Serie TV > Once Upon a Time
Segui la storia  |       
Autore: Ness by Moon    04/06/2018    1 recensioni
Si era innamorata di lei da quel giorno al Rabbit Hole, quando si era soffermata ad ascoltarla andando oltre ciò che la città le chiedeva di essere. Si era innamorata di lei per il modo in cui la faceva sentire, viva più che mai e immersa in un bagno di lava che le faceva bruciare il cuore. Si era innamorata dei suoi occhi, così maledetti scuri e sporchi, che la stendevano al tappeto al primo sguardo.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Nuovo personaggio, Regina Mills
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Regina non chiudeva occhio ormai da diversi giorni, il pensiero di non poter sapere nulla di sua figlia la stava logorando. Era sempre stata convinta che fosse una pessima idea mandare la loro bambina chissà dove, ma aveva perso la battaglia contro la sua famiglia. Lei ed Emma sapevano che Alexis non si sarebbe mai rassegnata all’idea di smettere di cercare Laya, sapevano che non avrebbe trovato pace fino a quando non l’avrebbe saputa al sicuro. Le avevano provate tutte, incantesimi di localizzazione, di evocazione, pozioni traccianti, ma mai nulla era servito. E ogni volta che un tentativo falliva, vedeva un pezzetto del cuore di sua figlia sgretolarsi e lei di cuori se ne intendeva. L’aveva vista arrivare quasi alla follia, consumarsi gli occhi sui libri prestatele da Belle, gettare interi giorni segregata in biblioteca. Non era riuscita a tollerare altro. Era solo per quel motivo che aveva accettato di fare quell’ultimo, disperato, tentativo. Se anche quell’assurdo portale non avesse funzionato, non sapeva davvero più che altro tentare. Aveva messo tutta sé stessa in quell’incantesimo non sapendo nemmeno se avesse effettivamente funzionato. Ne aveva parlato con Emma una sera e ancora si malediceva per averlo fatto. Avevano finito con il discutere a voce troppo alta quando sua moglie aveva proposto di tentare, di dare quell’ultima occasione ad Alexis prima di condannarla ad un dolore che difficilmente avrebbe superato e al senso di colpo che l’avrebbe lacerata. Sapevano quanto Laya fosse importante per la figlia e sapevano che nulla avrebbe potuto fermarla se non il ritrovamento della ragazza. Ma erano solo ipotesi, supposizioni e nulla di più, mentre ne parlavano ignare che la ragazza stesse ascoltando. E da quando era venuta a sapere della possibilità di una simile magia, non avevo voluto più sentire ragioni. Lei avrebbe tentato.
Regina si guardò allo specchio sistemandosi il colletto della camicia, lavorare era forse l’unica cosa che le permetteva di distrarsi. Asciugò col palmo della mano una lacrima sfuggita al suo controllo e prese il cappotto scuro dall’armadio. Ormai non faceva più caso all’infinito numero di canotte e t-shirt che Emma teneva arrotolate sul suo ripiano dell’armadio, aveva smesso di lottare per ottenere il suo ordine. Si richiuse la porta alle spalle e si avviò verso le scale. Per un solo istante gettò uno sguardo rapido alla camera di Alexis. Dalla sua posizione riusciva ad intravedere solo il letto e parte della finestra. Avrebbe voluto quanto meno chiudere la porta ma non ne aveva la forza, non ancora.
-Regina, tutto okay? –
Il volto di sua moglie comparve nel suo campo visivo, i suoi profondi occhi verdi la guardavano dolci e preoccupati. Le tese una mano che la bruna strinse volentieri.
-Che abbiamo fatto, Emma? Come abbiamo potuto accettare una cosa simile? –
Emma sapeva perfettamente a cosa si riferisse, non c’era bisogno che le spiegasse l’origine delle sue parole. Per un’ulteriore conferma le bastò vedere dove il suo sguardo moriva.
-Andrà tutto bene, Lex è forte. Dopotutto è nostra figlia-
-Non sappiamo nemmeno dove sia finita, se sia in pericolo o se abbia bisogno di noi. Non lo sappiamo, Emma-
Regina si lasciò andare nell’abbraccio sicuro dell’altra, ma non c’era nulla che potesse consolarla se non la certezza che sua figlia stesse bene. Avevano faticato così tanto per averla, per diventare una famiglia completa al cento per cento. Quando aveva spezzato la maledizione con Emma non avrebbe mai creduto che avrebbe potuto amare qualcuno più di lei, lei che era il suo Vero Amore. Ma poi era arrivata Alexis e tutto era mutato, avrebbe dato qualunque cosa per Emma, ma per sua figlia avrebbe tirato giù la luna dal cielo.
-Devi avere fiducia in lei, in ciò che le abbiamo insegnato-
Regina annuì ma non perché fosse d’accordo o si fosse lasciata convincere dalle parole di sua moglie, semplicemente non le era rimasto altro da fare se non fingere di avere fede.
 
L’alba era arrivata troppo presto e la sua notte era stata scomoda, fredda ed insonne. Aveva trovato riparo nel capanno degli attrezzi di casa sua, o di quella che, nell’attuale Storybrooke, era del sindaco Mills e di suo figlio Henry. Ci aveva nascosto così tante cose lì dentro che aveva imparato a forzare la serratura all’età di otto anni con immenso orgoglio di Emma che riconobbe le sue doti di ex investigatrice nella figlia. Regina non era dello stesso avviso asserendo che la vita spericolata e poco incline alle regole che aveva precedentemente svolto sua moglie, non dovevano in alcun modo minare la buona educazione della loro bambina. Riuscì quasi a sorridere a quel ricordo, riuscì quasi a mettere a tacere il suo stomaco in subbuglio. Si stiracchiò sonoramente, diede una ripulita ai suoi abiti e si maledisse mentalmente per aver promesso ad entrambe le sue madri di usare la magia solo in caso di vita o di morte. Non le sarebbe di certo dispiaciuto un bagno caldo o un giaciglio meno duro del pavimento. Eppure c’era qualcosa che poteva essere meglio della magia in quel momento, un meraviglioso caffè amaro e una grossa, grossa, grossa fetta di torta al cioccolato da Granny’s. Era a digiuno dal giorno prima e la fame cominciava a farsi sentire prepotente.
Si accertò che non vi fosse nessuno in giro e sgattaiolò fuori con la promessa di trovare un riparo migliore per quella notte. Solo una volta fuori la proprietà adoperò un’andatura normale e non da piccola ladra venuta da un qualche tipo di futuro.
Arrivò da Granny’s con molta calma, nonostante le brontolasse la pancia. Aveva voluto fare un giro approfondito della città alla ricerca di non sapeva esattamente cosa. Era tutto perfettamente identico a casa sua. Perfino gli stessi odori, era tutto al suo posto. Tranne Laya. Strinse tra le dita l’arpa, che non ne aveva più voluto sapere di brillare. Ma era lì da appena un giorno, non poteva pretendere di risolvere tutto in ventiquattro ore. Per il momento, il massimo che poteva risolvere, era la sua incontrollabile voglia di cibo fortemente insano. Si accomodò al suo posto e ordinò il suo caffè e la sua fetta di torta. Mentre mangiava restò molto attenta a chiunque passasse per quella porta, talmente tanto attenta che identificò il maggiolino di Emma da diversi metri di distanza. La vide parcheggiare poco lontano dalla tavola calda, dimenticarsi di chiudere la macchina come suo solito ed entrare per prendere sicuramente cioccolata calda e toast. Aveva vissuto con quelle sue abitudini per diciannove anni, poteva ancora sentire sua madre che le proponeva di prepararla lei la colazione. Ma non c’era mai stato nulla da fare, Emma voleva fare colazione al Granny’s. Fu quasi sorpresa di trovarla lì a quell’ora, il suo orologio segnava solo le sette del mattino.
-Il solito, Emma? – le domandò Ruby.
-Si, grazie-
Attese la sua ordinazione al banco guardandosi intorno e giocherellando con la lampo della zip del suo giubbotto. Quando Ruby le portò la tazza fumante ed il piatto con il toast, ringraziò con un gran sorriso e addentò la sua colazione. Il preciso istante dopo iniziò a fare versi strani e a farsi aria sulla bocca con la mano. Come al solito, lo stomaco era arrivato prima del cervello impedendo a quest’ultimo di avvisarla che era bollente. Alexis la guardò sorridendo e scuotendo il capo. Sua madre le aveva parlato spesso di quanto goffa fosse Emma quando l’aveva conosciuta, non che con gli anni fosse poi tanto migliorata.  
La sua fetta di torta era sparita troppo in fretta e il suo stomaco non era per nulla pieno, quindi si alzò dal suo posto e si avvicinò al bancone per chiederne un’altra prendendo poi posto accanto a Emma.
-Bella giacca- le disse la donna.
Alexis sorrise e si lisciò il fianco destro del capo.
-Un regalo di mia madre-
-Complimenti, tua madre ha un ottimo gusto in fatto di giubbotti di pelle-
“Oh, lo so” pensò la ragazza. Ricordava fin troppo bene lo scintillio negli occhi verdi della madre quando le aveva chiesto una giacca simile alla sua. E ricordava anche come Regina avesse alzato lo sguardo al cielo mentre le sue due bambine sceglievano quella migliore. Un lampo di malinconia colpì Alexis che si sbrigò a cacciarlo via, non capitava a tutti di poter parlare con la propria madre del passato.
-Alexis Agnès- si presentò tendendo la mano.
Lo stomaco protestò ancora per l’utilizzo di quel cognome.
-Emma Swan-
La ragazza le sorrise. Rimasero qualche secondo in silenzio, ognuna persa nel suo pasto. Alexis la guardava di sottecchi, incapace di staccarsi dallo sguardo così giovane di sua madre. La osservò mangiare il suo toast, senza bruciarsi questa volta, e richiedere un’aggiunta di cannella alla sua cioccolata. E lei non poté far a meno di sorridere ancora pensando al suo caffè totalmente amaro, proprio come lo beveva l’altra madre.
-Come mai a Storybrooke? Non è esattamente una meta turistica-
Alexis doveva cogliere l’opportunità che le si stava parando proprio sotto il suo naso, se avesse avvicinato Emma avrebbe avuto di sicuro un supporto. Dopotutto, era un mondo alternativo ma le persone sembravano le stesse. Emma l’avrebbe aiutata.
-Mi sono lasciata fregare da un ragazzino di undici anni-
“Tipico di te, mamma”
-Il figlio del sindaco? –
Emma la guardò aggrottando le sopracciglia e Alexis si ricordò quanto attenta in realtà sua madre fosse. Non poteva parlarle come se la conoscesse da diciannove anni, lì non era la Emma della sua realtà.
-Non si parla di altro in città-
Emma gettò il capo all’indietro sospirando e sentendosi una perfetta idiota ad essere stata così poco discreta. Ci mancava solo che il sindaco le stesse alle caviglie più di quanto già non lo facesse.
-Fantastico- sussurrò più a se stessa- Adesso devo proprio andare, è stato un piacere-
Prese un ultimo sorso dalla sua tazza e sparì a passo veloce nel suo maggiolino partendo. Alexis la seguì con lo sguardo finché poté, poi l’auto sparì dalla sua visuale. Terminò la sua colazione con calma e in silenzio, persa nei suoi pensieri.
Parlare con la Emma di venticinque anni prima era stato strano e al tempo stesso divertente. Aveva sempre creduto che la sua famiglia esagerasse nel raccontare di quanto sbadata e buffa era sempre stata la donna, ma ora che lo aveva toccato con mano non poteva far altro che concordare con tutti loro. Nessuno avrebbe mai scommesso una sola moneta sul fatto che lei sarebbe diventata la Salvatrice.
Pagò la sua consumazione e si preparò per uscire dalla tavola calda, si stava sistemando i capelli fuori dalla giacca quando il campanello della porta trillò. Mary Margaret fece la sua comparsa soffiandosi nelle mani scaldandole e poi prendere posto. Si salutarono con educazione, poi la ragazza lasciò il Dinner. Guardandola dalle vetrate sorrise. Non sapeva ancora se David fosse sveglio, ma sapeva che lo avrebbe atteso tutte le mattine per vederlo anche solo da lontano. Le avevano raccontato quella storia così tante volte che la conosceva a memoria ormai. Quella situazione un po’ le piaceva, poter vedere con i propri occhi ciò che le avevano raccontato da bambina aveva un che di magico e rendeva quella missione un po’ più piacevole di quanto in realtà non fosse.
Passeggiò per la cittadina analizzando i volti di tutti quelli che incontrava nella speranza di inciampare nel paio di occhi scuri giusto. Aveva assistito all’apertura di tutti i negozi, botteghe e chioschi, ma nessuno le aveva dato ciò che cercava. Forse Laya era prigioniera o forse non era lì. Quel pensiero le strinse lo stomaco costringendola a fermarsi un secondo e cercare calore nell’arpa, ma questa rimaneva fredda e spenta. Non poteva sopportare un altro buco nell’acqua, non avrebbe retto un altro fallimento ancora. Deglutì a fatica e a occhi chiusi, cercava disperatamente aria non trovandola da nessuna parte. Fu costretta a poggiarsi al muro di un palazzo.
“Calma Lex, calma.”
Riaprì gli occhi e si costrinse a riprendere a camminare, doveva trovarla. Doveva trovarla assolutamente ed esser certa che non aveva fallito, che non si era buttata in un portale senza destinazione per niente. Aveva bisogno anche di una minuscola speranza che le facesse capire di non star perdendo ancora altro tempo. Perché proprio di quello ne aveva ben poco. Sentiva distintamente il suo cuore scricchiolare ogni giorno di più, ogni giorno che si allontanava dal trovare Laya. Non lo avrebbe permesso, non sarebbe tornata a casa senza di lei. Non avrebbe vissuto senza di lei. Storybrooke era una piccola cittadina se era lì l’avrebbe trovata, anche a costo di bussare alla porta di ogni singolo cittadino.
Continuò a girovagare per l’intera mattinata senza riuscire a trovare uno straccio di nulla. La frustrazione iniziava a logorarla sempre più, la paura di fallire la dilaniava. Avrebbe tanto voluto chiedere aiuto alle sue mamme, avrebbe tanto voluto potersi mettere in contatto con loro in qualche modo. Anche solo per far sapere che stava bene e che non era finita i chissà quale assurdo mondo. Solo in un universo parallelo in cui vigeva ancora la maledizione e loro avevano un nanerottolo di nome Henry. Era sicura che Emma avrebbe riso fino a farsi venire i crampi sotto lo sguardo annoiato di Regina. Sorrise nascondendo il viso nel colletto della sua giacca per un attimo e poi alzò lo sguardo verso l’orologio fermo. Non seppe spiegare precisamente perché ma all’altezza dello stomaco nacque un piacevole tepore, qualcosa che non provava più da diverso tempo. Si rese conto con diversi secondi di ritardo che quel calore non era ciò che credeva. Era l’arpa.
L’arpa brillava ed emanava calore.
La prese tra le mani ammirandola e nascondendola, non voleva che qualcuno potesse vederlo. Se la magia stava agendo attraverso il suo ciondolo come quando era nel tunnel, poteva significare solo una cosa. Laya era vicina.
Si guardò forsennatamente intorno alla ricerca dei suoi capelli neri come la notte e dei suoi occhi scuri e profondi. Scrutò ogni volto senza riuscire a fare un solo passo, temeva che le gambe avrebbero ceduto se solo ci avesse provato. Deglutì a fatica, anche respirare le risultava impossibile. Guardò nei lineamenti di ogni persona le passasse accanto, avanti o solo di sfuggita in un’auto. Cercava in ogni tratto quello di lei, in ogni andatura la sua, in ogni risata la sua.
Ma lei non c’era, lei non compariva da nessuna parte se non nella sua mente e nei suoi ricordi. E lì era più nitida che mai, lì viveva senza mai esser andata via.
E poi l’arpa smise di vivere, smise di fare alcun che.
-No! –
La prese tra le mani implorandola silenziosamente di indicarle la strada, di portarla da Laya.
-Ti prego, ti prego fallo ancora. Ti prego! –
Sentì le lacrime salirle fino agli angoli degli occhi senza che potesse farci niente e forse nemmeno voleva. Sentì lo stomaco minacciare di buttar fuori quella colazione abbondante senza che potesse farci niente e forse nemmeno voleva. Non era abbastanza quello che stava passando da mesi a quella parte, anche la magia, che le era sempre stata accanto in un modo o nell’altro, la stava tradendo ed illudendo. Trattenere ancora fu impossibile, l’unica cosa che riuscì fare fu poggiarsi ad un muro e buttar fuori tutto ciò che si agitava dentro di lei, buttar fuori fino a quando il suo stomaco lo avesse desiderato. Fino a quando gli occhi si sarebbero seccati e avrebbero smesso di produrre lacrime.
-Alexis, stai bene? –
La voce di Mary Margaret la riportò brutalmente alla realtà, avrebbe preferito di gran lunga restare ancora un po’ lì nel suo dolore. Si tirò su cercando di rimettersi in ordine meglio che poteva, cercando per quanto possibile di sembrare meno un disastro rispetto a quanto era.
-Si-
-Non mi sembra che… -
-Ho solo… non ho digerito la colazione, tutto qui. Ti ringrazio per l’interessamento Mary Margaret-
Cercò di allontanarsi dalla donna o di far in modo che fosse lei stessa ad andar via, ma se la conosceva almeno un poco questo non sarebbe stato possibile. Sua nonna era una donna fin troppo pura per lasciare qualcuno in difficoltà, figurarsi una ragazza in quello stato.
-Siedi qualche minuto, ti sentirai meglio-
Ma Alexis si sarebbe sentita meglio solo ad una determinata condizione. Si asciugò gli occhi con la manica della giacca e accettò il fazzoletto che l’altra le stava gentilmente porgendo per pulirsi la bocca. Prese un respiro profondo permettendo ai polmoni di riempirsi di aria pulita, tentò di calmare i battiti del suo cuore. Ciò che, però, non le riuscì fu lasciare che le dita si rilassassero liberando l’arpa dalla loro presa, quello sembrava ancora impossibile. Sentirla tanto fredda le faceva male, era come se nel momento in cui aveva smesso di brillare avesse portato via con se tutta la sua speranza.
-Scusami, io devo andare-
Prese a correre in verso il confine della città, verso un qualcosa che la facesse sentire vicina a Laya per un attimo. Aveva davvero creduto che finalmente l’avrebbe rivista. Chiuse ancora una volta gli occhi e ripensò solo al suo viso.
 
-Lex, dai vieni fuori-
Come al solito era corsa nel bosco lasciandola indietro, ma conscia del suo pessimo orientamento nonostante vagassero per quei boschi da diverso tempo, la cercò. Non c’era da impegnarsi per capire da chi avesse ereditato quel difetto. Quel posto, ai confini di Storybrooke, era diventato il loro punto di ritrovo, dove erano libere di fare ciò che desideravano. Laya avanzò con calma stando ben attenta a non inciampare in qualche radice o finire in una qualche buca scavata da qualche animale o da Ruby, erano entrambe ipotesi più che plausibili.
-Andiamo Lex, sono troppo grande per giocare a nascondino-
“E anche tu” pensò.
Per quanto si lagnasse e la chiamasse a gran voce, l’altra ragazza non voleva saperne di venir fuori. Era certa la stesse guardando da dietro qualche massiccio albero e stesse ridendo di lei e della sua incapacità di ritrovare la bambina che aveva dentro. Si divertiva un mondo a prenderla in giro a quel modo e Laya glielo lasciava fare, non si divertiva particolarmente, ma glielo lasciava fare. Sapeva quanto le piacesse allontanarsi dalla città in favore di luoghi meno in vista.
La chiamò un’ultima volta e non ricevendo alcuna risposta decise autonomamente di mettere un punto a quel gioco infantile. Poggiò la schiena contro un tronco e attesa che l’altra si facesse viva.
Alexis non ci mise molto, con un rapido movimento del polso lasciò che una nuvola di fumo azzurrina l’avvolgesse per poi trasportarla alle spalle dell’altra ragazza. Questa sobbalzò non appena se ne accorse.
-Stai barando, Agnès –
Laya scoppiò a ridere di fronte a quell’adorabile broncio e alzò le mani in segno di resa, ma non poté evitare di continuare a sghignazzare.
-Se fossi venuta la prima volta che ti ho chiamata non lo avrei fatto-
-Non sono un cane, non vengo se mi chiami – borbottò la bionda.
-Sicura? –
Alexis si avvicinò con malizia al suo viso tirando fuori lo sguardo più sfacciato e sicuro di sé che avesse in repertorio. Uno di quelli che sua madre Regina usava per far capitolare Emma quando era certa di ciò che stava asserendo.
-Adesso sei tu a barare, principessina- rispose Laya incrociando le braccia al petto e alzando un sopracciglio.
L’altra scoppiò a ridere, sapeva essere così infantile certe volte da far quasi concorrenza ad un bambino. Laya odiava perdere, in qualsiasi campo.
-Ricordami quanti anni hai? E non chiamarmi a quel modo–
-La mia età è irrilevante. Hai voluto fare questo gioco, nonostante fossi contraria, e hai deciso le regole che tu hai infranto. Sai che odio la magia. -
-La tua età, Agnès, è di rilevante importanza se consideri che hai sette anni più di me e sembra che tu ne abbia dieci in meno- rispose Alexis sorridendole.
La sua espressione saccente e il sopracciglio sinistro alzato ricordò a Laya quanto quella ragazza somigliasse a sua madre in quel momento, e non c’era nemmeno bisogno di specificare a quale delle due.
-Sei insopportabile, lo sai? -
Alexis le sorrise dolcemente, glielo diceva in continuazione e ormai non se la prendeva più. Avvolse una ciocca dei suoi capelli scuri intono all’indice tastandone la morbidezza. Si perse in quegli occhi color notte e non le importava di non ricordare come si facesse a tornare in superficie, avrebbe potuto perdersi in quel buio ed essere felice. La loro intensità non era seconda a niente. Amava viaggiare al loro interno alla ricerca di nuovi confini, amava arrivare lì dove trovava sé stessa e tutto ciò che le mancava al di fuori di quel pozzo infinito.
-Lex, torna qui-
 Le parole di Laya furono la sua ancora, il suo salvagente. La riportarono in superficie, nel suo corpo. Aveva dimentico anche dove si trovasse, e cosa stesse facendo prima di perdersi. Quella frase, quelle parole, erano diventate il risveglio dalla sua ipnosi, dal suo incantesimo senza ausilio di magia. Erano l’unica cosa che non le avrebbe permesso di annullarsi completamento all’interno di Laya.
 
Quando le fu concesso di riprendersi, di tornare padrona del suo corpo, si rese conto che ciò che aveva visto nella sua testa era stato un ricordo. Era tutto vero, ricordava perfettamente ogni dettaglio di quel pomeriggio in compagnia di Laya ma lo aveva rivisto in forma onirica. Aveva pianto così tanto che aveva finito con l’addormentarsi sotto le foglie verdi di un albero enorme. Si sorprese di aver riposato meglio in quel frangente che nel capanno degli attrezzi di casa sua, ma forse era solo troppo sfinita per poter pensare di restare lucida. Diede una veloce occhiata al suo orologio e sgranò gli occhi quando si rese conto di aver passato l’intera mattinata a dormire piuttosto che fare ciò per cui era giunta fin lì. Poggiò la testa contro la corteccia sospirando, si sentiva così frustrata e stanca ed era solo un giorno che era arrivata. Fissò l’arpa cominciando a credere di averlo sognato ma quando ricordò il calore che ne era scaturito accantonò quel pensiero. Laya era in quella Storybrooke, da qualche parte. Si domandò se potesse avvertire anche lei la magia della collana nel momento in cui si attivava, magari si stavano cercando senza riuscire a trovarsi. Scosse violentemente il capo e si tirò in piedi, non avrebbe concluso nulla restando lì a piangersi addosso come una ragazzina. Doveva lavorare duro e tornarsene a casa sua quanto prima. Si incamminò nuovamente verso il centro, pensando a come sarebbe stato meglio agire. Aveva compreso che girare a vuoto per le strade era inutile, la ragazza non sarebbe piovuta dal cielo all’improvviso, aveva bisogno di una tabella di marcia. Pensò di andare alla stazione di polizia e farsi dare una mano dallo sceriffo, ma accantonò quell’idea nel preciso istante in cui era nata. Al tempo in cui la maledizione faceva da sovrana non vi era nulla che sfuggisse al controllo del sindaco e dei suoi tirapiedi, e farsi scoprire non era per nulla una buona idea. Se ciò che sua madre le aveva sempre raccontato era vero, Regina l’avrebbe sotterrata viva se avesse avuto il minimo sospetto su di lei.
Niente stazione di polizia.
Avrebbe potuto far affidamento sul fiuto lupesco di Ruby, era sempre stato un lupo, solo che in quel momento non lo ricordava.
“Sei un genio Lex, se non sa di essere un lupo come vuoi che ti aiuti!”
Niente Cappuccetto Rosso.
Avrebbe sempre potuto andare in giro con una foto di Laya a chiedere se qualcuno l’avesse vista, ma questo la riportava immediatamente alla prima idea scartata.
Poteva farsi aiutare da Emma, lei non era ancora nessuno in quella città se non la strana donna alla guida di un maggiolino giallo. Quella sarebbe potuta essere una buona idea, sua madre era brava a trovare le persone era stato per un po’ il suo lavoro. Magari raccontando la giusta storia ed omettendo i punti magici poteva funzionare.
Arrivò in città con una nuova speranza ed una persona più semplice da trovare, Emma era sicuramente al Granny’s per pranzo. Si ritrovò a pensare che sia in quella realtà che nella sua, lei e la sua famiglia passavano più tempo alla tavola calda che a casa propria.
Non si sorprese affatto di trovare il maggiolino parcheggiato lì vicino, era assurdo come quel catorcio fosse vissuto tanto a lungo. Avrebbe dovuto avere all’incirca trenta o quarant’anni. Notò con un certo divertimento che l’auto era più disastrata in quel mondo che a casa sua, di certo Regina ci aveva messo il suo zampino. Aveva ben stampati in testa i loro battibecchi circa la “trappola mortale” con la quale sua madre si ostinava ad andare in giro.
Una volta nel locale il suo entusiasmo scemò quando vide la donna pranzare con Henry. Roteò gli occhi e si chiese se quel ragazzino facesse altro nella sua vita oltre a girare intorno a sua madre. La sua mente la corresse cambiando il pronome in “loro”, almeno in quella realtà Emma era la loro madre.
Odiava fortemente quella cosa.
Si avvicinò ugualmente a loro, non aveva alcuna intenzione di aspettare oltre anche se la sua educazione le impose di controllare prima se quanto meno avesse terminato il suo pranzo. Fu incredibilmente felice di notare il suo piatto vuoto.
-Ciao, posso chiederti una cosa? –
Emma la fissò confusa ed Alexis si rese conto che era apparsa forse un po’ troppo strana di fronte alla donna. Non le sfuggì nemmeno lo sguardo interdetto di Henry e il modo in cui corrugò le sopracciglia le fu fastidiosamente familiare.
-Ehm… certo-
Le prestò tutta la sua attenzione, ma non si alzò dal tavolo e la ragazza non poteva chiederle di lasciare il figlio da solo.
-Mi hanno detto che sei brava a rintracciare le persone, volevo chiederti aiuto per trovare qualcuno-
Restò in attesa stranamente in ansia. Sperò vivamente non le chiedesse chi glielo avesse detto, non avrebbe proprio saputo come rispondere a quella domanda.
-Si, affettivamente sono brava. Ti hanno detto anche quanto è il mio compenso? –
Alexis si trattenne dallo scoppiare a ridere, la solita squattrinata.
-Pago il pranzo a te e al nanerottolo-
-Non sono un nanerottolo! Mi chiamo Henry Mills! –
La ragazza lo guardò annoiata, Emma gli riservò un sorriso divertito. In un certo senso rivide se stessa nel broncio del bambino e nel suo infervorarsi per nomignoli e simili. Le vennero i brividi quando si ricordò che per un lungo periodo della sua infanzia, troppo lungo, la donna che aveva di fronte l'aveva chiamata “spruzzetto di sole”. 
-Andata- asserì Emma battendo una mano sul tavolo per invitarla a sedersi. 
-No Emma, e l'operazione cobra? - 
“Operazione cobra? Sul serio?” Pensò la giovane mentre si sedeva accanto al bambino che non fu proprio felice di farle posto.
-Non ti preoccupare la riprenderemo presto. Nel frattempo perché non vai a prendere un pezzo di torta? -
La verità era che a Emma mancava il suo lavoro, le mancava l'adrenalina che sentiva montarle dentro ad ogni nuovo indizio per poter chiudere un caso. Ed era proprio su questo che Alexis aveva puntato. Henry si allontanò contrariato, guardando minaccioso, per quanto un undicenne potesse esserlo.
-Allora, chi stai cercando la nuova fidanzata del tuo ex ragazzo? -
La ragazza arricciò il naso disgustata da quelle parole e non fece nulla per cercare di nasconderlo. 
-Non esattamente, Signorina Swan-
Frugò all’interno del suo zaino alla ricerca di una foto di Laya. Le tremarono appena le mani quando la prese, fece l'impossibile per cercare di non guardarla. Dare di stomaco in quel momento non era opportuno. La consegnò a Emma che la esaminò con attenzione. Chiese a Ruby carta e penna per poter segnare le informazioni che le interessavano, riconsegnò la foto, e iniziò con le domande.
-Che sappiamo di lei? -
“Tutto”
-Nome ed età- rispose. 
La donna attese ma quando vide che non vi era nessun riscontro dall’altra parte, incitò con un gesto della mano l’altra a continuare. 
-Laya, ventisette anni-
Si maledisse per essersi presentata con il suo cognome, era un'informazione in meno per Emma. Pronunciare il suo nome a voce alta, però, le fece più male di quanto si aspettasse, quei mesi lo aveva appena sussurrato tra i denti e niente di più. Lo aveva urlato quasi ogni notte a detta delle sue mamme ma di quello non ne aveva memoria. Finiva sempre con lo svegliarsi in un bagno di sudore e dimenticare che cosa avesse appena sognato, ma non la protagonista. Nella sua mente invece, lo aveva consumato.
-Data di nascita?-
Se avesse potuto sarebbe scoppiata a ridere. Quale avrebbe dovuto dirle?
-Non lo so- fu la sua risposta.
Se avesse potuto, si sarebbe congratulata con sé stessa. La sua bocca era già pronta a rispondere al posto suo rivelando la data di nascita di Laya, ma la sua mente era rimasta vigile. Sarebbe stato difficile da spiegare come fosse possibile trovare qualcuno che doveva ancora nascere in quella realtà. 
-Hai detto che ha ventisette anni quindi deve essere del...- 
Il suo viso si trasmutò in una smorfia mentre faceva quel conto a mente.
-1984- intervenne Henry.
-Lo sapevo- borbottò Emma poi tornò a dedicare la sua attenzione alla ragazza -Dove l'hai vista l'ultima volta?-
“A casa mia mentre veniva risucchiata da un portale diretto in questo assurdo posto”
Il ricordo di quel giorno fu più veloce di lei, si srotolò nella sua mente aggressivo e prepotente. Lo stomaco le si capovolse quasi alla stessa velocità portandosi dietro lo scricchiolio del suo cuore. Si aggrappò all'arpa tentando di restare calma ma poteva distintamente sentire del sudore scenderle lungo la schiena. 
-È qui, a Storybrooke-
Henry si fece immediatamente attento facendo saettare lo sguardo da sua madre all'altra. Alexis non se ne accorse, occupata com’era a non vomitare, ma il bambino prese a stringere convulsamente il suo libro. 
-E hai bisogno di aiuto per trovarla? -
La domanda della donna era più che sensata considerando quanto piccola fosse la cittadina, ma non poteva immaginare cosa si celava dietro quella disperata richiesta. 
-Si, so che può sembrare assurdo ma...-
-Henry!-
Tutti e tre i presenti al tavolo furono presi di sorpresa da quel tono duro che aveva chiamato il bambino, chi per una ragione chi per un’altra. Alexis alzò gli occhi dal tavolo per incontrare quelli scuri e furenti di sua madre. Era incredibilmente più giovane ma sempre bellissima. Il fisico asciutto era avvolto in un completo grigio chiaro, ai piedi costose scarpe nere lucide.
-Dovresti essere a casa a studiare da più di un'ora! -
Henry si strinse appena nelle spalle per poi asserire che aveva pranzato con Emma e si era distratto.  
-Sindaco Mills è colpa mia, lui...-
-Oh non ne dubitavo, Signorina Swan-
Quella frase suonò incredibilmente familiare alle orecchie di Alexis, poteva stilare una lista lunga pagine e pagine di tutte le volte che aveva sentito quelle parole vagare per casa sua. 
-Lei chi è? Non voglio estranei intorno a mio figlio- chiese poi diretta alla ragazza. 
“Definisci estraneo, mamma”.
-Una cittadina di Storybrooke- le rispose a disagio.
Gli occhi della donna si assottigliarono, le sue labbra si tesero. Un’espressione che Alexis conosceva molto bene, era la stessa che le riservava quando mangiava sul divano o stendeva i piedi sul tavolino assieme ad Emma. Scortò suo figlio fuori tenendogli un braccio intorno alle spalle e non si dispensò dal lanciare un'occhiataccia ad Emma. 
-Che caratterino- 
-Il Sindaco non è un problema tuo, vediamo di trovare questa ragazza. Così poi mi dirai la verità-
Alexis la guardò confusa solo per un attimo, poi capì.
Super potere.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once Upon a Time / Vai alla pagina dell'autore: Ness by Moon