Anime & Manga > Saint Seiya
Ricorda la storia  |      
Autore: titania76    28/05/2018    0 recensioni
Questa one-shot partecipa alla challenge #26promptchallenge indetta dal gruppo facebook Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart
Il giorno più buio del Santuario e l'oscurità della mente. Paura e timori. Colpa e castigo. Giustizia e Ingiustizia. Amore e odio.
Saga l'angelo e Saga il demone. Due parti distinte, ma al tempo stesso un tutt'uno inscindibile. Vanità e superiorità di un uomo nel bene e nel male.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gemini Saga
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



Questa one-shot partecipa alla challenge #26promptchallenge indetta dal gruppo facebook Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart
#26promptschallenge
4/26 Prigionia

/pri·gio·nì·a/
sostantivo femminile
Definizione:
1. Stato di segregazione forzata in luogo angusto, con privazione della libertà di movimenti; reclusione.Condizione di isolamento dalla vita sociale della comunità.
2. La condizione di chi si sente dominato da qualcuno o da qualche cosa a cui non riesce a sottrarsi.

Titolo opera: Il labirinto della mente
Fandom: Saint Seiya
Ship: Nessuna (in realtà EvilSaga/Saga)
Parole: 1802
Tags: #prigionia #vita #morte #redenzione #sensodicolpa #condanna #fedeltà #sacrificio #dualità #confronto #sconfitta #vittoria
Warning: tanto angst


Devo essere sincera, sono anni che non riguardo più l'anime classico e, benché in generale ricordi abbastanza bene la parte della scalata, alcuni dettagli me li sono persi. Ad esempio, nel momento in cui inizia a piovere e Kiki copre Saori con la maglietta, i bronzini a che punto sono della scalata? Veramente, non me lo ricordo. (ma poi, è davvero successo?) Allora, anche se sono certa che in quel momento era ancora giorno, per necessità di trama l'ho collocato quando Seiya è nella quinta casa e le sta prendendo di santa ragione da un Aiolia con le palle.
La bozza di questa one shot è rimasta nel mio computer dal lontano 2013, quando volevo tentare un'escursione con le song-fic. Ma io non sono il tipo, quindi non si è mai concretizzata. Grazie a questo prompt invece, sono riuscita finalmente a darle vita.
Cosa ne pensate?


*****


I tumulti della battaglia si facevano più vicini ed erano come una musica trionfale che annunciava la sua vittoria. Li sentiva con chiarezza: le aure dei cavaliere d'oro esplodevano infuriate, mentre quelle degli invasori si indebolivano; qualcuna a tal punto da scomparire quasi. Se chiudeva gli occhi poteva vedere quei ragazzini insignificanti cadere uno a uno in quell'impresa impossibile.
Uscì sulla terazza, sfiorando con la mano la balaustra di pietra antica. Era come una carezza solenne. Nell'altra mano stringeva una coppa d'oro ricolma di vino rosso. Era scuro e torbido come il sangue di quegli sciocchi che avevano osato sfidarlo e caldo, come il sangue che sgorgava lento dal petto di quella bambina presuntuosa che da diverse ore giaceva a terra, all'inizio della scalinata bianca. Era conscio che a vegliarla c'era il primo fra i traditori, colui che aveva preferito abbandonare il Santuario piuttosto che inginocchiarsi a lui. In quel momentoperò non gliene importava. Ci sarebbe stato in seguito, dopo il suo trionfo, il tempo per fargli cambiare idea. Altrimenti sarebbe perito.
Vuotò la coppa con un lungo sorso. La bella fronte aggrottata in disappunto e le labbra piegate in una smorfia: aveva un gusto diverso da poco prima, non aveva il dolce sapore della vittoria, ma era rancido come il tradimento.
«Smettila di ostacolarmi», ringhiò fra i denti, scagliando la coppa per terra.
Ancora.
Ancora una volta lui si intrometteva per rovinargli il momento in cui stava pregustando la vittoria. Non gli era bastato impedirgli di uccidere quei ragazzini che avevano osato entrare nella sua Casa e macchiato il suo nome lasciandoli passare, gli aveva fatto pure la morale.
Scostò con un gesto nervoso i pesanti tendaggi e rientrò nelle sue stanze. L'eco dei suoi passi rimbombava sulle lastre di marmo del pavimento. Camminò fino al gigantesco ritratto che aveva commissionato. Prendeva quasi l'intera parete. Ogni volta che lo ossevava rimaneva compiaciuto dalla sublimazione della sua potenza. Gli occhi rubino incastonati nella maschera blu cobalto riuscivano a soggiogare chiunque avesse l'ardire di fissarlo troppo a lungo; la maschera stessa, imperturbabile, incuteva terrore nei deboli di spirito. Era così che gli altri dovevano vederlo e, al suo passaggio, chinare la testa.
La rabbia per aver permesso ai cavalieri di bronzo di passare dalla sua Casa scemò al pensiero che presto si sarebbero trovati davanti a un ostacolo che era certo sarebbe stato impossibile superare.
La casa del Leone non sarebbe stata terra di conquista, se ne era accertato di persona quando aveva fatto in modo da assicurarsi la fedeltà del giovane cavaliere ribelle. La sua mente era nelle sue mani e avrebbe assolto al compito che gli aveva affidato.
Alzò di nuovo lo sguardo sul suo ritratto. C'era qualcosa di trano. Qualcosa che non lo faceva stare tranquillo. Era come se non riuscisse ad apprezzarlo come in passato. Eppure, benché coperto dal copricapo, dalla maschera e da una larga palandrana candida, quel ritratto era perfetto.
La vista gli si annebbiò per qualche istante e gli fece vedere l'immagine distorta.
Sempre lui.
Risvegliò il cosmo in una vampata d'ira che fece tremare ogni cosa.
«Stai al tuo posto!» urlò, stringendo i pugni e rivolgendo lo sguardo verso lo specchio a figura intera appeso dall'altra parte della stanza.
Con passi minacciosi vi si avvicinò e alzò il pugno per colpire, ma si fermò. L'immagine che vide lo fece titubare. Se avesse sferrato quel colpo sarebbe stato come colpire se stesso e allora avrebbe vinto lui.
Si concesse qualche respiro profondo e in breve ritrovò la calma. Chiuse gli occhi e si concentrò. Poi, li riaprì, sorridendo maligno. Appoggiò la mano allo specchio e in quel momento davanti a sé comparve lui. Lo vedeva chiaramente: quel ragazzino impaurito, che per tredici anni era rimasto raggomitolato in un angolo della sua coscienza a piagnucolare, ora gli stava di fronte. Lo sguardo addolorato non era mutato negli anni e quei singhiozzi e quella voce supplichevole, che un tempo gli solleticavano le orecchie di piacere, ora gli erano fastidiosi.
Doveva essere indulgente, perché non aveva ancora finito con lui, gli serviva per l'atto finale, se mai ci fosse stata l'occasione.
«Non piangere, Saga. Oggi è il giorno del nostro trionfo. Abbiamo atteso per tredici anni il momento in cui quella piccola impertinente sarebbe tornata da noi per morire ai nostri piedi.»
«Fermati. Ti prego, fermati. Sei ancora in tempo.»
Il suo sguardo si fece duro. Impresse la mano sulla superficie dello specchio e, lentamente, l'attraversò con tutto l'avambraccio, fino ad accarezzare il volto imberbe del giovane.
«Non aver timore. Fra poco sarà tutto finito.»
Al suo tocco lo sentì tremare. Poi, lo vide fare qualche passo indietro e accasciarsi a terra; dalla sua bocca uscivano sussurri lamentosi, come una nenia che implorava perdono, mentre le lacrime già traboccavano dagli occhi.
Perché doveva essere così remissivo?
Detestava vederlo in quel modo. Se solo avesse potuto gli avrebbe trapassato il petto e strappato quel cuore troppo tenero. Come poteva essere così? Come poteva il cavaliere più forte del Santuario essere in realtà così debole. Lui non era debole e Saga non doveva essere debole!
Lasciò che un sottile velo di cosmo avvolgesse il suo corpo. Fece un passo in avanti e si fuse con lo specchio stesso, per poi ricomparire dall'altra parte.
La gente pensa che di là tutto sia al contrario, speculare, ma non c'era nulla di diverso in quel mondo.
Si inginocchiò di fronte al ragazzino, sorridendo. Il giovane Saga nascondeva il volto fra le mani e scrollava debolmente la testa in delicate onde dorate. Era così innocente, che quasi gli veniva d'istinto cullarlo e rassicurarlo.
Quanto ipocrita sarebbe sembrato se lo avesse fatto. Eppure, erano legati indissolubilmente: doveva prendersi cura di quel poco di purezza che gli era rimasta, perché senza quella lui non poteva esistere.
«No, no, non così.»
«Perché non lo vuoi accettare? Lo sto facendo per te. Per noi.» Gli prese le mani e gliele scostò dal volto. «Puoi chiudere gli occhi e piangere tutte le tue lacrime, ma io le asciugherò e ti farò vedere ugualmente il mondo che stiamo creando. Puoi coprirti le orecchie, ma io ti farò sentire ugualmente. Le urla dei nostri nemici, le lodi dei nostri seguaci.»
«Ti prego. Basta. Non andare oltre.»
«Puoi pregarmi di desistere, di rinunciare, ma io continuerò a essere sordo alle tue richieste. Quando tutto sarà finito, comanderò i cavalieri e li guiderò contro gli Dèi stessi.»
Saga provò a divincolarsi, ma l'altro gli strinse i polsi più forte.
«Puoi provare a nasconderti, ma io scosterò ogni barriera che si frapporrà tra noi. E ti porterò alla luce cremisi del tramonto del mondo, a brindare col vino in coppe d'oro.»
Quando lo sentì gemere dal dolore, notò con disappunto le ferite sulle sue braccia, le stesse che comparvero quasi nello stesso istante anche su di lui.
«Puoi farti del male, Saga, ma io risanerò sempre le tue ferite. Perché noi condividiamo lo stesso corpo, siamo la stessa cosa» Richiamò una lieve aura di cosmo e in pochi istanti di quei segni non rimase neanche un leggero alone rosso.
Il fragore del cosmo del cavaliere del Leone scoppiò all'improvviso con un impeto distruttivo che annunciava il compiersi del destino dei suoi nemici. Ardeva spietato, proprio come voleva lui. Ora non ci sarebbe stato scampo per nessuno di loro.
Rise.
L'usurpatore rise, invocando il favore degli Dèi. Fra le sue braccia invece, Saga tremava sbigottito, perché sapeva cosa stava per accadere.
«Vai, ora. Vai e rendimi fiero di te», gli disse lui, spingendolo oltre i confini di quella prigione senza sbarre.
Quando si congedò da lui, Saga si sentì come libero; ma quella libertà aveva un prezzo tremendo. Nei suoi occhi, c'era la visione della sua prossima disfatta e nel cuore la consapevolezza di essere stato – con la sua debolezza – il fautore di tanta rovina. Era il responsabile di tutto il sangue che si stava versando e di quello che sarebbe stato versato in futuro.
Avvertì dei passi farsi vicini e si girò di scatto verso le grandi porte decorate d'oro: presto, molto presto, sarebbero giunti davanti a lui, pretendendo che rendesse conto delle sue azioni. Continuò a fissare in quella direzione per diversi minuti con il respiro intrappolato nei polmoni: non stava arrivando nessuno. Si sentiva spossato.
Arrancò fino alla tenda che copriva la portafinestra della terrazza e vi si aggrappò, sfogando la sua disperazione. Nelle sue orecchie risuonavano beffarde le risate di quell'anima nera. Ogni volta che riemergeva, che lui gli permetteva di riprendere il controllo, il suo corpo era come lacerato dall'interno. Si chiedeva quando sarebbe finito. Quando il suo aguzzino avrebbe avuto pietà di lui. Era al limite, eppure doveva resistere. Almeno finché Lei non fosse arrivata da lui, perché era l'unica che lo avrebbe potuto salvare.
Fuori, il vento aveva iniziato a sibilare contro le portefinestre, facendone tremare i vetri sottili e graffiando con la sua furia le antiche mura del Tredicesimo Tempio. La pioggia prese a cadere violenta e incessante. Era come se per volere di Atena le lacrime del cielo lavassero via dalle terre del Santuario il sangue dei caduti. Il suo fragore tentava di coprire le urla degli sventurati che erano stati sacrificati affinché il suo segreto rimanesse tale, ma era tutto vano, perché le sue orecchie non avevano mai smesso di ascoltarle, tanto da impedirgli a volte persino di ragionare.
Si ricompose a fatica. Prese il copricapo rosso con il dragone e indossò la maschera blu cobalto. Era tempo per lui di adempiere ai riti che erano parte del suo ruolo di Grande Sacerdote.
I suoi passi lenti e solenni si susseguivano gli uni agli altri fra i corridoi cupi del Tempio, accompagnati dal tintinnare del prezioso rosario e dagli emblemi sacri. Le fiame delle torce a muro tremolavano al suo passaggio, creando ombre inquietanti sui muri di pietra. Dietro di lui, la sagoma dell'altro era onnipresente, come un guardiano troppo ligio al dovere, pesava sulle sue spalle. Qualche volta gli sussurrava parole di adulazione per alimentarne l'ego; altre volte gli guidava la mano attorno alla gola del servitore di turno che aveva la sventura di guardarlo durante le abluzioni o le preghiere.
Mai una volta in quei lunghi tredici anni era stato libero.
Mai una volta la sua anima aveva potuto assaporare un attimo di riposo. Era la sua condanna, il prezzo che doveva pagare per aver preso la vita di un uomo giusto, era il prezzo per aver tradito un amico e averne infangato il nome. Era il prezzo per aver osato alzare la mano su una bimba innocente: la sua Dèa.
Si fermò spossato a pochi passi dalle stanze termali. La spalla appoggiata al muro.
«Non cedere adesso, Saga. Siamo a un passo dalla vittoria. A noi spetterà un seggio fra gli Dèi dell'Olimpo. Perché noi siamo Ares, il dio della guerra



   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Saint Seiya / Vai alla pagina dell'autore: titania76