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Autore: lrhdruvk    05/06/2018    0 recensioni
A Luke Hemmings, ragazzino di diciassette anni e malato di tumore, rimane solamente un mese di vita. Con la sua famiglia, decide di trascorrere gli ultimi giorni in una località italiana, dove farà la conoscenza di Michael. Tra i due nascerà una relazione che porterà Luke a superare i dolori per la malattia, anche se il tempo starà giungendo al termine.
Tra conti alla rovescia, ricordi, sensazioni ed emozioni nuove, Luke si ritroverà a lottare contro un tempo fin troppo veloce, sperando che i suoi diciassette anni ne siano valsi la pena.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A 17 anni non ti chiedi come passare l'ultimo mese di vita, sperando che sia più lungo di quanto sembri.
A 17 anni pensi a divertirti, a fare cazzate, nuove amicizie, nuovi amori.
A 17 anni ti lamenti della scuola, oppure stai studiando, o stai pensando a cosa andare a vedere al cinema, o dove passare le prossime vacanze d'estate.
A 17 anni vivi di spensieratezza, non ti importa delle conseguenze, non hai troppe responsabilità.
A 17 anni stai per prendere la patente, stai crescendo, stai maturando.
Luke, invece, stava seduto a testa china su una sedia rossa di plastica, in una sala d'attesta. L'odore di disinfettante e medicinale alleggiava nell'aria, soffocando le pareti e distribuendo tristezza e tensione ad ogni ospite dell'edificio. Il ragazzo cominció a torturarsi le dita, giocando nervoso con un anellino di acciaio all'indice.
Era da tutta la mattina che stava pigramente seduto su quella seggiola scomoda, persa in una stanza troppo vuota per calmare l'animo turbato di chi aspetta una notizia importante. Sua madre era a lavoro in quel momento, suo padre stava tenendo d'occhio Joe, il suo fratellino, a casa e quindi non poteva raggiungerlo. Non volevano che il piccolo stesse ad annoiarsi in un ospedale. Soprattutto a vedere suo fratello che moriva di ansia e, più di ogni altra cosa, a causa della malattia.
Quando finalmente una giovane donna irruppe nell'ambiente e lo chiamò per nome, Luke si sentì fremere da una lunga sessione di brividi. Non voleva ricevere brutte notizie, ma l'ottimismo aveva lasciato il suo corpo da un paio di anni ormai, quando si era ammalato.
Una volta che si fu seduto ancora, diversamente dalla precedente era una sedia imbottita, decisamente più comoda, sollevò lo sguardo per cercare un accenno di sicurezza in quello del medico accomodato difronte a lui. Ma, quando lo guardò, riconobbe solo amarezza, e il cuore del giovane si fermò in un istante. Senza perdere quel coraggio che lo aveva sempre caratterizzato, Luke accennó un lento consenso al medico che cominció a spiegare, come se stesse aspettando proprio quell'incitamento da parte del paziente. Il diciassettenne ascoltó ogni parola in un silenzio doloroso. Capì gli scarsi effetti dei medicinali su di lui, comprese la gravità disarmante della sua malattia, e per poco non emise un singhiozzo privo di lacrime quando il primario accennò al tempo scarso che valeva la sua vita.
Perché ora Luke aveva una data di scadenza.
La sua malattia lo aveva portato ad una fine precoce, che fino a quel momento si sperava fosse un pensiero lontano.
Dopo un intera ora, dove il ragazzo aveva assimilato la nuova notizia e aveva firmato il dimesso da quell'ospedale, salutó cordialmente l'uomo più anziano ed uscì dall'ufficio, col viso completamente intatto. Non aveva pianto, non aveva avuto alcun tipo di reazione esteriore.
Dentro, credeva di essere già morto da tempo.

A 17 anni non invidi la vita degli altri solo perché è più lunga, o perché sana.
A 17 anni inizi a pensare ad un futuro, ma Luke un futuro a cui pensare non l'aveva più.

Meno 26 giorni
"Ne sei sicuro?" chiese Liz a suo figlio maggiore, con un accenno di rammarico sul viso. Forse la donna pensava che non sapesse nulla, ma Luke era a conoscenza di tutti i pianti quotidiani che faceva la madre e lui restava a sentirla singhiozzare impassibile. Non perché non le volesse bene, ma perché si era convinto che un distacco da lei, già da subito, potesse servire a far diminuire il dolore che avrebbe provato quando la morte lo avrebbe raggiunto davvero. Sapeva che l'amore di una madre per il proprio figlio non cessava mai, ma sperava che con la sua lontananza, quello di Liz sarebbe un minimo diminuita, giusto per alleggerire la mancanza.
"Sono sicurissimo" le rispose, appoggiandosi l'enorme borsone da palestra su una spalla, sussultando per il peso. Lo trascinò a fatica fino alla porta d'ingresso, imprecando sottovoce.
È la borsa troppo pesante, o io sono già così debole?, pensó.
"Vuoi dare a me?" chiese il padre, un uomo alto, con della bionda barbetta poco curata a graffiare la pelle e le leggere rughe ai lati degli occhi a evidenziarne l'età. Luke non vedeva suo padre sorridere da tanto tempo e questo influiva sul loro rapporto, di risoluta serietà e tristezza. Anche con lui il ragazzo provava a stargli il più lontano possibile.
"È okay, posso farcela." lo tranquillizzò, nascondendo lo sforzo dietro una maschera sorridente.
Il piccolo Joe corse urlando per il corridoio della casa, precipitando senza esitazione addosso al fratello, che perse l'equilibrio e cadde di schiena, ritrovandosi il bimbo e il borsone a sotterrarlo. Subito i genitori corsero al soccorso, ma si bloccarono di colpo, sorpresi.
Luke stava ridendo liberamente, solleticando Joe che, per avere 5 anni, era tremendamente pesante.
"Andiamo in Italia!" esultó quest'ultimo, e a quelle parole Luke si convinse di aver preso la scelta giusta.
Passare gli ultimi giorni della sua vita in un luogo speciale.

Quando hai il conto alla rovescia per la fine della tua vita, ogni secondo risulta prezioso. Per questo, anche in quel momento, Luke si innervosì della lentezza dell'aereo, che magari andava alla velocità giusta che doveva seguire, ma che al ragazzo sembrava troppo lento comunque.
Non posso sprecare tempo.
Una volta atterrati, la famiglia Hemmings ci mise meno di mezz'ora a correre fuori dall'aeroporto, colti da un entusiasmo nuovo che li prese alla sprovvista. Appena messo piede fuori, una brezza marina calda e violenta scosse i loro corpi, facendo ridere il diciassettenne per la sensazione. Poteva già sperimentare i brividi lungo le braccia scoperte, e ne ringrazió la sensazione, perché lo faceva sentire più vivo di quel che ormai percepiva di essere.

Meno 25 giorni
Luke, quando era un bimbo, sognava di crescere e diventare una persona importante. Voleva diventare qualcuno che la gente avrebbe amato, ma non per il suo aspetto. Lui voleva che la gente lo trovasse una brava persona e, soprattutto, una di quelle su cui fare affidamento. Aveva sempre creduto che la fiducia, tra vari individui, fosse la cosa più importante per la base di un buon rapporto.
Sarà stato perché lui non aveva mai avuto grandi amicizie, tanto meno relazioni tipo fidanzamenti, il motivo per cui puntava molto su questo suo futuro ideale pieno di persone che gli volevano bene e si fidavano di lui.
Poi, col tempo, aveva scoperto che per quanto si impegnasse, chi lo circondava semplicemente lo ignorava. E, sempre col tempo, aveva imparato a non dargli più troppo peso e a continuare la sua vita anche se in solitudine. La solitudine, come la considerava lui, era una brutta malattia. Difficile da curare e dolorosa. In seguito era arrivata la vera malattia e tutto ciò che si era creato nella sua testa per stare meglio era scomparso.
Stupidamente aveva creduto che l'essere solo fosse una cosa faticosa da accettare e difficile e quando la realtà lo aveva colpito in piena faccia era scoppiato in lacrime all'idea di non aver capito prima i veri valori della vita.
Come il tempo.
Tutto quel tempo che aveva sprecato a pensare ad un futuro, uno tanto ipotetico e irrealizzabile, a tentare di realizzarlo, a soffrire per la sconfitta. Tutto quel tempo che avrebbe dovuto spendere pensando solo a vivere la vita al momento per godersi al meglio i piaceri che gli venivano offerti.
Si disperava ormai, mentre con i piedi affondava nella sabbia bollente di una spiaggia deserta. Stava solo anche lì, ma non gli dava più alcun fastidio. Credeva invece che la migliore compagnia fossero i suoi pensieri e la natura bellissima che lo circondava. Non avrebbero giudicato o protestato troppo, i suoi pensieri perché si erano stancati di farlo, la natura perché era pacifica nel suo silenzio incontrastato. E forse finalmente si stava godendo il difetto di essere se stesso e di non poter cambiare, almeno fino a quando una voce roca non lo raggiunse.
"Ciao."
Osservó senza espressioni il ragazzo rigido davanti a lui, che tentava incapace un sorriso, nonostante il suo corpo fosse teso come una corda di violino. Luke non riuscì a fermarsi dall'osservarlo per intero, partendo dai capelli colorati del ragazzo fino ai piedi scalzi coperti di sabbia. Quando si fermò sulle sue labbra si leccò le proprie, colto da un'improvvisa voglia di sentirle al tatto. Non sapeva come, ma voleva vedere se la morbidezza che percepiva fosse reale o meno. Quando puntò i suoi occhi in quelli verdi dello sconosciuto credette che le sue guance fossero vittime di un incendio e che quel calore si fosse propagato lungo tutto il corpo.
Represse un brivido.
"Ciao." salutó di rimando, tentando anche lui un sorriso.
E tutto iniziò lì. Due naufraghi in cerca di salvezza, che stavano lottando per un po' di sollievo. Ancora non lo sapevano, ma quel briciolo di coraggio che aveva portato Michael a parlargli, e la curiosità che aveva spinto Luke a rispondere, li avrebbe condotti in una spirale di piaceri e promesse che avrebbero realizzato finalmente il sogno di Luke di essere importante per qualcuno.

Meno 15 giorni
L'orologio intonava i secondi che passavano con una fretta fastidiosa, costringendo Luke a nascondere il viso contro il petto di Michael, che come risposta gli avvolse le braccia attorno al busto e lo strinse di più a sé.
Quando non ti stabiliscono il giorno del giudizio, un paio di minuti sono irrilevanti e i concetti si amplificano oltre il loro reale significato. Come ad esempio quando Michael gli aveva confessato di essersi appena trasferito, Luke si ritrovò a soppesare quella parola di sei lettere che per lui, sedici giorni prima aveva avuto tutt'altro significato rispetto a come lo vedeva adesso. Pensò che un semplice 'appena' poteva già contenere varie opzioni.
Per lui, un appena equivaleva a un cortissimo lasso di tempo, formato da qualche secondo, forse nemmeno superava un minuto. Per il tinto, invece, un appena poteva anche significare tre o quattro mesi, uno spazio temporale che provocó un brutto senso di mancanza in Luke.
Perché lui tutto quel tempo non poteva averlo.
E Luke odiava con tutto se stesso quel suo nuovo modo di vedere il mondo.
I sogni? Una perdita di tempo prezioso.
L'immaginazione? Una perdita di tempo prezioso.
La consapevolezza? Un atto svolto a velocizzare i pensieri, un vizio di Luke, che risultava anch'esso una perdita di tempo.
Tempo, tempo, tempo....ne era così ossessionato da odiare anche la stessa parola a furia di pensarla. Eppure, Luke avrebbe dovuto ringraziare quella velocità che percepiva arrivare dal ticchettio insistente dell'orologio, perché non voleva illudersi di avere più tempo di quello che gli era stato concesso. Non voleva rifarsi delle speranze che fino a quel momento lo avevano portato a soffrire per vari sogni infranti, se non tutti. Spesso si colpevolizzava anche di sperare in quei sogni così tanto.
Poi, con la più possibile naturalezza che possedeva, sollevò il viso per incontrare lo sguardo rassicurante di Michael. Gli sorrise, perché di colpo ogni dolore scomparve e venne sostituito da un senso di pace appagante, che a quanto pareva solo il tinto che lo stringeva tra le braccia era in grado di dargli.
"Grazie."
"Per cosa, biondino?"
"Per farmi sentire così bene."
E fu lì che si diedero il loro primo bacio, rotolando impacciati giù dal divano su cui erano sdraiati e ridendo sereni.

Meno 13 giorni
La menzogna porta guai, si era sempre ripetuto Luke da anni. Non capiva perché la sincerità spaventava così tanto le persone, che vedeva spesso mentire. Credeva fermamente che le bugie fossero mezzi tipicamente egoistici, dette con il solo scopo di evitare un qualcosa che avrebbe rovinato il benessere dell'interlocutore.
Invece, Luke dovette ricredersi quando Michael gli aveva chiesto se stava male, mentre gli accarezzava i capelli durante uno degli attracchi di dolore al ventre che colpiva il giovane mediamente tre volte al giorno. Erano entrambi seduti a terra, nella stanza d'albergo del biondino, e Michael lo teneva teneramente poggiato contro il proprio petto, abbracciandolo da dietro e intrecciando le gambe con le sue.
La menzogna porta guai, si ripeté nella mente Luke ancora una volta, ma in quel momento non riuscì a dirgli la verità perché era spaventato. Non per se stesso, ma per come l'avrebbe presa il suo ragazzo. Odiava l'idea che la bellezza del loro rapporto si potesse spezzare così, dal nulla. La sua malattia gli aveva già portato via tutto ciò che di più bello potesse avere, almeno Michael desiderava tenerselo. Ne aveva tremendamente bisogno per non impazzire contando i giorni che gli mancavano alla fine.
"Si." concluse poi, arrendendosi alla fatto che tanto, prima o poi, la verità sarebbe saltata fuori e se fosse stato troppo tardi, Michael avrebbe sofferto maggiormente.
"Cos'hai?"
"Una malattia incurabile."
Seguì un silenzio che si mangió il tempo che Luke riteneva indispensabile, però quella volta non pensò che fosse uno spreco. Era necessario.
"Che malattia?" chiese il tinto con voce soffocata. Luke, senza guardarlo in viso, poté immaginarsi il dolore come espressione dell'altro e i suoi occhi lucidi di lacrime, perché era così che avrebbe descritto se stesso se si fosse visto in uno specchio. E non conosceva altro modo per reagire ad una notizia del genere.
"Tumore al fegato."
Michael scoppiò in un pianto sonoro, che scosse il corpo di Luke, stretto ancora fra le sue braccia. Lo strinse con più forza, tanto che il più piccolo credette si sarebbe spezzato da un momento all'altro, ma lo lasciò fare, perché in fondo gli piaceva.
Ingenuamente credette che, avvolto così forte tra le sue braccia, sarebbe riuscito a proteggersi anche dalla morte.
"No...no, non è giusto..." borbottava tristemente Michael col corpo scosso dai singhiozzi.
"Ssh..." tentò di calmarlo Luke, girandosi dalla sua parte per baciargli leggermente le labbra. Michael a quel tocco pianse di più, se possibile, e fece sparire la dolcezza di quel bacio spingendo con violenza la bocca contro quella di Luke. Il biondo poté percepire la disperazione, eppure non era paragonabile alla sua, forse un po' arrugginita dall'uso insistente.

Quella sera Michael si ostinò a non lasciarlo solo e così dormirono insieme, senza la minima intenzioni di lasciarsi andare. Quando il mattino dopo Luke si svegliò a causa della luce accecante del sole, notò di essere praticamente sdraiato sopra il suo ragazzo e il senso di pace che gli procurava Michael lo investì ancora una volta.
E nonostante la malattia che lo stava logorando pian piano da dentro, Luke si sentì bene.

Meno 9 giorni
I genitori di Luke si erano lasciati andare al dolore, ma questo il ragazzo poteva averlo costatato da tempo ormai. Per quanto potesse fargli male vederli soffrire così tanto, di una cosa riuscì a rasserenarsi: i suoi genitori sembravano più uniti che mai. Luke pensava che fosse un modo per sostenersi a vicenda, preparandosi al giorno fatidico in cui il loro figlio maggiore avrebbe abbandonato il mondo dei vivi. Lui sperava solo che dopo la sua morte i due sarebbero stati bene, perché nonostante tutto Joe sarebbe rimasto e avrebbe avuto bisogno di tutto l'amore possibile, non della tristezza. Il suo fratellino tanto adorato.
Lo aveva portato in giro in ogni dove in quel villaggio al mare, e il piccolo tanto sorridente si lasciava portare ovunque stringendo una manina con quella di Luke e l'altra con quella di Michael. Le passeggiate erano sempre interminabili e sembrava giovare a tutti e tre, che trasportati dalla brezza marina di quel luogo meraviglioso italiano, sentivano di avere tutto sotto controllo e di poter fare qualsiasi cosa.
Purtroppo il peso della verità era troppo pesante sulle sue spalle per fargli credere di essere tornato a vivere come una volta. Perché ormai era solo questione di giorni, e ne mancavano esattamente nove alla data che aveva previsto il suo medico.

"Michael?" richiamò il più grande, facendolo correre in ansia dalla cucina fino a letto dove stava tranquillamente sdraiato Luke. Alla vista del viso contratto del tinto, il ragazzo non riuscì a trattenersi dal ridergli in faccia, facendo corrucciare nel giro di due secondi l'espressione di Michael. Luke si alzò e lo raggiunse, poi massaggió con le dita la fossetta tra le sopracciglia del suo ragazzo, spianandole e facendo tornare la serenità su quel viso. Allora Michael si rilassó e avvolse le braccia dietro Luke, accarezzandogli impercettibilmente la schiena. Gli bació delicatamente le labbra, impazzendo per il suo sapore e desiderandone ancora. In un battito di ciglia si trovarono distesi sul letto, Luke sotto il comando di Michael. Quest'ultimo cominció a spogliarlo, baciandolo sulle clavicole e sul collo, dove morse un lembo di pelle e ci soffió sopra, facendo perdere definitivamente la testa a Luke. Si spogliò anche lui, gettando i vestiti alla rinfusa sul pavimento. Completamente nudi si contemplarono. Gli occhi blu di Luke bruciavano sulla pelle pallida di Michael, mentre con attenzione scrutava ogni dettaglio del suo corpo. Usava anche le dita, per imprimersi al meglio ogni particolare, e lo stesso fece Michael. Ogni tanto si stuzzicavano, ansimavano e sorridevano. Il tempo tanto frettoloso e odiato da Luke sembró fermarsi quando finalmente Michael fece suo il più piccolo.
"Mio.." sussurrò al suo orecchio, aspettando che il dolore del biondino si trasformasse in piacere, cosa che avvenne subito.
"Ogni cosa di me è già tua e lo è stata fin da subito." si ritrovò in dovere di rispondere Luke.
Michael percepì un vuoto all'inizio dello stomaco e per la prima volta credette all'esistenza delle famose 'farfalle'.

Dispersi nell'intruglio di lenzuola bianche e cuscini, Michael stava coccolando Luke, appisolato sul suo petto. Cercò di memorizzare nella mente i suoi respiri calmi, la bocca semiaperta e rilassata, il modo in cui strofinava teneramente il viso sul suo petto, come a fare le fusa, senza neanche aprire gli occhi.
"Buongiorno." lo salutò, appena, con una smorfia adorabile, Luke aprì i suoi bellissimi occhi blu e fissò per un po' la stanza.
"Giorno" gli rispose finalmente cosciente. Gli regalò uno dei migliori sorrisi che il tinto pensò di aver mai visto, e gli insetti colorati tanto fastidiosi ricominciarono a svolazzare nel suo stomaco. Come avrebbe fatto a sopportare la fine di tutta quella perfezione?

Meno 5 giorni
Un vizio di Luke era quello di controllare per bene la scadenza di un prodotto prima di decidersi a mangiarlo.
Era strano, ma anche se mancava un giorno, lui non riusciva a ingerirlo, totalmente spaventato. Sarà stata una sua fobia, ma era completamente terrorizzato da una possibile intossicazione alimentare.
Il problema, ora, era che lui si sentiva esattamente come quel cibo, nella giusta via verso la scadenza. Il fatto era che la sua fobia si era trasformata dall'avere un' intossicazione alimentare ad esserne la causa.
Michael, ad esempio, era pronto a finire il prodotto nonostante questo sia sul punto di scadere. Si sarebbe preso un bel malanno che lo avrebbe perseguitato per un po', facendolo soffrire. Peccato che quello che stava succedendo era ben diverso da un intossicazione alimentare, e che con tutta probabilità la sofferenza di Michael si sarebbe prolungata a tempi indeterminati.
E non importa quanto sia buono o delizioso il prodotto, farà male comunque.
"Michael, stammi lontano." urlava Luke, mentre un' ondata di disperazione lo portava a tirarsi i capelli e a piangere.
"Ti ho detto di no!" rispondeva con decisione Michael, che ostinato tentó di allungare una mano per recuperare la sua felicità sotto forma di ragazzino diciassettenne. Sembrava essere partito tutto nei migliori dei modi, con la luna piena e le stelle luminose nel cielo, a riflettere le loro luci sulla distesa calma del mare che era pronto a cullare la passione dei due amanti.
La sabbia e la stanchezza impedirono a Luke di correre veloce, ma riuscì comunque ad allontanarsi dalla persona che aveva capito di amare con tutto se stesso, che rimase fermo sul posto a lasciarsi divorare dai dubbi e dalla tristezza.
Penserà che è colpa sua, che non mi piace o che mi sono stancato. Forse si odierà, eppure meglio questo che saperlo cadere a pezzi a causa mia, o meglio, della mia malattia. Ha già fatto troppe vittime, almeno lui deve essere risparmiato.
Continuando a piangere, cosa che si era abituato a fare, cercò di rassegnarsi alla cruda realtà e a sprofondare nel buio che era diventato il suo cuore.

Meno 1 giorno
Sarebbero mancati esattamente dieci mesi al suo diciottesimo compleanno, giorno in cui finalmente avrebbe sentito di essere cresciuto, di essere un adulto. In tutta onestà, non aveva mai provato grande interesse per quel fatidico evento. Pensava fosse tutto una trappola, una tenaglia di ferro che appena finita l'adolescenza gli avrebbe morso con forza la gamba e che con una calma risoluta l'avrebbe portato al confine con la pazzia.
Aveva sempre osservato il mondo degli adulti, i loro modi di fare, le parole e i pensieri. Si era sentito tremendamente diverso, nemmeno pronto per superare il confine e ritrovarsi catapultato tra di loro, così, senza un minimo di preparazione.
Miseriaccia, non gli avrebbero dato nemmeno il libretto delle istruzioni.
Osservava con circospezione tutte le gesta degli adulti, con occhio critico indugiava sulle loro azioni e poi ne commentava gli effetti. Non aveva mai desiderato raggiungere quel momento o essere uno di loro, come spiegato proprio adesso, ma Luke, osservando quel dito indice sollevato in aria ad avvisare, senza coscienza, che mancava un solo giorno al suo ultimo respiro da vivente, si ritrovò a desiderare con tutta la sua anima che quel futuro fosse già arrivato e che l'avesse già vissuto appieno.
Odiava a morte, ironia della sorte, la fugacità del tempo che sembrava aver già raggiunto il suo obiettivo.
Luke in quei quattro giorni si era reso conto di un paio di cose.
Per primo, non riusciva più a sopportare la solitudine che lo aveva da sempre accompagnato nella crescita. Completamente pentito, era corso indietro da Michael e si era aggrappato a lui, chiedendo disperatamente di non essere lasciato andare via mano nella mano con il tristo Mietitore. Si sentiva tremendamente egoista per aver riportato Michael sul baratro della tristezza infinita dove erano già stati posti i suoi genitori, eppure non riusciva a convincersi del tutto, come aveva creduto di fare giorni prima.
Per secondo, si era reso conto che non avrebbe più rivisto la sua città, la sua scuola, i cani della vicina, le querce del parco. Non avrebbe più risentito il buonissimo profumo dei gelsomini in primavera, il pane caldo appena sfornato, lo smog delle strade affollate, il profumo dei libri. Non avrebbe più risentito le risate di suo fratello, la sveglia la mattina, i clacson e le urla degli autisti, i 'din don' d'entrata dei negozi, la sua musica adorata, le campane a festa, il russare di suo padre, il fruscio rilassante del vento tra le foglie.
E tutta questa consapevolezza faceva fin troppo male.

Legava forte la mano di Michael, seduti con i piedi a penzoloni dal terrazzo dell'hotel. Stringeva i denti, soffocando i gemiti di dolore che gli partivano dal petto, dove il fegato aveva ripreso a manifestarsi in tutto il suo difetto da malato. Ormai non funzionava più e il biondo per questo era dimagrito tantissimo, faceva fatica anche solo ad alzarsi dal letto, la febbre lo aveva colpito ad intervalli regolari e il suo ventre si era gonfiato spaventosamente. Nonostante questo, però, Michael era rimasto e Luke gliene fu davvero grato.
Quando il dolore maggiore sembrò attenuarsi, appoggiò la testa sulla spalla del più grande.
Si era follemente innamorato di lui, come se potesse permetterselo. Finalmente aveva trovato qualcuno che amava e da cui riceveva lo stesso amore e il suo tempo era giunto al termine, privandolo definitivamente di ogni piacere. Luke non voleva perdere più tempo, respirando a fatica prese il viso liscio del tinto e lo fece girare dalla sua parte per baciarlo piano sulle labbra.
"Ti amo" gli disse, gli occhi quasi chiusi a causa della fatica che sentiva da giorni.
"Anche io." disse l'altro, la voce spezzata dal rimpianto nel vedere il suo amato ridotto in quelle condizioni.
"Ti prego, Michael..." proruppe Luke, con già un piede nella fossa, "dimmelo come se fosse l'ultima volta, come se domani potesse finire il mondo e questa fosse l'ultima occasione per farlo. Dimmelo come se mi stessi tenendo per mano mentre sto cadendo in un buco nero e che la stretta si è ormai sciolta. Dimmelo come una promessa eterna." e non riuscì più a trattenere le lacrime che portarono con loro, lungo il tragitto, tutta la realtà nascosta dietro quelle parole.
"Ti amo, Luke." disse Michael con una sincerità e una convinzione tale che il diciassettenne credette di riuscire a sopravvivere nonostante tutto. "Grazie." e collassò tra le braccia dell'altro, abbandonato dalle sue forze, abbandonato dai respiri e dai battiti del suo cuore, che in un secondo, si limitarono al silenzio.

A 17 anni non si pretendono promesse che non verranno mai mantenute, eppure Luke era riuscito a convincere Michael a fargliene una, prima di salire su quel tetto per un'ultima volta...

"Non sono pronto a lasciarti."
"Non ti ho chiesto se fossi pronto, Michael. Ti ho chiesto se anche dopo la mia morte tu continuerai ad amarmi, se non mi dimenticherai tanto facilmente, o non lo farai mai."
"Come potrei, piccolo mio, e come potrei andare avanti? Sei tutto per me e senza questo tutto, come farò a vivere?"
"Continua a vivere per me, allora. Vivi la vita che mi è stata portata via troppo in fretta e fai tutto ciò che ti sarà possibile per renderla la migliore. Dovrai stare bene, Michael. Basta con tutto questo dolore."
E allora Michael aveva annuito, non potendo fare nient'altro per lui.

A 17 anni si scoprono i primi amori, si affrontano le prime delusioni, si litiga e si ama.
A 17 anni il mondo sembra infinito e pronto ai nostri piedi per accoglierci, la luna non sembra così lontana, il cielo si può toccare con un dito.
A 17 anni si sa che sono solo momenti di passaggio, che poi i pensieri cambieranno e anche gli atteggiamenti. Che quei primi amori passeranno, le prime delusioni aiuteranno ad affrontare le prossime, e che il cielo si allontana sempre di più dalle nostre mani.
Ma a 17 anni, e a tutte le età, la vita è sempre una e lo si sa. La si cerca di vivere appieno, perché è risaputo che il tempo non guarda in faccia a nessuno e che corre impazzito travolgendo più persone al suo passaggio. È veloce, questo tempo, ed è potente, una forza incontrastata e demolitrice. Una fugacità che, per la sua prestazione perfetta, spaventa e terrorizza chiunque, tranne un ragazzino biondo e solitario che, una volta imparata a conoscerla, sembrava essere riuscito a dominarla.
Perché, alla fine, non aveva avuto più paura.
Alla fine, la morte lo aveva accolto nel suo bagliore eterno, e il tempo era scaduto, ma lui aveva smesso di avere tutta questa paura.
E, contro tutto l'avvenire, aveva vissuto i suoi di 17 anni e non si era pentito di nulla, in pace con se stesso e con il mondo.
In pace con quel tempo fin troppo veloce.

Fine.
   
 
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