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Autore: phoebeinside    04/06/2018    0 recensioni
“Sono serio.” Avvicinandosi lentamente, Jimin abbassò il tono di voce, scoprendo però un lato di sè piú vulnerabile e sincero. “Voglio solo─”
Taehyung percepí delle dita accarezzare il dorso della sua mano, delicatamente. Non riuscí ad allontanarla di scatto, si sentí come inerte, in trappola nel suo stesso corpo che non voleva rispondere ai comandi.
Notò come lo sguardo di Jimin si fosse abbassato per osservare le loro mani, o meglio l’azione dolce delle sue dita. Tuttavia i suoi occhi rimasero fissi sul volto dell’agente. Nemmeno la sua vista voleva agire come severamente comandato dal cervello.
I capelli morbidi neri, le ciglia curve, la pelle liscia, le labbra piene.
“Riparare le cose.”
Jimin risvegliò Taehyung dall’incantesimo sotto il quale lui stesso, inconsciamente, lo aveva accompagnato.
Spezzandosi, l’agente ricordò. Namjoon, le priorità, il luogo, la persona davanti a sè, ciò che gli aveva fatto. Ricordò e ricordò e ricordò.
Tre anni sono un lungo periodo durante il quale covare rancore.
“Non esiste più nulla da riparare, agente Park.”
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Slash | Personaggi: Altri, Jeon Jeongguk/ Jungkook, Kim Taehyung/ V, Nuovo personaggio, Park Jimin
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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爱不释手

“To love and not let go of.”

(To love something too much to part with it.)

 

(Inizio Flashback)



 

[Sette anni prima. – Primavera 2009]

 

“Esatto. Park Jimin.”

 

“E chi sarebbe?” Okay, il ragazzo conosceva poche aspiranti spie del suo anno, ma il nome poteva almeno suonargli famigliare. Invece nulla.

 

“Il tuo nuovo partner per l’addestramento.”

 

Arrabbiato con l’uomo sulla cinquantina davanti a sè, non credette alle sue orecchie. “E da quando abbiamo bisogno di un partner per addestrarci?”

 

“Se continui a rivolgerti a me con quel tono, puoi scordarti di diventare un agente, Taehyung,”

 

Giovane e inesperto, Taehyung continuava a dare libero sfogo al suo istinto nonostante la differenza di età tra i due. Sei mesi prima lo stesso uomo aveva assistito al funerale dei suoi genitori e lo aveva approcciato per parlare; accolto nell’agenzia come un figlio, Taehyung dimenticava spesso che una volta entrato come aspirante agente segreto, sarebbe diventato come tutti gli altri. Tono confidenziale compreso.

 

“Scusi.”

 

Il quindicenne si pentí del proprio comportamento, abbassando il volto.

 

“Tu e Jimin avete molto potenziale. Credo che insieme potreste aiutarvi a vicenda.” L’uomo si piegò leggermente per poggiare una mano sulla sua spalla. “Sai bene, Tae, che la mia non è una domanda.”

 

“Sono il tuo capo. Non tuo padre, ricordalo.” Taehyung guardò la schiena del cinquantenne allontanarsi verso l’uscita della palestra, lasciandolo solo e infastidito. In realtà l’uomo aveva agito piú volte come un padre, e la sua stessa espressione lo tradiva in momenti di conforto. Il ragazzo sospirò e pensò a cosa lo avrebbe aspettato: un compagno di addestramento che a quanto pare doveva essere talentuoso quanto lui. Non ci credeva minimamente.

 

_____

 

Non solo Park Jimin si dimostrò piú abile di quanto Taehyung odiasse ammettere, ma pure il suo aspetto e il suo carattere sembravano essere oggetto d’amore da parte di tutti. Ferito nell’orgoglio e cocciuto nella sua decisione di interrompere la collaborazione con il collega il piú presto possibile, Taehyung trattò con scordialità Jimin dal primo loro incontro.

 

Al poligono di tiro, infatti, i due si videro per la prima volta. Taehyung osservò nei minimi particolari la bellezza del ragazzo, che partiva dal sorriso perfetto e arrivava al corpo scolpito, nonostante la loro età. Un velo di invidia calò sugli occhi di Taehyung, che alla mano tesa du Jimin in segno di benvenuto, negò la propria. Il compagno di addestramento sorvolò sull’accaduto, dando il meglio di sè durante le prime settimane sia nel suo lavoro che nell’approfondire la conoscenza. Fu cosí gentile e generoso che Taehyung poteva solo infastidirsi il doppio.

 

La svolta che cambiò il loro legame e lo trasformò forse già in un’amicizia, accadde una sera, dopo il tipico quotidiano allenamento senza pause. Ritrovandosi in molti nello stesso spogliatoio, Taehyung finiva sempre per cambiarsi in un angolo, rifiutandosi di fare amicizia con qualsiasi coetaneo. La situazione veniva ignorata da tutti fin dal primo giorno in cui il ragazzo aveva messo piede nell’agenzia, catalogandolo come un genio asociale, che nonostante tutto dava il meglio di sè. Ma con l’arrivo di Jimin, le dinamiche tra aspiranti spie cambiarono.

 

Si sparse la voce della bravura del nuovo arrivato, completata dalla bellissima persona che tutti dicevano fosse, e presto la figura di un genio amabile e sociale fu di gran lunga preferita e accettata al posto di quella di Taehyung, il cui comportamento venne frainteso come arronganza e superiorità.

 

Una sera, all’assenza di Jimin nello spogliatoio, gli altri coetanei fecero pesare la differenza di comportamenti tra il nuovo arrivato e Taehyung. Consci della presenza e dell’udito funzionante del ragazzo, continuarono a sparlare male, finchè una porta sbattere non li fece sobbalzare. Taehyung corse fuori dall’agenzia piangendo, camminando velocemente per non far notare le lacrime a possibile passanti.

 

Il suo fianco si scontrò addosso a qualcosa, o meglio qualcuno, e quando il ragazzo alzò lo sguardo dal cemento del marciapiede, notò con rabbia di chi si trattasse.

 

“Dannazione, sei ovunque.”

 

Gli occhi di Jimin si sgranarono per la sorpresa e le parole inaspettate. Non sembravano ferirlo. Anzi, Taehyung lo vide avvicinarsi preoccupato e poggiare le mani sulle sue spalle.

 

“Che ti é successo, Tae? Perchè piangi?”

 

Scacciando le mani del collega con un gesto rapido, Taehyung lo superò e continuò a camminare, urlandogli un “Vattene. Lasciami in pace.” quando percepí di essere seguito.

 

I passi del ragazzo si bloccarono di colpo quando si trovarono davanti alla peggior ameba del suo corso, un’omofobo narcisista che si muoveva a branco, per l’intelligenza incompleta, appunto.

 

“Oh, cos’abbiamo quí! Il talentuoso Taehyung che piange come una femminuccia…”

 

Taehyung cercò di assumere un’espressione impassibile e superare anche loro, ignorandoli completamente, ma l’idiota lo spinse contro un muro di mattoni. Il ragazzo reagí, non essendo a caso il migliore (o forse ormai il secondo in classifica?) tra gli aspiranti, ma i due scagnozzi altrettanto idioti ebbero l’inconscia fortuna di colpirgli le caviglie doloranti. Taehyung infatti aveva passato l’ultimo periodo ad addestrarsi il doppio di Jimin, per superarlo, per eccellere: il risultato ottenuto non fu abbastanza, e poco dopo ne sentí le conseguenze fisiche. Bloccato per le braccia dalle fotocopie dell’ameba principale, e incapace di muovere le gambe, Taehyung scivolò a terra, rimanendo contro al muro.

 

Quando il narcisista inziò di formulare la seconda frase, un ghigno soddisfatto gli contorceva il viso e una mano si addentrava verso i suoi jeans. “Kim, riesci anche a succhiarmelo come─”

 

Non fece in tempo a completare l’orrenda domanda che si ritrovò a terra, sovrastato dal corpo e la rabbia di Jimin, che tra un pugno e l’altro gli stava rompendo il naso. Gli amici dell’ameba, svegli come pochi, si spaventarono e solo dopo pochi secondi accorsero in suo aiuto.

 

Commettendo lo sbaglio di lasciar libere le braccia di Taehyung, quest’ultimo ricambiò il generoso trattamento del gruppo con tanto di interessi, mentre Jimin si alzava dal corpo dell’idiota, osservando l’opera d’arte di puro sangue sul suo viso contorcersi dalla paura. I tre con fatica si alzarono e scapparono via, lasciando Taehyung e Jimin soli, a respirare affannosamente per le energie sprecate.

 

“Ti avevo detto di lasciarmi in pace.”

 

Sedendosi per terra, sul freddo cemento, Taehyung si asciugò con il palmo della mano il sangue all’angolo della bocca.

 

“Dovresti lavorare sul tuo modo di ringraziare la gente.”

 

“Fammi finire.” Il ragazzo notò il collega sdraiato accanto a sè, con lo sguardo fisso verso il cielo nero. “Ti avevo detto di andar via. Ma sono contento che tu non l’abbia fatto.”

 

Alzando la testa solo per guardarlo, Jimin sembrò accettare l’espressione di sincera gratitudine, che in realtà nascondeva anche un orgoglioso senso di colpa.

 

“Scuse accettate.”

 

“E per cosa?” Taehyung temette che il collega fosse pure in grado di poter leggere la mente.

 

“Per avermi trattato di merda senza un motivo valido.”

 

“Avevo un motivo. Ti adorano tutti. E sei il numero uno in ogni campo. Congratulazioni.” Seccato, Taehyung si rifiutò di continuare a guardare quel volto attraente, notando che quella qualità non volesse sparire nemmeno con il viso ricoperto di graffi e sudore.

 

“Non capisci, Tae. Non esiste un ‘numero uno’. Guardaci.” Alzandosi dalla sua posizione stesa, Jimin allargò le braccia per indicare il posto in cui erano seduti e ciò che avevano appena fatto. Taehyung rimase un po’ perplesso. “Il lavoro di squadra è il vero talento.”

 

“Allora non penso di possederlo. Sono abituato ad addestrarmi per conto mio. A ragionare con una sola mente.”

 

Rimettensosi su due piedi e pulendosi i pantaloni neri dalla polvere, Jimin sorrise e Taehyung giurò di non provare nulla nelle profondità del suo stomaco. “Solo perchè non hai ancora trovato un partner ideale.”

 

“Ora alzati, abbiamo entrambi bisogno di una doccia.” Porgendogli la propria mano, finalmente Taehyung accolse l’invito e si fece aiutare. Camminarono insieme verso l’agenzia e Jimin si sentí giudicare le stranissime e piccole mani almeno trenta volte.

 

_____

 

Da quel giorno Taehyung iniziò a riconsiderare i propri sentimenti di ira e invidia verso Jimin, notando in realtà di provare ammirazione e affetto. Iniziarono ad andare sempre piú d’accordo, supportandosi a vicenda, superando diversi ostacoli insieme e aiutandosi come meglio avrebbero potuto fare.

 

Dopo pochi mesi potevano già considerarsi migliori amici, considerando anche che Taehyung non aveva fatto amicizia con nessuno al di fuori di Jimin, e che presto il ragazzo diventò il suo punto di riferimento. Passò un anno, non senza litigi e incomprensioni, che tuttavia resero l’amicizia ancora piú forte, e i due divennero inseparabili, alternandosi per portare pranzi e cene da mangiare insieme a fine allenamenti, o confortandosi l’uno con l’altro nei momenti di bisogno.

 

Capitò infatti, in un domenica piovosa, che Jimin ricevette una chiamata dalla madre. La donna gli aveva riferito tra le lacrime la morte del padre e Taehyung ricordava quel periodo come uno dei piú bui dell’amico. Rifiutandosi di mangiare e incapace di sorridere, Jimin mentiva dicendo di star bene, classificandola come una perdita per cui avrebbe smesso di soffrire dopo un breve periodo di tempo. Ma quando Taehyung per caso s’imbattè nell’amico, stranamente affacciato alla finestra della biblioteca con in mano una foto del padre, Jimin stava trattenendo le lacrime.

 

Offrendogli un abbraccio, Taehyung si trovò costretto a prendere l’iniziativa e circondare con le braccia il corpo orgoglioso e tremolante di Jimin, che appena sentí il calore confortante iniziò a piangere.

 

“Andrà meglio, un giorno.”, cercò di essere sincero, Taehyung, pensando ai propri genitori e fingendo di non esserne affatto afflitto dopo quasi due anni dalla loro scomparsa. Non era mai riuscito a piangere per loro, non si spiegava il motivo. Nemmeno al loro funerale. Avere Jimin tra le sue braccia in quel momento, vulnerabile e sensibile, gli mostrava quanto dolore dovesse provare un ragazzo alla perdita di una persona cara, e quanto poco ne avesse provato lui stesso.

 

“Promettimi che non te ne andrai.”

 

La voce di Jimin suonò come lontana, persa nel petto di Taehyung, che poté solo stringerlo piú forte.

 

Se quella promessa sarebbe stata l’unico modo con cui poteva assicurare felicità a Jimin, una delle poche persone a cui avesse mai tenuto, la risposta sarebbe stata ovvia. L’amico non doveva nemmeno metterlo in dubbio.

 

“Non vado da nessuna parte, Jimin.” Gli accarezzò la testa, muovendo le dita tra le ciocche nere e morbide, poggiando in quel punto, con discrezione, anche le labbra. “Non sarai mai solo. Hai me.”




 

[Quattro anni prima. – Estate/Autunno 2012]

 

Incontrarsi al poligono diventò un’abitudine. Jimin non smise di prendere in giro il comportamento dell’amico del primo giorno, imitandolo e ridendo ogni volta. La spensieratezza e l’infantilità dei primi anni lasciarono spazio all’impulsività e gli ormoni dei diciotto, che i due si preparavano a compiere presto. Jimin avrebbe comprato un appartamento, mentre Taehyung non si sentiva ancora pronto ad allontanarsi dalla sua camera nell’agenzia.

 

L’estate era arrivata portando con sè la grandiosa notizia della decisione del loro capo di affidare a Jimin la sua prima missione. Il ragazzo tenne segreta la scoppiettante informazione, volendo avvisare Taehyung prima di chiunque altro.

 

Fu quello il motivo del suo improvviso messaggio all’amico, a cui aveva scritto di raggiungerlo velocemente al poligono di tiro. Nascondendo un cestino di vimini contenente la loro cena, Jimin accolse l’entrata frettolosa di Taehyung con allegria e affetto, racchiusi in un semplice gesto della mano.

 

“Eccomi, che succede?” Riprendendosi dalla corsa e parlando col fiatone, Taehyung squadrò da capo a piedi l’amico, preoccupandosi che fosse ferito. Quando si accorse che Jimin stava perfettamente bene, corrugò la fronte.

 

L’amico stava sfoggiando uno dei suoi più luminosi sorrisi, tenendo stranamente le braccia dietro la schiena. Taehyung indicò curioso verso di lui, “Cosa nascondi lí dietro?” e poi verso il suo viso. “E quí dentro?”

 

“Taetae.” Jimin poggiò per terra il cestino per liberare le mani e abbracciare l’amico, che rispose all’azione con uguale affetto, ma continuando a non capire. “Mi hanno affidato la mia prima missione!”

 

Allontanando il volto dalla spalla per guardare Taehyung meglio e da vicino, Jimin spiegò ciò che comportava quella frase. “Sono ufficialmente un agente!”

 

“Oh mio Dio.” Con occhi e bocca spalancata, l’amico lo circondò in un nuovo abbraccio, ora cosciente del motivo di quella felicità e soddisfatto a sua volta. “Sono cosí fiero! E dove andrai? Cosa farai?”

 

Tenendolo per le spalle, Taehyung riempì Jimin di domande entusiaste e curiose, alle quali l’amico rispose solo con un “Top secret.”

 

“Sono serio, Tae.” Il neo-agente rise leggermente per il sopracciglio alzato e l’espressione seccata di Taehyung. “Ti basta sapere che sarò lontano, ma che tornerò per raccontartelo!”

 

A quella promessa i due sorrisero e iniziarono a farsi posto per aprire il cestino da picnic di vimini e mangiare il loro pranzo. Dopo i primi bocconi Jimin alzò lo sguardo e notò la preoccupazione sul volto dell’amico.

 

“Promettimi che starai attento.”

 

“Ovvio.” A Taehyung bastava il sorriso sincero di Jimin e la promessa che sarebbe sempre tornato, sano e salvo, qualsiasi cosa sarebbe successa, nonostante sarebbe stata la sua prima missione e di conseguenza innocua e poco pericolosa.

 

Spalancando gli occhi e picchiando con la mano leggermente l’amico, Jimin si ricordò di avvertirlo di una novità di cui si era dimenticato. “E non sai con quale quartermaster lavorerò!”

 

“Con chi?” Masticando un sandwich e bloccandosi incuriosito, Taehyung si aspettò un nome famigliare, un quartermaster di loro conoscenza,

 

“Jung Hoseok! Dicono sia il miglior hacker dell’agenzia. Non vedo l’ora!”

 

Non era uno sconosciuto. Taehyung forse aveva già sentito quel nome nei corridoi dell’headquarter o tra pettegolezzi di vecchie reclute. Tuttavia sapeva solo che quel Jung Hoseok era più grande di loro di un solo anno, e nonostante ciò veniva considerato dai suoi coetanei uno dei più bravi nel settore. Fu felice di sentire che al fianco di Jimin ci sarebbe stato il quartermaster più stimato dell’agenzia, e con un dolce sorriso espresse la sua soddisfazione all’amico, che aveva ripreso a mangiare, affamato. “Sono davvero contento per te, Jiminie.”

 

_____

 

Torni oggi?

 

Non potrei dirtelo

 

:(((

 

Ma prepara le tue orecchie per le 11 di stanotte

 

:D

 

I film di 007 in confronto sono fiabe

Rispondi con parole, Tae

 

Ti aspetto a casa tua

Schifezze e orecchie curiose comprese

 

<3

 

Aw Jiminie

Non mandi mai cuori

Devi proprio essere felice <33

 

In realtà è un cono gelato

Aggiungilo alla lista

:P

 

Insensibile agente Park

 

Non suona divinamente?

 

_____

 

“E poi Hoseok-hyung ha fatto questa cosa geniale con il pc grazie alla quale è riuscito controllare ogni semaforo - dovevi esserci! - e li abbiamo seminati in un attimo. Il resto è storia.”

 

Taehyung si era immaginato di reagire a quel racconto in modo diverso.

Quella notte aveva raggiunto l’appartamento di Jimin con bottiglie di soju per festeggiare, cibo spazzatura, gelato e due orecchie curiose. Quando l’amico tornò a casa, la prima cosa che fece, dopo essersi tolto le scarpe all’ingresso, fu correre ad abbracciarlo e Taehyung non poteva esserne più felice: il solito vecchio Jimin tutto intero e felice, tra le sue braccia.

 

Dopo l’iniziale abbuffata e chiacchiere inutili sul più e il meno, però, Taehyung lo incitò ad andare sull’argomento prima missione e Jimin potè finalmente raccontargli i dettagli: si trattava di semplice spionaggio verso trafficanti di armi chimiche, che per loro sfortuna ebbe un risvolto inaspettato e furono costretti, agente e quartermaster, a abortire la missione e trovare una via di fuga veloce.

 

Ovviamente il risultato poteva solo essere perfetto, avendo avuto al suo fianco il miglior hacker dell’agenzia, e Jimin non smetteva di sottolinearlo. Così tanto che Taehyung si sentì passare da forte ammirazione e gratitudine a leggera gelosia verso Jung Hoseok. L’amico ne parlava con gli occhi illuminati e il sorriso felice e Taehyung sperava fosse solo per la sintonia professionale che si era creata tra i due.

 

“Sono ufficialmente invidioso.”

 

“Arriverà anche il tuo momento, Taetae.” Ridendo, Jimin gli regalò leggere pacche sulla spalla, prima di buttare via gli scarti della loro cena e passare alle bottiglie di soju. “Goditi gli ultimi momenti di una vita sicura e intatta.”

 

Taehyung lo guardò tornare a sedersi al suo fianco, ai piedi del letto, accarezzato dalla leggera brezza estiva che entrava dalle finestre aperte e ammirando quanto fosse cresciuto l’amico, non solo fisicamente. Ora era un agente a tutti gli effetti, non si trattava più di simulare attacchi durante un addestramento o sparare a forme di cartone. Le missioni la fuori costituivano un premio ma anche un pericolo. “Mi sono preoccupato quando non ti ho visto rispondermi. Per un attimo ho pensato che─”

 

Percependo l’atmosfera e l’umore serio, Jimin portà un braccio intorno alle spalle di Taehyung, cercando di consolarlo. “Tae, sono quí. Carne ed ossa, tutto intero.”

 

“Lo so.”

 

Gli occhi tristi non convinsero l’agente.

 

“Se ti fidassi davvero delle mie abilità, non dubiteresti affatto della mia sicurezza.” Jimin gli passò una bottiglia di soju, prendendosene poi una per sè.

 

“Sai che sono il tuo fan numero uno, Jiminie.”

 

“Bene. Perchè io sono il tuo. E presto sarò io quello in ansia mentre andrai in missione.” I vetri verdi delle due bottiglie si scontrarono in un leggero e acuto suono, in segno di brindisi, seguito dal rumore del primo lungo sorso di Jimin. Taehyung lo fissò mentre beveva e mandava giù il liquido, in un modo che sembrava denotare esperienza, nonostante bere alcool fosse ancora illegale per entrambi.

“Quindi non preoccuparti del futuro. Sono quí.”

 

Accennando un sorriso sincero, Taehyung iniziò a bere dalla sua bottiglia, apprezzando il rilassante silenzio che era calato nell’appartamento. Dopo poco la pesantezza della cena si fece sentire e i due finirono di bere, stanchi e accaldati da alcool e temperatura estiva. Jimin si lasciò cadere dalla sua posizione seduta, sul materasso, facendo segno a Taehyung di appoggiare anche lui la schiena e sdraiarsi al suo fianco. Brillo e ancora perso nell’entusiasmo post-missione, Jimin allargò le braccia e urlò al soffitto della sua stanza. “Viviamo il presente!”

 

Il tono e la stranezza con i quali la frase gli era uscita da bocca ricordavano la minaccia di un barbone ubriaco e Taehyung scoppiò a ridere. Jimin lo seguì a ruota e i due non riuscirono a fermarsi, arrivando al termine delle risate solo quando decisero di distogliere lo sguardo dal soffitto per voltarsi l’uno verso l’altro.

 

Taehyung poteva chiaramente vedere ogni dettaglio del volto che lo stava fissando: guance paffute, labbra piene, occhi sorridenti e capelli spettinati. Negli anni Jimin era cresciuto, i suoi muscoli si erano definiti, l’altezza era aumentata (anche se di poco, e Taehyung non smetteva di ricordarglielo), e il contorno del viso sembrava più marcato, più vissuto, non più dolce e innocente.

 

Avvicinandosi per ammirare meglio i dettagli, Taehyung notò anche la pelle liscia dell’amico, e di come il respiro uscisse caldo e debole dalle sue labbra. Rimase a fissare proprio quella parte di Jimin, affascinato e curioso: si chiese come fosse possibile conoscere una persona da così tanto tempo e notare solo a un certo punto la sua bellezza nascosta. Si chiese se fosse normale provare così tanto affetto per qualcuno che considerava il suo migliore amico o se si trattasse di qualcosa di più. Ricordò il loro primo incontro e rise mentalmente, non senza schiaffeggiare il proprio orgoglio per il trattamento orribile che aveva riservato inizialmente a quella persona meravigliosa. Persona che si trovava in quel momento davanti a lui, muta e inespressiva, forse altrettanto sovrappensiero. Taehyung smise di porsi domande quando Jimin gli sorrise e la risposta gli apparve ovvia, sottoforma di un cartellone, grande, rosso e pericoloso, ma così dannatamente affascinante.

 

Avvicinò il viso ancora di un millimetro, ritrovandosi a poca distanza dalle labbra di Jimin, ma senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi. “Posso?”

 

“Cosa?”

 

L’espressione sinceramente dubbiosa di Jimin fece scattare la ragione di Taehyung, che si allontanò dal suo viso e dalla sua missione suicida, riportando gli occhi sul soffitto, e obbligandosi a non ripetere un simile errore. “Nulla.”

 

Jimin rimase in silenzio per alcuni secondi, confuso dal comportamento dell’amico. “Tae─”  

 

Taehyung lo zittì voltandosi di scatto e premendo le labbra contro le sue, in un improvviso veloce bacio a stampo. Si allontanò subito dopo, evitando di analizzare l’espressione sorpresa di Jimin e mormorando un “Congratulazioni per la tua prima missione.” E fu così che sperò di salvarsi, alzandosi dal letto e congratulandosi, bevendo un sorso d’acqua per poi dirigersi verso la sua stanza all’agenzia, e una volta sul proprio letto iniziare, perchè no, a farsi domande su ciò che provava. Sul suo migliore amico. Ma prima che potesse allontanarsi dai piedi del letto, ancora disteso sul materasso, Jimin allungò il braccio e gli prese la mano, guardandolo stanco e bisognoso di affetto, come se non avesse domande da porgli sull’azione da lui appena commessa.

 

“Rimani a dormire?”

 

Taehyung rimase da Jimin. Rimase per abbracciarlo, per circondarlo con il suo calore, per riempirlo di complimenti e sicurezze. E non ci fu nessuna domanda, nessun perchè o battuta per sdrammatizzare. Jimin lo teneva stretto a sè e Taehyung sperava che l’amico non riuscisse a sentire il battito del suo cuore. Rimase per lui, ma non riuscì a dormire: perso a osservare il volto addormentato sul suo petto, accolse l’insonnia come una conseguenza per cui si era già messo, quella notte, il cuore in pace.

 

_____

 

“Taehyung, lui è Hoseok-hyung. Hyung, lui è il mio migliore amico Taehyung.”

 

In quel momento Taehyung comprese la ragione dietro ai luminosi occhi a cuore che ammiravano il famoso hacker. Differentemente da ciò che si può pensare di una persona che passa per lavoro la maggior parte del suo tempo dietro a un pc, Jung Hoseok mostrava un aspetto allenato, energetico e curato. Il ventenne era carismatico, slanciato e non portava gli occhiali, sorpresa per Taehyung, che iniziava già a sentire una sorta di gara tra le loro altezze e personalità. Camminando verso di lui, Hoseok sembrò possedere un’eleganza di movimenti tipica di un agente, che Jimin non smetteva di seguire con lo sguardo.

 

Reprimendo la gelosia, Taehyung fece un leggero inchino con il capo e porse la propria mano per sentire la forte stretta dell’hacker. Non sembrava coerente all’aspetto docile, allegro e magro del giovane.

 

“Il famoso Tae! Piacere di conoscerti.”

 

“Famoso? Piacere mio.”

 

Ricoprendosi di cordialità e cercando di colloquiare in modo normale, Taehyung non potè non notare lo sguardo di felicità negli occhi di Jimin. Erano venuti insieme alla festa di fine e dell’agenzia: nulla di speciale. Solo una serata tra quartermaster, agenti, scienziati e molti altri collaboratori, organizzata dal loro capo per non pensare al lavoro almeno durante quella notte. Taehyung aveva passato tutta la giornata a pensare impaziente all’evento, sorridendo ogni volta che i suoi pensieri cadevano sul migliore amico; ma, in quel momento, Jimin sembrava avere occhi solo per Hoseok, del quale non aveva smesso di vantarsi per mesi.

 

“Jimin mi ha detto tutto di te! Ho sentito che presto ti verrà affidata la tua prima missione.”

 

Taehyung rimase sbalordito. Non si sarebbe mai aspettato che Jimin parlasse di lui con il suo quartermaster, era abituato al contrario, a sentirsi ripetere quanto Hoseok fosse geniale e allo stesso tempo un partner amichevole. Probabilmente si era limitato ad accennare la sua esistenza, pensò amaramente Taehyung, prima di rispondere con un leggero (finto) sorriso.

 

“Non è detto, in realtà.”

 

Prima di sentire alcuna parola uscire dalla bocca dell’hacker, Taehyung percepì il braccio di Jimin circondargli la vita, stringendolo a sè. “Sí, è solo questione di tempo, Taehyung è il migliore.”

 

Non gli apparve affatto strano quel contatto, considerando che da mesi si erano avvicinati sempre di più, sia come amici che fisicamente. Non avevano mai parlato di cosa fosse successo la notte del ritorno di Jimin dalla sua prima missione, ma dalla fine di quell’estate i due non perdevano occasione per moltiplicare il numero di abbracci o trovare scuse per aumentare il loro livello di skinship. Taehyung non si illudeva, erano tutti gesti limitati a puro e innocente affetto, ma il sentire l’amico così vicino e così sensibile al suo tocco giocava brutti scherzi alla sua immaginazione.

 

Circondato da silenzio, Hoseok interruppe i pensieri del ragazzo, commentando la vicinanza notata tra i due amici. “È meraviglioso vedere quanto abbiate legato. Pochi riescono a trovare amici veri quí dentro.”

 

Amici. Giusto, erano quello, lui e Jimin, pensò Taehyung. Se fossero stati altro, avrebbero parlato del bacio, avrebbero chiarito, Jimin non avrebbe deciso di fingere che non fosse successo e di tornare alla normalità di tutti i giorni. Eppure Taehyung poteva ritenersi fortunato: avere continuamente affianco il suo migliore amico, non aspettandosi nulla e sapendo comunque di provare qualcosa per lui, gli bastava. Tutto considerato, in origine nemmeno avrebbe creduto di poter finire così coinvolto nel perfetto ragazzo che era Jimin.

 

“Inizialmente lo odiavo.”

 

Jimin scoppiò a ridere, ricordando i vecchi tempi, e Taehyung si lasciò scappare a sua volta un sorriso.

 

“Non commento. È tutto vero.”

 

“Eppure eccovi quí!” Hoseok sottolineò la frase con le braccia aperte e un’espressione orgogliosa.

 

Aveva ragione. Era difficile legare nel mondo in cui vivevano, dove l’affetto era visto da alcuni come una debolezza. Eppure Taehyung doveva ringraziare il cielo di aver trovato qualcuno come Jimin, una persona che lo capiva meglio di qualsiasi altro e della quale poteva fidarsi ciecamente. Eccoli lì, dunque. Vicini e quasi abbracciati, inseparabili ma complicati, l’uno la salvezza dell’altro. Quì rappresentava tutto il percorso che avevano attraversato insieme, tra incomprensioni, momenti bui e vittorie condivise. Taehyung sapeva cosa li aveva portati fino a quel quì, e non avrebbe cambiato nulla. Ma non riusciva a non chiedersi Quí... dove?



 

[Quattro anni prima. – Inverno 2012/2013]

 

“Quindi mi stai dicendo che mesi fa hai baciato il tuo migliore amico, che non ne avete mai parlato, fingendo che non fosse successo nulla, e che nel frattempo hai scoperto di avere un’enorme cotta per lui?”

 

A poche settimane dopo la sua effettiva prima missione, Taehyung si ritrovò a confidarsi totalmente con Bogum, il quartermaster affidatogli. I due avevano fatto velocemente amicizia e sembravano andare sempre d’accordo. Taehyung un po’ ringraziava il fatto di aver iniziato la sua carriera come agente, finalmente riempiendosi le giornate di compiti diversi dai soliti e potendo sperimentare la vita da spia. Il tempo passato con Jimin tuttavia diminuí, lasciandogli una strana sensazione: se da una parte accoglieva con soddisfazioni il nuovo stile e ritmo di lavoro, dall’altra avrebbe voluto raccontare ogni cosa al suo migliore amico. Purtroppo non sempre il loro tempo libero coincideva, e quindi i due riuscivano a vedersi poco.

 

Nonostante ciò, per il breve spazio di libertà che decidevano di passare insieme, proprio per la preziosità della coincidenza, entrambi furono inconsciamente d’accordo nel trascorrerlo nel migliore dei modi. Incontrandosi nell’appartamento di Jimin, che ormai era diventato la seconda casa di Taehyung, quando i due si trovavano a Incheon e non in giro per il mondo, e nel caso contrario, contattandosi per messaggio. Era durante uno dei loro incontri, promesso al ritorno di entrambi dalle loro rispettive missioni, che Taehyung si rese conto della fatica e pazienza utilizzata per trattenersi dal svuotare il sacco con Jimin.

 

Infatti, quando rivide a pranzo il suo migliore amico, lo trovò nel suo appartamento a cucinare per entrambi, in un semplice lungo maglione e boxer. Reprimendo pensieri inappropriati, l’agente si era avvicinato indisturbato a Jimin e lo aveva abbracciato da dietro, dicendogli con tono scherzoso quanto avesse sentito la mancanza del suo cibo e di lui. Al “Mi sei mancato anche tu” debole e sincero, Taehyung si stupì per qualche secondo, prima di stringere a sè l’amico in modo più deciso. Il momento di dolcezza fu seguito da risate e silenzi rilassanti e l’agente si sentì sempre più dipendere dai sorrisi e dai racconti di Jimin.

 

Quando la mattina dopo, appesantito da sonno e stanchezza (non era riuscito a dormire, poichè Jimin aveva deciso di usarlo come suo cuscino personale e l’agente fu troppo preso ad osservarlo per chiudere occhio), Taehyung incontrò Bogum per discutere per la loro successiva missione, il quartermaster notò come sempre l’umore del ragazzo e gli chiese spiegazioni. Tra un caffè e parole preoccupate, Taehyung finì per raccontargli tutto.

 

“A grandi linee, sí.”

 

“Sei fottuto, Kim.”

 

Con un pacca sulla spalla, Bogum scherzò e sorseggiò il suo caffè. Taehyung si limitò a ringraziarlo in modo sarcastico per l’incoraggiamento e a fissare la sua tazza quasi vuota. “Voglio solo proteggere la nostra amicizia.”

 

“Ho visto come vi guardate quando siete insieme, e credimi. La vostra amicizia è già partita da parecchio.” L’agente guardò con un’espressione sorpresa Bogum, alternando dubbio a preoccupazione e gesticolando con il manico della tazza. Non voleva rovinare il suo rapporto con Jimin. E se occhi esterni avevano notato un cambiamento tra i due, forse il suo migliore amico gli stava davvero nascondendo una sorta di disagio riguardo quello che era successo loro.

 

Il quartermaster percepì l’ansia del ragazzo al suo fianco, cercò di consolarlo regalandogli parole serie e un sorriso. “Calmo, Tae. Devi solo prendere coraggio e parlarne con lui. È il modo migliore.”

 

L’aspettativa di insuccesso si mostrò nella mente di Taehyung, ricreando scenari con un Jimin inorridito e arrabbiato, che lo accusava di avergli sempre mentito riguardo i suoi sentimenti. Un nodo allo stomaco provocò nausea all’agente, che diede voce alla sua peggiore paura. “E se non volesse piú vedermi?”

 

Bogum si alzò dalla sua posizione e scoppiò in una risata di incredulità.

 

“Stiamo parlando di Jimin. Non ti farebbe mai una cosa del genere.”

 

 

_____

 

“Jiminie!” Taehyung raggiunse l’amico percorrendo l’ampia stanza, notandone l’aspetto elegante. “Hai sentito della nuova recluta?”

 

Dalla grande porta in legno della biblioteca entrò una figura alta e snella, dai capelli corti castani e i vestiti in pelle neri. Non era un abbigliamento adatto all’occasione, ma la ragazza doveva essere appena tornata da una missione. L’evento era uno dei tanti: l’inaugurazione della libreria, che avrebbe rappresentato un nuovo accesso all’headquarter dell’agenzia, tramite un formale incontro tra agenti, quartermaster e collaboratori vari, come era già accaduto a fine estate. Quelli erano gli unici momenti durante i quali inconsciamente si creavano amicizie e accordi, o semplicemente discorsi per passare il tempo.

 

Il brusio leggero che caratterizzava quella serata fu alterato da un urletto improvviso, che ogni persona lì presente attribuì alla ragazza che corse incontro all’agente appena arrivata. “Aegi-ah! Mi sei mancata!”

 

Le due si abbracciarono d’istinto, perdendosi nella felicità del loro incontro, e solo dopo qualche secondo la spia si rese conto del contesto in cui si trovavano. Si allontanò leggermente dalla sua assaltatrice, circondandole il viso con le mani e sciogliendosi quando la mora, bassa e vestita in modo adorabile, le disse con un finto broncio: “Non andartene più.”

 

La scena si svolgeva davanti agli tutti: alcuni apprezzarono, altri ignorarono le due per riprendere i propri discorsi. Taehyung si perse a guardarle, spiegando all’amico chi fossero quelle ragazze così legate, come la mora avesse iniziato a lavorare per l’agenzia e come le avesse conosciute poco tempo prima, contemporaneamente sorridendo per la loro dolcezza.

 

“Se non mi sbaglio l’agente si chiama Seoyoon, reclute femminili del 94― Quando Taehyung rivolse lo sguardo nuovamente verso l’amico, questo sembrava essere seccato. “Jimin?”

 

“Sí, Tae?” Jimin gli rispose come se nulla fosse, fingendo un sorriso e sorseggiando inespressivo il vino dal suo bicchiere.

 

Taehyung corrugò la fronte, guardandolo dubbioso. Aveva notato solo in quel momento come l’apparenza perfetta ed elegante dell’amico nascondesse in realtà un umore basso e un modo di fare distaccato. “Tutto bene?”

 

“Benissimo.” Freddo come ghiaccio, Jimin concluse la sua frase tornando ad osservare l’entrata e aggiungendo un suggerimento con un tono che poco nascondeva l’acidità della sua voce. “È arrivato Bogum-hyung. Non vuoi salutarlo?”

 

“Lo vedo tutti i giorni perchè dovrei voler―” Tendeva a straparlare, Taehyung. Per quel motivo alla domanda del suo migliore amico, per quanto sembrasse portare con sè un tono accusatorio senza spiegazioni, iniziò a rispondere normalmente. Bloccandosi subito dopo e collegando lo sguardo cinico di Jimin con il saluto sorridente del suo quartermaster, che si stava avvicinando a loro. “Aspetta.”

 

Finalmente Jimin sembrò tornare a dargli attenzioni, dimenticandosi di bruciare con gli occhi l’ormai poco lontano Bogum. “Sei geloso?”

 

“Perchè dovrei?” Nascondendo la propria espressione, Jimin ruppe il contatto visivo con Taehyung di scatto, optando per un sorso di vino e un patetico tentativo di negazione e impassibilità. Che ovviamente l’amico notò. Si conoscevano troppo bene per non riconoscere una bugia così mal mascherata.

 

“Jiminie è geloso, Jiminie è geloso.”

 

Dopo l’iniziale stupore Taehyung decise di sdrammatizzare, allentando la tensione presente tra i due e cercando di far sorridere l’amico, regalandogli piccoli pugni sulla spalla, come se fossero tornati ai primi anni di addestramento, tra scherzi e istigazioni.

 

“Taehyung, non hai piú sedici anni. Smettila.”

Jimin non sembrò prenderla bene, quando, all’arrivo di Bogum, rispose con una lamentela fredda e distante, allontanandosi dall’amico e lasciandolo in balia di confusione, senso di colpa e un’espressione incredula da parte del suo quartermaster.

 

_____



 

Non appena entrò nel suo appartamento, Jimin notò le scarpe in più all’ingresso, la luce del fuoco acceso in salotto e la presenza inconfondibile di Taehyung. Raggiungendolo silenzioso e abbassandosi per sedersi al suo fianco, l’agente notò lo sguardo triste dell’amico, avvolto in una morbida coperta bianca e affascinato dalle fiamme che da sole illuminavano la stanza.

 

“Mi dispiace per prima.”

 

Per un attimo Jimin si rassegnò a non ricevere risposta e semplicemente fissare l’espressione indecifrabile di Taehyung, finchè questa non si manifestò in tutta la sua bellezza al voltarsi del capo dell’amico.

 

“Cosa c’è che non va, Jimin-ah?” In quel momento si trovò Taehyung ad avere a che fare con secondi di silenzio e occhi dispersivi. “Sai che puoi dirmi tutto.”

 

Fece per alzarsi, deluso di non essere riuscito ad ottenere spiegazioni e sinceramente stanco per l’andamento della serata.

 

“È che gli anni stanno passando cosí velocemente. Ora entrambi siamo agenti e siamo occupati con le nostre missioni. Pian piano potremmo allontanarci e smettere di essere… Noi.”

 

D’un tratto Jimin sembrò debole e insicuro, due caratteristiche che Taehyung non aveva mai visto sul suo volto. Si avvicinò velocemente, mettendosi in ginocchio davanti all’amico seduto e lasciando così cadere la larga coperta intorno alla sua posizione. Guardando preoccupato Jimin, sgranò gli occhi e non aspettò a rassicurarlo. “Non succederà mai.”

 

“Eppure qualcosa è cambiato. Non puoi negarlo.”

 

In quel momento Jimin lo stava guardando, indeciso e spaventato. Secondo Taehyung non si sarebbe dovuto preoccupare di nulla, ci sarebbe sempre stato per lui, come aveva sempre fatto fino a quel momento. Ma non poteva dargli torto, non erano più gli stessi di prima: gli impegni avevano ristretto il loro arco di tempo libero e il vedersi e parlarsi meno avevano aumentato dubbi e nostalgia. Non avevano mai toccato l’argomento del bacio, nonostante i momenti di skinship seguiti da silenzi imbarazzanti, e Taehyung temeva che Jimin si riferisse proprio a quello.

 

“Jimin-ah, se ti riferisci a quel bacio―”

 

“Se volessi di piú?” Jimin non smetteva di fissarlo, in ansia ma determinato. “Se non mi basterebbe essere il tuo migliore amico, Tae, come reagiresti?”

 

Taehyung non riuscì a credere alle proprie orecchie.

 

“Perchè ogni volta che vai chissà dove, nonostante la tua bravura in campo, io sento l’ansia nello stomaco e svanisce solo quando posso effettivamente vederti, e toccarti, e tutto il tempo che passi con Bogum non aiuta a tenere a freno la mia possessività.” Lo sguardo sconfitto di Jimin raggiunse il luogo dove teneva le mani, poggiate sopra le gambe incrociate. “Sono un amico orribile. Ed egoista.”

 

Con occhi spalancati, Taehyung rimase a guardarlo sconcertato. Si chiese se ciò che aveva appena udito fosse reale, e cercò di fotografare mentalmente l’immagine di Jimin davanti a sè, seduto e stanco, emotivamente sensibile e così, così perfetto. Pensò a quanto fosse perfettamente reale, creato con l’aspetto di un angelo ma la forza di un vendicatore. Un agente capace, abile, affascinante e attraente. Ma per Taehyung era prima di tutto Park Jimin, il suo migliore amico, la sua famiglia, la sua persona. La sua anima gemella.

 

“Dí qualcosa, Tae.”

 

Si risvegliò dai suoi pensieri per ricambiare lo sguardo preoccupato di Jimin con uno assente. Non diede tempo all’amico di decifrare la propria espressione, fiondandosi in avanti e abbracciandolo affettuosamente.

 

Notando la sorpresa di Jimin attraverso l’irrigidezza delle sue braccia rimaste immobili, Taehyung allontanò il volto dalla sua spalla, abbassando le mani lungo i lati del suo busto. Cercò di decifrare quale tipo di sensazione volevano trasmettergli gli occhi dell’amico, lasciando galleggiare nella stanza un ansioso silenzio.

 

La sensazione che provò subito dopo fu l’improvvisa vicina presenza di Jimin, di morbide labbra che sfioravano con timore l’angolo della sua bocca e un caldo debole respiro accompagnato il proprio. “Jim―”

 

Taehyung venne interrotto dal coraggio dell’amico, che lo spinse a unire le loro labbra in un innocente bacio a stampo. La brevità dell’azione lasciò Jimin in silenzio e con guance arrossate, Taehyung con occhi spalancati e sorpresi, e un imbarazzante momento di realizzazione per entrambi.

 

Improvvisamente le mani di Taehyung sentirono di non avere più il diritto di essere delicatamente poggiate sui fianchi dell’amico: il bacio era stato così puro che l’agente credeva di avere davanti ai suoi occhi la persona più fragile e dolce del mondo. Ma quando fece per allontanare le sue mani, quelle di Jimin ruppero definitivamente l’immagine innocente del loro padrone, bloccandole con una forte stretta sui polsi. Taehyung si ritrovò a osservare confuso un ragazzo che preferiva comunicare a gesti, spondando i suoi palmi sul proprio petto, consentendo così all’agente di sentire il battito frenetico del suo cuore. Jimin aspettò la reazione dell’amico, un sospiro quasi inudibile, e colse l’occasione delle labbra schiuse di Taehyung per avvicinarsi a lui e baciarlo una seconda volta.

 

La calma che si era stabilita nei gesti decisi ma dolci di quei momenti insieme venne sconvolta da un vortice di emozioni. I movimenti delicati della mano di Jimin sulla schiena e sulla guancia di Taehyung, la passione con la quale lo baciava, il piacere di sentire il calore di un’altra persona vicino al proprio, i sentimenti di Jimin finalmente sbandierati dal modo con cui l’agente teneva stretto a sé Taehyung.

 

Tutte spie che si accesero nella ragione dell’agente e che lo affrettarono a mettere in chiaro le cose, a confessare i propri pensieri e ritornare a perdersi nel conforto che solo Jimin poteva regalargli.

 

Bloccando l’amico attraverso una leggera spinta delle proprie mani, che ancora si trovavano sul suo petto, Taehyung quasi non riuscì a pronunciare ciò che si era promesso di dire, piacevolmente sconvolto dall’espressione di puro affetto davanti a sé, che donava al volto di Jimin il doppio della bellezza che il ragazzo già possedeva.

 

“Lo voglio anche io, Jimin-ah. Quel qualcosa in piú.”

 

Abbassando le mani dal petto alla cintura di Jimin, le dita di Taehyung toccarono delicatamente il corpo dell’amico, che non riuscì a parlare. Troppo concentrato sul percorso che Taehyung stava tracciando, distratto dal proprio sospiro pesante e dall’importanza della frase appena sentita, per poco Jimin rischiò di non sentire la fine di quella confessione.

 

“Voglio te.”

 

Le loro labbra si scontrarono di nuovo, in modo più caotico ma passionale. La dichiarazione di Taehyung caricò così tanto Jimin di sicurezza e affetto che questo decise di prendere il comando del bacio e si pose come obiettivo il piacere dell’amico.

 

Quando un gemito scappò dalla gola di Taehyung fu chiaro che Jimin era riuscito nel suo intento. E più riusciva a fargli provare piacere, più si sentiva egli stesso compiaciuto. E più avrebbe voluto continuare.

 

Le mani di Taehyung, rimaste sulla cintura dell’amico, preserò l’iniziativa e scostando il maglione iniziarono a maneggiare l’oggetto che per lui rappresentava un ostacolo. Jimin si allontanò dal bacio per guardarlo negli occhi e, accarezzandogli le gote con i propri pollici, chiedergli conferma. “Sei sicuro?”

   

“Voglio far l’amore con te, Jimin.”

 

Senza il benché minimo dubbio, Taehyung rispose con occhi determinati e voce profonda. Ciò che stava implicando si depositò solo alcuni secondi dopo nella mente di Jimin, che lo guardava sorpreso.

 

Levato il maglione e distesa la morbida coperta dalle sue spalle al pavimento, contro il quale andò a coricarsi, il campo visivo di Taehyung fu riempito dalla luce rossa del camino acceso, il buio della stanza, e Jimin, Jimin, Jimin. Affascinante, dolce e impaziente Jimin.

 

“Mi prenderò cura di te, Taehyung-ah, sempre. Lo ricorderai per sempre.”

 




 

Fu tutto perfetto. Anche le imperfezioni: la coperta distribuita in modo non equo, il fuoco quasi spento che non stava più scaldando la sala, il continuo dubbio su che tipo di relazione avessero. Taehyung si sentí a casa, stretto dalle braccia dell’amico, rilassato e compiaciuto e stanco, ma al contempo gli sembrò tutto troppo bello per essere reale. Decise di provare a dormire, i dubbi e le preoccupazioni avrebbero potuto aspettare l’alba. Il sospiro flebile sul suo collo si era stabilizzato e presto anche lui avrebbe raggiunto l’amico nel mondo dei sogni. Avrebbe potuto immaginare mille possibili scenari, in quei momenti tra veglia e sonno profondo, ma mai avrebbe previsto gli accaduti degli anni successivi.

 

[Jimin mentí quando gli promise di rimanere al suo fianco per sempre. Jimin mentí riguardo le parole dolci sussurrate tra i gemiti e i baci. Jimin non si rivelò un angelo, e Taehyung finí per scoprirlo. Tardi e dolorosamente. Ma il migliore amico fu convinto, e finí per mantenere inconsciamente, una sola promessa: Taehyung avrebbe ricordato quella notte e Jimin, per sempre.]

 

_____

 

Jimin osservò la cornice all’angolo della scrivania: era volutamente abbassata, per nascondere a occhi indiscreti, o ai propri, una determinata foto. L’ufficio del capo dell’agenzia era grande e lussuoso, ma manteneva allo stesso tempo un’atmosfera casalinga, rappresentando dopotutto anche il luogo in cui l’uomo viveva. Il giovane agente era stato invitato ad entrare e sedersi su una delle sedie di pelle color beige.

 

Il quarantenne davanti a lui nascondeva tra le rughe esperienze e serietà, e nonostante l’espressione pacifica e accogliente, Jimin conosceva i lati più severi e schietti dell’uomo. I capelli ricci e neri, gli occhi verdi, la barba già leggermente grigia. Nel silenzio imbarazzante, l’agente osservava i dettagli del suo capo mentre quest’ultimo sistemava dei fogli.

 

Di punto in bianco, l’uomo gli chiese come si stesse trovando a lavorare per l’agenzia, come andassero le missioni (benché avesse sott’occhio ogni rapporto compilato e firmato) e un aggiornamento riguardo la sua situazione sentimentale. Alla domanda leggermente invadente e inaspettata, Jimin rimase in silenzio.

 

Non perché non andasse alla grande, anzi. Lui e Taehyung stavano passando insieme momenti indimenticabili: il loro rapporto aveva mantenuto la base di amicizia, legame e rispetto profondo che già possedevano, alla quale i due avevano aggiunto le bellezze ed esperienze di un primo, vero, serio, amore.

 

Avrebbe voluto sorridere, Jimin, al ricordo delle serate tra le risate di Taehyung e i suoi baci sulle cosce dell’amico, ma si trattenne. Si trattenne perché l’espressione del suo capo era tutto eccetto che comprensiva. Era orgoglioso di lui, lo sapeva, e non aveva mai detto nulla contro le relazioni tra colleghi, sapendo come fosse impossibile prevenire attaccamenti emotivi tra le persone della sua agenzia, quando le sue reclute passavano il novanta percento delle loro vite sul campo o all’headquarter.

 

Il quarantenne non aggiunse altro, lasciando vagare nella stanza il silenzio di risposta del giovane e sorridendo per l’implicita comprensione. Continuò il discorso citando le missioni, i punti deboli dell’agente e i punti forti su cui doveva basarsi. Jimin si chiese se ogni recluta avrebbe avuto quel tipo di incontro con il capo, o se fosse solo lui l’oggetto di tanta curiosità.

 

Poco dopo tirò un sospiro di sollievo, quando l’uomo si alzò dalla propria sedia e lo accompagnò alla porta, segnando la fine del loro incontro. L’unica cosa che aggiunse, prima di salutarlo cordialmente, fu una frase che da lí a poco avrebbe perseguitato i pensieri di Jimin.

 

“Amare non solo ci rende deboli, ma mette in pericolo le persone a cui teniamo. Ricordalo, Jimin.”




 

[Tre anni prima. – Estate 2013]

 

Per festeggiare un’importante anniversario della nascita dell’agenzia, fu data una festa in un ampio loft lussuoso. Taehyung non sapeva bene cosa stessero celebrando, quella notte, riusciva solo ad aspettare con fremito l’arrivo di Jimin, stretto nello smoking non abituato a indossare e meravigliato dall’ambiente che lo circondava. Fiori e argenteria illuminavano l’infinita stanza, che quasi l’agente non crebbe fosse un appartamento. Gli invitati erano parecchi, sebbene fossero i soliti agenti e collaboratori, quartermaster e studiosi, e riempivano in modo accogliente il grande spazio. I tavoli offrivano cibo e bevande, stuzzichini e alcool, e lo champagne veniva servito da cortesi camerieri che gentilmente passavano tra la gente impegnata a chiacchierare. Ma la gola di Taehyung era di altro tipo.

 

Salutò e si perse nei discorsi con Seoyoon e Inyeong, conosciute settimane prima, senza dimenticare tuttavia l’ansia per l’arrivo del suo migliore amico. Che non poteva più chiamare tale.

 

Avevano deciso di raggiungere il loft separatamente, Taehyung e Jimin. La decisione aveva ferito Taehyung, ma il ragazzo riuscí a non pensarci più del dovuto: dopotutto, dopo la piacevole scoperta del desiderio di Jimin di essere molto più di un amico, i due passarono mesi intensi, affiatati e piacevoli. Se non gola, poteva chiamarla Lussuria? Taehyung non ne era certo. Provava qualcosa per Jimin, qualcosa di serio. Qualcosa che comportava forse, un giorno, un anello al dito. E prima che potesse realizzare la profondità di quei sentimenti, l’agente si ritrovò catapultato nel grande punto di domanda che lui e Jimin erano diventati. Il loro legame consentiva di associare a lunghe sessioni di piacevole e inebriante sesso, una buona dose di coccole, affettuosità e fiducia. Quello che erano stati, e che sarebbero rimasti, pensava a malincuore Taehyung, rappresentava una profonda relazione da migliori amici, ora in compagnia di piacevoli attività.

 

Evitava di pensarci, Taehyung, sperando che i suoi sentimenti svanissero o che, prima o poi, Jimin avrebbe cambiato le cose. L’unica persona con cui riuscí a confidarsi fu Bogum, che lo ascoltò ammettere ogni cosa davanti a diversi bicchieri di Soju. Seoyoon, che per caso si trovava nello stesso luogo, li aveva sentiti parlare e presto anche lei finí per unirsi al club di sostegno per Taehyung e i suoi sentimenti, parecchio stretto e parecchio problematico.

 

Fu proprio lei che in quel momento gli indicò con un cenno del capo l’ingresso, avvertendolo dell’arrivo di Jimin. Taehyung si girò con il cuore in gola e vide l’affascinante giovane uomo, con cui da mesi condivideva piacere e affetto, notarlo e avvicinarsi. Park Jimin riusciva a rendere sensuale perfino una camminata di pochi metri, una mano veloce tra i capelli e un gesto di saluto. Un affascinante spettacolo sotto lo sguardo incantato di Taehyung, che si risvegliò dalla piacevole visione quando Jimin pronunciò un saluto sia a Inyeong che a Seoyoon.

 

L’atteso agente poi si piegò di lato per sussurare a Taehyung un “Sexy lo smoking.” che lo fece arrossire, seguito da una frase molto più pericolosa. “Non vedo l’ora di togliertelo.”

 

Dopo di chè Jimin sorrise innocentemente, scambiando poche parole e avviandosi verso altri ospiti, per salutarli, promettendo di tornare da Taehyung poco dopo.

 

La serata non andò come Taehyung aveva sperato. Quando il loft ebbe accolto ogni invitato previsto, un angolo dell’appartamento fu riservato a violinisti, con il compito di addolcire l’ambiente con qualche melodia. Non era previsto il ballo, ma alcune coppie, prendendo esempio da Seoyoon e la sua iniziativa di fare ondeggiare dolcemente Inyeong, si lasciarono andare alla bellezza di quelle note.

 

Jimin non aveva raggiunto Taehyung, che una volta rimasto solo, rifiutato l’invito di Inyeong di ballare in tre, venne accolto da una mano sulla spalla. Il viso famigliare di Bogum si illuminò in un saluto, seguito da domande di cortesia e discorsi su varie missioni. Decise, con grande sollievo di Taehyung, di non domandare oltre, di non toccare l’argomento Jimin, notando la tensione nello sguardo dell’agente verso le risate e le pacche amichevoli che Jimin stava regalando a Hoseok e altri colleghi.

 

Rimase sul generale, finchè potè, finché per Taehyung non fu troppo e la serata sembrava volgere verso la sua fine. Il quartermaster salutò l’amico con sorriso comprensivo, raggiungendo Inyeong e Seoyoon, mentre l’agente optò per una boccata d’aria.

 

Raggiungendo l’unica terrazza dell’appartamento, piuttosto appartata nonostante la sua posizione collegata al tavolo degli alcolici, Taehyung si porse con i gomiti sul cornicione, piegandosi e sospirando, chiudendo gli occhi e lasciandosi consolare dall’umidità che pian piano stava liberando il proprio posto per il freddo autunnale.

 

Almeno sarebbe arrivata presto la sua stagione, si consolava l’agente, disprezzando il caldo estivo e le conseguenze di esso. Non l’aveva pensata allo stesso modo due mesi prima, quando, tornati in hotel dalle calde spiagge di Busan, dal piacere e dal dolore provocato dai movimenti di Jimin, aveva urlato il suo nome tra le lenzuola. O la sera prima, quando, nella vasca per le esercitazioni di apnea, l’abbronzatura e i muscoli di Jimin erano stati sottolineati dall’acqua, una volta che l’agente era riemerso soddisfatto dalla sua performance, e Taehyung si era felicemente ritrovato in ginocchio a dar sfoggio di un suo diverso tipo di abilità.

 

Ma più pensava all’importante ruolo che il sesso aveva nella loro relazione, più la sua mente ricadeva sul fatto ovvio che non fossero in una reale relazione. Taehyung poteva negarlo, poteva non pensarci, poteva fingere. Ma sarebbe durato poco. Quei pensieri sarebbero venuti a galla, come sempre.

 

Non si preoccupava del coraggio necessario per una possibile dichiarazione, o di un’improbabile risposta negativa: percepiva che anche Jimin provava qualcosa per lui, forse non esattamente lo stesso, ma sicuramente un sentimento, che lo spingeva a baciarlo lentamente o ad intrecciare raramente le loro dita.

 

Taehyung era spaventato da altro. Dal cambiamento. Era perfetto il modo in cui lui e Jimin stavano passando quei mesi, uno dei periodi con il minor numero di litigi in tutta la storia della loro amicizia. Taehyung amava potergli stare vicino in diversi contesti: quando le cose non andavano come avrebbe voluto, lo vedeva debole e insicuro e sapeva come consolarlo; condividevano vittorie e sconfitte, gioie e momenti bui, e al sesso fine al piacere di loro stessi si univa a volte quello più calmo, più profondo.

 

Amava soprattutto quello. Gli faceva sperare in un Jimin confuso quanto lui, in una risposta positiva a una domanda che aveva paura di porgere. Ma se la paura del cambiamento lo spaventava, la situazione attuale non poteva continuare. I suoi sentimenti si stavano ribellando, richiedendo sempre di più, egoisti e insaziabili e-

 

“Tae.”

 

Jimin lo stava osservando, in piedi sulla soglia della grande porta-finestra e tenendo in una mano un bicchiere mezzo vuoto. Non avrebbe dovuto fissare di risposta, ma Taehyung non riuscí a distaccare i propri occhi dalla bellezza del giovane uomo davanti a sè, il quale iniziò a camminare verso di lui.

 

“Non ti stai divertendo?”

 

Appoggiando il bicchiere sul cornicione, Jimin si rivolse a Taehyung, che preferí in quel momento distogliere lo sguardo e mantenerlo altrove. Ovunque eccetto su Park Jimin.

 

Si morse il labbro inferiore, pensando a quante persone quella sera avevano riso o ballato con Jimin e cercò di frenare la gelosia e la possessività inappropriate. Rimase a fissare l’infinità di edifici davanti a sè, pochi quelli più alti rispetto a loro, e iniziò ad odiare seriamente il calore della serata.

 

“Non esattamente, no.”

 

“Sai, potresti.”

 

Taehyung sapeva che Jimin avrebbe risposto in quel modo. Si sentiva salire la nausea quasi a pensare di potersi accampare in qualche angolo buio dell’edificio con Jimin solo per sesso e piacere. Non si avvicinava nemmeno lontanamente a ciò che avrebbe voluto ricevere quella notte.

 

Affetto, forse? Chiarimenti e decisioni, sicuramente. Si voltò verso Jimin prendendo il respiro e guardandolo negli occhi, determinato a citare la questione che da troppo tempo aleggiava nell’aria.

 

“Jimin-ah. Seriamente.” Espirò, stanco. Jimin lo stava osservando, ma in modo diverso rispetto a poco prima. In quel momento era indecifrabile: alternava una sensazione di frenesia e impazienza, a due occhi concentrati e una bocca socchiusa curiosa di sentire la risposta. Gli stessi lineamenti della sua faccia non sapevano decidersi sul da farsi. “Lo senti anche tu che cosí non può-”

 

Lo baciò.

E per quanto i baci di Jimin fossero ormai diventati una piacevole abitudine, e dipendenza, quel contatto nascondeva qualcosa di più profondo.

Taehyung rimase immobile, labbra e occhi spalancati compresi. Percepiva come Jimin stesse cercando di comunicare ciò che provava con quel gesto e l’azione, i sentimenti corrisposti impliciti, per quanto non del tutto inaspettati, sorpresero sinceramente l’agente.

 

Sentí le dita di Jimin accarezzargli la guancia, in modo dolce e delicato, e quasi si sciolse per l’affetto provato. Taehyung avrebbe maledetto quel giorno per anni. Eppure se avesse avuto l’opportunità di tornare indietro nel tempo, non avrebbe cambiato nulla.

 

Non avrebbe chiuso gli occhi, perché grazie ad essi, fissi sul bicchiere ormai dimenticato, l’agente fu in grado di notare uno strano riflesso proveniente da lontano. Forse una leggera luce. Rossa.

 

Bastò poco tempo per far sí che la sua mente collegasse l’identità, l’origine e le conseguenze di quel riflesso. E non serví nemmeno un nanosecondo per la sua scelta. Di colpo Taehyung voltò Jimin abbracciandogli le spalle e coprendolo con il proprio corpo, facendogli da scudo per quella che sapeva essere la luce laser di un mirino.

 

Lo sparo non poteva considerarsi tale. Fu silenzioso e rapido, fece muovere a malapena il corpo di Taehyung, che già sentiva la mancanza di labbra calde sulle proprie.

 

L’agente alzò lo sguardo verso quello sconvolto di Jimin, che stava velocemente collegando ogni cosa, e sorrise. “...Continuare.”

 

Vedendo il compagno cadere a terra, senza forze, Jimin prese e puntò velocemente la pistola verso la direzione da cui era arrivato l’attacco, riuscendo a malapena a mettere a fuoco qualcosa. Probabilmente il colpevole se l’era già data a gambe.

 

Jimin si lasciò cadere a terra vicino a Taehyung, sollevandogli il collo con una mano e pressando l’altra sopra la ferita.

 

“Tae?”

 

L’immagine che Taehyung si trovò davanti agli occhi, prima che qualcosa glieli offuscasse, fu quella di un Jimin sull’orlo di una crisi, in lacrime e sconcertato, tra parole veloci e incomprensibili.

 

Si rese conto solo quando si svegliò, quattro mesi dopo, che l’immagine di Jimin impressa nella sua mente sarebbe stata, per tre anni, l’ultima.




 

[Due anni prima. – Primavera 2014]

 

“A cosa stai lavorando?”

 

Taehyung entrò nel laboratorio di Namjoon, come quasi ogni giorno all’ora di pranzo, per ricordargli di non saltare alcun pasto. Si avvicinò al tavolo dove l’amico sembrava essere concentrato davanti ad un pc e qualcosa che poteva essere sangue. L’agente trattenne una smorfia quando Namjoon lo guardò e salutò con un sorriso.

 

“Un progetto. Mi ci vorrà molto, ma sono fiducioso.”

 

“Posso farti da cavia, se serve.”

 

“Non ce n’è bisogno. Non mi fido ancora di me stesso.” Ridendo, Namjoon ricordò a Taehyung il motivo per cui i due avevano fatto amicizia velocemente. “Non sopporterei di mettere a rischio vite altrui. Comunque, tutto bene?”

 

Altruista e riservato, Kim Namjoon rappresentava una delle persone più leali, umili e sincere dell’agenzia. Lavorava da anni nel settore ma Taehyung l’aveva conosciuto solo il giorno in cui era stato dimesso dall’ospedale, dopo le sue ultime analisi.

 

I due avevano instaurato da subito un semplice ma forte legame, e il giovane dottore aiutò l’agente a superare il periodo di crisi che succedette il suo risveglio dal coma. Taehyung infatti non ricevette alcuna visita, se non da Seoyoon e Bogum, durante la sua convalescenza in ospedale; gli era stato detto che Jimin non si era mai presentato in quella sala dopo il primo giorno in cui lo avevano operato e ricoverato d’urgenza.

 

Fu difficile per l’agente comprendere il motivo per cui Jimin avesse smesso di volerlo vedere, ma presto l’odio e il rancore si fecero strada nel suo cuore. In altre occasione forse sarebbe stato preoccupato per lui, ma quando Seoyoon gli riferí che Jimin aveva ripreso il proprio lavoro senza problemi, chiedendo semplicemente un trasferimento in un’altra unità, Taehyung smise si sperare.

 

Namjoon continuava a consigliargli la via dell’indifferenza, pensando al futuro e ai propri obiettivi, eliminando i pensieri negativi, eppure ogni volta che il nuovo saggio amico gli chiedeva come stava, Taehyung rispondeva in un modo che nascondeva molto più dolore del sarcasmo.

 

“Una meraviglia.”

 

“Dottor Ki- oh, agente Kim!” Minyeong, l’apprendista segretaria di Jin, si fece strada nel laboratorio e notò la presenza dell’agente. “Perfetto, é quì anche lei. Dottore, per lei.”

 

Consegnò a Namjoon una lettera, per poi voltarsi verso Taehyung e porgergli una modesta scatola, contornata da un fiocco bordeaux.

 

“Questo é per te, Taehyung.”

 

L’agente guardò il regalo con un’espressione quasi inorridita. “Da parte di chi?”

 

“Non c’era nessun biglietto. Ma penso tu lo sappia.”

 

Senza aggiungere altro, Minyeong uscí dalla stanza, lasciando Taehyung e Namjoon in silenzio. Entrambi sapevano bene da chi potesse essere arrivato il regalo, ma nessuno dei due ebbe il coraggio di nominarlo.

 

“Non hai intenzione di aprirlo?” A quel punto parlò il cuore buono del giovane dottore, il quale si era alzato e aveva raggiunto l’amico, appoggiandosi su uno dei tavoli. “Tae, sei sicuro…”

 

“Non voglio parlarne.”

 

Taehyung sentiva le voci che giravano riguardo Jimin, su come avesse iniziato a cambiare, sul suo comportamento sempre più narcisista. Tutto ciò aiutava ad alleggerire il senso di colpa dell’odio provato dall’agente, che non poteva fare altro che disprezzare l’unica persona che gli aveva fatto false promesse.

 

“Forse dovreste.”  

 

Voltandosi per fissare Namjoon e convincerlo del suo pessimo umore a riguardo, Taehyung notò la tristezza negli occhi dell’amico e iniziò a preoccuparsi.

 

“Hanno appiccato un incendio nella residenza dei Jung.”  Taehyung continuava a non capire. Come una notizia da telegiornale potesse essere collegata a lui o a Jimin.

 

“La casa di Hoseok.”




 

All’uscita dell’headquarter, Taehyung si decise a scartare quel misterioso regalo. Aprendo lentamente la scatola di cartone, l’agente scoprí il contenuto: una sciarpa color bordeaux, di lana, era piegata in modo perfetto all’interno del contenitore.

 

Prendendola e avvicinandola al viso, Taehyung percepí un forte profumo che gli ricordò Jimin. Eppure gli parve strano e impossibile che la stessa persona che lo aveva evitato da mesi potesse inviargli un regalo; avrebbe voluto solamente buttarlo nella spazzatura, scatola e sciarpa compresa. I suoi pensieri vagarono verso Hoseok e i ricordi del ragazzo, aveva sentito che il quartermaster più abile dell’agenzia si era licenziato durante la sua convalescenza, ma non ne scoprí mai il motivo. Nonostante la loro conoscenza fosse stata limitata, il rapporto che Hoseok aveva instaurato con Jimin era stato importante e la sua improvvisa scomparsa chissà cosa avrebbe scatenato nell’agente-

 

“Taehyung-ah!”

 

Namjoon lo distolse dai pensieri, riportandolo alla realtà e facendolo voltare verso la porta, dove l’amico era intento ad indossare, giustamente, un cappotto pesante, prima di uscire. Dopottutto fuori era inverno.

 

“Buon compleanno.”




 

[Due anni prima. – Inverno 2014/2015]

 

“A 11 anni scappai dall’orfanotrofio in cui vivevo. Con i risparmi comprai un biglietto per Seoul. Non mi aspettai di trovare tanta differenza tra Busan e la capitale, eppure mi adattai. Mi spostai a Incheon per cercare un posto in cui vivere, inutilmente. Con i pochi soldi che riuscivo a guadagnare rubando per conto di qualche cliente sopravvivevo, ma avevo bisogno di un cambiamento. Di stabilità.”  “Un giorno, in uno di quelli dove i criminali per cui lavoravo decidevano che una bocca in piú da sfamare non valesse la spesa e il rischio, scappai con il volto sanguinante verso il nulla, senza una meta, lasciandomi cadere stremato al lato di una stradina deserta. Calò il buio e iniziò a tuonare, piovendo a dirotto, e pensai che presto sarebbe stata la mia fine: solo senza un soldo o un pezzo di pane. La gente che passava mi scambiava per un senzatetto, evitandomi schifata.”

 

Taehyung e Namjoon ascoltavano attentamente il racconto del ragazzo, nonostante i tre bicchierini di soju ormai in circolo.

 

“Ad un certo punto vidi correre per strada una bambina. Sembrava avere la mia età e quando si accorse che la stavo fissando, cambiò direzione per avvicinarsi a me e parlarmi. Ricordo che i boccoli bagnati e spettinati le circondavano il viso in maniera buffa e che la prima cosa che mi disse fu ‘Come ti chiami?’. Non si chiese il motivo per cui avessi il viso riempito di botte e sangue o la ragione della mia presenza in quel luogo. Le risposi sinceramente, iniziando un discorso inutile che per l’età che avevo rappresentava una tranquilla introduzione. La ragazzina se ne andò poco dopo e io mi rassegnai al destino, coprendomi le ginocchia con le braccia per il freddo che si stava creando. Al tempo non ricordai bene se percepii prima la coperta sulle mie spalle o il braccio teso in segno di aiuto, ma la persona che mi ritrovai davanti appena ebbi alzato lo sguardo fu sempre lei, la bambina di quella sera. In silenzio, mi aiutò ad alzarmi e camminare, fino a raggiungere la porta di una casa poco lontana: mi fece stendere su quello che pensai fosse il suo divano di casa e mi diede del cibo, senza mai chiedermi altro.”

 

Namjoon sembrò sorpreso dalla gentilezza della bambina del racconto, ma non interruppe il discorso, mentre Taehyung continuò a guardare e ascoltare il giovane agente davanti a loro, chiedendosi però come avesse fatto un diciottenne ad ordinare soju.

 

“Dopo un weekend di febbre, la ragazzina mi spiegò che se avessi voluto avrei potuto vivere in quella casa, a patto di non farmi sentire e rimanere nel seminterrato quando lei non si sarebbe trovata sola. Accettai senza pensarci due volte, iniziando da quel giorno ad aiutarla nelle faccende di casa per contribuire alla sua ospitalità. Passammo molto tempo insieme e cominciai a imparare il suo nome, Aejeong, i suoi interessi e cosa la facesse arrabbiare; riconobbi i passi sul pavimento di una seconda persona, poche volte accompagnati da quelli di una terza, e non feci mai domande riguardo la sua famiglia o riguardo il perchè non andasse a scuola. Aejeong mi trattava come un fratello e fui abituato a quella sensazione: presto mi attaccai emotivamente a tutto ciò che rappresentava, e cercai di renderla felice tanto quanto lei aveva reso me.”

 

Taehyung cercò di non trovare similitudini con il suo antico rapporto e il racconto del ragazzo, concentrandosi sui veri protagonisti della storia.

 

“Avevamo questa abitudine di cucinare insieme, mangiare un tipo preciso di barrette di cioccolato e chiamarci JeongJeong e Kook, cambiando e invertendo i caratteri dei nostri nomi.” Il giovane moro si perse in una leggera risatina, per poi riprendere il racconto. “Fu un periodo felice, trascorsi un anno e mezzo a vivere in modo semplice e spensierato, finchè un giorno mi svegliai in una casa vuota. Era capitato piú volte che Aejeong la mattina non fosse presente, ma quel giorno non mise affatto piede nella sua stessa casa. Trovai un bigliettino ai piedi della porta d’ingresso. ‘Mi spiace. Sono dovuta partire. Mi mancherai.’ Tre semplici frasi che mi spezzarono il cuore. Ero troppo piccolo per veder svanire qualcuno in quel modo. Rimasi in quella casa per due anni, iniziando a picchiare per soldi e non trovando gravi difficoltà economiche. Finchè non sentii una sera un ragazzo parlare dell’agenzia, lamentandosi dei requisiti senza i quali non poteva far domanda: erano tutte abilità che già possedevo, perché non tentare la sorte? Ed eccomi quí, un diciottenne che aspetta la sua prima missione.”

 

Namjoon e Taehyung non avrebbero mai immaginato di poter fare amicizia ad un funerale. Per di più, non sicuramente dopo un funerale e diversi bicchieri di soju. E a completare il quadro di inaspettate novità vi era l’età e la strana profondità emotiva del ragazzo davanti a loro.

 

Eppure, fu ciò che successe.

 

Al funerale del loro capo furono invitati tutti gli agenti, quartermaster, collaboratori, e principianti. Che fossero attivi o meno. La cerimonia fu breve e senza lacrime, come si poteva ben aspettare da un esercito di figliastri addestrati a provare meno sentimenti possibili.

 

“Tae ha iniziato poco prima dei 19, dai tempo al tempo. Non conosco agente che abbia ricevuto il suo primo incarico ai 18 anni, forse Park-” Un Kim Namjoon brillo era un Kim Namjoon senza filtri. Ma Taehyung lo rassicurò con una pacca sulla spalla: Park Jimin era storia vecchia. L’agente non avrebbe mai ammesso di aver cercato per tutto il tardo pomeriggio il volto dell’ex-compagno tra la gente.

 

“Nessun Park, nessun discorso sul passato o sulle missioni. Penso che sia doveroso prenderci una vacanza.”

 

Gli occhi del giovane dottore si illuminarono. “Una pausa, giusto.”

 

Taehyung sorrise e ammiccò in modo complice. “Hai in mente qualcosa?”

 

Un leggero colpo di tosse riportò l’attenzione dei due amici al terzo ragazzo presente, che in quel momento li stava guardando inconsciamente con l’espressione più pietosa e allo stesso tempo adorabile che un agente allenato e serio potesse avere.

 

Ancora una volta il cuore di Namjoon non resse.

 

“Ho un amico, a Vienna…”



 

[Pochi mesi prima. – Autunno 2016]

 

Hobi-hyung

Non fidarti di nessuno.

 

Quando tutte le certezze crollarono e un sms lo mise in guardia riguardo il luogo in cui viveva e le persone per cui lavorava, nonostante si ritenesse l’agente migliore, temprato alla sensibilità, altruismo e affetto, Jimin finí per credere solamente alla parte più profonda di se stesso. Decise di ripartire dalle proprie radici.

 

Dall’unica persona di cui ciecamente si sarebbe sempre fidato.



 

(Fine Flashback)

   
 
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