Faceva
caldo a Tokyo, quel giovedì; Erina aveva passato tutta la
mattina a seguire
quel pazzo del suo fidanzato in giro per la città, senza
avere la più pallida
idea di dove la stesse portando.
Vedendolo
imboccare l’ennesima via secondaria, si fermò
ansimando. Iniziava anche ad
avere fame.
Lui
se ne accorse in tempo e si voltò verso di lei, tornando
indietro di qualche
passo.
«Perché
ti sei fermata?» chiese innocentemente.
«Perché»
rispose la Nakiri irritata «mi sono stufata di seguirti a
caso in giro. Non so
nemmeno perché siamo venuti a Tokyo! Questo quartiere, poi,
non l’avevo mai
sentito prima».
Il
ragazzo le sorrise. «Non puoi non conoscere Beika! Era il
momento di
rimediare».
L’irritazione
era ora chiaramente visibile sul volto di Erina; qualsiasi altra
persona sana
di mente avrebbe iniziato a preoccuparsi, ma lui no. Lui rimase a
fissarla
tranquillo con quel suo sorriso falsamente innocente.
«Isshiki
Satoshi» pronunciò minacciosa. «Non
muoverò un altro passo finché non mi avrai
spiegato che ci facciamo qui».
Il
rumore che seguì quasi immediatamente la frase, purtroppo
per lei, smontò del
tutto la sua credibilità.
Sarebbe
voluta svanire.
«Perdonami!»
esclamò Isshiki. «Non avevo idea che fossi così
affamata».
Tradita
dal mio stomaco.
«Non cercare di cambiare discorso…»
Ma
Satoshi già non l’ascoltava più.
«Siamo fortunati!» proruppe battendo le mani.
Erina seguì il suo sguardo, puntato sul marciapiede opposto.
«Non
vorrai…» cominciò.
«Perché
no? È un bar».
«Sì,
appunto. Pensi davvero che le pietanze di un comunissimo bar possano
soddisfarmi?»
«Potresti
rimanerne stupita» fu l’enigmatico commento del
cuoco. «Comunque dovrai
accontentarti; andiamo!» l’esortò
prendendola per mano e di fatto trascinandola
nel negozio in questione.
«Sul
serio, non ho così tanta fame… Potremmo trovare
un ristorante» tentò.
L’espressione
di Isshiki divenne confusa. «A giudicare dal borbottio di
prima, avrei detto
l’opposto» disse, facendola avvampare.
«Dai, proviamo; hanno anche un nome
simpatico, “Caffè Poirot”! Come il
detective!»
«Siete
appassionati di gialli?»
La
voce dietro di loro li fece girare entrambi di scatto.
A
parlare era stato un giovane biondo – probabilmente straniero
– con due buste
della spesa in mano. Aveva un sorriso affabile, che per qualche motivo
ricordò ad
Erina quello di Isshiki.
«Se
è così, siete fortunati; sopra il nostro
Caffè abita un detective persino più
abile di Poirot» continuò lo sconosciuto.
«In
realtà non ne sappiamo molto, di gialli» rispose
Satoshi allegramente. «Siamo
qui per mangiare».
«Capisco;
accomodatevi, sono subito da voi!» Il ragazzo li precedette
nel negozio per poi
infilarsi dietro al bancone. Lo videro scambiarsi un cenno con la
cameriera.
«Hai
visto il contenuto di quelle buste?» domandò Erina
gelida.
«Non
ho guardato. Qualcosa di interessante?»
Lei
lo guardò male. «Qualcosa di scoraggiante!
C’era del prosciutto di qualità
infima, di quelli super scontati. Non ho intenzione di ingerire niente
che sia
preparato con ingredienti di questo tipo» annunciò.
«Pensavo
avessi smesso di giudicare un piatto prima
di assaggiarlo» commentò Isshiki senza
battere ciglio. «O in questo caso,
prima ancora di vederlo».
Quell’affermazione
la punse nel vivo.
«Perché
sei così fissato con questo bar?»
Sul
volto del ragazzo apparve per l’ennesima volta il suo
– dannatamente bello
– sorriso enigmatico. «Non lo so di preciso, ma
il cameriere di prima mi incuriosisce».
Erina
lo studiò. Sembrava serio.
Satoshi
si piegò leggermente sulle gambe per trovarsi alla sua
stessa altezza e guardarla
negli occhi. «Se qualsiasi cosa sceglieremo di prendere non
sarà di tuo gusto mi farò perdonare»
le promise.
Non
aveva fatto niente di eccezionale, eppure Erina sentì il
cuore batterle a
mille.
Non
era ancora abituata ad averlo così vicino. Si frequentavano
da relativamente
poco – Isshiki l’aveva corteggiata tramite
invenzioni culinarie che sfidavano
il concetto stesso di bontà per mesi, prima che lei
– su spinta di Hisako –
accettasse un appuntamento.
Quando
le aveva chiesto ufficialmente di
essere
la sua ragazza, la detentrice del palato divino per poco non era
svenuta. Aveva
visto ragazzi così audaci solo negli shojo che le aveva
suggerito Alice, ma non
aveva pensato neanche per un secondo che cose del genere potessero
avvenire
nella vita reale, soprattutto non a lei.
Aveva
però accettato, un po’ per curiosità e
un po’ – soprattutto – perché
affascinata dai modi del ragazzo, di cui, nonostante a volte le facesse
perdere
le staffe, apprezzava molto la compagnia – e la cucina.
La
cucina di Isshiki era unica, e rispecchiava il suo carattere:
tradizionale in
apparenza, esplosiva all’interno. Erina ne era diventata
praticamente
dipendente.
Annuì
imbarazzata, senza rendersene nemmeno bene conto, ed entrò
nel locale.
L’interno
era uguale a quello di tanti altri bar: un bancone con panini e dolci
esposti,
dei tavoli e relative sedie.
L’attenzione
di Erina fu attirata da dei bambini che, seduti al bancone, stavano
rumorosamente mangiando una torta. «Buonissima! Sei
fantastico,
Amuro-no-niichan!»
Fu
presto raggiunta da Isshiki, che le indicò un tavolo.
«Va bene se scelgo io?»
chiese.
Annuì.
«È indifferente, continuo a dubitare che abbiano
qualcosa di decente».
«Che
scortese!» urlò una dei bambini. «I
piatti del Poirot sono tutti buonissimi!»
Non
pensava di farsi sentire, comunque quell’uscita non
imbarazzò più di tanto la
Nakiri.
«Scusatela,
la mia amica è abituata a pietanze un po’
diverse» disse Satoshi ai bambini,
che avevano cominciato a guardarla male. «È qui
proprio per assaggiare qualcosa
di nuovo».
I
piccoli sbuffarono e tornarono ai loro piatti.
«Antipatica» li sentì mormorare
Erina.
Guardò
scocciata il menù sul tavolo. Non
sono
qui per assaggiare, sono qui per stare dietro a te.
«Oneesan,
sei per caso Nakiri Erina-san?»
Stupita
e quasi spaventata da quella domanda inaspettata, Erina si
guardò intorno per
cercare chi avesse parlato. Lo trovò solo abbassando lo
sguardo: era stato uno
dei bambini, l’unico con gli occhiali, che staccatosi dagli
altri l’aveva
raggiunta.
«Mi
conosci?» mormorò stupita.
Per
tutta risposta il ragazzino sorrise soddisfatto. «Indossi
un’uniforme della
Tootsuki» spiegò. «Inoltre hai tratti
simili a quelli del Preside Senzaemon,
sono bravo con le fisionomie; il tuo atteggiamento sprezzante verso i
cibi
“comuni” dice che sei abituata a ben altro, e
dubito che un normale studente
della Tootsuki, per quanto proveniente da una famiglia prestigiosa, si
faccia
tutti questi problemi per mangiare in un bar. Ho però
sentito parlare del
Palato Divino, così ho pensato che potessi essere
tu».
Erina
rimase a fissarlo ad occhi sbarrati. Non pensava di essere
così famosa anche
tra i bambini.
Il
suono di un applauso la riscosse. Isshiki era tornato al tavolo e ci
aveva
posato un piatto, per poi complimentarsi con il piccolo detective. Lo
vide
piegarsi all’altezza del bambino. «Una deduzione
niente male» gli disse. «Come
ti chiami, piccolo?»
Il
bambino esitò un solo secondo. «Conan
Edogawa».
«Bene,
Conan» affermò Isshiki alzandosi «vuoi
unirti a noi?»
Erina
lo guardò scioccata. Quanto aveva intenzione di fermarsi in
quel posto?
«Grazie»
rispose Conan, «ma i miei amici mi stanno
chiamando». In effetti tre degli
altri quattro bambini gli stavano facendo dei cenni piuttosto espliciti.
«Sarà
per un’altra volta allora» concluse Satoshi,
studiando il bambino con
curiosità.
«Certo.
Buon appetito, Nakiri-san!» augurò il detective
prima di riunirsi al suo
gruppo.
«Che
bambino curioso» commentò Isshiki. Erina si
strinse nelle spalle.
«Strano,
semmai». Portò l’attenzione sul piatto
al centro della tavola.
«Dei
tramezzini?»
«Non
essere così stupita; non puoi pretendere che abbiano del
pollo in crosta».
La
ragazza alzò gli occhi esasperata. «Dovrai
impegnarti, per farti perdonare»
sentenziò prendendone, sia pur esitante, uno.
Isshiki
prese l’altro e le sorrise. «Oh, non preoccuparti.
Assaggiamo?»
Lo
sguardo di Erina smise di essere apatico non appena ebbe il tramezzino
in mano.
«È
caldo» constatò.
«Quando
il tramezzino è freddo, si avverte più la
freschezza che non il sapore»
intervenne il cameriere biondo. Quando si era avvicinato al tavolo?
Erina non
ci aveva fatto caso.
«È
un onore averla qui, Nakiri-san».
Erina
avrebbe voluto chiedergli come faceva a conoscerla, ma decise di
lasciar
perdere.
«Per
questo hai scaldato il pane nella pentola a vapore, così che
assorbisse l’umidità!
Interessante» commentò Isshiki. «In
questo modo, diviene anche più soffice».
Il
cameriere sorrise. «Sì, esatto. Per questo tipo di
preparazione è preferibile
un pane un po’ più duro, quindi va bene anche
quello economico. In questo modo
riesco a tenere basso il prezzo».
La
Nakiri ascoltò quello scambio con stupore. Non pensava che
dietro ai tramezzini
– o qualsiasi altra pietanza, se per questo – di un
bar si nascondesse tanta
riflessione.
A
dirla tutta, era convinta che si limitassero a prendere due pezzi di
pane e
farcirli con il primo ingrediente che avessero a disposizione.
Vide
Satoshi dare il primo morso e lo imitò.
Non
si aspettava un sapore così… deciso, ma le fu
subito chiaro il perché.
«Capisco»
l’anticipò il ragazzo. «Ti sei servito
dell’olio d’oliva per rinforzare il
gusto del prosciutto».
«In
questo modo hai rimediato alla sua bassa
qualità…» mormorò Erina,
quasi
indispettita dall’inaspettata abilità culinaria
del biondo. «Ma c’è di
più».
«Ti
riferisci alla croccantezza dell’insalata?»
domandò Satoshi, per contraddirsi
da solo subito dopo. «No, è
qualcos’altro…»
«Ho
aggiunto» iniziò il cameriere, ma Erina non lo
lasciò finire.
«Miso»
disse. «Hai sfruttato la combinazione di olio
d’oliva e miso aggiungendo un
pizzico di quest’ultimo alla maionese».
Il
biondo applaudì ammirato. «Sei la prima a
capirlo» rivelò. «Non che mi aspettassi
di meno, dal Palato Divino».
Erina
lo guardò negli occhi. «Chi sei?»
«Tooru
Amuro-kun, al tuo servizio» si presentò lui.
«No,
intendevo» continuò lei «chi sei? In
questo tramezzino c’è troppa cura per una
semplice pietanza da bar. Hai frequentato una scuola di
cucina?» Non riusciva a
capire.
Amuro
scosse la testa. «Sei gentile, ma non è niente del
genere. Semplicemente tengo
a ciò che faccio».
Lei
non parve convinta. Notò che Satoshi la stava fissando
– chissà da quanto.
Si
alzò. «Un lavoro decente»
mormorò dirigendosi all’uscita.
«Davvero»
aggiunse il suo accompagnatore. «Grazie per il
pasto».
Usciti
dal locale, rimasero in silenzio per un po’, camminando verso
la stazione.
«Perché
mi hai portata lì?» si decise finalmente a
chiedere la ragazza.
«Volevo
mostrartelo» rispose lui. «Non importa a che
livello, c’è sempre gente che
mette passione in ciò che fa. Ho trovato spesso spunti
interessanti in locali “popolari”.
Non per nulla Saiba-san lavora in una tavola calda. L’hai
dimenticato?»
«Non
l’ho dimenticato, ma…» esitò.
«Pensavo si stesse limitando. Che lì fosse
sprecato».
Satoshi
le sorrise. «Lì
è nato Yukihira. È
cresciuto piuttosto bene, no?»
Il
solo pensiero del ghigno irritante del compagno di classe
l’innervosì. «Si può
decisamente lavorare sull’atteggiamento»
replicò, ma capì cosa intendesse dire.
Pur
crescendo in una tavola calda, o forse proprio per questo, Yukihira era
arrivato alla Tootsuki con abilità già migliori
rispetto alla media.
«Volevi
dirmi che i miei pregiudizi sono sbagliati, insomma» concluse
atona.
Era
difficile dimenticare le idee che le avevano inculcato fin
dall’infanzia.
«Che
non esiste un piatto indegno d’essere assaggiato».
«Più
o meno» confermò Isshiki. «Ma non volevo
solo dirtelo. Volevo che lo vedessi
con i tuoi occhi, o meglio: lo sentissi con il tuo palato».
Aspettò
un po’ prima di rispondere. Le seccava, ma… aveva
avuto ragione lui, quella
volta.
«Ci
sei riuscito» ammise senza guardarlo. «Come mai hai
scelto proprio quel bar? C’eri
già stato?»
Lui
scosse la testa. «Mai. Aspettavo di vedere quello giusto; poi
aveva un bel
nome».
Non
sapeva se credergli o meno, ma decise di lasciargli il beneficio del
dubbio.
«Comunque»
riprese superandolo – erano arrivati in stazione –,
«quel posto era davvero
strano. Il cameriere aveva un’aria misteriosa, e quel
bambino… era
inquietante».
«Il
bambino? Sei troppo severa» rise Satoshi.
«Mi
ha dato i brividi» insisté Erina piccata,
ripensando al tono lucidamente
deduttivo di quel “Conan”. Stonava decisamente con
la sua immagine di un alunno
delle elementari.
«Io
ero piuttosto sveglia, alla sua età, ma lui
esagera».
Lui
rise ancora, stavolta senza ribattere. Le aprì la porta
dello scompartimento
con un inchino teatrale. «Erina-sama» disse
invitandola ad accomodarsi.
La
sua faccia divenne color peperone. Satoshi raramente la chiamava per
nome, ma
ad imbarazzarla fu sentirgli dire “sama”. In bocca
a lui stonava, per qualche
motivo.
«Non
chiamarmi così» riuscì a bisbigliare
entrando.
«Ai
tuoi ordini» acconsentì lui seguendola.
Evitando
il suo sguardo, Erina guardò fuori dal finestrino.
«Anche se il cibo non era
così male, mi aspetto che tu ti faccia perdonare»
dichiarò cercando di
suonare decisa.
«Ma
certo. Ho già qualche idea» rispose lui tranquillo.
«E
la prossima volta devi dirmi dove andiamo».
«Questo
non posso prometterlo».
Erina
sospirò. D’altra parte il mistero era parte del
fascino del ragazzo.
«A
volte è difficile capirti» sussurrò
mentre il treno partiva.
Ebbe
la curiosa sensazione di scorgere sulla banchina un familiare bambino
con gli
occhiali.
Avvertì
un brivido. Non poteva essere lui… oppure sì?
NdA
Salute a voi, o coraggiosi!
Penso ad un cross-over tra questi due anime, o perlomeno ad Amuro nel mondo di SnS, da quando ho visto l'episodio 813, ovvero: il Filler più bello che sia mai esistito.
Un vero capolavoro.
Vi spoilero la trama: un tipo sospetto si aggira intorno ad Amuro, seguendolo anche al supermercato - cosa vorrà mai?
Nient'altro se non scoprire il segreto dei suoi buonissimi tramezzini, perché l'uomo sospetto è in realtà un panettiere che li ha amati ma, con sua somma tristezza, non riesce a ricrearli.
E niente, fa già ridere così, se poi sapete chi è Amuro vederlo spiegare serissimo tutti i trucchi della sua cucina può essere un'esperienza esilarante.
Bene, l'ultimo capitolo di SnS [che non ho considerato per stendere questa OS, anzi, ho deliberatamente ignorato tutte le conseguenze della saga di Azami] è stato commentato "Shokugeki No Conan", ricordandomi che dovevo scrivere questa storia.
Ed eccola.
I libri mi reclamano -hounesamedomanisigh-, perciò chiudo qui.
Grazie mille per aver letto, spero di avervi strappato una risata o due ^_^
Alla prossima!
Mari