbiamo detto, ma fino a quel momento rimani nella tua posizione!-
-Non riusciamo a sfondare la difesa!-
Mancavano circa dieci minuti alla fine del primo tempo e le reti di entrambe le squadre erano inviolate.
-Per forza! Continui a correre di qua e di là come un cane dietro al bastone! Ci sono già Philip e Tom a centro campo, tu devi restare in attacco! Chiaro?-
-Non alzare la voce con me, Holly!-
-E tu fai quello che ti dico, Mark!-
I difensori italiani si erano trincerati nei pressi della porta e stroncavano sul nascere ogni azione d’attacco. Come Landers sapeva bene, Gentile era il più difficile da superare e per di più durante l’ultimo tentativo di segnare, Alessandro Marchesi gli aveva mollato un calcio sullo stinco. Adesso Mark, oltre che a ficcare la palla in rete, doveva restituirgli la zampata. In alternativa conficcargli un gomito tra le costole. La loro sfida privata di colpi all'insaputa dell'arbitro era appena iniziata e lui stava già perdendo.
Benji, in panchina, fremeva. Aveva il cappellino ben calcato in testa e sotto la visiera gli occhi lampeggiavano di scontento e impazienza. Se l’Italia non attaccava e la porta del Giappone non era in pericolo, c’era la possibilità che lo lasciassero in panchina per tutto il resto della partita. Merda, perché gli italiani non si davano una svegliata? Se continuavano a traccheggiare, per il secondo tempo sarebbe potuto scendere in campo anche Crocker e nessuno si sarebbe accorto della differenza!
-Benji, quanto manca alla fine del primo tempo?- domandò Amy.
-Otto minuti e ventuno secondi.-
La giovane scambiò un’occhiata d'intesa con Evelyn, soffocando una risata. Era la terza volta che il portiere rispondeva con tanta precisione. Concentrato sul gioco, non si era accorto che quella domanda gliela stavano facendo a turno già da un po’, divertendosi alle sue risposte di una esattezza assoluta.  
Il pallone finì fuori. Rimise in gioco Julian, passando a Philip. Smarcatosi da un avversario che gli si era incollato, Callaghan prese a correre superando la metà campo. Mark chiamò la palla ma lui preferì allungarla a Tom che era in posizione migliore. Becker vide due avversari andargli incontro e se ne liberò, restituendola al compagno. Philip saltò un giocatore italiano che cercò di fermarlo con una scivolata, poi entrò nella metà campo avversaria. Poteva vedere Mark e Holly già in posizione nei pressi della porta italiana. Erano strettamente marcati ma seguivano il gioco, cercando di liberarsi. Rob comparve sulla fascia e nel momento in cui pensò di passargli il pallone, un difensore italiano si mise tra loro.
-Merda…-
Holly no, Mark no, Rob no, dov’era Tom? Non lo vedeva. Forse era rimasto indietro. Si lanciò un’occhiata fugace alle spalle, poi tornò a guardare avanti. Gli occhi azzurri di Gentile gli comparvero d’un tratto vicinissimi. Vicini come non li aveva mai visti. Fece una finta, l’italiano non si lasciò fregare e si gettò sulla palla. La sfera, colpita da Salvatore, gli urtò tra i piedi. Philip riuscì per un pelo a non farsela soffiare e recuperò spazio girandogli intorno. Salvatore seguì i suoi movimenti, braccio contro braccio, spalla contro spalla, e Jenny in tribuna trattenne il respiro.
Si sgomitarono con violenza, Philip tentò una nuova finta, Salvatore fu lento a reagire e il centrocampista giapponese riuscì a smarcarsi il tempo di un istante. La palla partì verso la fascia in uno dei suoi potenti tiri rasoterra, trovando spazio tra i piedi del difensore italiano. Gli occhi di entrambi seguirono il pallone fino a Rob che agganciò e corse in avanti, verso la porta di Belli. Dopodiché i loro sguardi s'incontrarono di nuovo e Callaghan sorrise beffardo. Lo aveva fregato.
-Non perdere tempo, Philip!- sentì gridare Holly.
Il Giappone partiva in attacco, in un nuovo tentativo di infilare la palla in rete. Callaghan ubbidì e si volse per correre dietro ai compagni, ma Gentile tese fulmineo una gamba e lui inciampò. Rotolò a terra, si sbucciò un ginocchio e un gomito, urtò il torace e una spalla sull’erba e gli mancò il fiato. La collera superò il dolore, si rimise in piedi all’istante. Il gioco intorno a loro continuava e l’italiano accanto a lui sghignazzava.
Belli li aveva visti. Teneva d’occhio Gentile dal momento in cui, invece di seguire le sue direttive, il compagno aveva fatto come al solito di testa sua ed era andato addosso a Callaghan. Dario, un occhio sulla palla, l’altro su di loro, non aveva apprezzato lo sgambetto. Il pallone era tra i piedi di Mark già nei pressi della porta e mentre lui gridava istruzioni alla difesa Salvatore, invece di essere lì a dar man forte ai compagni, s’era fermato a fare i dispetti al numero dodici. Non andava bene per niente.
-Imbecille piantala!- gridò, il timore che la contesa degenerasse e che quei due trovassero nel gioco la scusa per litigare a causa di Jenny. Tanto bastò a richiamare l’attenzione di Salvatore sulla partita.
Alex scattò verso Landers, spinto dal desiderio di dargli un altro calcio ben piazzato e, nel caso, di impossessarsi della palla.
-Finiranno per azzuffarsi.- borbottò Gamo.
-Chi?-
-Callaghan e Gentile. O più probabilmente Landers e quell’altro difensore italiano, che se le stanno dando di santa ragione da quando è iniziata la partita.-
Benji lo sentì e si augurò che lo facessero davvero, che si picchiassero, Landers e quell’altro. O anche Gentile e Callaghan, per lui era indifferente. Così forse avrebbero espulso uno dei due e, in dieci, Gamo avrebbe deciso di non rischiare e lo avrebbe fatto entrare in campo all’istante. Poi ci ripensò. Se ad essere espulsi fossero stati gli italiani, il secondo tempo lo avrebbe giocato Alan senza ombra di dubbio.
-Quanto manca, Benji?-
-Cinque minuti e quarantadue secondi.-
Evelyn gli si sedette accanto ridendo e Johnny Mason si spostò più in là per farle posto.
-Perché non riescono a segnare?-
-Perché Callaghan sta litigando con Gentile, Landers sta prendendo a calci Marchesi. Rob sta facendo una maratona e Tom ha la testa chissà dove. Come può segnare Holly, se sta giocando da solo?-
-Ti posso citare nel mio articolo?-
-Solo se vinciamo.-
-“Se”?
Parlavano ma gli occhi di Benji non la guardavano. Erano incollati sulla palla, il suo corpo un fascio di nervi pronti a saltare. Gli rodeva infinitamente di assistere al primo tempo dalla panchina e più i minuti passavano e più il rodimento cresceva. Avrebbe voluto giocare da subito, sarebbe stato molto meglio anche in vista del suo ritorno in Germania. Se il mister dell’Amburgo stava assistendo alla partita, si sarebbe convinto che persino la nazionale giapponese aveva bisogno di lui solo per scaldare la panchina. Gamo e Marshall, con la loro assurda decisione di far giocare il primo tempo a Warner, stavano rischiando di scavargli la fossa. Prima di ripartire per Amburgo doveva prendere Pearson da una parte e parlarci seriamente.
-Perché non hai protestato quando ti hanno detto che avresti giocato soltanto un tempo?-
-Ti sei mai messa a gridare contro un muro, Evelyn?-
-Avresti potuto provare a convincerli lo stesso.-
-E far rischiare a Warner un tracollo? E se mi denunciano per istigazione al suicidio? Sai che danno per la mia immagine?-
-Pensi che stare in panchina non ti danneggi, dopo quello che è successo nella partita contro il Bayern?-
Intorno a loro calò una quiete di tomba. Si sentivano le grida dei compagni in campo, i cori dei tifosi, i mortaretti, i fischi, ma la schiettezza di Evelyn aveva gelato il sangue a tutti. La partita contro il Bayern era un argomento tabù che finora nessuno dei compagni aveva mai pensato di affrontare, per lo meno in presenza del portiere.
D’improvviso lo stadio esultò e il silenzio in panchina si tramutò in attonito stupore.
-Invece di angustiare me avresti dovuto seguire la partita, Evelyn. Ti sei persa il goal dell’Italia.-
Lei balzò in piedi, il cellulare puntato verso il campo.
-Cavolo… Cavolo! Chi ha segnato? Alan! Chi ha segnato?-
-Solari.-
Benji strinse i pugni, fremendo ancor più di prima. Non sapeva se esultare per il fatto che a breve sarebbe entrato in campo o dispiacersi perché l’Italia era in vantaggio. Molto egoisticamente, decise di gioire. Si volse verso Gamo, che gridava istruzioni a squarciagola.
-Inizio a scaldarmi.-
Il mister s’innervosì ancora di più.
-Entrerai nel secondo tempo, come abbiamo già deciso.-
-Speriamo che nel frattempo la situazione non diventi irrecuperabile.-
-Non portare sfiga.-
-Io non porto sfiga, Bob. Semmai alla squadra aggiungo classe, bravura e competenza. Al contrario di altri che però entrano in campo lo stesso.-
-Taci, Price!- Gamo si spostò dalla parte opposta della panchina e riprese a gridare contro Bruce, Julian, i gemelli, l’intera difesa e chiunque capitasse a portata di voce.
Philip scampò ai rimproveri del mister ma fu una magra consolazione. L’Italia aveva segnato, Gentile gli aveva fatto lo sgambetto mandandolo lungo per terra e Jenny non si vedeva da nessuna parte. Lanciò un’occhiata verso le panchine, dove Evelyn lo salutò con un sorriso e un cenno della mano. Jenny non era scesa. Aveva preferito assistere alla partita dagli spalti, magari perché non era per il Giappone che tifava. Cercò i posti in tribuna che avevano occupato durante l’incontro della Juventus di qualche sera prima ma non la trovò neppure lì.
Il tempo a sua disposizione era quasi scaduto e non era riuscito a fare nulla per riavvicinarla a sé. Lei sarebbe rimasta in Italia, lui sarebbe ripartito per il Giappone e la sua vita avrebbe ripreso a scorrere piatta, grigia e soprattutto vuota.
-Torna con i piedi per terra, Philip!-
Callaghan non era l’unico ad essersi distratto. Lo aveva fatto anche Salvatore per avvicinarsi al bordo campo e farsi lanciare dell’acqua. Adesso che erano in vantaggio, il Giappone si sarebbe scatenato in una controffensiva con i fiocchi. Non vedeva l’ora. Ansimava per lo sforzo, sentiva i muscoli del torace bruciare da quando Callaghan gli aveva conficcato un gomito tra le costole. Sperò che anche la sua gomitata fosse andata a segno. Aveva bisogno di fermarsi un istante e riprendere fiato. Quanto mancava alla fine del primo tempo? Tornò al suo posto mentre l’Italia continuava ad attaccare. Era bene che i compagni lo facessero mentre erano ancora freschi e, adesso, galvanizzati dal goal. Price sarebbe entrato nel secondo tempo e da quel momento in poi infilare il pallone in rete sarebbe diventata un’impresa.
La palla colpì la traversa sfiorando il guanto di Warner, deviata dal colpo di testa di Clifford. La rimessa in calcio d’angolo fu di Solari. Ross intercettò il tiro e spedì il pallone lontano. Holly agganciò e ripartì in attacco correndo veloce, approfittando che metà dell’Italia fosse nell’area di difesa del Giappone. Rob lo superò rapidissimo, zigzagando tra i difensori avversari. Mark correva sul lato destro tallonato da Alex Marchesi, che per rallentarlo era arrivato persino a strattonargli la maglietta. Gentile li guardò tutti, gli attaccanti giapponesi, cercando di prevedere il loro gioco. Decise che Hutton avrebbe lanciato verso Aoi. Era lui da marcare.
-Vado su Rob!-
Amy riprese al volo la bottiglietta d’acqua che le lanciò Julian e mentre tornava al suo posto in panchina alzò gli occhi sugli spalti. Jenny era in tribuna, seduta accanto a Patty. Poi tornò a seguire il gioco, spronata dalle incitazioni delle riserve.
-Questa è la volta buona!-
-Corri Rob! Corri!-
-Dai che segniamo!-
Gamo era in piedi e gridava istruzioni a vuoto, perché i ragazzi erano lontani e così presi dal gioco da non avere il tempo di dargli ascolto.
Holly alzò un cross per Rob che era avanti più di tutti. La palla attraversò il campo e Aoi si tuffò di testa. La colpì e la indirizzò verso la rete. Dario si gettò sulla traiettoria della sfera mentre Gentile si lanciava in avanti per intercettarla. Il portiere abbrancò il pallone sventando il goal e rotolò nell’area di rigore, salvando la porta italiana per un soffio. Gentile e Rob finirono uno contro all’altro, l’urto spinse Aoi in fondo alla porta, il contraccolpo schiantò Salvatore addosso al palo. La struttura della porta ondeggiò tutta.
L’arbitro fischiò la fine del primo tempo e Belli si volse, il pallone ancora stretto al petto, gli occhi sul groviglio di braccia e gambe incastrato tra le maglie. Rise.
-Rob! Finisci sempre lì!-
-Dario! Aiutami Dario!-
Belli lasciò cadere la palla, afferrò Rob per un braccio e lo tirò verso di sé. Le maglie della rete rimasero impigliate nei tacchetti degli scarpini. Aoi prese a scalciare come un cavallo.
-Maledizione! Perché tocca sempre a me?-
-Tranquillo Rob!- rise Marchesi -Adesso invertiamo i campi, puoi restare dove sei!-
Aoi riuscì a liberare un piede, si tirò su in ginocchio e sbrogliò gli altri tacchetti.
-Io e la rete non abbiamo un buon rapporto… Salvatore, stai bene?-
Belli s’era completamente dimenticato del compagno. Gentile era rimasto immobile, scompostamente seduto sull’erba, la schiena contro il palo e la testa reclinata in avanti.
-Salvatore, tutto bene?- corse da lui, gli mise una mano sulla spalla e lo scosse.
-Piano… fai piano.- Gentile alzò lo sguardo su Belli e lo vide un po’ sfocato e tremolante.
-Stai bene?-
-Sì, non mi sono fatto niente.- si massaggiò la nuca soffocando un lamento -Porca miseria che botta!- quando si alzò ebbe un fugace giramento di testa, ma il senso di vertigine scomparve in un secondo.
-Un po’ di ghiaccio e tornerai come nuovo!- li rassicurò Marchesi correndo poi verso la panchina in cerca d’acqua.
Gentile alzò un braccio, si toccò i capelli sulla nuca e li sentì bagnati. Le dita, quando se le portò davanti agli occhi, erano tinte di rosso vivo.  Belli se ne accorse.
-Merda! Stai sanguinando!-
-Che vuoi che sia? Un taglietto…- barcollò, Dario lo sostenne ma lui si scansò, caparbio e anche un po’ seccato -Tranquillo, ce la faccio da solo!-
Si avviò verso la panchina, tornando a toccarsi la nuca che in effetti gli faceva un male cane. Poi il mondo vorticò, la terra si aprì, qualcuno spense le luci e lui piombò bel buio.
La barella con Salvatore raggiunse la panchina degli italiani nel momento in cui Jenny e Patty varcavano le porte e mettevano piede in campo.
-Si è fatto male?- domandò Patty raggiungendo Evelyn.
La ragazza era agitatissima, neanche si fosse infortunato Bruce.
-Non lo so, non chiedermi niente. Speriamo di no!-
-Cos’è successo? Dagli spalti s’è visto poco…-
-Anche dalla panchina. Speriamo che non sia niente di grave!-
A Philip non fregava un fico secco di Gentile, neppure lo guardava. I suoi occhi erano concentrati sul volto di Jenny, il desiderio fortissimo di capire quale livello di preoccupazione riservasse all’italiano. Partendo da quella quantità, quindi dalla sua espressione, era sicuro di riuscire a farsi un’idea sul tipo di sentimento che la legava a Gentile e di conseguenza capire quante speranze aveva di riconquistarla e riportarla in Giappone con sé. Ma quasi a farglielo apposta, con grande delusione di Philip, lei si girò e gli volse le spalle.  
Rimase da parte, lontana dagli italiani e isolata rispetto ai giapponesi, la spiacevole sensazione di non avere un posto suo in cui stare, un luogo in cui sentirsi a suo agio. Nessuno era lì per lei, nessuno si curava di lei, se fosse stata invisibile non sarebbe cambiato nulla. In piedi, solitaria, si strinse le braccia intorno al corpo cercando di scacciare il malessere, chiedendosi cosa fosse scesa a fare, convinta di aver sbagliato a presentarsi a bordocampo. Osservò silenziosa la barella che veniva depositata dietro la panchina, al riparo dalla gente, dalle telecamere e dagli obiettivi dei fotografi. Vicino al ragazzo svenuto rimasero soltanto il mister, il medico con un assistente e Dario Belli. Piuttosto che restarsene lì, immobile come un palo e solitaria come una nuvola in un cielo sereno, Jenny era tentata di avvicinarsi e chiedere notizie. Ma il timore di non essere la benvenuta e d’intralciare il medico la bloccava dov’era.
Belli infilò un braccio sotto la schiena del compagno e lo tirò su per consentire al dottore di esaminare la ferita. La testa di Gentile ricadde inerte di lato mentre una bottiglia d’acqua passava di mano in mano e finiva a gocciolare sui capelli biondi del ragazzo svenuto.
-È solo un piccolo taglio.- decretò il medico -Non ha bisogno neppure dei punti. Dario mettilo giù.-
Il portiere ubbidì.
-Lo mandiamo in ospedale. Dobbiamo fargli una tac.-
Jenny si fece coraggio, sgusciò tra i ragazzi e si accoccolò nello spazio libero di fronte a Belli.
-Come sta?-
Dario alzò gli occhi e, toccato dalla sua sincera preoccupazione, la rassicurò.  
-Stai tranquilla, ha la testa bella dura.-
-Davvero mister?- Marchesi si avvicinò -Salvatore non gioca più?-
-No, non gioca più. Lo porteranno in ospedale per una tac.-
Quelle parole penetrarono l’incoscienza di Salvatore.
Ospedale? Tac? Provò ad agitare un dito e lo sentì muoversi, poi ritrovò l’uso della mano. Assolutamente niente ospedale. Si sforzò di tornare padrone del proprio corpo, che collaborava rispondendo ai suoi stimoli. D'accordo, s’era scraniato contro un palo ma era solo un piccolo taglio. Non aveva bisogno neppure dei punti. Figuriamoci! La tac l’avrebbe fatta dopo la partita, non sarebbe cambiato nulla. Se il trauma cranico c’era, lì sarebbe rimasto. Socchiuse gli occhi e rimase immobile ad ascoltare la preoccupazione dei compagni, a sentire suo padre che si metteva d’accordo con lo staff per farlo portare via. L’ambulanza era già fuori. Il profumo di Jenny gli solleticò le narici, si ricordò di lei. Aveva udito la sua voce. Intorno a lui brulicava l’agitazione dello staff, che avvertiva il servizio d’ordine, che avvertiva gli steward, che avvertivano la portineria, che avvertiva gli autisti che parlavano con i paramedici. E i compagni commentavano afflitti la sua ingloriosa uscita. L’ospedale! Suo padre scherzava! Attraverso lo spiraglio delle ciglia socchiuse vedeva Jenny guardarsi intorno, incapace di comprendere la conversazione che ferveva intorno a lei, la preoccupazione del mister, le decisioni del medico, le esortazioni dell’infermiere, gli ordini che andavano da una parte all’altra della panchina, attraversando il campo e le pareti grazie agli auricolari dello staff.
Gentile, ignorato da tutti, sollevò una mano, la posò sulla nuca di Jenny e tirò bruscamente la ragazza verso di sé. Lei gli cadde quasi addosso, il viso a pochi centimetri da quello di Salvatore senza neppure capire cosa stesse accadendo. Lui la baciò.
-Ma che…-
Lo sgomento spinse Dario indietro, Gentile crollò al suolo, sbattendo la testa nello stesso identico punto in cui gli era spuntato uno stratosferico e dolorosissimo bernoccolo. Il suo grido di dolore si mescolò all’esclamazione terrorizzata di Jenny.
-Cazzo, Dario, sei scemo? Che male!-
-Io sono scemo? E tu che stai facendo?-
Salvatore si puntellò su un gomito e si massaggiò la nuca, ora doppiamente sofferente. Poi, prima che lei riuscisse a scostarsi, agguantò Jenny e le diede un altro bacio. Poi si tirò indietro e le sorrise.
-Questo è l’ultimo.-
Jenny si accasciò priva di forze, le gambe ripiegate sotto di sé, il cuore che le martellava nel petto per lo spavento. Lo fissò con gli occhi spalancati, le guance arrossate, la bocca socchiusa, i capelli raccolti ad un lato del viso, dove erano scivolati quando Gentile l’aveva tirata giù.
-L’ultimo cosa?-
-L’ultimo bacio.-
Lei non capì il senso delle sue parole e arrossì soltanto, perché Gentile l’aveva baciata davanti a tutti, ma tutti tutti, in un momento in cui tutti, ma tutti tutti, li stavano guardando.
Daniele Gentile, suo padre, strappò stizzito la bottiglia dell’acqua dalle mani del medico e la rovesciò in testa al figlio fino all'ultima goccia, inzuppandogli i capelli, il viso, la divisa della squadra.
-Buffone! Dove accidenti credi di essere? Siamo in uno stadio, non su un set cinematografico!-
La tensione sulla panchina italiana si dissolse, i ragazzi scoppiarono a ridere mentre Salvatore si tirava in piedi gocciolante.
-Ho regalato ai giornalisti una bella scena da fotografare. Ora sapranno che non mi sono fatto niente e che giocherò anche il secondo tempo.-
-Non giocherai nessun secondo tempo! Andrai in ospedale senza fare storie per controllare che in quella tua zucca vuota funzioni tutto male come al solito!-
Salvatore e suo padre si fissarono sfidandosi.
-E come farai a mandarmi via? Mi legherai alla barella? Mi farai trascinare di peso fuori dallo stadio? Mi ammanetterai? Io da qui non mi muovo! Non mi sono fatto un culo tanto per giocare solo il primo tempo!-
-Sono io che decido se e quando scendi in campo, non tu. Mettitelo in testa una buona volta!-
-Va bene, allora resto in panchina. Ma qui, nello stadio. In ospedale non ci vado, neppure se mi ci trascini.-
Gentile padre cominciò ad alterarsi davvero.
-Non sono io a dire che devi fare un controllo! Lo sta dicendo il medico!-
-Tanto non mi convinci, né tu né lui!-
-Cristo Santo! Se almeno quella tranvata avesse migliorato questo tuo carattere di merda! E invece no!-
L’allenatore respirò a fondo per cercare di calmarsi. Non aveva voglia di litigare con suo figlio, non ancora almeno. Aveva mezzo incontro da affrontare, le sue energie dovevano essere canalizzate sulla partita e sulla squadra, non disperse su quella testa calda.
-Allora fai come ti pare e se ti accadrà qualcosa, dillo a tua madre, la colpa sarà tua! Io me ne sbatto!-
-Ci voleva tanto a capirlo?-

Benji camminava su e giù per lo spogliatoio, impaziente di scendere in campo, lanciando occhiate annoiate ai compagni che riprendevano fiato seduti sui tavoli o sulle sedie. Clifford durante il gioco aveva avuto un crampo identico a quello di qualche giorno prima e ora Sandy, inginocchiato a terra, gli stava massaggiando il polpaccio con la sollecitudine di un piccolo schiavo. Mark si asciugava il viso che aveva ficcato sotto l’acqua per scuotersi di dosso la stanchezza e per ripulirsi dal sudore. Adesso, con i capelli sparati in aria, sembrava un gallo spennato. Tom sperava di scacciare la fatica con un bicchiere di concentrato di sali minerali, Philip invece il bicchiere se lo stava girando tra le dita, ancora mezzo pieno, la testa di nuovo tra le nuvole. E Benji non faceva nessuna fatica a immaginare su quali emisferi stesse errando. Gli andò vicino e gli posò una mano sulla spalla.
-Gentile col quel bacio si è vendicato del tuo tunnel.-
Holly gravitava nelle vicinanze e udì le parole del portiere. Saltò su come un grillo.
-Che ne sai, Benji, eh? Che ne sai? Ci hai parlato? Te lo ha detto lui?-
-Perché ti agiti così?-
Sperò che il portiere riuscisse a leggergli nella mente ciò che avrebbe voluto urlargli in faccia:  come perché? Non hai visto che c’è mancato un pelo che Philip e Gentile si prendessero a pugni? Vuoi peggiorare le cose? Ma le parole che presero forma e suono nella sua bocca furono completamente diverse.
-Non mi agito! Assolutamente non mi agito! Perché dovrei agitarmi? Gentile e Jenny stanno insieme, lui la bacia in continuazione, non gliene frega niente del tunnel di Philip! Nessuno deve agitarsi, qui!-
-Pensala come ti pare.-
Holly strinse i pugni.
-Se non la pianti ti strozzo!-
Ma Benji non lo sentì, non lo stava più guardando. Si era sfilato i guanti dalla tasca posteriore dei pantaloni e ci giocherellava in attesa di poterli indossare e mettere finalmente piede in campo.
-Philip, senti…- cominciò Holly, parlando di nuovo al vento.
Anche lui non lo ascoltava più da un pezzo, era tornato a pensare ai fatti propri, gli occhi ancora pieni di Jenny, la testa sulla panchina italiana, i pensieri sul campo, dove aveva resistito all’impulso di andare verso la squadra avversaria, prendere l’ex fidanzata per mano e portarsela via. Ma non via dalla parte della panchina giapponese, quella da cui era legittimo che assistesse alla partita, via proprio via. Via dallo stadio, via da Torino, via dall’Italia. Le avrebbe lasciato la mano solo una volta arrivati a Furano, a casa di lei, dove sarebbero rimasti finalmente soli. Da soli e insieme.
Peter Shake si accostò con una garza imbevuta di disinfettante.
-Ti sanguina il ginocchio.-
Philip si riscosse e fissò il compagno come se fosse un alieno. Poi le parole che lui gli aveva rivolto acquistarono un senso. Allora abbassò il viso, vide la ferita, prese la garza e si sedette su una sedia libera.
Peter lo seguì e continuò a stargli davanti. Sembrava a disagio. Sollevò gli occhi a guardarlo.
-Hai bisogno di qualcosa?-
-Forse devo chiederti scusa per l’altro giorno. Per il pugno e per non averti creduto.-
Philip avrebbe voluto rispondergli: bene, accetto le scuse. Adesso però smamma perché ho altro a cui pensare. Invece tacque, appallottolò la garza nel pugno e si alzò per andare a gettarla nel cestino mettendo fine all’imbarazzante conversazione a senso unico.

*

Jenny ballava nel suo spazio con gli occhi chiusi, senza preoccuparsi di chi le stava intorno. Una balaustra di acciaio la separava dagli altri e in quei pochi metri quadri, su una pedana semibuia, poteva lasciarsi andare alla musica senza che nessuno la infastidisse. La tensione scorreva via dal suo corpo seguendo il ritmo dei dischi lanciati dal DJ. Teneva il tempo muovendosi con i bassi che l’altoparlante sopra di lei le sparava direttamente in corpo. Anche la pedana tremolava a tempo di musica. Un metro e mezzo più in basso, attraverso gli occhi socchiusi, nel buio illuminato a intermittenza da fasci improvvisi di luce bianca e colorata, vedeva i clienti della discoteca danzare lasciandosi trasportare dal ritmo scatenato. Il collo e le braccia, la schiena, ogni centimetro di pelle che il top bianco lasciava scoperto, e le gambe, nude dalle caviglie in su, fino ai corti pantaloncini neri, erano madidi di sudore. I capelli, raccolti in una coda alta, le danzavano sulle spalle e le finivano a tratti sul viso. Cercava di non pensare a niente, ma era difficilissimo. Cercava di estraniarsi dal tempo e dallo spazio, ma restava radicata nello stesso posto. Scatenarsi non serviva ad annullare ciò che l’angustiava. Neanche concentrarsi sulla musica l’aiutava ad allontanare i sentimenti indecisi che provava.
Il DJ inserì un altro brano e il ritmo aumentò di velocità. Il cuore prese a batterle più velocemente, per adattarsi alla rapidità dei movimenti. Si sentì toccare un braccio e spalancò gli occhi, lo stato ipnotico incalzante si interruppe all’improvviso. Accanto a lei, sulla pedana, era comparsa Carol che le gridò qualcosa cercando di superare il frastuono della musica. Jenny non capì, allora la ragazza indicò la porta d’ingresso. Lei si sforzò di guardare in quella direzione, di individuare cosa avesse attirato la sua attenzione. Ma c’era soltanto un cumulo di teste scure, immerse nel buio e a tratti illuminate dai fari. Il ghiaccio secco emise un sibilo e l’ambiente si riempì di un denso fumo dal sentore di menta.
Carol si spazientì, la prese per mano e la trascinò giù per gli scalini fino alla pista. Facendosi largo tra i clienti che ballavano, raggiunsero il banco del DJ. Gli altoparlanti erano puntati verso il pubblico e lì il frastuono era minore.
-Sono arrivati!-
-Chi?-
Carol non la udì o non ebbe il tempo di risponderle perché si allontanò saltellando felice.
-Chi è arrivato? Chi?- tornò a chiederle ma lei era ormai sparita tra la gente.
-Stanca?-
Jenny scosse la testa a Gianluca, in arte Luke, le cuffie infilate in testa ma poggiate solo su un orecchio, occupatissimo a provare le successioni musicali con cui assordare i suoi clienti.
-Vogliono sempre le stesse canzoni…- borbottò scontento in italiano. Si premette l'unica cuffia posizionata sull'orecchio e innestò un passaggio da un brano all'altro.
La ragazza si chinò a terra, aprì la borsa capiente che aveva infilato sotto il tavolo del DJ quando era arrivata all'incirca un'ora prima e tirò fuori un asciugamano. Aveva bisogno di una doccia, altroché. Si passò il telo sulla nuca e sulle braccia, cercando Carol da qualche parte nel locale. Impossibile che fosse sparita. Sospirando tornò a frugare tra le proprie cose, prese una maglietta nera e se la infilò. La scollatura era ampia, sotto di essa il bianco del top splendeva di violetto e attirava l’attenzione come un faro nella notte. E lei, adesso che era scesa dalla pedana, voleva passare il più possibile inosservata.  
-Che fine ha fatto Carol?-
-Laggiù, vicino all’entrata.- gliela indicò Luke agitando la testa e una mano per tenere il ritmo della musica.
Facendosi largo tra la gente, la ragazza era riuscita ad attraversare la pista per raggiungere la nazionale giapponese al completo che si sparpagliava nel locale. Jenny non credette ai propri occhi. Cosa diavolo ci facevano tutti lì? Era tardi, erano sicuramente stanchi e non avevano proprio nulla da festeggiare, visto che l'incontro era finito con un pareggio. Perché non erano rimasti in albergo?
-Vado a prendere una birra.- disse al ragazzo -Vuoi qualcosa?-
-Una birra anche per me.-
Carol travolse Rob con la sua esuberanza saltandogli al collo.
-Finalmente! Sono settimane che non ti fai vedere qui!-
Lui divenne un pomodoro e cercò di staccarsela di dosso.
-Sei la solita esagerata, sono venuto giusto due settimane fa…-
-Come vuoi ma adesso divertiamoci! Ho riservato per voi i posti migliori, anche se pensavo che sareste arrivati prima!-
-Siamo andati in hotel a posare le borse e cenare.-
Philip riconosceva il posto, era il club privato dove l’aveva portato Carol quella sera in cui aveva sentito il bisogno impellente di cambiare aria. Cercò sulla pedana la ragazza che aveva attirato la sua attenzione quando era entrato, il suo top bianco gli era saltato agli occhi, risplendendo intermittente nel buio ogni volta che la luce violetta lo colpiva. Non la trovò più, la pedana era deserta. Seguì Mark che si faceva largo tra la gente e si fermò solo quando raggiunsero i divanetti dei vip, uno spazio riservato tutto per loro. In quell’angolo i divani erano comodi, non rischiavano di essere urtati da ballerini particolarmente spericolati e, cosa importantissima, la musica arrivava attutita, consentendo loro di parlare senza urlare.
-Dov’è Jenny?-
Carol la indicò a Mark, permettendo anche a Philip di scorgerla. Sedeva al banco del DJ con una birra in mano. Non li guardava, era voltata dall’altra parte e scherzava col ragazzo che faceva roteare con destrezza un disco tra le dita dando mostra della propria abilità. Poi arrivò Gentile, la sua testa bionda catalizzò un fascio di luce incorniciandola come un’aureola mentre attraversava la pista. Passando accanto a loro li individuò, li salutò con un cenno e puntò dritto verso Jenny. Scambiò una stretta di mano con il DJ, prese la birra della giovane e ne mandò giù una lunga sorsata.
-Non pensavo di vederti qui stasera, Salvatore.-
-Infatti sono passato solo per dirti una cosa.-
-Addirittura?-
-Sì, è una cosa importante.- accostò il viso a quello di lei finché non fu vicinissimo, la guardò negli occhi e scandì bene le parole, perché ne comprendesse il significato, nonostante l’inglese, nonostante il frastuono -Dovresti tornare insieme a Callaghan, Jenny.-
-Come?- lo fissò sgomenta, certa di non aver capito. Del resto la musica era alta, c'era confusione e d'improvviso le orecchie le ronzavano.
-Dico che devi tornare insieme a Philip Callaghan.-
Lei ammutolì. Non riusciva credere che anche Salvatore si permettesse di dirle cosa doveva fare. Era una congiura? Si erano messi d'accordo tutti? Non ne poteva più di sentire la stessa solita, inutile solfa! Cosa ne capivano gli altri di lei? Cosa ne capivano di lei e di Philip? Gentile le passò una ciocca ribelle dietro un orecchio, poi le accarezzò con affetto una guancia.
-Non lo dico tanto per dirlo, Jenny. Me ne sono reso conto quando vi ho visti pattinare insieme, ieri sera. Il tuo corpo sembrava fatto apposta per stare tra le sue braccia.- e poi aveva avuto occasione di parlare ancora un poco di loro con Price, cominciando a capire qualcosa in più sul sentimento che li aveva legati per anni.
Jenny sentì una fitta nel petto e chinò il volto a terra, incapace di guardarlo. Salvatore allora le prese il viso in una mano e glielo sollevò fino a incontrare i suoi occhi.
-Mi dispiace… Ti ho turbata?- si chinò a baciarla sulla guancia -Pensaci per favore.-
Lo osservò mentre spariva tra la gente per tornare da dove era venuto. Rimase di nuovo sola, a tormentarsi ancor più di prima. Pensarci? Non faceva altro! Non bastava forse il bacio che Philip le aveva dato davanti ai bagni del bar del centro sportivo? O ciò che le aveva detto nei corridoi dello Juventus Stadium? Non bastava ciò che era accaduto sulla pista di pattinaggio? O che Benji, Mark, Patty, Amy e chiunque altro avesse abbastanza confidenza con lei, le avesse detto che era bene che tornassero insieme? Chi dava loro il diritto di impicciarsi della sua vita? Lei stessa non sapeva cosa fosse meglio, come potevano capirlo gli altri? E Philip? La collera s’incanalò prepotente contro il suo ex. Come osava Philip chiederle di tornare in Giappone dopo come l’aveva trattata? Dopo come l’aveva lasciata? Cosa s’era messo in testa? Di frequentarle insieme, lei e quella sua fotomodella?
Indispettita dai suoi stessi ragionamenti, ignorò lui e tutto il gruppo dei compagni, restando testardamente seduta accanto al DJ finché Carol non si ricordò di andarla a prendere.
-Cosa fai, Jenny? Vieni! Sono arrivati Rob e gli altri! Non li hai visti?-
-No e non voglio vederli!-
Carol s’impietrì.
-Perché? Cos’è successo?-
-Niente, non è successo niente! Ho mal di testa, non mi sento bene. Se potessi, tornerei a casa!- desiderò davvero di poter fuggire, ma rientrare a quell’ora da quel posto era impossibile. Chi l’avrebbe accompagnata? Certo non Gentile che se n’era appena andato…
Appoggiò i gomiti sui dischi del DJ e sprofondò la testa tra le braccia, affranta, depressa, scoraggiata, demoralizzata, praticamente senza forze. Non ne poteva più. Voleva sparire, ma non sapeva né dove né come. Sentì qualcuno metterle una mano sulla spalla, la voce di Amy accanto a sé.
-Ti senti male, Jenny?-
Si tirò su con gli occhi arrossati, si passò una mano sul viso e scosse la testa.
-Sono distrutta.-
Quelle uniche due parole fecero percepire ad Amy la stanchezza fisica e psicologica di una Jenny che non aveva più la forza di restare a galla. La sentì al limite, come l’aveva sentita al limite la prima volta che erano andate insieme da Nicole, quando era uscita piangendo dalla stanza in cui era rimasta chiusa per più di un’ora con la donna, rifugiandosi tra le sue braccia singhiozzando e dicendole che mai, mai più avrebbe messo piede in quella casa.
Amy le accarezzò la schiena come aveva fatto quel giorno, finché i nervi tesi di Jenny non si rilassarono come si erano rilassati a casa di Nicole. Poi le prese una mano, proprio come era già accaduto, e la condusse al tavolo dei compagni così come l’aveva riportata a casa, accompagnandola fino a Furano dove Philip l’aspettava, esattamente come la stava aspettando adesso seduto sui divanetti, gli occhi fissi sulla sua ex e la stessa preoccupazione a turbare il suo sguardo.
Per Jenny fu un sollievo sedersi accanto a Mark, sfiorargli il braccio con la spalla, e trovarsi Patty dall’altra parte che rideva per qualcosa che aveva detto Bruce. Il calore dell’amico la spinse ad accostarsi di più a lui.
-Voglio andare a casa, Mark.-
Lui la guardò.
-Quale casa?-
Era una domanda semplice e legittima, ma Jenny andò in confusione. Già, quale casa? Qual era la sua casa? Sicuramente non l’attico di Sapporo che aveva condiviso con Philip per pochi e brevi mesi, non il lussuoso appartamento dei suoi genitori a New York, non quella di Mark a Torino, tanto meno il ryokan, che era diventato di David. La sua casa allora era Furano? Era lì che voleva tornare? Nella desolata solitudine di una cittadina di provincia che aveva sempre visto lei e Philip insieme?
La sua birra era rimasta sul banco del DJ e non le andava di alzarsi per recuperarla. Allora si appropriò del bicchiere di Mark. Mandò giù un sorso, il liquido le bruciò la gola.
-Cos’è?- ansimò -Cosa stai bevendo?-
-Non lo so, ho scelto a caso dal menù.-
-È orribile.- posò il bicchiere disgustata.
Rimase con gli occhi bassi per non incrociare quelli di Philip. Più i minuti passavano, più un dolore lacerante, come uno strappo, le cresceva dentro. Quella era l’ultima sera, l’indomani lui sarebbe tornato in Giappone e forse non si sarebbero più visti. Almeno di persona. Da quel momento in poi avrebbe avuto sue notizie dai giornali, attraverso articoli e foto di gente come Steiner che si divertiva a ficcare il naso nelle vite e nei problemi della gente. E questo non solo per ciò che riguardava Philip. Jenny era decisa a tagliare i ponti anche con gli altri, con tutti coloro che la circondavano in quel momento e che erano troppo profondamente legati alla sua vita di prima e a quella del suo ex. Avrebbe perso lui e insieme a lui tutti, a cominciare da Mark e Patty, poi Amy, Benji, Holly, Tom, Bruce, Evelyn, Julian…
Con la coda dell’occhio scorse Evelyn che si alzava, attraversava lo spazio vuoto tra il divanetto che aveva occupato fino ad un istante prima e quello su cui sedeva lei, e le si piazzò davanti impettita.
-Dobbiamo parlare.-
Jenny sostenne il suo sguardo, quasi la sfidò.
-Di cosa? Non ho niente da dirti.-
-Io sì.- Evelyn si chinò su di lei e le fu d’un tratto vicinissima -Hai paura?-
Il tempo di fissarsi ancora un istante, poi Jenny reagì alla sfida alzandosi. Si fermarono a guardarsi nel corridoio che portava ai bagni sul retro, il martellare della musica arrivava smorzato. Jenny attaccò per prima, le braccia incrociate al petto, il peso del corpo su una gamba, le spalle al muro e un atteggiamento ben poco disponibile.
-Hai fatto la tua benedetta intervista, Eve. Che altro vuoi da me?-
-Sprecare giusto due parole per farti presente che Philip ha sofferto abbastanza ed è ora di finirla.-
Jenny trasecolò.
-Come, scusa?-
-Davvero vuoi che ripeta?-
Le parole dell'amica le suonarono così assurde che la fissò incredula.
-Stai dicendo sul serio?-
-Ti sembra che stia scherzando?-
L’altra scosse la testa e respirò a fondo, sforzandosi di mantenere la calma, ma il suo corpo fremeva in ogni nervo, in ogni muscolo, per la stizza che provava nei confronti della ragazza.
-Eve, come al solito non ti rendi conto di ciò che dici! Dovresti imparare a pensare prima di parlare!- benché tentasse di controllarsi, la sua voce si alzò di un tono -Philip sta soffrendo? Lui? Hai il coraggio di dirmi una cosa simile? Ma cosa ne sai? Cosa sai di me, di lui, di noi?-
-So quello che ho sotto gli occhi! Non ti accorgi di come ti guarda? Non vedi che ti ama ancora? Possibile che io me ne renda conto, anzi, che ce ne rendiamo tutti conto tranne te?-
-È Philip che mi ha lasciata! È Philip che si è messo con Julie Pilar! E lui starebbe soffrendo? È di lui che ti preoccupi?-
-Sì mi preoccupo Jenny, perché si vede che sta male! Possibile che non te ne importi nulla?-  
-Eve, taci. Non lo conosci, non capisci. E stai sbagliando tutto. Non sono io che ho smesso di amarlo per prima, non sono io che ho deciso di mandare all’aria quello che avevamo costruito in tutti questi anni. Non sono io che ho deciso di non vederlo più. Te lo ha detto? Ti ha raccontato come mi ha lasciata?-
La giovane scosse la testa.
-Allora chiediglielo, e soltanto dopo che te lo avrà detto avrai diritto di darmi dei consigli.-
-Philip non mi racconta i fatti vostri, non li racconta a nessuno. Ma ho occhi per vedere e cervello per capire. Io il consiglio te lo do lo stesso, Jenny. Domani torna in Giappone con noi, vedrai che le cose tra te e Philip torneranno a posto.-
-No, non torno in Giappone. Tanto meno con voi. Non chiedermelo più.-
Si volse per andarsene e si scontrò con Mark. Non lo aveva visto arrivare, non sapeva da quanto tempo fosse dietro di lei a sentirle discutere, ma non le importò. Lo urtò per superarlo, per farsi spazio nello stretto corridoio e lui la lasciò allontanarsi senza provare neppure a fermarla. Fu Evelyn a gridarle dietro.
-Dovrai tornare a casa, prima o poi!-  
La guardarono sparire nel locale, tra la gente.
-Allora?- Mark, rassegnato già da un pezzo a quella situazione di stallo, fissò l’amica e si scontrò con i suoi occhi, che brillavano battaglieri.
-Non l’avrà vinta. Mi è appena venuta un’idea, sta’ a sentire…-
Luke il DJ riuscì a fermare Jenny mentre gli passava accanto a testa bassa, rapida come un treno.
-Dove corri? Frank ti sta cercando.-
Lei si bloccò di colpo.
-È arrivato?-
-Un istante fa.-
Francesco, detto Frank, doveva pagarle il mese e chiudere i conti.
-Dov’è?-
-Stava ordinando una birra al bar. Vai…- le strizzò un occhio -Se gli gira bene, ti darà una buona mancia.-
-E gli gira bene?-
-Può darsi di sì.- la sollecitò con una spinta della mano al centro della schiena.
Jenny oltrepassò la postazione di controllo destreggiandosi tra cavi elettrici, prese di corrente e  collegamenti delle strumentazioni e sparì tra la gente. Philip, che non aveva occhi che per lei, la vide apparire davanti al banco del bar, farsi largo tra la calca e raggiungere un uomo grande e grosso con una t-shirt nera a maniche corte, le braccia ricoperte di tatuaggi, il pizzetto, un pearcing su un sopracciglio e una bandana in testa alla maniera piratesca. Tesa come una corda di violino, seria come se stesse per salire sul patibolo, varcò dietro di lui una porta e sparì nei locali riservati al personale.
Philip ebbe un mezzo scompenso. Guardò Carol che si era seduta al posto di Jenny e scambiava battute complici niente meno che con Bruce, Evelyn che ribolliva su un altro divanetto e non li perdeva d’occhio un attimo, Patty e Amy che sfogliavano il menu. Persino Mark era troppo occupato a sgranocchiare i salatini per essere in ansia per Jenny. Che lei fosse sparita con un energumeno poco raccomandabile chissà dove per fare chissà cosa, sembrava non essere un problema per nessuno.
-Julian, ti sei accorto che c’è il wi-fi gratis?-
Ross spostò su Bruce uno sguardo omicida. Avrebbe voluto strozzarlo. Che razza di domande erano? Sì, c’era il wi-fi e lui se n’era accorto da un pezzo. A dire la verità lo stava sfruttando dal momento in cui aveva messo piede nel locale. Troppo presa da Jenny, Amy non aveva notato che da quando erano entrati, Julian aveva tirato fuori il cellulare e lo aveva tenuto sempre in mano. Ma adesso le parole di Bruce l’avevano spinta a guardarlo contrariata e sospettosa.  
-Stai chattando?- gli chiese -Anche adesso? Anche in questo momento stai chattando con le tue fan?-
Sì, lo stava facendo ma non volle ammetterlo. Avevano già discusso di quell’argomento, quel giorno.
-Controllo la posta.-
Amy distolse gli occhi. Per lei era uguale, chat o mail non faceva differenza, per i suoi gusti Julian dedicava troppo tempo alle sue fan. Si alzò irritata e raggiunse con Evelyn la pista. Il malumore di Ross si riversò contro chi aveva fatto la spia.
-Bruce, perché non stai zitto?-
-La prossima volta che c’è il wi-fi non te lo dico.-
-Bravo.-
Holly sbadigliò.
-Non so voi, ma io non ho intenzione di restare a lungo.-
Anche perché la mancata vittoria di quella benedetta amichevole un po' gli bruciava. Non riusciva a credere di aver pareggiato, non gli succedeva quasi mai, e avrebbe preferito tremila volte restare a crucciarsi in hotel piuttosto che andare in giro a fare bagordi fino a tardi.
Julian rispose senza staccare gli occhi dal display.
-Sono perfettamente d’accordo con te.-
-Certo, che te ne frega, Ross?- lo schernì Benji -Tanto quello che stai facendo qui puoi benissimo farlo in albergo, sbracato sul tuo letto. Con il vantaggio che Amy non ti vede e non s’incazza.-
-Impicciati degli affaracci tuoi, Price.-
Holly, nonostante il frastuono, riuscì ad appisolarsi sul divanetto e fu Patty a svegliarlo quando decisero di andarsene. All’uscita dalla discoteca, mentre si dirigevano verso la fermata del notturno che li avrebbe ricondotti all’hotel, Landers ordinò a Philip di seguirlo.
-Vieni con me. Ho qualcosa da mostrarti.-
-Dove?-
-A casa mia.-
Mark si aspettava che Philip gli facesse storie, quantomeno gli chiedesse il motivo, invece il compagno si adeguò senza protestare. Così salirono insieme su un autobus diverso da quello che presero gli altri, con la musica che gli martellava ancora nelle orecchie. Rimasero in silenzio per tutta la durata del tragitto senza scambiarsi una parola, finché scesero. Percorsero qualche centinaio di metri sul marciapiede e si fermarono davanti alla porta della casa di Mark.
-Cos’è che devo vedere?-
-Seguimi.-
Landers tirò fuori le chiavi e aprì. Accese la luce, lasciò entrare il compagno e richiuse la porta. Senza dargli il tempo di guardarsi intorno, lo precedette sulle scale ed entrò in una delle camere. Philip capì che si trattava della stanza di Jenny quando riconobbe i vestiti di lei posati su una sedia. Si fermò sulla soglia frastornato, d’improvviso tutto stava andando ad una velocità pazzesca. Il desiderio che covava da giorni di vedere dove la ragazza aveva vissuto si era realizzato di colpo. Finalmente era riuscito introdursi in quell’intimità da cui era rimasto escluso, facendolo diventare matto d’invidia e gelosia.
Mark si sedette davanti al piccolo tavolino tra il letto e la finestra e aprì uno dei cassetti per frugare al suo interno. La sua mancanza di tatto non gli piacque.
-Cosa stai facendo?-
-Patty mi ha detto che c’è una cosa…- si piegò di lato per controllare fino in fondo, ma non trovò ciò che cercava.
Provò con l’altro e nel momento stesso in cui l’aprì, i suoi occhi caddero sulla foto di Philip che baciava Julie Pilar. Jenny l’aveva ritagliata dalla rivista prima che lui la facesse finire nel cestino dell’immondizia. La tirò fuori e l’allungò verso il compagno. Philip si avvicinò e la prese. Dopo un rapido sguardo l’accartocciò nel pugno, ficcandola nella tasca dei pantaloni per farla sparire per sempre. Jenny non avrebbe dovuto più vederla.
Il cassetto non era così pieno e a Mark bastò rovistare nel fondo per tirar fuori ciò che cercava. Philip riconobbe all’istante la scatolina che conteneva l’anello e strabuzzò gli occhi.
-Sai cos’è, vero?- gli chiese Landers.
L’altro si limitò ad annuire, allungando una mano per prendere la piccola confezione blu.
-Cosa significa?-
-Dimmelo tu.-
Philip scosse la testa e si lasciò cadere seduto sul letto confuso, incredulo e insieme sollevato di constatare che Jenny non l’avesse gettato via. Non solo non se ne era liberata, ma lo aveva portato con sé anche se non stavano più insieme, anche se frequentava Gentile. Sollevò il coperchio quasi trattenendo il fiato. La pietra smerigliata brillò alla luce, gioendo di essere stata finalmente ritrovata. I suoi luccichii riempirono gli occhi di Philip, riportandolo a ricordi lontani. Alla pioggia che li aveva bagnati quel giorno, mentre percorrevano la strada che dal ryokan portava a Shintoku e si erano fermati, indecisi se proseguire nella loro passeggiata o tornare indietro. Ricordò come avesse tirato fuori all’improvviso l’anello mentre l’acquazzone si scatenava sopra e intorno a loro. E quando Jenny aveva capito, i suoi occhi avevano brillato di felicità.
-Mark…-
Ma Mark non c’era più. Era uscito e lo aveva lasciato solo, accostando piano la porta senza che lui se ne accorgesse.
Quella giornata era stata esageratamente lunga e impegnativa. La levataccia, gli esercizi prepartita, la partita, la serata in discoteca e adesso a casa di Mark, nella stanza in cui Jenny aveva vissuto in quegli ultimi tre mesi. Si lasciò cadere sdraiato, appoggiando la testa sul cuscino. Chissà cosa stava facendo. L’avevano lasciata in discoteca perché non era voluta tornare con loro. Da quando quel tizio poco raccomandabile l’aveva chiamata, lei non si era più avvicinata, preferendo restare accanto al DJ per tutta la serata.
Sollevò una mano per portarsi l’anello davanti agli occhi. Lo sfilò dal cuscinetto e se lo girò tra le dita, non era cambiato per niente. Era nuovo, luccicante, senza un graffio. Jenny lo aveva tenuto al dito per un tempo brevissimo. Sospirò. Aveva perso. Non era riuscito a riconquistarla. Non era stato in grado di riprendersela. Ripose l’anello nella scatolina e la richiuse. Era l’ultimo giorno in Italia. Avrebbe trascorso lì solo quest’ultima notte e l’indomani l'attendeva l’aereo. Il pensiero di non vederla più gli strinse il cuore, provocandogli una fitta insopportabile.
Il suo sguardo accarezzò gli oggetti presenti nella stanza. Sulla scrivania c’erano una guida turistica di Torino, un dizionario tascabile giapponese-italiano e viceversa, un quaderno. Sulla spalliera della sedia, una maglietta, una gonna… abiti che aveva visto su di lei. Incrociò le braccia dietro la testa, sotto il cuscino, toccando qualcosa di liscio e soffice. Ritirò una mano e si volse; una manica di cotone lilla gli era finita tra le dita. Sollevò il cuscino e capì. Era il pigiama di Jenny. Lo toccò, lo accarezzò con una stretta al cuore. Voltò la testa sfiorandolo col viso. Il suo profumo… sentì il profumo di lei, il suo profumo buonissimo. Immerse il viso tra la stoffa e chiuse gli occhi. L’odore di Jenny faceva affiorare una moltitudine di ricordi. In fondo che male c'era? I ricordi erano l'unica cosa che ancora gli restava e che nessuno avrebbe mai potuto portargli via. Riprese in mano la scatolina dell’anello. Non riusciva a non toccarla. Era qualcosa che li univa troppo, che rappresentava un legame troppo forte.
 
Jenny infilò la chiave nella porta e fece scattare la serratura. La luce del salotto era accesa, forse Mark la stava aspettando di nuovo. Si preparò ad un inevitabile litigio mentre si toglieva silenziosissima le scarpe e lanciava un’occhiata all’orologio che segnava le due e mezza. Nonostante la luce, non udiva nessun rumore. Avanzò piano e si affacciò nel salotto. Mark dormiva spaparanzato sul divano, davanti alla televisione accesa senza volume. La tensione che l’aveva assalita si disperse, ma le rimase addosso il fastidio che aveva provato per tutta la serata, finché Carol non l'aveva riaccompagnata a casa. Ce l'aveva con Evelyn perché, con la sua invadenza, s'era messa a rigirare il dito nella piaga dandole consigli che mai le avrebbe chiesto. Ce l'aveva con lei perché le aveva sbattuto in faccia uno stato di fatto che per più di una settimana aveva cercato di  ignorare. Le sue parole l'avevano messa ancora una volta di fronte ai sentimenti che provava per Philip e che l'amica affermava lui provasse ancora per lei. Non voleva credere che Evelyn ci avesse azzeccato e, in una piccola parte di sé, nello stesso tempo ci sperava. Ma anche sperandoci in sordina, sapeva che il giorno successivo non sarebbe tornata in Giappone con i compagni. Evelyn poteva essersi sbagliata e lei non voleva più star male, era stanca di soffrire. Nonostante i tentativi di Philip di riavvicinarla, non riusciva a perdonarlo e in più non si fidava. Se lui l'amava ancora, il suo comportamento di mesi prima nello stadio di Sapporo non aveva giustificazioni, se invece non l'amava, non aveva giustificazioni il suo comportamento di quegli ultimi giorni. In conclusione, Jenny non ci stava capendo più niente, aveva un mal di testa lancinante e non poteva neanche alleviarlo con un analgesico. Quella sera s'era servita al bar troppe volte. Con la testa che doleva ad ogni passo, salì al piano di sopra.
Aprì la porta della stanza che aveva occupato dal giorno in cui era arrivata a Torino e rimase attonita sulla soglia. In quel preciso istante, il momento in cui per la prima volta aveva messo piede nella camera verde, le sembrò remotissimo. Per un attimo, vedendo Philip riposare sul suo letto, ebbe l'impressione che il tempo si annullasse, che lui non l'avesse mai lasciata. Guardarlo dormire la fece tornare alla serena quotidianità di anni prima, quando ancora la loro vita era piena di felicità e di gioia. Anni che in quegli ultimi giorni sembravano non essere mai esistiti. Si riscosse per chiedersi cosa diavolo ci facesse Philip addormentato sul suo letto. In discoteca non aveva preso sul serio la minaccia di Evelyn, e invece eccolo lì il suo bel regalo! Si volse per andarsene, perché quello scherzo era davvero più di quanto fosse in grado di sopportare, ma qualcosa brillò a terra, attirando la sua attenzione. Sotto il braccio di Philip, teso per metà nel vuoto oltre il materasso, giaceva la scatolina del suo anello aperta e rovesciata. L’anello si era sfilato dal cuscinetto ed era finito poco più in là, richiamando la sua attenzione con un tenue brillio. Lacrime di stizza le salirono agli occhi. Chi aveva autorizzato Philip a frugare nei suoi cassetti? Come aveva osato impicciarsi delle sue cose? Che diritto aveva di farlo?
Avanzò silenziosa nella stanza. Si avvicinò, raccolse l’anello e la scatolina. Poi si tirò su, trovandosi per un istante vicinissima al suo viso. La collera scomparve di colpo mentre lo guardava, spazzata via da una nostalgia infinita che le tolse le forze e la fece scivolare in ginocchio. Posò la scatolina sul comò, indugiò con la mano a mezz’aria, fissando Philip che continuava a dormire. Se l’avesse solo sfiorato, non sarebbe più stata lucida. Lui aveva la capacità di far tremare persino i suoi pensieri.
“Non farlo.” pensò, ma la sua volontà s’era così indebolita che non si diede ascolto. Un secondo dopo le sue dita gli accarezzarono il braccio. Toccò solo il tessuto della felpa, Philip non si accorse di nulla. Si morse un labbro, cercando di mantenere un controllo che stava perdendo. “Non servirà a niente. Non cambierà niente.” Si tirò su e si sedette piano sul letto, così piano che il materasso non si mosse. Restò a guardarlo, come probabilmente aveva fatto lui quando era rimasto a dormire al suo fianco in camera di Amy. Jenny doveva andar via ma più indugiava e meno trovava la forza di alzarsi e lasciarlo lì. I suoi occhi accarezzarono quel viso che aveva amato e che amava ancora. Che amava dolorosamente troppo. Non ricordava più quando gli aveva visto l’ultima volta un’espressione così serena. O forse sì, lo ricordava. Era sicuramente prima, prima di Kyoto. Prima che David rovinasse le loro vite. Avrebbe voluto poter tornare indietro e cancellare d’un colpo tutto quello che era successo. Spazzare via un anno e mezzo della loro esistenza per riavere Philip accanto a sé. Per stare insieme, com’erano sempre stati e come aveva creduto fossero destinati a essere. Sospirò piano, più restava lì e più diventava difficile la separazione. Eppure lo sapeva, si sarebbero separati di nuovo. Lui sarebbe partito per il Giappone e lei non lo avrebbe seguito. Forse questa era l’ultima volta che poteva restargli così vicina, che poteva addirittura baciarlo. Avrebbe appena sfiorato le sue labbra, così piano che lui non se ne sarebbe reso conto. Dopodiché se ne sarebbe andata a dormire sul letto di Mark. Chiuse gli occhi e si chinò su di lui finché le loro labbra si sfiorarono.
Philip si svegliò, tutti i sensi all’erta. Prima che lei si allontanasse, sollevò le braccia e la intrappolò. Jenny sussultò spaventata, riuscì a liberarsi dalla sua stretta mentre Philip si metteva seduto. Si guardarono, lei sgomenta per essere stata colta sul fatto, lui deciso più che mai a non permetterle di andarsene ancora.
-Io non…- Jenny abbassò gli occhi colmi di vergogna e puntò una mano sul materasso per alzarsi, Philip gliela prese e la tirò verso di sé -Philip, non…-
Lui scosse la testa.
-Non dire nulla, ti prego.-
Qualsiasi parola avrebbe rovinato quel momento e lui non voleva che ciò accadesse. Si accostò di più, la sua mano trovò il suo spazio sulla schiena di lei, adattandosi alle sue curve come se fosse fatta per stare lì e da nessun’altra parte. Risalì fino alla nuca dove premette per avvicinare il viso di lei contro il proprio.
Jenny si irrigidì, i suoi occhi guizzarono verso la porta. Non avrebbe dovuto baciarlo, non avrebbe dovuto svegliarlo e adesso sarebbe dovuta fuggire, perché tutto questo non sarebbe servito ad altro se non ad acuire la sua sofferenza e a moltiplicare il suo dolore. Nell’attimo in cui le loro labbra si unirono ancora, le certezze di Jenny si infransero come cristallo.
La mano di Philip lasciò la presa sul collo e le percorse di nuovo la schiena. Le sue dita sollevarono la maglietta, sfiorandole la pelle nuda dove il top non la copriva. Un brivido di piacere la scosse ma Jenny tentò ancora di scostarsi, la sua mente che cercava di riportarla con i piedi per terra e il suo istinto che la spingeva invece nella direzione opposta affinché si abbandonasse completamente, totalmente e finalmente tra le braccia di Philip. Lui le schiuse le labbra con la lingua, si insinuò dentro di lei. La giovane lo desiderava da così tanto tempo, desiderava così immensamente che arrivasse quel momento che il piacere che provò le fece girare la testa. Un'ondata di sensazioni dimenticate percorsero il suo corpo come una scossa elettrica, risvegliandolo come non le accadeva più da tempo. Si ritrovò a sorridergli senza neppure rendersene conto, gli occhi illuminati da un amore profondo e incondizionato. Gli si aggrappò alla felpa, le mani risalirono fino al collo, le dita affondarono tra i suoi capelli, lo strinse a sé.
Philip non aspettava altro. Scivolò con lei sul letto, le percorse il collo con le labbra facendole sfuggire un gemito. Respirò contro la sua pelle, riempiendosi del suo profumo. Sprofondarono tra i cuscini e le coperte dimentichi di tutto, spinti soltanto dal desiderio impellente di fare l'amore. Fu lei a cominciare a spogliarlo per prima. Le sue mani si insinuarono impazienti sotto la felpa, la afferrarono ai bordi e la tirarono su fino a sfilargliela. Venne via anche la maglietta. Philip si tirò in ginocchio e si prese il tempo di guardarla. Jenny giaceva sotto di lui, i capelli sparpagliati sul cuscino, il petto che si alzava e abbassava al ritmo concitato del respiro, gli occhi lucidi, le labbra arrossate dai baci. Si piegò su di lei e le tolse gli abiti un pezzo alla volta, impaziente di ritrovare finalmente il suo corpo. Le sfilò il top, le fece scivolare le mani dietro la schiena e le slacciò il reggiseno accantonandolo da una parte. Le passò le labbra sulla pelle nuda, Jenny si sentì sciogliere in un lago di piacere, gli prese il viso tra le mani e lo baciò ancora, incapace di fermarsi, avvolgendolo con le braccia come se non volesse più lasciarlo andare, accantonando ogni dubbio, ogni incertezza. Dovevano appartenersi ad ogni costo. Nessuno dei due, arrivati a quel punto, aveva né la forza, né la voglia di fermarsi. Nessuno dei due in quel momento pensava a ciò che sarebbe successo dopo.
Philip abbassò le mani sulla chiusura degli short di lei, e li slacciò. Contorcendosi un po', Jenny riuscì a sfilarli e a liberare le gambe. Il ragazzo si prese ancora qualche istante per osservarla, quasi non credesse a ciò che stava succedendo e avesse bisogno di guardarla per convincersi di non essere in un sogno. Aveva quasi dimenticato quanto fossero perfetti l'uno per l'altra. Jenny era sua, era sua in quel momento come lo era sempre stata. Si appartenevano e si sarebbero appartenuti per sempre.
Jenny sentì ogni sensazione scenderle nel profondo, là dove il desiderio di lui era più forte e quando non poterono più aspettare, Philip si lasciò affondare in lei, più e più volte. La giovane gli si era abbandonata, godendo ogni singola sensazione che l'attraversava e ogni movimento era un meraviglioso fremito di fuoco. Non c'era più nulla che importasse a Jenny, se non Philip e la travolgente ondata di intenso piacere che le faceva provare. All'improvviso, quasi troppo presto, sentirono il piacere montare, un'onda che saliva fino a travolgerli in un'esplosione. Cercarono per un istante di fermare l'attimo, poi si rilassarono.
Per qualche tempo riposarono in pace, ma il loro disperato desiderio l'uno dell'altra non era ancora soddisfatto. Si amarono di nuovo, dolcemente, prolungando ogni tocco, ogni carezza. Più tardi, mentre Jenny, stretta a Philip sotto le coperte, cercava una posizione comoda per dormire, vide filtrare attraverso una fessura delle pieghe della tenda, la pallida luce dell'alba.
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: Yoshiko