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Autore: YellowSherlock    03/06/2018    1 recensioni
John ritorna a scuola per affrontare il suo ultimo anno, e durante il primo giorno di scuola ha la possibilità di conoscere una persona, illustre per gli altri, ma completamente sconosciuta per lui.
Diventeranno amici? Cosa accadrà? Riuscirà John a fare chiarezza nel suo intimo? Perché quel ragazzo ha dovuto cambiare scuola proprio all'ultimo anno? Chissà.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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“Cazzo, Harriet! Vedi di darti una mossa!” Dissi, cercando di invogliare mia sorella ad accorciare i tempi.
“Siamo incredibilmente in ritardo, ed è solo il primo giorno di scuola!” Proseguii, irritato.
Avrei dovuto affrontare l’ultimo anno di college e la mia ansia era direttamente proporzionale alle ore che si avvicinavano al suono della campanella.
Hariett si trascinò con le cuffie alle orecchie.

“Rilassati JohnnyBoy, tanto è inutile affannarsi.” Mi disse, poggiandosi alla porta della mia camera.

 

“Forse per te! Io vorrei entrare a medicina l’anno prossimo, quindi no, per me non lo è!”
proseguii mettendo alla rinfusa libri nello zaino e prendendo con cura il fascicolo da sopra la scrivania, incasinata il triplo.

“Forza! In macchina!” Incitai , ed Harriet mi seguì con il solito pesante passo.

Una volta arrivati al college, lasciai Harriet accanto al gruppo dei suoi amici e mi diressi fino al parcheggio della zona “studenti dell’ultimo anno”.
Parcheggiai la mia piccola automobile tra quelle enormi dei miei amici miliardari e mi guardai nel riflesso di un finestrino.

“Sono fiero di me.” Cercai di convincermi.
Non avevo mai avuto l’occasione di poter studiare senza lavorare, i miei genitori non potevano più curarsi né di me né di Harriet poiché morti da qualche anno, dunque dovevo riuscire a garantire un futuro a mia sorella, un futuro a me e continuare a lavorare per la sopravvivenza.

“Un giorno avrò anche io una splendida auto!” Mi dissi, ancora, poi inforcai il mio zaino colmo e passai una mano nei capelli dorati.
Diedi una stirata con l’altra mano alla maglia nuova e inspirai.

“Va, soldato!”

Attraversai i cancelli che separavano la zona auto dal giardino in cui erano già riuniti gran parte dei miei compagni.
Camminai per quelli che furono cinque minuti, fino a quando qualcuno non mi chiamò.


“Watson! Dove scappi?” Disse Mike, incitandomi ad avvicinarmi.
Fui felice di incrociare il suo sguardo, almeno c’era un viso amico.

“Mike, amico mio!” dissi, abbracciandolo.

“John!! Che bello rivederti!” disse, ricambiando.

“Com’è andata l’estate?” chiesi.

“Solite cose. I miei divorziano.”

“Oh. Mi spiace tanto Mike.”

“No non dirlo, meglio così. Troppi litigi, o divorziano loro o vado via io.”

“Ti comprendo. Per qualsiasi cosa sai che ci sono.”

“Sempre, Watsy!”

Sorrisi, Mike meritava davvero tutto il bene del mondo.

“E tu?” Disse.

“Ho lavorato tutta l’estate , sai, i miei zii si sono scrollati dalle responsabilità!”

“Cavolo! Se hai bisogno di soldi io…”

 

“No Mike, ti ringrazio! E’ tutto sotto controllo! Lavoro come cameriere da Speedy’s, a North Gower Street, conosci?”

“Ma certo! Ci passo sempre da quella via, se lo avessi saputo…”


“E’ questo il punto, nessuno deve saperlo!” dissi, sorridendo.

Mike ricambiò la mia ironia e poi ci avviammo sul sentiero del parco per poter dirigere nell’atrio della scuola.

Discutemmo del più e del meno e dei vecchi amici con cui nulla avevamo condiviso in passato e nulla avremmo voluto condividere in futuro.

“Oh Cristo, John. C’è Lisa.”

“Ignorala Mike. Dopo quello che ti ha fatto, perché mai dovresti salutarla?”

“Mmmh, sembrerà scortese.”

“Ti ha tradito con il tuo migliore amico. Cosa dici?”

“Non era il mio migliore amico, sei tu il mio migliore amico!”

“Ah! onorato, Mike!”

“Come se tu non lo sapessi!” sorrise, tirando diritto dinnanzi a quella ragazza.

“Bravo, ci sei riuscito.”

“Mi ha guardato?”

“Neanche per un attimo.” dissi, mettendogli una mano sulla spalla.

“Watson così ci prenderanno per una coppia.”

“Ma andiamo! Io? Mi ci vedi? Mi conoscono tutti come Super Watson.”


“Ma non si conosce neanche l’identità di una delle tue ragazze.”

“Non sono un romantico come te, Mike.” Continuai sorridendo, cercando di scacciare via il pensiero che avevo meritato un titolo di latin lover solo poiché carino e solitario, ma che se avevo baciato due ragazze nel giro di dieci anni era già troppo.

“Guarda, Mike. Sandra, Louis, Charlotte e Kate. I mali non vengono mai da soli.” dissi, indicando un gruppo di persone da cui prendemmo le distanze nell’ultimo mese dell’anno precedente.

“Ahah! Hai proprio ragione, Watson. Evitiamoli, come con l’aglio.”


“L’aglio è buono, Mike. Li evitiamo come la peste; ecco, quella me la risparmierei.”

Mike rise di gusto e aggiustò la cartella che scivolava spesso sulle sue forme tonde.
Tolsi la mano dalla sua spalla per non metterlo in difficoltà, e una volta arrivati sul marciapiede di fronte agli scalini della scuola, un auto nera con i finestrini oscurati sfrecciò, tagliandoci la strada.

“Vaffanculo, stronzo!”
Urlai , cercando di farmi sentire.
Ero convinto che quell’auto non si sarebbe mai fermata proprio a pochi centimetri da noi, e mi pentii subito.
Non potevo scappare.

Quando vidi aprirsi una portiera mi congelai.

“Bravo Watson!- sorrise Mike - adesso ci becchiamo anche qualche schiaffo. Così, come buon augurio per l’anno nuovo.”

“Ssh Mike, scappiamo.”

Una scarpa lucida e una gamba chilometrica fasciata da un completo maschile mi fece subito capire che tutto avrei ricevuto, tranne che qualche schiaffo.

Un ragazzo con una borsa a tracolla di pelle uscì dall’auto.
I suoi capelli erano ricci e il viso era coperto dagli occhiali scuri.
Doveva avere la nostra età.
Si guardò attorno con sufficienza e ci superò, ignorando totalmente la nostra esistenza.

“Hai chiamato stronzo uno degli Holmes?”

“Chi?”

“Gli Holmes, Watson!  Una delle famiglie più potenti della Gran Bretagna intera."

“Sempre stronzi rimangono.”

“Cristo, non dargli mai corda, mi raccomando, rischi di fare danni.”

“Oh andiamo, come se potessero togliermi chissà cosa.”

“Questo pure è vero!” Disse Mike, ridendo.

“Andiamo dai, stiamo perdendo tempo.” Lo incitai.

Ci dirigemmo nella palestra ove tutti gli studenti dell’ultimo anno erano riuniti per essere smistati nelle varie classi.
Io e Mike ci sedemmo sugli scalini più alti per evitare di essere coinvolti nelle solite risse tra i rappresentanti d’istituto, e osservammo la scena da lontano.

“Mi mettessero ovunque, basta che ci sia tu. Mi sento già un disadatto il novanta percento delle volte.”

“Hai ragione Mike, con me raggiungi il cento percento.”

“Ovvio. Sei la mia zavorra.”

Ridemmo entrambi, e io non riuscii a soffocare il suono.
Qualcuno davanti mi guardò come a dire “ Ma non ti interessa nulla di tutto ciò?”
e io risposi con una smorfia per rispondere “I cazzi tuoi !? quando!?”

Mentre gli altri prendevano decisioni di cui poco mi importava, visto che il mio unico scopo era passare gli esami di medicina e non di capire chi potesse comandare per nove mesi, osservai tutto ciò che mi circondava.
Vidi il famoso Homes, Holmes, o come diamine si chiamava, che aveva tolto i suoi occhiali.
Li teneva pendenti sull’incavo della camicia e aveva le mani unite poggiate sulle sue gambe.
Era seduto sullo stesso nostro gradino ma era da solo.
Aveva l’aria di qualcuno che cercava di capirci qualcosa e che considerava tutti noi una banda di coglioni patentati.

“Mike…”

“Watson…”

“Che cazzo di problema ha questo Holmes?”

“Nessuno, che io sappia.”

“Andiamo guardalo, il primo giorno di scuola e indossa un completo. Che cazzo crede di fare? Un meeting?”

“Ahahah! Watson, come fai a non sapere nulla sugli Holmes?”

“Come fai tu a sapere tutto sugli Holmes?!”

“Forse perché sono nobili e vivono ai piani alti come la regina?”

“Ma dai, nobili.”

“Sono Marchesi, Watson. Sai almeno che abbiamo la regina, vero?”

“Mmmeh, più o meno.”

“Cristo, Watson.”

“Scusa ma, che ci fa un marchese in questa topaia?”

“Credo se lo stiano domandando tutti, ma la risposta io la so.”

“Certo. Cos’è che tu non sai?”

“La so perché seguo i giornali!”

“Dimmi tutto, Pàmela.”

“Ssssh! Intanto io lo so e tu no, dunque, non te lo dico.”


“Dai, scherzo.”

“Mmmh. - disse arrendendosi al mio faccino supplicante-
E va bene. Ad ogni modo il Marchesino frequenterà l’ultimo anno di scuola qui perché deve restare lontano dai riflettori.
Alcuni dicono che si sia cacciato nei guai, altri dicono che sia un genio e che quindi alcuni professori lo hanno voluto qui per un progetto a cui stanno lavorando e di cui noi non dobbiamo saperne nulla.”

“Come sempre. I caproni per ultimi.”

“Sarai un ottimo medico, Watson. Ne sono certo.”

“Anche tu, Mike.”

“In realtà io vorrei insegnare.”

“Whaaaaat?!”

“Sì.”

“Vorresti vivere eternamente in un liceo, oh dio, che hai fumato?!” dissi, alzandogli gli occhiali e tirando su la palpebra per controllare il rossore.

“Andiamo Watson!! Smettila di scherzare!”

“Ahahah! Sei troppo divertente, Mike.”

“Tu no!”

restammo a litigare per qualche minuto fino a quando il preside non iniziò a leggere le liste e ci trovammo smistati tutti in classi differenti.
Io e Mike ci trovammo nella stessa classe solo per due materie, le altre cinque fummo divisi e capitammo, in tempi diversi, entrambi con il signorino Holmes.

“Dio Mikeee! No!”

“Lo so, Watson. E’ ingiusto!”

“Uff! Ma che cazzo! Si prospetta un anno di merda!”

dissi, dando un calcio alla cartella e riprendendo posto.

Il mio grigiore fu subito analizzato dall’Holmes che mi guardava sott’occhio.
Ricambiai il suo sguardo velocemente.

“Che cazzo, non ha mai visto qualcuno indiavolato?!”

“Cosa?”

“Il Marchesino lì, mi guarda male."

“Ma che ti importa dai! Andiamo in classe piuttosto, Cristo. Sono con Jackson Leroy…non poteva andarmi peggio.”

“Oh Dio. Davvero.”

Leroy era un ragazzo che inspiegabilmente aveva ogni settimana una penna esplosiva nella cartella, e dunque il banco su cui bisognava poggiarsi per studiare diveniva un’ eterna pozzanghera di inchiostro.

“Ti riconoscerò dai segni sul viso.” dissi, mimando a Mike i segni sulle guance come gli indiani.

“Stronzo.” Mi disse.

“A più tardi.” Agitai una mano.

“A dopo."

Ci dividemmo e raggiunsi il corridoio dove era situata la mia aula. Persi di vista Mike e fortunatamente sfuggii anche agli occhi del nuovo principino.
Mi irritava la sola idea che dovessi condividere con lui il mio ossigeno, non so, era una cosa d’istinto!

Duecentodiciannove B. Duecentoventi B. Duecentoventuno B.

La mia classe era lì. Duecentoventuno B.
Dio.
Che palle.
Un’infinità per pronunciare solo la classe!

Entrai assieme agli altri e mi sistemai in un banco in fondo.

Quando il professore di chimica iniziò la lezione, mi concentrai e iniziai a fare sul serio.
Chimica l’avrei ritrovata nei test d’ammissione a medicina e nulla, neanche la mia coglionaggine mi avrebbe mai distolto dall’obiettivo.

A quindici minuti dell’inizio, tre tocchi alla porta ci interruppero.

“Avanti.” Disse il Professore.

La porta si aprì e spuntò dietro il marchesino.

“Oh cristo.” Pensai “ mi manca solo lui dinnanzi, con quel cespuglio che ha in testa non vedrò mai più alla lavagna.”

“Psss. Jack.” dissi, rivolgendomi al ragazzo dinnanzi a me che aveva un posto libero.

“Ti prego, metti qualsiasi libro su questa sedia, non posso averlo davanti tutta la lezione!”

“Che ti ha fatto di male?” disse.

“Nulla, ma non ce lo voglio qui dai!”



“Salve, Professore. Mi scusi per l’interruzione, sono nuovo e non avevo idea di dove fosse l’ala delle classi dalla duecento in sù.”

“Non si preoccupi, Holmes! - disse il Professore, mostrando un sorriso fin troppo cordiale per un alunno.” Si accomodi accanto a …”

Io calai il capo e Jack riuscì a coprire il posto.

“Mmmh. Watson! Fai passare il tuo compagno davanti così Holmes siederà accanto a te e non ostacolerà la vista, considerando la sua altezza.”

Cristo. Lo odiavo ancora di più, se possibile.

Il mio amico di banco passò avanti e il marchesino si sedette accanto a me.

Non ci guardammo neanche per un secondo, e nessuno dei due fu spinto da nessuna voglia di socializzare.
Realizzai, tra le mille cose, solo che aveva un buon profumo e che invidiavo quella sua eleganza.

Lo osservai prendere appunti, aveva una penna stilografica, ovviamente, e un taccuino di pelle che odorava di nuovo.

Riportai lo sguardo sul mio quaderno con gli orsi polari comprato in un supermarket spicciolo e cercai di nascondere con vergogna sia lui che la penna mangiucchiata agli estremi.
Avevo tutta l’intenzione di ridere, perché mi sentivo ridicolo.
Perché mai avrei dovuto vergognarmi?
Intanto, continuai a farlo.

A fine lezione cercai di riposare tutto con estrema fretta per poter filare via, ma mi accorsi che la mia bottiglia di acqua si era completamente rovesciata nello zaino, e dunque i miei libri erano completamente zuppi.

“Porca puttana!” Mi uscì, silenziosamente, dalla bocca questo termine.
Presi la mia cartella gocciolante e la poggiai sulla sedia cercando di arginare il danno con un fazzoletto che avevo riposto in tasca.

Nessuno se ne accorse, a parte lui.

Nel caos generale del cambio classe, il marchesino mi si avvicinò.

“I tappi vanno chiusi, lo sai, no?”

La mia voglia di prenderlo a schiaffi adesso era palese e motivata, e quando vide che non avevo nessuna intenzione di scherzare continuò:


“Andiamo amico, scherzo. Serve aiuto?”

“Non da te, ovviamente.”

“Oh. Ok.”

sul suo viso apparve un po’ di delusione ed io rimediai comprendendo che forse non era il caso di essere così scortese con un nuovo arrivato.
Benché lui fosse miliardario, con un posto all’università già acquistato e l’aria di chi poteva avere qualsiasi cosa nella vita.

“Mi spiace, scusa. Non volevo essere scortese. E’ che sono gli unici libri che ho, o questi o la bocciatura.”

“Dio, quante sciocchezze. Seguimi, ti insegno un trucco.”

Ero così disperato che accettai subito la sua richiesta, pur di salvare quello che restava della mia possibilità di accalappiarmi un posto all’università.

“Vieni di qua.”

mi portò in un corridoio laterale e spuntammo su di un giardino invaso dai raggi del sole, riservato alle ore di pallavolo.


“Scusa, ma tu non eri quello che non conosceva l’ordine delle classi?”

“Come hai detto che ti chiami?” Mi interruppe.

“Non l’ho detto.” Risposi.

“E dunque sei…?”

 

“Watson. John Watson.”

“Bene John Watson, sappi che di tutto ciò che dico solo l’1% è verità.”


“Oh questo la dice lunga su di te.”

“Mmm no, non credo. Ad ogni modo non è questo il punto.
Dammi i libri e dimmi qual è il tuo prossimo corso.”

Gli diedi quell’ammasso di carta spugnosa nelle mani e lui lasciò cadere la tracolla nell’erba.

“Dovrei già essere a matematica e dopo a biologia.”

“E’ il tuo giorno fortunato, allora!”

“Ah si? Io non direi.” dissi, indicando il mio pantalone contaminato dall’acqua e dalla carta che ne era rimasta attaccata nel prendere i libri.

“E invece sì. Ho anche io i tuoi corsi, quindi ti aiuterò con i libri. Intanto questi li lasciamo su quel muretto lì e li riprendiamo tra due ore.”

“Credi funzioni davvero?”

“Certo. Sei fortunato perché è uno di quei pochi giorni in cui c’è il sole a Londra. Adesso se la smetti di lamentarti, possiamo andare a matematica.”

Restai a guardarlo per una frazione di secondi cercando di capire perché mai dovesse essere così gentile con me.
Quando riprese la sua tracolla e si incamminò, lo seguii frettolosamente.

“Io sono Sherlock, comunque. Sherlock Holmes. Ma credo tu già sappia chi io sia, non si parla di nient’altro che della mia famiglia sui giornali di gossip.”

“Non leggo giornali di gossip, non so chi diamine tu sia.”

Lui si fermò e mi guardò negli occhi.

“Finalmente qualcosa di buono, oggi.”

e riprese il cammino, lasciandomi in una marea di dubbi che si sarebbe presto scagliata su di me.

“Scusa, fammi capire, odi essere famoso?”

“Io non sono famoso, Watson. Io sono perseguitato, tutti attendono un passo falso da parte della mia famiglia per poterci mettere in ridicolo, così come tutti quelli che sono connessi con la famiglia reale inglese.”

“Ma a chi importa, onestamente?”

“A tutte le persone senza cervello, mi pare scontato.”

 

Nel parlare, non mi accorsi che raggiungemmo la classe di matematica.

“Prego.” mi disse, dandomi la precedenza.
Nessuno mai mi aveva dato la precedenza, e quel gesto mi fece sentire improvvisamente divertito.

“Grazie.” dissi, cercando di trattenere battute sulla galanteria.

“Bene - disse, raggiungendomi - io direi di prendere quel banco lì così possiamo condividere il libro.”

“Oh. Ok, ti ringrazio.”

“Figurati.”

Prendemmo posto e nel giro di pochi minuti e Sherlock cacciò dalla sua tracolla un enorme libro di matematica.

“Questo non è il nostro.” Gli dissi, facendo segno con le mani che fosse troppo alto e troppo immenso e troppo…da ingegneri della Nasa!

“Lo so, è il mio. Ma la matematica è una. Troveremo lo stesso argomento a cui ci introdurrà il Professore.”

“Cristo. Io già ne capisco un quarto di tutto quello che dice!”

“Oh no io sono molto bravo, invece.”

“Non ne nutrivo dubbi.” dissi, seccato da quella sua continua e crescente perfezione.

“C’è qualcosa che non sai fare?”

“Moltissime.”

“Per esempio?”

A quella domanda non ricevetti risposte poiché il professore entrò e la lezione ci divise per cinquantacinque minuti.


“Semplice, no?” Esordì Sherlock guardandomi con fare saccente.
Io evitai di risponderlo poiché lui non era Mike, e dunque con lui non potevo far partire la mia compilation di parolacce.

“Andiamo, Watson. Speriamo che biologia ti sia meno ostile.”

“Holmes, a biologia mi siedo in un banco unico.”

“Ti ricordo che non hai i libri.” disse, ridendo.

“Preferisco fissare le mosche che trascorrere un’altra ora accanto a te.”

Sul suo viso apparve un’ espressione leggermente delusa, e non feci nulla per ostacolarla.

Cambiò argomento, immediatamente.

“Faccio una tappa in presidenza, devono darmi le chiavi dell’armadietto. Ci vediamo….dopo, semmai.”

disse, liquidandomi.

Io restai fermo, e lui si dileguò non riuscendo a darmi il tempo di replicare.


“Sei stato proprio stronzo, John.” Ripetei tra me.

Una volta entrato nella classe di biologia mi diressi verso il banco in prima fila, e con un piede bloccai la sedia accanto la mia in modo tale che nessuno avesse potuto prendere il posto della mia nuova conoscenza.
Glielo dovevo.


“E’ occupato?” “Sì.”

“Potrei sedermi qui?” “No.”

La lezione cominciò poco dopo e di Sherlock non vi era traccia.

Il professore continuava a fare disegni strani, scriveva nomi senza alcun senso.
Poi mi accorsi che a venti minuti dalla lezione non avevo decisamente preso in considerazione la l’idea di impegnarmi a capire di cosa stessimo parlando.

“Dove diamine si è cacciato?” dissi, a me stesso.

La lezione continuò e persi tutte le speranze.

*DRIN* la campanella segnò la fine dell’ora, e io capii che se nelle prime ore della giornata potevo avere occasione di stringere una nuova amicizia, adesso era tutto andato perduto.


Uscii dalla classe guardandomi attorno e cercandolo tra la folla.

Non lo trovai.

Mi diressi verso il giardino “segreto” e ripresi i miei libri accorgendomi che erano davvero asciutti, e che il mio anno era salvo.
Li riposi nella mia cartella e mi diressi verso la sala mensa.
Continuai a non vedere Sherlock da nessuna parte.
Presi il vassoio e mi diressi verso la fila, diedi un’occhiata al mio cellulare per controllare le chiamate di Harriet.
Trovai un messaggio.


*I libri sono tornati come nuovi. E’ stato bello fare la tua conoscenza, buon anno, John.*

Cosa?! Chi gli aveva dato il mio numero? E perché mi ha liquidato così? La mia voleva essere una battuta!



*Sherlock, ma dove sei finito? Ti sto cercando ovunque.*

*Sono a mensa*

*Anche io. Non ti vedo.*

*Guardi ma non osservi, Watson.*


sospirai cercando di reprimere la mia voglia di urlargli contro.

*Non ti conosco e già mi dai sui nervi*

*Bene, allora non ti girare così vado via ed evito di beccarmi uno schiaffo*


Mi girai immediatamente e lo trovai appoggiato, semi seduto, su uno dei tanti tavoli. 
Agitò una mano mentre aveva stretto il suo iPhone nell’altra mano.

Mi avvicinai uscendo dalla fila.

“Perché non sei venuto a biologia?”

“Perché il preside mi ha trattenuto."

“E perché mi hai liquidato in quel modo?”

“Credevo ti dessi fastidio.”

Lo guardai e il fatto che pensasse ciò mi ferì moltissimo; mi irritava da pazzi ma la sua gentilezza mi aveva colpito a tal punto da convincere me stesso di potergli dare una chance.

“Non mi dai fastidio, Holmes. Anzi,ti ringrazio per avermi aiutato con i libri, non potevo acquistarne di altri. E…se tu accettassi di pranzare con me ne sarei felice.”

“Mhh, solo se ci sono le patatine.”

Sorrisi e annuii.

“Andiamo, forza.”

Rifacemmo la fila e io presi del pollo con della salsa. Lui solo le patatine.

Ci dirigemmo verso il primo tavolo libero e iniziammo a mangiare.

“WATSOOOON!!” Sentii urlare, dall’altro lato della sala.

Cazzo, Mike. Come avevo fatto a dimenticarmi di Mike?

“Mikeee!” urlai, alzandomi e agitando la mano.

Lui mi raggiunse col suo vassoio e io lo invitai ad accomodarmi.

“Cristo, Watson. Una mattina di scuola separati e già ti sei dimenticato di me?”

 

“Ma no, Mike, cosa dici! Lo sai che ti adoro!”

dissi, tirandogli una guancia.

“Smettila, lo fa sempre mia nonna.”

“Per questo lo faccio sempre anche io.”

Ridemmo entrambi e Sherlock iniziò a studiarci con uno sguardo che mi sembrò infastidito.

“Sherlock, lui è Mike. Mike lui è Sherl…”

“Sherlock Holmes, ovvio. Conosco tutto di te.”

Sherlock si raddrizzò sulla sedia e la sua espressione divenne ancora più investigativa.

“Ho detto qualcosa che non va?”

“Oh. Oh no, figurati. E’ che…Non si può conoscere qualcuno solo perché alcuni giornali raccontano qualcosa, no?”

“M-ma c-c-erto, scusami! Io volevo d-d-ire che sei, fa-famoso, no?”

“No. Parlano semplicemente di me."

“Ah.” Disse Mike, affondando dietro al suo purè.

Cercai di riprendere in mano la situazione, ma continuai a non comprendere l’oscura ombra che era caduta sul viso del mio nuovo amico.

Finimmo il pranzo e ci dirigemmo verso l’uscita, l’ultima lezione era Letteratura per loro e Musica per me; non ero con nessuno di entrambi, ma loro sarebbero rimasti insieme.

“Allora ci vediamo domani, Sherlock.” dissi, e lui mi tese una mano per stringerla.
Io lo guardai divertito e poi gli feci segno di stringerla in un pugno per poterlo salutare in modo giovanile.
Lui continuò a fissarmi imbambolato e il mio sguardo su di lui non si affievolì.
Continuai a guardarlo insistentemente per cercare di capire a cosa diamine stesse pensando e nel frattempo, senza mai distrarmi, salutai Mike.

“Ci vediamo oggi pomeriggio, Mike. A casa mia.”

“Certo.” Disse Mike, guardandoci.

Notai nello sguardo di Sherlock un lampo che mi fece rabbrividire. Ma non ci diedi tropo peso perché non fu la prima cosa strana che capitò in quella mattinata.
Mi congedai e li lasciai avviarsi nella classe di Letteratura mentre io mi dirigevo nell’aula musica.

Era l’ora più piacevole della settimana, frequentavo il corso da qualche anno ed avevo imparato a suonare il violoncello.
Si tenevano spesso corsi di musica da camera ed io ero divenuto uno dei preferiti del direttore d’orchestra.
Poiché non potevo permettermi l’acquisto di un violoncello, la scuola ne riservò una sezione per tutti i ragazzi in difficoltà economiche.
Quello che mi capitava di suonare più spesso era un meraviglioso Stentor; era ambito da tutti ma poiché io arrivavo sempre in anticipo, avevo la possibilità di prenotarlo prima.
Lo amavo con tutto il cuore.
Il suo suono era pieno, romantico, sensuale.
Era completo.
Avrei pagato qualsiasi cifra solo per averlo a casa, anche solo per guardarlo!
Entrai nella classe e purtroppo, per perdermi in chiacchiere, non riuscii a prendere lo Stentor.

Mi capitò un violoncello di marca minore, non il peggiore, ma che davvero non rispondeva alle mie dita.
L’ora di musica, ad ogni modo, passò comunque e, restando con un po’ d’amaro nelle corde del mio corpo, uscii immediatamente al suono della campanella, cercando di non innervosirmi.
Avrei potuto suonare di nuovo tra una settimana, senza avere per nulla la sicurezza di poter affondare le mie mani nello Stentor, e questo mi oscurò abbastanza per restare giù di tono per tutto il pomeriggio.

Mi diressi verso l’uscita ed il parcheggio, incontrai qualche amico che non vedevo da mesi e scambiai qualche parola, per potermi distrarre.
Mike e Sherlock apparirono lontani, sorridendo, evidentemente avevano fatto conoscenza durante l’ora di Letteratura.
Li osservai per un po’ e poi mi defilai poiché non ero dell’umore giusto per poter sostenere altre conversazioni.

Chiamai Harriett, la ritirai all’angolo del suo campus e poi ritornammo a casa.

Una volta in casa decisi di riordinare la cucina e la mia camera, che nella fretta della mattinata erano divenute due campi di guerra.
Harriett si nascose in camera sua, come sempre, ed il silenzio tra noi diveniva sempre più tagliente.
Dalla morte dei nostri genitori in quell’incidente stradale, tutto è cambiato.
La vita ci è crollata addosso, e se siamo usciti dalla tempesta restando vivi, è solo perché ci accomuna uno spirito di sopravvivenza ingestibile.

Aspettai l’arrivo di Mike preparando uno dei suoi dolci preferiti: un plum cake con gocce di cioccolato.
Erano mesi che non ne assaggiava uno mio, e renderlo felice mi divertiva.
Lo infornai e dopo pochi minuti suonò il campanello.

Mi diressi alla porta e la aprii distrattamente, ritornando in cucina.

“Ciao Mike! Vieni pure, ho il dolce in forno non posso distrarmi!”

“Oh mio Dio, Watson. Credo di amarti!” disse, facendo scattare la serratura dietro di sé.

“C’è anche Holmes, se non ti spiace.”

Cosa?! Cosa cazz?! Cosaa?!

Restai per un attimo ghiacciato dinnanzi al forno e per non fare brutta figura ripresi.

“No! No-no certo che non mi spiace!”

Cazzo! Mike! Holmes a casa mia, in quel campo di batteri, polvere e caos totale!

“Possiamo?” disse, entrando in cucina.

“Certo, certo!” Dissi io, cercando di non guardarli.
Poi, il buonsenso, mi costrinse a rivolgere loro lo sguardo.

“Ciao Sherlock.” dissi.

“Ciao, Watson!” disse, allungandomi stavolta il pugno.

Sorrisi perché la sua innocenza nel farlo per essere accettato mi provocò un tuffo al cuore.
Ricambiai il suo pugno e poi li feci accomodare in veranda.

“Qui c’è più luce, possiamo studiare meglio.”

“Voglio il dolce! Non mi importa nulla della luce!” Disse Mike.-

 

Io sorrisi e risposi.

“Sei scortese, prima i nuovi amici e poi tu.”

“Oh Holmes, se credi di fregarmi la prima fetta di dolce cominciamo già male!”

Sherlock sorrise.

“Ma no Mike, certo che no.”

Sfornai il dolce e iniziai a tagliarlo, intanto con la coda dell’occhio riuscii a captare lo sguardo di Sherlock che si dirigeva in tutti gli angoli della mia casa.
Provai una profonda vergogna perché il disordine era una condizione che dovevo sopportare, non avevo il tempo per nulla.

“Sherlock - ripresi, e lui fece un balzo dalla sedia - perdona il disordine. In genere sono molto più ordinato di così.”

Lui mi rivolse un dolcissimo sguardo accennando un sorriso.

“John, non c’è nessun problema.” E ritornò a guardare Mike.

Presi il mio vassoio migliore, quello che amava tanto mia madre, in ceramica con fiori dorati.
Presi i piattini della stessa collezione ed anche le tazze per il tè.
Portai tutto in tavola e notai negli occhi di Mike la felicità.

“Watson, posso trasferirmi qui? Ti prego! Mia madre non me la prepara una merenda così!”

Io sorrisi e Sherlock riprese.

“Credo che i genitori di John potrebbero essere contrari a questa osservazione!” disse, inforcando il primo pezzo di dolce.

Un silenzio gelido cadde su di noi, Mike mi guardò con gli occhi supplicanti.

“Cosa?” Disse Sherlock.

“Ehm - riprese Mike - i genitori di John sono morti tre anni fa in un incidente stradale.”

Sherlock lanciò la forchetta nel piatto, innervosito.

“Cazzo! Cazzo! - disse, alzandosi. - Watson, sono così mortificato! Dio. Sospettavo qualcosa ma talvolta non ascolto il mio intuito. Cristo, dovrei farlo, decisamente. Mi perdonerai?”

Sorrisi poggiandogli una mano sulla spalla.

“Non preoccuparti, Sherlock. Non potevi saperlo.”

Tornò a sedersi continuando a chiedermi scusa, e poi io mi unii a loro cercando di riportare l’armonia che si era creata prima. 


“Harriett!” urlai, cercando di farmi sentire da mia sorella.

Spuntò dopo poco dalla porta.

“John! Che diamine ti prende? Mi fai spaventare!”

“Scusami, un po’ di dolce?”

Il viso di mia sorella si riaccese e io le diedi un piattino.

“Ciao Mike!”

“Ciao Harriet!” rispose.

“Oh. Sherlock lei è mia sorella.”

“Piacere, Sherlock Holmes.” E disse, restando indeciso nell’allungarle la mano o fare anche con lei il pugno.

Quando Harriett lo vide in imbarazzo si calò verso di lui e gli lasciò un bacio sulla guancia.

“Ciao Lock!”

Prese la sua fetta di torta, uscì dalla cucina ritornando in camera sua ed io e Mike restammo a fissare Sherlock, ridendo, perché quest’ultimo era rimasto pietrificato dall’ultimo gesto.

I suoi occhi, che con la luce della veranda erano divenuti più verdi che mai, tornarono su di noi.

“Non preoccuparti, LOCK - dissi, sottolineando con ironia - mia sorella non è legata alle etichette.”

Sherlock sorrise e mi guardò.

“Siete una continua sorpresa, mi pare di capire.”

Ci guardammo e scoppiammo in una risata finalmente liberatoria.


Mangiammo il dolce, bevemmo il tè, e ci concentrammo sulla lezione di matematica.
Sherlock ci spiegò dei passaggi fondamentali e le ore di quel pomeriggio trascorsero in un clima di amicizia che mi rinfrancò il cuore. 

   
 
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