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Autore: Heart    29/05/2018    0 recensioni
- Ti va di divertirci insieme, una cosa veloce - disse, scandendo le parole “divertirci” ma per chi mi aveva preso?
- Fottiti! - allontanai la sua mano e cercai di uscire fuori da quella situazione.
- Mi piaci - , come cavolo sentivo la sua voce nella mia testa? Questo si chiama incantesimo della mente, forse stavo farneticando e i migliaia di libri che avevo letto a proposito mi avevano fumato il cervello? Mi girai e lo trovai ancora fermo, adesso i suoi occhi assomigliavano a un leone che analizza la strategia migliore per uccidere la sua preda; quel ragazzo era strano e io ero curiosa come una pazza a scoprirlo anche se da un lato del mio cervello mi diceva di scappare e lo stavo facendo e come!
[Questa storia è residuo di un sogno, spero di caratterizzare il tutto bene e di far comprendere la vita solitaria e la sofferenza della protagonista. Comunque non sarà solo romantica ma anche con un pizzico di sovrannaturale. Buona lettura]
Genere: Erotico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
Capitoli:
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44°Capitolo
“Memorie illuse”
 
 
Non sentivo nessun rumore dietro la porta. Lei non aveva risposto a nessuna domanda, la sua voce mancava. Ero arrivato a casa preoccupato, ma non era nulla a ciò che mi aspettava. Crystal era spettinata e sudata e anche Luca che stava cercando di raccontarmi che cosa era successo. Tuttavia nessuno dei due sapeva che cosa era accaduto realmente, l’avevano vista strana: i suoi occhi erano neri, pieni di rabbia e risentimento, sembrava che volesse uccidere, aveva detto Luca terrorizzato. I punti di domanda erano tanti, la mia fidanzata dopo aver fatto una strage si era rintanata in camera e non voleva sentire ragioni. Fissai i miei nonni con disagio, era la prima volta che succedeva una cosa del genere. Mi passavano tanti pensieri per la testa, ma ogni volta il mio punto fisso era lei. Il suo cellulare lo avevo ritrovato sotto il divano con lo schermo quasi del tutto distrutto, per fortuna il touché era funzionabile, forse per miracolo. Copiai tutti i file nella micro sd e l’estrassi. La borsa era volata …era un caos quel salotto. Cuscini buttati un po’ ovunque…aveva cercato di sfogarsi ma alla fine non aveva ottenuto il risultato sperato.
Erano passate settantadue ore dall’accaduto ma di lei nulla. Mi stavo preoccupando, non aveva né acqua né cibo in camera. Ogni ora le bussavo alla porta ma nulla.
-Tesoro non hai un’altra chiave per entrare? –Domandò mia nonna. Mi versò del the nella tazza, ci avevo già pensato, ma la chiave al suo interno non mi dava la possibilità. Negai la possibilità e sorseggiai la bevanda.
-Dannazione ma non si può comportare così! È un comportamento immaturo e non solo, ti sta facendo preoccupare come non mai. –Esclamò mio nonno con rabbia. Non gli davo torto, ma che cosa potevo fare? Se non era lei a fare il primo passo, non potevo aiutarla. Una cosa che avevo capito di lei era che quando aveva questi momenti era meglio lasciarla andare. Anche se mi sentivo inutile.
-Manca un mese al matrimonio, che cosa vuoi fare? – Annunciò mia nonna, non avevo nessuna intenzione di disdire l’evento, lei sarebbe ritornata da me.
–Tuttavia, -sospirando. –Caro andiamo, il progettista ci sta aspettando. Ti lasciamo qualche ora, a più tardi. Forse senza la nostra presenza riuscirai a fare breccia nel suo animo. –Mi baciò la guancia per poi uscire ed essere seguito dal nonno.
Ero stremato. Riuscivo a dormire poco, lei era nella sua stanza chiusa a chiave e ogni volta era un fiasco. Avevo sentito i nostri amici. Non l’avevano mai vista in quelle condizioni, anche se Crystal era rimasta in silenzio per degli attimi.
–Kaname. Se lei si sta comportando in questa maniera e perché le è successo qualcosa che l’ha ferita profondamente e sta cercando di proteggersi. Solo una volta l’ho vista così e ho sperato di non rivedercela mai più. Devi camminare piano e riprendere il suo cuore, solo tu potrai riuscirci. Sicuramente starà annegando nel suo stesso dolore e non riesce a riemergere. – Quelle parole mi avevano fatto riflettere. Lei aveva paura di annegare e adesso era in procinto di lasciarsi andare, mi alzai di scatto e mi diressi verso la camera, non l’avrei lasciata andare. Arrivato dinanzi alla porta, posai il pugno su di essa, ma non bussai. Abbassai con lentezza la maniglia e stranamente si aprii. L’unica cosa che pensai era che lei mi stava dando modo di aiutarla. Camminai con calma in quella tenebra. Le tende erano tutte tirate e non vedevo nulla, mi feci guidare dall’istinto. I miei piedi si scontrarono con qualcosa, mi abbassai e lo toccai e mi accorsi che era il suo corpo. Era gelato e il suo respiro leggero, fin troppo. Cercai un modo di accendere la luce, ma una mano ghiacciata mi bloccò la caviglia.
-Non farlo. –Parlò. Non era la sua voce, quella solare o triste, ma più un ordine senza calore.
-Jessy, piccola. –Affermai piano, la paura di ferirla con delle parole in più mi facevano temere per il suo stato psichico. Perché sì, lei non stava bene e ciò che l’era successo l’aveva turbata profondamente.
-Sono una bambola. –Disse apatica. Abbassai il ginocchio e mi scontrai con il pavimento duro, lei era lì, sdraiata. Le mie mani la cercarono e la trovarono raggomitolata su se stessa. I capelli spettinati, scivolai in basso e le sfiorai le guance che erano umide, e tale tocco mi strinse il cuore. Le labbra erano gonfie e screpolate come se le avesse torturate allungo. La abbracciai e lei si sistemò sopra di me, il suo fiato era rotto dai brividi, sentiva freddo.
-Permettimi di portarti sopra il letto. –Le mormorai con dolcezza. Era come un cristallo che al primo tocco si poteva frantumare, non ricevetti risposta. La sollevai dal suolo per poggiarla sul materasso e lei rabbrividii ancor di più, la coprii con il piumone e m’infilai accanto a lei. Me la trovai sul petto, con i pugni chiusi e la sua testa che ascoltava i miei battiti. In quel momento sembravo di avere una bambina, la mia. La sentii sospirare, un lungo respiro per poi addormentarsi. Rimasi in quella posizione fino al giorno dopo, la sera prima mia nonna mi aveva richiamato, ma accorta di quello spiraglio non aveva più insistito.
Un raggio di luce anche se flebile mi arrivò al viso. Cercai di spostarmi ma un corpo pesante mi bloccava. Aprii un occhio e mi ritrovai la mia fidanzata addosso, il respiro era irrequieto, le appoggiai le mani sulla schiena e le sfiorai la fronte e pian piano si tranquillizzò. La spostai quel tanto che mi permetteva di muovermi e trovarmi in una stanza quasi oscurata, non vedevo nulla e poi il cattivo odore mi dava la nausea. A piedi scalzi mi alzai e urtai qualcosa di affilato, mi diressi verso la finestra e l’aprii. L’aria di primo mattino così fresca e pura mi diede la carica e la lasciai arieggiare in camera silenziosamente, appena spostai la tenda notai quel particolare che mi agghiacciò all’istante.
Sotto il letto c’era un coltello. Che cosa ci faceva lì. Guardai il letto e poi nuovamente l’oggetto. Lei …lei voleva…non riuscii a formulare la frase completa, mi faceva paura. Avevo tutta l’intenzione di svegliarla, di gridarle che non era la cosa migliore, ma appena le andai vicino le vidi il sorriso sereno, tutto cessò. Non lo aveva fatto, lei era rimasta…ma…ne dovevamo parlare.
 
Mi allontanai giusto per pochi minuti, il tempo di farmi una doccia veloce e prendere qualcosa da mangiare sia per me e sia per lei.  Quando ritornai il clima in camera era migliorato, mi sdraiai sul letto e aspettai pazientemente il suo risveglio. Il pensiero ricadeva sempre su quell’arma, mille ipotesi si formularono nella mia mente, che cosa le aveva suscitato questo moto di rabbia? Che fosse stato qualcuno? Magari qualche membro della famiglia? A grandi linee so che i rapporti non sono migliorati ma peggiorati e da quel poco che so, quando fa così, centrano senz'altro loro.
Un suo mugolio mi risvegliò da quell’analisi, i suoi occhi erano spenti e stanchi, sembrava un orso che si risvegliava dal letargo.
-Buongiorno. –Le dissi. Lei cercò di guardarsi in giro e poi di parlare ma aveva la gola secca e subito le diedi dell’acqua, -bevi a piccoli sorsi. – la aiutai e poi la misi seduta, sembrava un corpo senza anima. I suoi occhi non riuscivano a guardarmi, era ritornata nel suo limbo.
-Ti ho portato la colazione, penso che il tuo corpo ti ringrazierà. –Le misi sulle gambe il tavolino dove c’era di tutto e di più, mia nonna era una fanatica della colazione. Lei fissava il suo contenuto senza proferire parola, presi un cornetto e lo misi in bocca.
-Non ti alzerai da qui finché non avrai mangiato, -sentenziai. Ero deciso a studiarla.
Passava il tempo ma nessun cambiamento in lei, era come se fosse da un’altra parte. Così agii a modo mio, spinto dalla rabbia. Le tolsi il tavolino e gli puntai addosso il pugnale. I suoi occhi squittirono a quel gesto, paura e rabbia passarono per quelle iride.
-Che cosa stai provando? –Ero a cavalcioni su di lei. Occhi dentro occhi. La mano teneva saldamente il coltello. Tante emozioni la attraversarono ma nulla che mi dava sentore che capisse, me lo puntai addosso, forse fu un gesto estremo. Sentii il letto rimbalzare e il suo peso su di me, il coltello scappò dalle mie mani e lei come un fulmine lo prese.
-Jessica posa quel coltello. –Le dissi con calma, ma quegli occhi si riempirono di lacrime.
-Stai zitto! Io non merito nulla, io dovevo morire, io non esisto. Io sono solo uno spettro di me stessa. –Urlò fuori di sé.
-Stai dicendo un sacco si stupidaggini. Tu sei tu e sei una donna speciale, per me. –
-Sono inutile. Mi hanno deriso, umiliata, mi hanno tolto tutto. Perché sono venuta al mondo? Io porto solo male. –La lama si stava avvicinando al petto.
-Ti prego piccola, spiegami perché ti senti così.  Troveremo un rimedio. –Concordai tentando di farla calmare, anche se prima dovevo esserlo io.
-Mi ha toccato ed io non sono riuscita a far nulla. Lei ha creduto a lui, che me. Sangue dello stesso sangue. Mi ha fatto sentire una bambola, io mi sento morire ….voglio scomparire. –Il suo monologo non lo capivo, chi l’aveva toccato e chi aveva parlato male.
-Raccontami…-annunciai, facendo un passo in più.
La rabbia era diventata cieca, i suoi singhiozzi, la paura… erano i miei, i nostri. Quella violenza mi dava i brividi, che diavolo di persone erano? Aveva cercato in tutte le maniere di farcela, ma era sprofondata nel panico, nella paura. La strinsi tra le mie braccia, forte come se la volessi inglobarla nel mio corpo. Era al sicuro con me, volevo rivederla di nuovo la mia Jessy.
-Io…io…io…mi sto sgretolando. –Sussurrò piano, guardandosi le mani. Ma loro erano in tante. La sua psiche era stata danneggiata. Mi sembrava un incubo.
-Kaname siamo a casa, - a quella frazione di secondi successe il fini mondo. Lei riprese il pugnale e con la coda dell’occhio vidi la scena a rallentatore, mi girai di scatto e afferrai la lama con la mano e la tirai indietro, mi tagliai il palmo ma non m’importava della ferita e del sangue che usciva copioso. Afferrai con entrambe le mani il suo viso e la fissai. –Non è colpa tua amore mio, ti aiuterò io a superare tutto, il nostro amore supereremo questa cosa. Ti amo Jessica, sei la cosa più bella che mi sia successo. Ritorna da me, ti prego. –Le dissi conciso e calmo. A quella ferita lei s’irrigidii.
-E’ tutta colpa mia. –E svenne tra le mie braccia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Mi sentii indolenzito. Mi allungai il corpo e lo trovai rigido, mi girai con attenzione e posai la mano sull’altro lato del letto. Era fredda. Mi alzai di scatto con la paura nel cuore. Uscii dalla mia camera per andare in quella sua, le tende erano tirate, ma accesi lampadina e tuffai le dita nella sua chioma. Lei era lì in salvo. Dormiva beata in quelle lenzuola che sapevano di lei. La abbracciai da dietro respirando il suo odore e rallentando il battito del cuore. Avevo avuto paura, tantissima. Mi fissai il palmo ma era illeso. Che si trattasse un sogno, terribile a dirla tutta. Ci pensai sul perché lei si trovasse qui che con me, ma arrivò subito la risposta. I miei nonni volevano che stessimo separati, poiché ancora il rito non era completo: fino al giorno delle nozze. Non la potevo toccare come volevo, solo baci semplici. Sentivo il suo desiderio mentre mi fissava, ma non era la sola. Tuttavia dovevamo aspettare e poi ci potevano saltare addosso. Mi scompigliai i capelli a rivivere quell’incubo. Mi accorsi che oggi dovevo andar a scegliere l’abito da cerimonia, oh cavolo! Che si trattasse di un sogno premonitorio? No, questa volta l’avrei difesa, dovevo organizzare la sua giornata, quelle mani non l’avrebbero sporcata. Mi alzai e mi diressi nel mio ufficio. Avevo tanti contatti, il mio compito era di proteggerla da tutti, anche da se stessa. Mi faceva paura quella sua ombra, e non l’avrei fatta uscire. Mandai chiare indicazioni sia a Luca e Crystal per la giornata che si stava aprendo, questa volta lei non doveva correre nessun rischio.
A fine serata ero distrutto, avevo trovato l’abito ma non sentivo emozioni, poiché già lo avevo costatato nel sogno. Tuttavia appena arrivai in casa, la trovai sul divano a spacchettare dei pacchetti, i miei nonni erano usciti a cena e noi eravamo soli.
-Bentornato. Trovato? – Chiese lei, mettendo di lato i pacchi.
Gli dissi un sì con la testa per poi appoggiarla sulle sue gambe.
-Sembri distrutto. –Ammise, accarezzandomi dolcemente la testa.
-Lo sono. –Borbottai tra uno sbadiglio e altro.  Lei continuò a toccarmi, fino a che entrai in dormiveglia. Sentivo le sue mani armeggiare con la carta, i suoi sussulti erano eccitanti da quella postazione, per poi sentire qualcosa vibrare. Mi feci forza dai gomiti e davanti ai miei occhi si parò un aggeggio a forma allungato con la punta ovale, quando premeva vibrava. Non capii subito che funzione aveva, ma lei mi sorrise e me lo mise sul petto dove c’erano i capezzoli. Un colpo solamente e sussultai - un vibratore? –Domandai più a me stesso che a lei, il suo sorriso si allargò –Che diavolo ti serve? –Borbottai infastidito.
-Beh a tante cose, come ad esempio a farmi eccitare o farmi passare le voglie quando tu non ci sei, anche se…- avvicinandosi a me con quel coso tra le sue gambe –preferisco te. –Mi baciò le labbra per poi spostarsi sul collo. Quel ronzio m’infastidiva, dovevo essere io, non lui. Ma il protocollo era stato chiaro, il nostro corpo doveva stare lontano per almeno trenta giorni, regole del cazzo! Lei lo stava facendo di proposito, sapeva che avrei mandato tutto a monte.
-Kaname. –Mi richiamò con gli occhi languidi. –Puoi darmi piacere e altrettanto posso darlo a te, basta che non ci uniamo, ma ….-già avevo capito dove voleva parare, in un battibaleno la portai in camera e la spogliai. Nessun rapporto completo, ma ci potevamo divertire, far provare piacere e ricevere le medesime attenzioni. Poteva essere facile per coloro che vivevano lontano, ma non per noi che eravamo sotto lo stesso tetto.
Presi il vibratore e glielo passai nei capezzoli e poi giù tra le sue gambe, mentre con i denti le torturavo quelle aureole che si stavano gonfiando per me. Lei si muoveva e questo mi faceva perdere in senno, la volevo, ma non potevo. Che ingiustizia!
-Kaname permettimi di darti sollievo. –Mi mormorò flebile, lo sapeva che non doveva chiedere nulla, si poteva prendere tutto anche la mia anima. Le sue piccole mani mi presero e con la frizione del gesto le venni tra esse, lei sorrise, ma mi sentivo incompleto. Tuttavia ci accontentammo di quello.
-La prossima volta sarai mia. –Le sussurrai all’orecchio, la sentii stringermi la mano con forza. Mia per sempre.
 
 
 
 
I giorni tanto attesi si stavano avvicinando. Le ragazze l’avevano portata via da me una sera, dicendomi che era in mano sicure, non ero del tutto entusiasta ma dovetti lasciarla andare poiché anche per me c’era un trattamento speciale. Luca e gli altri mi condussero in un locale grazioso, brindammo al futuro matrimonio che tra tre settimane si sarebbe compiuto, mi sentivo talmente teso che la birra scivolò dalla mia gola come se fosse acqua. Ballammo e scherzammo, povero Francesco, dovette subire le nostre minacce per fare quella proposta alla sua bella. Non capii più nulla di quella notte brava, solo del grande mal di testa della mattina dopo.
-Buongiorno Leone! –Affermò la mia futura sposa. Avevo un martello in testa che non mi voleva mollare.
Da quando era diventata così bella? La presi dal polso e la trascinai sopra di me, la camicetta era un poco trasparente e non indugiai ad alzarla e posare le mani sui seni. Lei esclamò, ma le tappai la bocca con la mia. L’alcool era ancora in circolo, ma lei non si schivò, mi aiutò a sistemarla al meglio per poi inserirle due dita in bocca.
-Voglio il mio cazzo dentro la tua bocca. –Dichiarai. Lei cercò di protestare e in fine vinse lei. Mi bloccò i polsi e mi guardò negli occhi.
-Lo farò, solo quando sarai lucido. Adesso dormi e riprenditi. –Decise per me, fu invano prenderla e riportarla tra le mie braccia mi sentivo un idiota che incappava tra le sue gambe. Sospirai e mi tuffai tra i cuscini, sapendo bene che non sarebbe svanita l’erezione che padroneggiava sotto le lenzuola.
Mi ero ridotto a uno straccio.
 
I giorni passarono inevitabilmente. Entrambi eravamo molto nervosi, si sa che con l’avvicinare del matrimonio si scatenano paure celate. Ero seduto con l’aria malinconica nel mio studio, di carte non ne volevo più sentire. Non era un caso che in quel momento non lavoravo, poiché avevo preso delle ferie programmate e poi dovevo sposarmi. Il mio capo mi aveva fatto i migliori auguri di tanta prosperità. Mi grattai la testa per alzarmi, le tende della finestra si muovevano dolcemente ed era rilassante quella danza. Due braccia mi avvolsero e sentii chiaramente il suo profumo inondarmi. Le strinsi il nodo delle sue mani per poi girarmi.
-Anche tu teso? Penso che sia normale, tra poco saremo per il mondo marito e moglie, anche se per me già lo sei. Sei il mio faro. –Confessò per poi alzarsi in punta e baciarmi.
-E tu la mia ancora. Ancora non ci credo di aver fatto questo passo, mi sembra inverosimile. Se ci avrei pensato qualche anno fa, sicuramente non ci sarebbe nemmeno stato questo pensiero. –La guardai negli occhi.
-Beh la vita ci cambia. L’amore ci rende consapevoli …tuttavia non rimpiango di averti fatto sudare così tanto, alla fine hai superato tutte le mie prove, e non pensare che non c’è ne siano altre. La vita è una battaglia. –Mi sorrise, per sedersi sopra le mie gambe.
-Interessante, allora non finiranno mai. –Confermai.
-Esattamente. –Accarezzandomi il viso e sorridendomi. –Entrambi conosciamo le nostre ombre e cerchiamo di tenerle dentro di noi. Grazie di esserci, Kaname. – Confessandomi.
-E’ stato un onore incontrarti quella sera, tutto è iniziato lì. –la strinsi in un abbraccio dolce.
Restammo in quella posizione per un poco di tempo, facendoci coccolare da quel vento maldestro, fino a che una sua domanda rupe quella tranquillità.
-Che fine hai fatto fare a Giorgio ? –
Ah quello stupido. Se solo si avvicina a lei lo prendo a pugni, ci avevo pensato tanto alla sua punizione e poi ne avevo trovato una proprio adatta a lui.
Risi e lei mi fissò come se fossi un alieno. –Stai tranquilla che il signorino avrà imparato la sua lezione o sarà già uscito di testa. L’ho trasferito in uno studio estero. –Ammisi. Ero curioso di vedere la sua faccia.
-Davvero? –
-Si. Tutte le cariche che aveva conquistato le ha perse, ora è ritornato alla forma base. Ha uno stipendio minimo, dovrà riconquistare le simpatie degli altri esponenti e poi gli ho vietato tutti gli accessi per almeno cinque anni ad altre nazioni, Italia inclusa. –Risposi così soddisfatto. Se lo avrei cacciato fuori dallo studio, era troppo poco e da principiante, lui doveva pagare a caro prezzo.
-Dovrei prendere il tuo esempio. Magari lo metto in pratica con certe persone. –Ammise lei.
-Quando vuoi una mano chiama e ti aiuto e poi tra breve farai parte della famiglia Washi. –Le dissi.
-Spero di esserne altezza. –Borbottò accucciandosi nell’incavo del mio collo.
-Abbi fiducia nelle tue capacità. –
 
 
 
 
-Kaname sei pronto? –Qualcuno mi stava chiamando, ma in quel momento non c’ero proprio. Fissavo il mio riflesso allo specchio. Quel vestito mi stava come un guanto, senza tralasciare il caldo che stavo provando. Il giorno tanto temuto era arrivato in fine.  Per tutta la mattinata ero rimasto chiuso in camera per far sì che la sposa con tutti il suo repertorio si preparassero. Era stata chiara, lei voleva che tutto si sarebbe fatto a casa nostra. Di tradizione la sposa doveva uscire dalla casa di famiglia, ma essendo che non voleva andare da sua madre o nonna aveva optato per quella attuale. Non aveva dormito e neppure io. Avevamo parlato al telefono o dietro la porta, come se fossimo due bambini. Le avevo dato la forza, tra breve saremo stati uniti per sempre. Lei aveva pianto e mi ero trattenuto per rimanere al mio posto. All’alba Crystal seguita da Luca erano piombati a casa con tutto il seguito, era iniziato il conto alla rovescia.
Sentivo ogni cosa dalla mia stanza, il fotografo che le parlava, i vari scatti, i suoi sospiri e poi fu il mio turno.
Mi sentivo un pezzo di ghiaccio dall’emozione. I miei nonni si erano vestiti rigorosamente stile occidentale, e aspettavano me per andare nel luogo destinato. La mente si era spenta. Il luogo scelto era bellissimo. La gente lo guardava con entusiasmo, i camerieri fin da subito accolsero gli invitati. Il padiglione era un incanto dai numerosi fiori e drappeggi che ornavano ogni colonna e poi quell’arco di fiori che penzolavano. Fissai il tetto ed era tutto perfetto. Il vetro dava quel tocco di eleganza a quella struttura.
Le damigelle entrarono una dietro l’altra. Quel color oltre mare era magnifico, rintoccava a quell’essenza di quella stagione calda.
La marcia nuziale rintoccò e cercai il suo sguardo. Lei era lì, con suo padre accanto. Indossava un velo sul viso. Più si avvicinava più il cuore batteva forte, tamburellava come non mai. Avvertii gli occhi farsi umidi e cercai con tutto me stesso di non dare sfogo a quelle emozioni che stavano trapelando per quell’evento.
Strinsi con forza il labbro inferiore e poi rallentai. Lei era al mio cospetto più bella che mai, con quel vestito che le cadeva a pennello. Semplice ma d’effetto. Era perfetto per lei. La sua eleganza nel fissarmi con timore e poi con determinazione. La gonna era liscia come la seta che ricadeva sul pavimento formando un cerchio intorno a se, soave come la melodia più incantevole, si muoveva con lei. La parte superiore era molto delicata con una scollatura a cuore e sullo sterno ricoperto da un tessuto trasparente e bianco che scendeva dal collo alla schiena, sicuramente ornato. L’acconciatura semplice, ma rigorosamente alzata, e sul capo una tiara. L’avevo subito riconosciuta. Era quella che mia madre aveva indossato al suo matrimonio, ma con l’aggiunta di alcune pietre blu. Quel contrasto di quei tre colori la facevano bellissima.
Suo padre la salutò e mi allungò la mano per prendere la sua, appena le nostre mani si avvicinarono presero la scossa. Lei mi sorrise e tutto cessò.
Il giudice di pace iniziò con la solita predica, e nel momento in cui ci fu lo scambio degli anelli successe qualcosa di inaspettato, ma me lo dovevo immaginare.
Lei disse di no al testo scritto. Il cuore mi salì in gola per la paura. Si girò verso di me e mi fissò negli occhi che erano pieni di lacrime.
-Non voglio le solite frasi. –Si schiarì la voce – voglio farlo a modo mio. Perché tutti lo devono sapere che tu mi hai salvato, mi hai ridato la forza di resistere e di dare un senso alla mia vita. Ti amo e ti prendo come compagno di vita, non so che cosa ci aspetta nel futuro ma una cosa la so, se sono accanto a te, non avrò paura, perché saremo uno lo scudo dell’altro. –Le sue lacrime scesero come le mie, scivolai le dita sulle sue guance, tremava anche se la giornata era calda.
-Ti prendo per compagna di vita da ora e per sempre, che le nostre strade siano illuminate dai nostri sentimenti e sogni. – La mia voce risultava rauca, ad un certo punto avvertii un magone in gola.
-Con il potere dello stato io vi dichiaro marito e moglie. Può baciare la sposa. –Non attesi, la presi e la strinsi tra le mie braccia per poi baciarla con passione. I nostri sentimenti si mescolarono, lo stavamo vivendo finalmente quell’amore.
Gli applausi acclamarono ma era come la musica di sottofondo. L’unica cosa che mi importava era lei.
-Ti amo signora Washi! - Esclamai prendendola in braccio, dove sentii chiaramente i fischi dei nostri amici. Il riso e i petali ci investirono, ma ero troppo felice per obbiettare. Lei era diventata come una bambina, rideva e piangeva allo stesso tempo.
Ci spostammo verso l’aperitivo, il sole era al centro del cielo e si moriva dal caldo, a tutte le signore era stato dato un ventaglio decorato il quale raffigurava il Sakura, era stata una benedizione, tranne per noi uomini che soffrivamo il caldo in silenzio. Il servizio fotografico fu lunghissimo, ma volevamo un ricordo indelebile di quel giorno. Tutti i nostri invitati si riunirono per dare sfogo alla creatività del fotografo, anche Happy fu uno dei nostri con il suo papion sul collo era una meraviglia. Aveva saltato accanto alla mia sposa per tutto il tempo, forse anche lui sentiva quel brio.
Nel tardo pomeriggio ci apprestammo a recarci in quel piccolo tempio che avevo progettato grazie all’aiuto dei miei nonni. Loro erano pronti per quella cerimonia speciale. Jessy arrivò all’altare sola, con un sorriso felice stampato in faccia.  Le sue damigelle erano arrivate dopo di lei, e si erano schierate nel suo lato come avevano fatto i miei.
-Buona sera. Siamo qui raccolti per benedire questi due ragazzi a nome dei Kami. È un onore per noi celebrare questo rito, abbiamo aspettato con impazienza questo momento e adesso non vediamo l’ora di incoronare questo sogno. –Annunciò mia nonna con il fazzoletto in mano.  Guardai la mia sposa e le allungai la mano che lei prese con entusiasmo. Il nonno prese il piccolo catino che era posto all’angolo del tempio e poi ci gettò piccoli spruzzi addosso come simbolo di purificazione, lesse un testo antico in lingua originale e poi ci fissò.
-Gli anelli. –Disse e il mio testimone, Luca, ci diede la scatola dove li conteneva. Attraverso una preghiera adatta furono battezzati e poi si rivolse a noi.
-Attraverso questo calice benedico a nome dei Kami questi due giovani, che il loro amore riesca a superare le avversità, che la pace e la serenità sia nei loro cuori da ora e per sempre. –Terminò. Presi il piccolo ago che era stato posto con il calice e mi punsi il dito per far scorgere una goccia di sangue, Jessica procedette ugual modo per poi bere il sakè e il sangue che si era mescolato. Era la nostra tradizione, per definire i nostri legami, adesso era mia ed io suo. I nostri destini si erano incontrati per formare un solo filamento.
Dopo di essa c’inchinammo e sbattemmo le mani due volte per ringraziare il cielo.
-Puoi baciare la sposa. –Disse dopo avergli affidato il mio cuore, dato dal simbolo dell’anello. Questa volta fu un bacio più calibrato e delicato. Fatto anche questo eravamo pronti che continuare la nostra giornata.
-Ti amo Kaname. –Mormorò prendendomi di soppiatto. Non mi avrebbe mai smesso di sorprendermi.
-Aishiteru. –Le ripetei intanto che la conducevo verso il nostro futuro.
 
 
 
 
*
*
*
Hoila! Ritorno, scusate per l’attesa. Finalmente si sono sposati, spero di aver caratterizzato bene i sentimenti e le varie fasi, non e che stato facile far parlare per tutto il tempo il nostro Kaname, sto ancora sudando. Alla fine mi sono divertita, ma soprattutto descrivere questa parte in cui c’è il rito giapponese. Vi metto come nota le varie pratiche anche se non li ho seguite nel dettaglio.
Shubatsu: rito di purificazione usando l’acqua delle vasche poste all’ingresso del tempio.
Scankon No gi : scambio degli anelli. In cui gli sposi bevono la bevanda degli dei che sarebbe il sakè.
Diciamo che l’ho fatto a modo mio, ma spero di aver enfatizzato il tutto.
Per gli abiti vi lascio il link.
Alla prossima
Vestito Kaname Vestito Jessy tiara Heart
 
 
 
  
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