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Autore: Koa__    07/06/2018    13 recensioni
Questa raccolta conterrà storie più o meno brevi, incentrate sulla coppia John Watson e Sherlock Holmes e (anche, ma non soltanto) sul loro ruolo di genitori.
La storia: "La geniale imperfezione di Sherlock Holmes" partecipa al contest "Tante navi per una palma" indetto da GiuniaPalma sul forum di EFP.
Alcune di queste storie partecipano alle Challenge dei gruppi: "Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart" e "Aspettando Sherlock 5".
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Rosamund Mary Watson, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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When you’re smiling



 

“But when you're cryin', you bring on the rain
So stop that sighin', be happy again
Keep on smilin', 'cause when you're smilin'
The whole world smiles with you”
 
 


Rideva. Oh, lo faceva così bene che ogni tanto avevo la sensazione che il mondo potesse andare avanti soltanto grazie a quello. Che il mio stesso patetico respirare fosse alimentato dal suo sorridere così dolce. Dal danzare lieve per il soggiorno con Rosie tra le braccia. Dalla maniera in cui i suoi ricci s’agitavano, mossi appena. Insomma, che potessi vivere unicamente grazie al suo sorriso. Un pensiero alquanto sciocco, decisamente insensato. Lui mi avrebbe certamente preso in giro. Ma poi avrebbe riso. Farlo divertire sarebbe stata comunque una vittoria.

Rideva spesso. Di me e delle mie disavventure sentimentali. Delle donne che gli presentavo. Rideva anche la sera, le volte in cui davanti a un bicchiere di vino finiva per elencare ogni difetto trovato in loro. Donna, Sabrina, Judy, Kate… Tutte le cose che dovevo per forza sapere me le snocciolava spietatamente una dopo l’altra. Se non volevo dare a mia figlia la madre sbagliata, diceva, dovevo per forza starlo a sentire.

Rideva sempre. Con Rosie non faceva altro. Rideva per farla felice, sosteneva con sufficienza prima di licenziarmi con un’alzata di spalle e darmi dell’idiota. Probabilmente sorrideva un po’ anche per se stesso, mi aveva detto Mrs Hudson un pomeriggio. Un poco pensierosa mentre serviva tè e biscotti, spiando alla sagoma slanciata che sostava di fronte la finestra, con un pizzico di tristezza nelle pieghe del sorriso. Quel giorno fu decisamente severa nella maniera che ebbe di rimproverarmi con un’occhiataccia e, anche se sul momento non capii perché ce l’avesse tanto con me, fu proprio grazie a quelle parole che iniziai a osservarlo. Sì, Sherlock sorrideva spesso. Lo faceva per non farmi capire cosa provava per me. Per nascondersi ai miei occhi e non farsi vedere. Rideva perché, per una volta, sperava proprio di non essere al centro dell’attenzione. Rideva e suonava, e raccontava storie, ed era bellissimo, e geniale, ma poi si rattristava e io non vedevo nulla. Non capivo nulla.

Comprenderlo fu devastante. Notare la sofferenza sapientemente celata dietro a grandi sorrisi, mi fece quasi morire. Il senso di colpa, poi, fece tutto quanto il resto.

«Non ridere.» Glielo dissi una sera. Con Rosie addormentata da poco nel lettino e Sherlock in piedi, al centro della stanza. Mr Fibonacci stretto in una mano. Louis Armstrong che suonava da un vecchio vinile, in salotto. Le lucine colorate a tingerci di violetto e un’espressione di stupore nello sguardo. Forse, anche del timore a farlo indietreggiare di un passo.
«Non sorridere così» ripetei ed ero senza controllo. Senza più razionalità. Completamente perso in quel discorso insensato che facevo a me stesso da tempo, ma che non avevo mai avuto il coraggio di pronunciare ad alta voce. Lo feci in quel momento. Al buio. Sussurrandolo. Probabilmente più per nascondere la vergogna che provavo, che per poter finalmente dire che sapevo.

«Ogni volta che sorridi è una pugnalata al petto.»

«John» sussurrò, e non aggiunse altro. Non fu necessario che si mettesse a spiegare. Avevo capito. E lui lo sapeva. In fondo, sebbene io non avessi mai intuito nulla circa i suoi sentimenti, ci conoscevamo troppo bene per continuare a far finta di niente. Per assurdo, il merito fu del senso di colpa. Di quel pugno allo stomaco che sentivo ogni volta che pensavo a quanto lo avevo fatto soffrire. Del malessere che provavo nel vederlo nascondersi, nell’osservare come abbassava il volto o cambiava stanza per non farmi vedere quella fitta di dolore attraversargli lo sguardo. Non me lo meritavo, il suo sorriso. Questa era la verità. Non meritavo niente, e lui invece era ancora lì. A darmi tutto. A divertire mia figlia, a ridere con me. A farsi piacere le donne che gli presentavo. Come se gli andasse bene l’idea che mi sposassi di nuovo. Ad amarmi incondizionatamente. Ad amarmi tanto da farmi mancare il respiro.

«Dovresti sorridere solo quando sei davvero felice e non fingere di esserlo.» Fu tutto allora. Quell’ogni cosa che non avevo trovato in nessuna mai, e che non avevo visto nemmeno in Mary. Accadde in un attimo. Bastò una briciola del coraggio che dicevo d’avere, ma che mi era sempre mancato, per avvicinarmi a lui. E per stringerlo in un abbraccio che di amichevole non aveva che un affetto sconfinato, ormai sostituito da qualcosa di più grande.

«Hai mai pensato che potrei essere felice anche così, John?»

«Dimmi che è così, Sherlock» annuii con convinzione. Mormorando quelle parole a voce tenuta bassa. Con convinzione e una determinazione tale che sento ancora oggi fremermi dentro. «Dimmelo e giuro che non ti bacio come sto per fare. Dimmelo e non ballerò con te proprio qui e adesso. Dimmelo se è vero che non sarai felice con me, se non l’hai sempre desiderato.»

No, non aggiunse altro. Non lo disse mai. Ma il sorriso che mi regalò immediatamente dopo bastò a farmi capire ciò che dovevo fare. Volevo baciarlo lì e in quel momento, trascinarlo nel soggiorno e ballare con lui. Sentirlo ridere, questa volta per nascondere niente se non un lieve imbarazzo appena nato. Non feci in tempo neanche a pensarlo, le sue labbra mi raggiunsero per prime. La sua risata fece il resto.

No, il senso di colpa non svanì mai del tutto. Ma per uno strano scherzo della mente lo associai a Louis Armstrong. Da quel giorno ascoltammo solo Miles Davies.
 



Fine
 
 

 
Note: Il titolo e la citazione appartengono alla canzone “When you’re smiling”, nella versione di Louis Armstrong che mi ha ispirato anche nella scrittura.

Questa storia è stata scritta per la: 26 prompts challenge - Sherlock Edition : prompt 2/26 #SENSODICOLPA del gruppo “Aspettando Sherlock 5”.
1. In psicologia il senso di colpa è un sentimento umano che, collegato alla colpa, intesa come il risultato di un'azione o di un'omissione che identifica chi è colpevole, reale o presunto, di trasgressioni a regole morali, religiose o giuridiche, si manifesta a chi lo prova come una riprovazione verso sé stessi.
2. Un doloroso sentimento di disistima di sé, accompagnato solitamente da un sentimento empatico verso una persona sofferente, combinato con la coscienza di essere la causa di quella sofferenza.
   
 
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