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Autore: CT My FEVER    09/06/2018    3 recensioni
Metti una città 'magica', un'occasione speciale, la nazionale giapponese, qualche intruso.
E una carta di credito nera, in grado di spalancare qualunque porta.
Pronti per la serata più pazza dell'anno?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Gino Hernandez, Hajime Taki/Ted Carter, Mamoru Izawa/Paul Diamond, Tsubasa Ozora/Holly
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VENERDÍ 8 GIUGNO 2018 ORE 10:00 VIAGGIO
 
“Signori Ozora, tra qualche minuto atterreremo a Torino…”
La voce al microfono aveva un che di monotono mentre continuava il suo monologo, che i due passeggeri conoscevano a memoria, essendo quello solo l’ennesimo dei loro innumerevoli viaggi.
Sanae si allontanò controvoglia dal busto del marito, scostando una ciocca di capelli dal viso, con uno sbuffo contrariato.
“Credo che dovremo allacciare le cinture per l’atterraggio…” mormorò Tsubasa, strofinando il naso contro il collo di sua moglie, che si strinse di nuovo a lui, per un attimo, istintivamente, mentre sentiva le sue mani scivolare lente sulle cosce nude.
“Troppo corto questo viaggio…” mormorò Sanae, prima di alzarsi controvoglia dal bacino del marito.
Tsubasa poggiò il mento sul palmo della mano e si mise a seguire i movimenti della moglie mentre richiudeva la zip laterale del vestito, prima di accomodarsi sulla poltrona di pelle davanti a lui e stringere la cintura di sicurezza in vita.
“Ricomponiti!” lo esortò Sanae, indicando con il mento la camicia sbottonata, prima di addentare una fragola dal vassoio d’argento, accanto al secchiello del Crystal.
Il ragazzo le sorrise, riposizionando ogni bottone nella sua asola, compresi quelli dei pantaloni, per poi prepararsi all’atterraggio.
La voce al microfono annunciò la manovra e il jet privato iniziò a perdere quota, finché il carrello non rullò fluido sulla pista.
La scaletta fu posizionata in pochi secondi al portello e l’equipaggio salutò i due passeggeri, che scesero i gradini velocemente, andando incontro a una figura che li attendeva, accanto a una macchina di grossa cilindrata dai vetri scuri.
“Azumi!” esclamò felice Sanae, abbracciando con affetto l’amica, che ricambiò la sua stretta con la stessa tenerezza.
Le due ragazze si separarono, continuando però a tenersi per mano finché Azumi non strabuzzò gli occhi, portando l’anulare sinistro dell’amica a pochi centimetri dal suo viso.
“E questo cosa diavolo è?” esclamò mentre il suo sguardo si posava su Sanae, che arrossì leggermente.
“Un ferma fede?”
“Ah un ferma fede! Dal valore del PIL di non so quale nazione… Ma un ferma fede, certo!”
Sanae arrossì ancora più vistosamente, posando gli occhi sul diamante sopra la fede nuziale, che brillava maestoso, in tutti i suoi 35 carati.
“Oh! E questa invece?!” chiese ancora Azumi, prendendo tra le mani la Birkin al braccio dell’amica, perfettamente in pendant con le Louboutin ai suoi piedi.
“Cos’è? La modesta custodia del ferma fede?”
Sanae scoppiò a ridere divertita mentre l’inconfondibile suoneria del cellulare di suo marito, fece girare entrambe verso di lui.
“Il motivo della Champions League?!”
Sanae abbozzò un sorriso, alzando appena le spalle, bonariamente rassegnata.
Azumi la imitò prima di concentrarsi di nuovo sulla borsa rossa, categoricamente fatta a mano.
“Sai che c’è una lista d’attesa infinita per questa, vero?”
“A Tsubasa piace strafare, a volte…” abbozzò la ragazza, sempre imbarazzata mentre l’amica annuiva con fare sornione.
“Gli piace alla grande, direi! Ma a proposito! Con chi sta parlando al telefono?”
Sanae si voltò a guardare il marito, che nel frattempo salutò allegramente Azumi con una mano, rimanendo sempre preso dalla sua conversazione.
“Ah! Sarà l’amante!”
“Eh?!”
“Roberto…”
Azumi scoppiò a ridere, senza prestare attenzione allo sguardo curioso di Tsubasa mentre si accomodavano tutti e tre nell’auto, per raggiungere l’hotel che li avrebbe ospitati per la festa di compleanno più pazza dell’anno.
“Ma Taro?” chiese Sanae, sistemandosi comodamente sul sedile accanto a Tsubasa e di fronte all’amica, la quale, a quella domanda, roteò vistosamente gli occhi al cielo.
“Sua sorella e il suo ragazzo stanno per arrivare con Shuzo. Temo che si impiccerà nelle loro faccende, come dire… intime e private!”
“In che senso?”
“Non vuole farli dormire insieme…”
“Ma hanno vent’anni!”
“Ti supplico, appeno lo vedi, faglielo notare pure tu!”

 
VENERDÍ 8 GIUGNO 2018 ORE 11:00 VIAGGIO
 
La prima classe dei treni italiani faceva pena. L'unica cosa decente era il paesaggio che, fuori dal finestrino, correva veloce. Yuzo osservò Genzo che, di fronte a lui, stava litigando ancora con il sedile e le gambe del secondo portiere.
Le braccia incrociate al petto e il cappellino calato sulla fronte erano un chiaro segno di chiusura totale verso qualsivoglia forma di vita.
E visto che le uniche due forme di vita della stessa nazionalità su quel fottuto treno erano Yuzo e Mamoru, i due se ne guardarono bene dal farlo incazzare ulteriormente.
Gran bel viaggio di merda!, pensò Yuzo voltando leggermente la testa a sinistra e trovando Izawa imbronciato come un bambino di tre anni. Se avesse potuto disegnare un fumetto in quel preciso istante, lo avrebbe immaginato con una grande nube nera che gravitazionava intorno alla nuca con tanto di tuoni e fulmini. L’umore di Mamoru era perfettamente rappresentato dalla graziosa nuvoletta, ovviamente.
Da quando erano partiti, tante ore prima da Tokyo, aveva scambiato con lui sì e no dieci frasi.
Inoltre, se si considerava che erano circa sette giorni che scassava le palle sul fatto che questo viaggio non lo volesse fare; la pazienza di Yuzo era finita, cessata, terminata! Era certo che entro la serata sarebbe scoppiato come una bomba atomica.
Bel modo di presentarsi a un compleanno: e che cazzo!
Yuzo sbuffò e tornò a guardare fuori dal finestrino: il treno non era certamente il luogo adatto per una litigata con i fiocchi, ma, sicuro come il sole che sorge, in hotel non l’avrebbe passata liscia.
Genzo sollevò la tesa del cappellino e osservò i due piccioncini di fronte a lui, mentre un sorrisetto sarcastico compariva sul lato destro della guancia: i due ingenui fidanzatini non lo sapevano, ma quel week end non avrebbe dato loro pace e vedere già Mamoru con le palle girate gli diede una certa soddisfazione.
Yuzo era stato stranamente troppo zitto per i suoi gusti e, se lo conosceva anche solo un minimo, era vicino all’esplosione; che lui non si sarebbe perso per nulla al mondo.
Allungò le gambe e si scontrò inevitabilmente contro le sue ginocchia. Il secondo portiere si girò di scatto lasciando perdere il paesaggio fuori, ma, quando stava per aprir bocca, Genzo decise di anticiparlo. La sbroccata era meglio che la facesse una volta scesi.
“Chi viene a prenderci alla stazione?” domandò SGGK senza troppa enfasi.
“Nessuno!” puntualizzò Morisaki stizzito.
“Come nessuno?” lo sguardo carico di panico del primo portiere risvegliò Izawa dal suo cupo torpore.
“Cos’è: non ti accolgono con i tappeti rossi?”
“Oh, sei dei nostri allora? Hai dormito con il culo scoperto Izawa?”
“Non so, vuoi provare anche tu l’ebbrezza del culo scoperto?” Mamoru si scollò dal seggiolino e, inclinandosi in avanti, arrivò quasi al portiere. I crini neri ribelli dondolarono per il brusco movimento.
Morisaki si mise fisicamente in mezzo ai due idioti, perché sapeva perfettamente che avrebbero continuato all’infinito vista la testardaggine insita in entrambi.
“PIANTATELA!” Il tono aspro e duro riportò i due contendenti a chiudersi in un mutismo assoluto.
Yuzo si voltò prima a sinistra, poi a destra e, dopo, puntualizzò: “E comunque due soldi per un fottuto taxi non ci mancano. Chiaro!?”
Due grugniti identici provennero da lati diametralmente opposti.
“Oh, anche Morisaki s’incazza…” ironizzò il centrocampista inarcando un sopracciglio.
“Da quando stiamo insieme le incazzature sono esponenziali…”
“Quindi cosa vorresti dire? Eh?” Le iridi pece brillarono di rabbia scontrandosi con le due fessure nocciola di fronte a lui.
“Wow-wow-wow fermi tutti, non vorrete mica litigare per questa minchiata eh?” Wakabayashi pose i due grandi palmi sui loro toraci e allontanandoli con la forza.
“È una settimana che mi porta il muso perché l’ho trascinato a questa festa, e per cosa poi? Perché ce l’ha con l’autrice per le storie che scrive, assurdo: e allora io cosa dovrei dire, eh?” Yuzo aveva sollevato il mento, seguite a ruota dalle mani. Quindi li aveva riabbassati di colpo e, con le spalle incassate, era sprofondato nel sedile, arreso.
“Ah, perché tu non sai dell’ultima storia, Genzo, vero? Lo sai? Eh? Eh?” l’indice si muoveva a scatti di fronte al naso del SGGK, il quale lo afferrò al volo, costringendo Mamoru ad abbassare l’intero braccio.
“No, non lo so, ma, se ti fa stare meglio, raccontamelo.” Si era reso conto che la situazione stava degenerando, così aveva messo da parte l’idea di percularli e invece aveva deciso di andar loro in soccorso per evitare che quei due testoni litigassero per fattori esterni. Si amavano e non voleva certo essere lui la fonte dei loro litigi.
“Bene – aveva sbottato Izawa – devo recitare con Shuzo e temo, temo… che dovrò pure farci qualcosa… ecco: l’ho detto.”
“Cioè l’autrice ha scritto sul fratello di Yuzo? E lo usa al posto suo?” L’SGGK era sconvolto.
Ma la sadica aveva una vaga idea di quanto Izawa non digerisse Shuzo?
“E certo! Ti pareva che, dopo tutto quello che c’ha fatto passare, non lo seccasse un’altra volta?” Mamoru, con la coda dell’occhio, aspettava la reazione di Yuzo al suo fianco.
“Non ci credo: sei incazzato per mio fratello? E non potevi dirmelo prima? Ho già parlato con Mel, pezzo d’idiota.” Morisaki si era voltato nella sua direzione rilassando lo sguardo.
“Ehm-ehm scusate, ma voi non parlate mai… intendo come coppia? No, perché queste sono classiche incomprensioni del cazzo tra fidanzati psicopatici, eh.” Genzo non aveva resistito ed aveva rigirato il coltello nella piaga.
“ZITTO TU!” All’unisono si erano voltati come due cani rabbiosi e l’avevano costretto ad indietreggiare sul suo sedile.
“Bella riconoscenza per avervi fatto far pace, tze! Cucci-cucci cuoricini…” la voce mielosa del primo portiere e le dita a formare un cuore improvvisato, con tanto di bacetto in mezzo, avevano fatto finalmente ridere i due compagni seduti di fronte a lui. Ora sì che la festa, finalmente, poteva avere inizio. Pochi attimi dopo fu annunciata la loro stazione, quindi, afferrati i bagagli, cercarono un taxi per raggiungere il resto della truppa nell’hotel scelto per la festa.
 
 
VENERDÍ 8 GIUGNO 2018 ORE 11:00 HOTEL
 
“Taro, fai il serio!” lo rimproverò bonariamente Tsubasa, accomodandosi su una poltrona accanto al divano dove sedeva il suo migliore amico, nell’elegante salotto della suite che lui e Sanae avrebbero occupato per ben due notti.
Misaki si limitò a rispondergli con uno sguardo torvo, incrociando le braccia sul petto e scuotendo la testa.
“Vent’anni. Tua sorella ha vent’anni! Io ero già sposato alla sua età!”
“Tsubasa… senza offesa ma io non ti prenderei ad esempio per nulla che possa definirsi normale! Hai fatto sempre le cose a modo tuo, tu! Non fai testo!”
Il capitano sbuffò, divertito.
Era davvero una situazione paradossale: di solito non era di certo lui quello preposto a far ragionare gli altri, quando entravano in crisi per qualcosa di emotivo.
Ma il compagno al suo fianco… oh, lui sì che era sempre stato un ottimo grillo parlante, generoso nell’elargire buoni consigli in ogni frangente.
“Ok, allora cambiamo esempio… Parliamo di te. Cosa facevi a quell’età con Azumi?”
Taro si voltò di scatto verso Tsubasa, gli occhi fuori dalle orbite.
“Non è attinente!” esclamò poi nervoso, ricordando perfettamente quel periodo, fatto di momenti trascorsi principalmente a letto e di certo non a leggere Borges.
“Cavolo se lo è!”
“Yoshiko non ha ancora compiuto ventun anni!”
“Sen e tua sorella non sono ancora maggiorenni, è vero, ma che differenza vuoi che faccia, ormai?”
“Ha otto anni meno di me e non sono pochi…” replicò imperterrito il numero undici della nazionale, cercando di tirare acqua al suo mulino.
“Dieci anni fa forse non lo erano, ma ora? Siamo praticamente dei coetanei, Taro!”
“Quando ti è uscita tutta questa inutile parlantina, Tsubasa?”
Ozora rise divertito mentre sua moglie e Azumi facevano il loro ingresso nel salotto.
“Che faccia!” esclamò quest’ultima buttandosi letteralmente sul divano e posando le gambe sopra a quelle del proprio ragazzo. “Sempre l’argomento tabù?” chiese poi, rivolgendosi al capitano della nazionale, che annuì con un sorriso sereno.
“Ma non ti sei tranquillizzato nemmeno ora?” s’intromise Sanae, poggiandosi alla spalliera della poltrona, cingendo poi il marito in un abbraccio. “Nemmeno dopo aver parlato con un altro uomo?”
“Parla facile, lui! Non ha né sorelle, né figlie femmine!”
Azumi alzò gli occhi al cielo: non ne poteva davvero più dell’ostinazione di Taro. Erano lì per divertirsi e lui stava facendo un dramma per qualcosa che, molto probabilmente, era già successo, con buona pace di tutti tranne della sua.
“Sen è un bravo ragazzo, assennato e rispettoso.” Sanae pronunciò queste parole avvicinandosi al divano, dove si sedette, in modo da guardare negli occhi Taro.
“È il fratello di Ottomani…” replicò il ragazzo, con fare un po’ infantile.
Tsubasa scoppiò a ridere di gusto mentre Taro prendeva le parole di Shuzo come esempio, per dar meglio voce alle sue obiezioni.
“Oh santo cielo!” quasi imprecò Azumi, alzandosi dal divano.
“Taro, amore mio… Se proprio senti di dover fare appello a un Morisaki, ti prego! Scegli almeno il gemello giusto!” E i suoi occhi rotearono ancora una volta verso il soffitto.
Tsubasa, intanto, continuava a ridere a crepapelle, tenendosi gli addominali con le braccia.
“Sanae… Digli di smetterla o ci rimane secco!” brontolò Taro, indicando l’amico con un palmo della mano, mentre si sentiva un totale incompreso.
“Dai non fare quella faccia…”
Azumi si sedette di nuovo al suo fianco, cingendo il suo collo con le braccia.
“Siamo venuti qua per festeggiare e vedrai che ci divertiremo un mondo, se solo ti lascerai andare e ti rilasserai un po’! Molla il pensiero di tua sorella, che non sta facendo nulla di male se non vivere la sua vita, come giusto che sia…”
Taro la fissò, sbattendo le palpebre un paio di volte poi lasciò andare l’ennesimo sospiro.
“E va bene… ci proverò!” esclamò poco convinto.
“Ma penso che mi ci vorrà dell’alcol! Tsubasa usa quella tua stramaledetta carta nera e fa il tuo dovere di miglior amico!”
Il capitano della nazionale sorrise.
Finalmente, quei due giorni di baldoria stavano per avere inizio!
 
 
VENERDÍ 8 GIUGNO 2018 ORE 12:00 VIAGGIO
 
“Che palle! E muoviti chibiIzawa!”
Voltandosi per l'ennesima volta, Shuzo incrociò le braccia al petto.
“La smetti di chiamarmi così?”
Sollevando le spalle con aria di sufficienza il più grande precisò: “E come ti dovrei chiamare? Non bastava dover attraversare mezzo globo per venire a un compleanno, dovevo anche sorbirmi la compagnia di due mocciosi!”
A grandi falcate si allontanò lungo il corridoio dell'aeroporto di Milano-Malpensa in cerca della sala d'attesa che gli era stata indicata.
Dietro di lui Sen tenne il passo, mentre Yoshiko arrancava.
“Sen, cammina più piano! Cos'è, una corsa?”
“Scusa...” Sospirando, il ragazzo si voltò e sorrise. “Mi manda in bestia! Mi tratta come un bambino! Non lo sopporto!”
La ragazza lo raggiunse e gli accarezzò il braccio. “Ormai il più è andato, e poi ha dormito quasi tutto il tempo in aereo.”
Incamminandosi, questa volta affiancati, i ragazzi cercarono di non perdere di vista la cresta rossa di Shuzo.
Sen sbuffò di nuovo. “Non capisco perché siamo dovuti venire con lui! Mia madre esagera! Addirittura dire che noi siamo troppo piccoli per affrontare un viaggio così, da soli! Ma andiamo! Mamoru ha viaggiato un sacco, da piccolo!”
“Con la nazionale,” precisò la ragazza. “Dai, se farci viaggiare con lui ha reso più tranquilli i nostri genitori, non lamentiamoci. Ti ricordo che mia madre è stata sul punto di non farmi venire a questa festa... solo le parole di Taro e la promessa di Yuzo che avremmo viaggiato con suo fratello l'hanno fatta desistere.”
Sen sghignazzò. “Perché non ha visto Shuzo di persona... con quei tatuaggi e quella cresta credi che ti avrebbe permesso di venire con lui? Lei se lo immagina uguale a Yuzo.”
“Dettagli.”
Raggiunta la sala d'attesa, i ragazzi trovarono Shuzo stravaccato su una sedia intendo a parlare al telefono.
“Sì, siamo arrivati. Sì chibiIzawa e la sua bella sono sani e salvi, dillo pure al tuo fidanzatino scassa palle.”
Yoshiko arrossì di colpo per quelle parole, mentre Sen stringeva gli occhi a fessura. L'altro alzò un sopracciglio, mimando con la bocca un 'Che vuoi? È vero!'
Tornò a parlare al telefono. “Comunque questa me la paghi, fratellino! Mi hai smollato i mocciosi!”
In attesa del loro arrivo, ma già a Torino con Genzo e Mamoru, Yuzo cercò di calmare il fratello. “Eddai, almeno hai avuto compagnia.”
“Non l'ho chiesta! Ora come arriviamo a Torino?”
Mentre Shuzo prendeva gli ultimi accordi, Sen e Yoshiko si accomodarono di fronte a lui. Il ragazzo assottigliò lo sguardo bisbigliando alla sua compagna. “Sai che la festeggiata sta preparando un nuovo copione?”
“Davvero?”
“Sì, e pare che questa volta voglia far finire insieme Mamoru e Shuzo, te l'immagini?”
Yoshiko si coprì la bocca con le mani. “Oh mamma, è impazzita?! Si scanneranno alla prima ripresa! Proprio non vanno d'accordo, eh...”
Sen alzò le spalle. “Non è male, Shuzo, quando non fa il bullo come poco fa. E poi, chi può dirlo, magari finisce bene e diventano amici. Con noi ha funzionato...”
Ammiccò, lasciando la frase in sospeso, mentre la ragazza arrossiva, ricordando ancora il momento in cui Sen le si era dichiarato durante le riprese di 'Lazarus', tanto che non c'era stato bisogno di chissà quale finzione durante la loro scena di sesso.
Fortunatamente, le assistenti della regista avevano portato Taro dall'altra parte del set con una scusa.
Ricordava ancora quando suo fratello aveva parlato con Sen, sembrava davvero che stesse leggendo il copione, la ramanzina che si era sorbito in 'Lazarus', il suo ragazzo se l'era sorbita anche nella realtà.
Uno sbuffo si attirò la loro attenzione: Shuzo si era alzato in piedi e li fissava. “Bene, vado a controllare gli orari del treno per Torino e cerco di capire da dove si prende. Non muovetevi di qui e non parlate con gli sconosciuti!” Ridacchiando si allontanò, le parole di Sen lo colpirono alle spalle.
“Oh, insomma! Non siamo piccoli!”
Sospirando Morisaki tornò indietro. “Io lo so che sapete badare a voi stessi, e onestamente non mi interessa molto di quello che fate. Tuttavia non voglio problemi. Se arrivassi senza di voi a destinazione, dovrei sorbirmi sia il tuo fratellone che il suo e, onestamente, non ne ho voglia! Sono loro a non fidarsi di voi, ricordalo, chibiIzawa!”
“Mi chiamo Sen!”
“Lo so, ma chibiIzawa è più bello! Così mi ricordo che sei parente di Ottomani!”
Rimasta solo con Sen, Yoshiko lo sbirciò. “Ottomani?”
“Non credo tu voglia sapere cosa vuol dire... fidati!”
Sen si volse in direzione della porta al di là della quale Shuzo gesticolava con un uomo mostrando il foglio con la loro destinazione.
 
 
VENERDÍ 8 GIUGNO 2018 ORE 13:30 HOTEL
 
“Spero tu stia scherzando!”
Shuzo lanciò uno sguardo omicida al calciatore che aveva di fronte.
“Assolutamente no! Ti pare che potrei permettere a mia sorella di dormire con un ragazzo?”
“Non è 'un ragazzo' è il 'suo ragazzo'! E se somiglia solo un po' al fratello, non gli serve una camera matrimoniale per fare quello che sicuramente ha già fatto!”
Taro divenne paonazzo, perdendo la sua proverbiale calma, e inquadrò con la coda dell'occhio Sen, che restava in disparte non sapendo bene come intervenire in quella discussione nata per la sistemazione delle camere.
Shuzo prese un profondo respiro chiudendo gli occhi: “Te la faccio facile Misaki, io ho prenotato una camera singola, per dormire da solo, evidentemente. Di quello che faranno i due mocciosi o voi, a me non frega un cazzo!”
Si allontanò in direzione della reception nel momento in cui dall'ascensore sbucò Yuzo.
“Oh finalmente qualcuno che mi capisce!”
“Shuzo! Ben arrivato!”
I fratelli si abbracciarono con pacche sulle spalle.
“Senti un po', io non ho nessuna intenzione di dormire con il tuo cognatino, è chiaro?”
Il modo in cui il gemello storse la bocca non piacque proprio all'altro. “Che cazzo hai combinato, Yuzo?!”
“Beh, io... Taro me l'ha chiesto stamattina, e io ho detto che di sicuro non sarebbe stato un problema per te dormire con Sen...”
Un nuovo sguardo omicida scaturì dagli occhi nocciola del tatuato. “E cosa ti ha fatto credere che sarei stato d'accordo?”
“Oh dai, conosci Sen da tempo, e poi si tratta solo di due notti!”
Incrociando le braccia al petto in una posa del tutto uguale i fratelli si fissarono.
“Spiegami una cosa: Misaki dorme con la sua dolce metà, tu dormi con Ottomani, immagino, perché io dovrei stare con il moccioso?”
“Perché hanno finito le camere. Perché tu mi vuoi bene e vuoi che mi diverta, e per far ciò devo stare con Mamoru...”
Alzando gli occhi al cielo l'altro sbuffò: “Sei un paraculo incredibile! Ti voglio bene, ma non ti vorrei in camera con quello!”
Alle spalle di Yuzo, Taro continuava a borbottare. La voce di Mamoru fece sussultare tutti.
“Un momento! Volete dire che devo lasciare mio fratello in camera con lui per due notti? Come minimo me lo ritrovo con un piercing!”
“Ottomani carissimo! Per una volta sono d'accordo con te!”
Yuzo si passò le mani tra i capelli prima di sbottare: “Va bene: basta! Mamoru, vuoi dormire con Sen? Vuoi davvero dormire con Sen, mentre io dormirò con Shuzo? Veramente?!”
L'altro annuì prima di rendersi conto che questo avrebbe voluto dire passare due notti lontano da Yuzo, loro che già potevano vedersi poco e stare insieme ancora meno. Strinse le labbra e infine capitolò. “Sen svegliami se si avvicina a te con un ago per bucarti o colorarti o sanno solo gli Dei fare cosa!”
Si voltò e tornò verso l'ascensore, lasciando Shuzo sbigottito. “Come sei volubile, Ottomani!”
L'altro si voltò guardandolo. “Non sono volubile, ma realista! Voglio usare le ottomani sul tuo fratellino, tu tieni giù le tue dal mio!”
“Tzè! Come se potesse piacermi un moccioso. E piantala di ‘smanettare’ mio fratello!”
Yuzo si passò una mano sugli occhi: Shuzo aveva un modo di dire le cose a dir poco colorito.
Sen, sbuffando per essere stato totalmente ignorato, si apprestò a seguire il suo strano compagno di stanza, mentre Yoshiko, alzando gli occhi al cielo, cominciava a domandarsi dove fosse finita Azumi, l'unica che poteva calmare Taro.
Salendo in ascensore con Yuzo e i fratelli Izawa, Shuzo si sorbì il resoconto di chi era già arrivato e di chi ancora mancava all’appello. Così scoprì che la Silver Combi era già in camera, così come il Capitano. I ragazzi italiani, invitati tramite Aoi, erano in arrivo; della nazionale giapponese mancava solo qualche membro che sarebbe arrivato entro la serata. Guardò il gemello e lo lasciò finire, infine inclinò il viso. “Scusa, ma tu credi davvero che mi interessi?”
Yuzo scosse la testa. “Shuzo, andiamo! Siamo qui per far festa, conosci praticamente tutti, vedi di divertirti!”
“Se proprio ci tieni.”
Si voltò appena per verificare quanti piani mancassero all’arrivo e incrociò gli occhi di Mamoru nel riflesso dello specchio, nello stesso istante in cui Yuzo era distratto con Sen. Il loro scambio di sguardi fu lungo e incazzoso. Il rumore delle porte dell’ascensore che si aprirono fece perdere loro il contatto, mentre gli altri si incamminavano lungo il corridoio. Raggiungendo la porta scorrevole, Shuzo si fermò accanto all’altro. “Qualcosa da dirmi ora che siamo soli?”
“Ti tengo d’occhio. Sarai in camera con mio fratello, vedi di comportarti bene.”
“Non sarò in camera con tuo fratello, stai tranquillo. Farò cambio con la ragazzina quando Misaki sarà distratto... tu tieni la bocca chiusa con Yuzo e forse entrambi gli Izawa si divertiranno, anche se vorrei fare in modo che il più grande venisse legato in uno stanzino, ma voglio troppo bene al mio gemello.”
Il richiamo di Yuzo li riscosse mentre Mamoru usciva dall’ascensore. “Concordo su Sen, ma non su di me: tuo fratello è troppo eccitante.”
“Non tirare troppo la corda, Izawa!”
 
 
SABATO 9 GIUGNO 2018 ORE 11:00 HOTEL-SPA
 
Dopo aver indossato un costume a boxer nero aderente, Shuzo si rilassò nella vasca idromassaggio nella Spa dell'hotel. “Finalmente!”
Chiuse gli occhi, scuotendo la testa. Doveva ricredersi: Sen non aveva davvero niente di Ottomani! La sera prima aveva dovuto insistere per spedirlo nella stanza della sua bella; lo scambio però non era stato possibile: Misaki chiamava in camera della sorella molto spesso e Shuzo era giunto alla conclusione che quell’uomo andasse curato seriamente!
A notte fonda aveva sentito Sen rientrare e ancora adesso non capiva perché non fosse rimasto con Yoshiko. Addirittura, poco prima, quando aveva annunciato la sua intenzione di andare nella Spa, il moccioso aveva detto di volerlo seguire ed era toccato di nuovo a lui il compito d’illuminarlo sul fatto che la sua ragazza fosse tre porte più in là.
“Che imbecille!” borbottò tra sé.
Oltretutto non voleva proprio dover far conversazione con il cognatino di suo fratello, anche se, tutto sommato, non era male il piccolo Sen. Sempre meglio dell'altro Izawa. Storcendo la bocca sbuffò: niente, il ragazzo del suo gemello proprio non lo tollerava.
Una voce tonante gli fece aprire gli occhi di colpo.
“Ma fottiti! Quale rigore? La mia entrata era regolare!”
Stringendo gli occhi a fessura, per oltrepassare il vapore dell'idromassaggio, Shuzo si ritrovò a fissare Kojiro Hyuga, in piedi appena fuori la vasca, pugni sui fianchi e sguardo incazzoso, rivolto a qualcuno che lui non poteva vedere, nascosto da una colonna di marmo.
Morisaki strinse le labbra perché davvero non voleva compagnia... Era anche vero, però, che lui e Hyuga si erano visti forse tre volte in tutta la vita e che l'attaccante era abbastanza introverso, per quel che ne sapeva, quindi poteva anche essere che lo lasciasse in pace. Forte di quella convinzione, si rilassò di nuovo, fino a quando non udì la voce che rispose a Hyuga.
“Ma quale entrata regolare! Tra un po' spezzi una gamba a Kaltz! Era rigore, te lo dico io! E Schneider avrebbe segnato!”
Shuzo sospirò: era finita! Poteva evitare Hyuga, ma non Genzo Wakabayashi, il mentore di suo fratello, quello che Yuzo considerava alla stregua di un idolo e che ovviamente anche Shuzo conosceva.
Appena il portiere avanzò, infatti, lo scorse nella vasca e sorrise.
“Ma guarda un po' chi abbiamo qui, uno dei miei cari Morisaki!”
Hyuga spostò lo sguardo su Shuzo e inclinò la testa: quei capelli rossi non erano proprio da Yuzo, ma, prima che potesse dire qualcosa, fu anticipato.
“Wakabayashi, vorrei dire che è un piacere vederti, ma siccome non voglio compagnia... se tu e il tuo amichetto continuaste la vostra interessante conversazione un po' più in là, ti ringrazierei.”
“Amichetto?!” Hyuga sbatté le palpebre due volte mentre Genzo incrociava le braccia al petto.
“Eddai, Shuzo, è tanto che non ci vediamo.”
“E potevamo andare avanti così eh!”
Kojiro alzò il mento. “Ah giusto, tu sei il gemello cattivo. Mi sembrava strano che Morisaki si fosse fatto quei capelli!”
L'altro si strinse nelle spalle mentre Genzo scuoteva il capo.
“Andiamo Hyuga, sei così tonto da non aver capito? Guardavi i capelli? È pieno di tatuaggi, ovvio che non sia Yuzo!”
“Ma che cazzo vuoi? Con tutto 'sto vapore...”
Shuzo cambiò leggermente posizione, muovendo le braccia e a quel punto i tatuaggi saltarono all'occhio dell'attaccante, che poté davvero vedere la differenza con il portiere che conosceva.
Morisaki storse la bocca quando vide Genzo immergersi, restando dall'altro lato della vasca, subito seguito da Hyuga.
“Non volete proprio lasciarmi solo, eh?!”
Come se non avesse parlato, i due ripresero a insultarsi.
“Anche la tua uscita su Aoi non è stata regolare in quella partita!”
“Cazzate! Guarda che io non faccio uscite irregolari, è quella specie di grillo salterino che ha sbagliato!”
“Sì certo... e allora il rigore non concesso al Pari Saint Germain? Raccontalo a Misaki che non era un penalty!”
“Un'altra cazzata! La verità è che in Champions noi siamo i migliori! E vi brucia il culo per questo!”
“Brucerà a te il culo, quando giocherai di nuovo contro di noi!”
Shuzo, che seguiva l'alterco abbastanza annoiato, d'un tratto si schiarì la voce.
“Sentite ragazzi, ma perché non trombate? Così finalmente capirete chi è il maschio alfa tra voi due e la facciamo finita, no? Almeno il culo vi brucerà per qualcosa...”
Kojiro e Genzo si voltarono lentamente verso di lui, gli occhi di entrambi strabuzzati.
“Cosa?!” Un coro si alzò unanime e incazzoso.
Shuzo si strinse nelle spalle: “Che carini, parlate anche insieme! E comunque sono serio, dovreste farvela una sana ciulata voi due.”
Detto questo, alzò una mano in segno di saluto e si allontanò verso l’altra vasca... non ne poteva già più di tutti quei calciatori!
 
 
***
 
 
Disteso nell'idromassaggio, dopo essersi liberato di Hyuga che aveva deciso di seguire il suo amico Wakashimazu, ripensò alla camera che gli era stata assegnata. Mai in vita sua era stato in una stanza tanto insulsa! Tirò un paio d’imprecazioni borbottando tra sé e maledicendosi per aver fatto scegliere le camere a Izawa. Era certo che neppure quel taccagno di Kojiro avrebbe optato per le più economiche. Aveva tentato in tutti i modi di corrompere la receptionist e farsi dare la suite, ma questa era già stata prenotata per l’intero week-end e l’hotel era al completo.
Ah è iniziata proprio bene questa vacanza!, pensò, cercando di rilassarsi. Voleva svoltare la giornata, rifugiandosi nella Spa, ma scendendo aveva incontrato Shuzo e Kojiro. Che altro poteva accadere per rovinare il tutto?
Quando le voci della coppia Ozora e Misaki si dispersero nell’ambiente, sbuffò, buttando la testa all’indietro, perché non aveva alcuna voglia di parlare di schemi calcistici o tiri incrociati… ma pensare di conversare di altro con la Golden Combi era impossibile.
“Tsubasa guarda! C’è Genzo!” la voce allegra di Anego si diffuse per tutta la Spa.
Shuzo, vicino a lui, rise dello sbuffo emesso dal portiere, perché era stato tanto forte da far disperdere il vapore di fronte a lui. Wakabayashi sussultò, non essendosi accorto del ritorno di Morisaki nella vasca.
“Uh, problemi con le donne?”
“Taci! Quella era la nostra prima manager, una gran rompipalle; solo Tsubasa poteva sopportarla, fidati!”
“Visto che mio fratello si fida di te, decido seduta stante di darti ragione e abbandonarti al tuo destino… vado in sauna, buon divertimento.” Sghignazzò mentre usciva dalla vasca e scompariva dietro la porta poco più avanti.
Nel frattempo Sanae si era tolta le ciabattine dell’hotel e con un costume rosso di tutto rispetto, era discesa in piscina dal lato opposto. Genzo alzò un sopracciglio, incuriosito, perché era la prima volta che vedeva Sanae con un costume extra lusso di Melissa Odabash: non tutti potevano permetterselo. Immaginò che il marito dovesse aver avuto molti sponsor quell’anno.
Successivamente, entrarono in acqua anche Azumi, Taro e Tsubasa, che gli si fecero subito incontro.
“Allora, Genzo! Come stai?” Tsubasa glielo chiese accomodandosi vicino a lui, Sanae invece si sistemò tra le sue gambe, imitata da Azumi, che si mise tra quelle di Taro.
“Tutto bene ragazzi, voi? E i piccoli mostriciattoli dove li avete nascosti?” indagò, vedendo i congiungi Ozora senza prole al seguito.
“Sai – cinguettò Sanae – abbiamo pensato di lasciarli con la baby-sitter a Barcellona per ritagliarci un po’ di tempo per noi. Così abbiamo usato il Jet e prenotato la suite.”
“Ecco chi l’ha presa, diamine!” sbottò il portiere, tirandosi su di scatto e strabuzzando gli occhi.
“Non hai prenotato la suite?” un coro unanime si levò dalla sua sinistra.
“No! Quell’idiota di Izawa ha preso solo camere economiche! Neppure Kojiro è tanto taccagno - sbuffò contrariato – piuttosto: voi che diavolo ve ne fate di una suite?!” Come se lui ne avesse potuto fare qualcosa in più rispetto alla coppia.
Tsubasa ridacchiò, stringendo a sé la moglie e tuffando il viso tra i suoi capelli, così da scomparire. Anche a distanza di anni, l’imbarazzo per certi argomenti non lo aveva abbandonato. Ma fu Anego a parlare, con tono molto allusivo: “Beh, sai… senza i bamb…“
Genzo spalancò gli occhi e iniziò ad agitare le mani. “Ferma lì! Sono certo che non lo voglio sapere! Già ho i Morizawa come vicini! Non posso sopportare anche questo! Dovrò chiedere asilo politico in camera di qualcuno, se continua così!”
Le due coppie lo guardarono uscire dall'acqua, perplesse.
 
 
***
 
 
Il bussare lieve alla porta la fece sorridere. Sapeva chi avrebbe trovato dall’altra parte: Sen, che era un ragazzo molto discreto, nonostante in Lazarus fosse stato descritto come uno che butta giù le porte, se non vengono aperte. Sorrise di più e aprì; il ragazzo prese fiato, sgusciando dentro.
“Mamma mia! Il pensiero di veder sbucare Taro all’improvviso mi rende nevrastenico!”
Yoshiko gli gettò le braccia al collo e lo baciò con foga. “Ehi, ehi, che succede?”
“Succede che ha ragione Shuzo! Non possiamo continuare a nasconderci, siamo grandi e stiamo insieme, perfino mia madre lo sa. Taro se ne farà una ragione e se così non fosse... problemi suoi.”
Tornò a baciargli la base del collo, mentre lui tirava indietro la testa.
“Ok, hai passato troppo tempo con Shuzo. Decisamente troppo!”
La risatina della ragazza gli provocò un brivido lungo la schiena e, mentre l’abbracciava, si rese conto che aveva ragione lei. Ormai erano una coppia già da qualche tempo, ma il suo futuro cognato proprio non voleva saperne di lasciarli in pace. Scacciò il pensiero di Taro dalla mente e si concentrò sulla dolce fanciulla tra le sue braccia, che era ancora troppo vestita. La maglietta di Yoshiko e la sua toccarono terra quasi in contemporanea mentre Sen la spingeva indietro, facendola atterrare sul letto. Baciarla in mezzo ai seni gli piaceva da impazzire, soprattutto perché lei ridacchiava per poi inarcarsi contro di lui, gemendo. Abbandonare anche gli altri abiti per la fusione perfetta fu la ciliegina sulla torta del suo pomeriggio. Meno male che non aveva seguito Shuzo nella Spa! Quello era stato il modo migliore per rilassarsi!
Accarezzando i capelli di Yoshiko, Sen ripensò alla sua dichiarazione. Era stata un po’ veloce e aveva usato parole non proprio consone, ma non era abituato a situazioni come quella. Ricordò di averne parlato con Mamoru la sera prima, dato che era molto più esperto, e come il fratello l’avesse inizialmente preso in giro, per poi aiutarlo e confortarlo. Ovviamente la notizia sulle sue intenzioni si era sparsa in fretta, visto che suo fratello aveva subito riferito tutto a Yuzo: impossibile dire una cosa a uno pensando di lasciare all’oscuro l’altro. L’imbarazzo, poi, era cresciuto quando aveva scoperto che in quel momento, insieme a Yuzo, c’era anche il gemello. Perfetto! Tutti sapevano della sua volontà di dichiararsi a Yoshiko e, chiaramente, quei tutti avevano voluto dire la loro. Tranne Shuzo, che aveva commentato con un: era ora che ti svegliassi, chibiIzawa!
Sen sorrise: era davvero fortunato. Amava Yoshiko e lei lo ricambiava, ma, soprattutto, aveva un fratello di sangue e uno acquisito, ossia Yuzo, ed entrambi lo aiutavano in tutto e per tutto. E, alla fine, sapeva che, nonostante l’apparenza, avrebbe potuto contare anche su Shuzo in caso di bisogno. Sì, era decisamente fortunato. Soprattutto perché la famosa sadica che compiva gli anni si interessava a lui a fasi alterne nelle sue storie e questo lo poneva in una posizione di vantaggio rispetto agli altri.
Chiuse gli occhi e si concesse un riposino, stringendo a sé la ragazza.
Il colpo alla porta lo fece sussultare. Si voltò verso la finestra e si rese conto che c’era meno luce rispetto a prima. Di nuovo un bussare e la voce che mai avrebbe voluto sentire.
“Yoshiko apri! Eddai, sorellina! Azumi mi ha fatto una ramanzina che non finiva più. Ho sbagliato, vorrei scusarmi.”
Stringendo le labbra, Sen scosse la sua ragazza, che aprì gli occhi, gli sorrise e lo baciò, prima di sentire la voce del fratello.
“Yoshiko, ma ci sei?” La ragazza scattò seduta sul letto fissando prima Sen, poi la porta chiusa. Purtroppo il suo movimento improvviso fece cadere a terra il cellulare, che era stato abbandonato sul letto poco distante da loro, mettendo la parola fine alla loro vita.
“Ah ma allora ci sei! Dai apri, così parliamo un po’.”
Sen si alzò di scatto e lei si coprì la bocca con le mani: era nudo! E lei anche! Indicò freneticamente il bagno al ragazzo e gli lanciò dietro i suoi abiti. Quindi si infilò un vestito al volo e aprì la porta sorridendo
“Taro! Cosa fai qui?” Il fratello inclinò la testa, guardandola: aveva i capelli arruffati, i segni del cuscino sul viso e quell’abito palesemente messo al contrario. Alzò un sopracciglio mentre una vena iniziava a pulsargli in fronte. Quando Yoshiko la notò, iniziò a tremare di paura.
“Cosa facevi?”
“Un riposino prima della festa.”
Avanzando nella stanza dopo averla spostata di peso, Taro si guardò intorno.
“Strano, credevo fossi in giro con Sen.”
“No, è andato alla Spa con Shuzo.” Mentalmente ringraziò il suo ragazzo di averlo avvertito che Morisaki era là. Non si aspettava certo che Taro si voltasse assottigliando lo sguardo.
“Strano! Shuzo era solo quando lo abbiamo incrociato.” Taro fissò la porta del bagno e il letto sfatto, sbuffò e si avvicinò pericolosamente alla porta mentre Yoshiko cercava di portarlo via.
“Taro, che ne dici se mi fai vedere la Spa? Io non ci sono ancora stata.”
“Certo.” L’altro annuì mentre arrestava l’avanzata per chinarsi e sollevare qualcosa tra le mani che lei non vide. Capì che era nei guai quando lo sentì tuonare.
“Sen! Vieni fuori!”
“Taro, ma non è qui.”
“Ma non mi dire. Sen!”
La porta del bagno si aprì lentamente e il ragazzo ne uscì vestito di tutto punto. “Mi davo una sciacquata al viso.”
Taro lo fissò intensamente e poi guardò la sorella.
“Non so più cosa fare con voi due! Azumi mi ha detto di lasciarvi stare, Tsubasa mi ha detto di lasciarvi stare, perfino Shuzo l’ha detto! Ovviamente io non vi lascerò stare! Quindi Sen vieni con me!”
Lo prese per un braccio e lo scortò fuori dalla stanza. Quando furono in corridoio, guardò la sorella scuotendo la testa. “Prima di dire che lui non c’è, assicurati di aver messo il vestito dritto, di avere le lenzuola in ordine, e che non spuntino dei boxer da sotto il letto!” Detto questo piantò nelle mani di Sen quella che riconobbe essere la sua biancheria. I due ragazzi arrossirono di colpo, mentre Taro sbuffava allontanandosi a passo di carica.
“Almeno avete finito prima che arrivasse?”
La voce di Shuzo li fece sussultare. Da dietro la colonna posta alle spalle di Sen, Morisaki li fissò scuotendo la tesa. “Certo che siete due impiastri!”
Aprendo la porta con la chiave magnetica, Shuzo si avviò al bagno seguito da un Sen con la testa bassa e i boxer ancora in mano. Morisaki si fermò. “No, forse è meglio che la doccia la faccia prima tu. Io ho solo il cloro della piscina addosso, tu hai ben altro. Che schifo devono fare quei jeans, ora, senza i boxer.”
Sen arrossì e sparì in bagno. Sghignazzando e sentendosi molto stronzo, Shuzo si lasciò cadere sul letto e compose un messaggio al gemello con un breve resoconto, così che quella sera fossero tutti pronti a difendere Sen dalle grinfie di Misaki. Non concepiva il comportamento di Taro, ma sapeva che Sen era in ottime mani con Mamoru e Yuzo. E poi anche lui avrebbe vegliato sul chibiIzawa; alla fine lo faceva già. Sen era un po’ anche il suo fratellino, anche se avrebbe negato questa affermazione fino alla morte davanti a Ottomani!
Sull’anta dell’armadio erano appesi i completi scuri per la serata. Dovevano essere eleganti, ma lui aveva già deciso di sostituire la camicia classica con una maglia delle sue, scura con il disegno di uno dei suoi tatuaggi sul davanti. L’aveva fatta fare di proposito: il simbolo dei 3Kitsu risplendeva al centro, in onore della festeggiata che si era inventata il disegno appositamente per la nuova storia. Perché non renderle omaggio proprio il giorno del suo compleanno?
 
 
SABATO 9 GIUGNO 2018 ORE 18:00 HOTEL
 
Il cristallo del tavolinetto vibrò in modo sinistro quando l’urtò con la gamba. “Dannazione, Hajime, fai piano!” protestò Teppei con una smorfia, ritrovandosi nell’impossibilità di indietreggiare ancora. “Già abbiamo rotto la rete del mio letto, non voglio rompere anche i tavoli...no.” L’ultima parola si spezzò in un ansimo quando una mano gli si insinuò nei pantaloni slacciati e si chiuse con forza su uno dei suoi glutei, stringendolo con possessività.
“Cazzo me ne frega! Gliela ripago, gli ripago tutto! Kamisama, hai un culo fantastico! Lo sai, vero? Sì, che lo sai, altrimenti non ti metteresti questi pantaloni aderenti” gli sussurrò il compagno nell’orecchio prima di scendere a martoriargli il collo con le labbra e i denti mentre con l’altra mano cercava di sfilargli i calzoni.
“Ma quali aderenti…” Il giocatore del Cerezo Osaka gli afferrò entrambi i polsi, cercando di fermarlo. “Sono normalissimi pantaloni.” “Normalissimi un cazzo! Sono un attentato alla mia sanità mentale.” Nonostante l’altro facesse di tutto per contrastare i suoi tentativi di spogliarlo, Hajime non si diede per vinto e continuò a tormentargli il collo con baci e morsi via via sempre più forti, risalendo verso il lobo e seguendo la linea della mascella, fino ad arrivare alle labbra delle quali si appropriò con un bacio prepotente. “Lo dici di tutti i miei vestiti…” ansimò Teppei, il petto che si alzava e abbassava con forza, quando l’altro si staccò dalla sua bocca per lasciargli una fila di piccoli baci avidi sulla guancia e la tempia, lì dove una ciocca di capelli si inanellava in un ricciolo morbido. Accarezzandogli con le labbra l’angolo dell’occhio, Hajime ridacchiò. Chinò il viso e strofinò piano il naso sul suo collo, riempiendosi le narici del suo profumo. L’eccitazione lo colpì come una frustata, la sentì percorrergli il corpo e scaricarsi nel sesso, che pulsò con dolore. L’odore della sua pelle, misto alla fragranza del vetiver che usava, costituiva per lui una combinazione esplosiva. Alzò la testa e lo fissò dritto in quel velluto color cioccolato che erano i suoi occhi – Kamisama, i suoi occhi, avrebbe fatto qualunque cosa se glielo avesse chiesto con quegli occhi e non c’era nulla al mondo che non avrebbe potuto trovare in quegli occhi, che erano l’alfa e l’omega del suo universo e tutto quello che avrebbe mai voluto e potuto chiedere – e avvicinò di nuovo le labbra alle sue. “Sei tu, sei tu che mi fai impazzire…” confessò con voce roca e tornò a baciarlo con un trasporto che scaturiva dalla parte più profonda del suo essere, lì dove la presenza di Teppei si era radicata in un modo che non avrebbe mai creduto possibile. Era più forte di lui, pur volendo – e non voleva – non avrebbe mai potuto contrastarla: bastava uno sguardo, una parola o anche un gesto inconsapevole, come un sorriso a fior di labbra in risposta a una battuta, per accendergli dentro un desiderio accecante. Il compagno riusciva a far vibrare corde di cui non aveva mai sospettato l’esistenza. “Solo tu…” mormorò sulla sua bocca, staccandosi appena, le palpebre socchiuse che non riuscivano a celare quell’innegabile verità.
A quelle parole Teppei socchiuse gli occhi con un sospiro arrendevole; smise di contrastarlo e lo lasciò libero di spadroneggiare come voleva. Nonostante stessero insieme da quasi dieci anni, non riusciva a resistere a quel desiderio di appartenergli che si era impossessato di ogni cellula del suo corpo fin dalla prima volta che Hajime lo aveva baciato. E ogni volta che le sue labbra lo sfioravano, che le sue braccia lo stringevano, che lo sentiva muoversi dentro di sé, in quella comunione perfetta di anima e corpo che riuscivano a creare ogni volta che facevano l’amore, sentiva il cuore tremare per quella passione che non scemava mai e sulla quale avevano costruito la loro vita insieme. Le due metà della mela che dopo essersi cercate a lungo tornavano a essere una. Unica e indivisibile. Gli infilò le dita tra quei capelli che nessun pettine era mai riuscito a domare e le intrecciò dietro la nuca, in un invito ad avvicinarsi che l’altro colse subito. Le mani di Hajime tornarono a impossessarsi dei suoi glutei, infilandosi sotto la stoffa sottile dei boxer per accarezzare la pelle nuda.
“Lo sai che se continui così non andremo alla festa, vero?”
Hajime fece spallucce, le labbra che continuavano ad accarezzare piano la sua bocca. “Capiranno, ormai mi conoscono troppo bene.” Teppei gli tirò piano i capelli per allontanarne il viso e guardarlo dritto negli occhi. “Forse sì, ma sarebbe maleducato da parte nostra non andare.”
“Ma chi vuoi che se ne accorga! L’importante è che ci siano Yuzo e Mamoru, il resto è solo contorno.”
“Ah sì?” Il giocatore di Osaka socchiuse piano le palpebre con fare minaccioso, stringendo un po’ di più la presa. “È questo che pensi? Che non sono importante?”
Hajime non rispose ma un sorrisetto stronzo gli comparve sulle labbra, seguito da una smorfia leggera nel sentirsi strattonare i capelli con più forza. Uno scintillio provocatorio lampeggiò nelle sue iridi nere, ma non si sottrasse alla stretta e rimase a fissarlo, in un gioco di gesti e sguardi che aveva il solo scopo di aumentare l’eccitazione di entrambi. Adorava prendere l’iniziativa e cogliere l’altro di sorpresa, soprattutto quando non se lo aspettava. Afferrargli i polsi, stringerglieli dietro la schiena, sentire la sua esclamazione soffocata e, tenendolo bloccato, baciarlo fino a strappargli l’ultimo alito di fiato, lo infiammava oltre misura. Provava un perverso piacere nel vedere il suo corpo contorcersi nella stretta delle mani, nel sentirlo ansimare a bocca aperta e gemere senza ritegno, e la sua voce che lo chiamava piano, in una lenta cantilena, era una droga della quale non riusciva più a fare a meno. Ma quando, come in questo caso, Teppei ribaltava le posizioni prendendo il comando, il suo desiderio diventava esplosivo, tanto che avrebbe potuto avere un orgasmo solo a guardarlo dritto negli occhi.
Continuando a tenerlo stretto per i capelli con una mano, con l’altra Teppei lo cinse alla base della schiena, premendo con il palmo sulla striscia di pelle nuda che la canotta lasciava scoperta, alla ricerca di un contatto più intimo che non fosse intralciato dalla presenza dei vestiti. Gli esercizi ai quali si sottoponeva quotidianamente avevano allenato alla perfezione i suoi muscoli e la sua stretta sapeva essere salda quanto quella di Hajime. Gli accarezzò la pelle, sentendola bollente sotto le dita, e desiderò toccarne più che quei pochi centimetri; desiderò di averlo completamente nudo sotto di sé, di vedere i suoi occhi spalancarsi e i denti affondare con forza nel labbro inferiore mentre strozzava un lungo gemito nella gola. Spinse il bacino contro il suo e sorrise nell’avvertire il violento brivido che gli attraversò il corpo, facendolo sospirare. Si beò del potere che riusciva a esercitare su di lui, lo stesso grazie al quale il compagno dettava i ritmi al suo, di corpo, in una sorta di guerra in cui entrambi erano vincitori e vinti allo stesso tempo. Lentamente avvicinò il viso a quello di Hajime, attratto dal suo sguardo che lo chiamava, che otteneva senza pregare, che intesseva un nuovo incantesimo in cui lui era marinaio e l’altro sirena, e in cui si sentì annegare, tanto che si trovò a premere le labbra sulle sue senza nemmeno rendersene conto se non quando sentì l’umida morbidezza della sua lingua farsi strada nella bocca. Gli concesse quel bacio, un altro e un altro ancora, fino a perderne il conto, lasciandosi divorare e divorandolo a sua volta, mentre le mani si infilavano sotto i vestiti e toccavano porzioni sempre più ampie di pelle, seguendo le linee delle vertebre e delle scapole. Le carezze si fecero sempre più frenetiche e i secondi si trasformarono in ore, le ore in giorni e il tempo si distorse nelle pieghe di una realtà che si disfaceva e ricomponeva in una dimensione diversa dove l’unico ritmo era quello scandito dai battiti furiosi dei loro cuori.
Si separarono che il fiato era ormai perso, smarrito chissà dove, e l’aria entrava con forza dalle labbra aperte e dalle narici, mentre gli sguardi rimanevano avvinti, onice e cioccolato, e i piedi si muovevano senza che nessuno dei due li guidasse, finché crollarono su uno dei letti, tra le lenzuola sfatte.
Teppei guardò il compagno steso sotto di lui, la pancia messa a nudo dalla canotta arrotolata all’altezza dello sterno, il petto che si alzava e abbassava con furia, le pupille dilatate e i lineamenti alterati dalla stessa eccitazione che sapeva essere dipinta anche sul proprio viso. Si tolse le sue mani dalla schiena e le portò sopra la sua testa, inchiodandole al materasso. Si sollevò e si sedette a cavalcioni dei suoi fianchi, strappandogli un gemito soffocato quando i loro bacini entrarono in contatto.
Hajime socchiuse le palpebre e si umettò le labbra, gonfie per i troppi baci. “Che intendi fare?” chiese, tendendo l’angolo della bocca in un chiaro gesto di sfida. “Non più di quello che tu hai fatto a me per tutta la notte.” Con un gesto della testa Teppei indicò il comodino, sul quale la benda di seta nera si intrecciava al metallo lucido delle manette.
“Vuoi bendarmi?”
“Oh no, non subito…” Piegò la schiena e avvicinò le labbra al suo orecchio. Parlò piano, quasi sussurrando. “Prima ti ammanetterò; chiuderò un gancio qui e l’altro qui, in modo che tu non possa muoverti.” Con i pollici gli sfiorò prima l’interno di un polso e poi quello dell’altro, solleticandogli la pelle. “Poi ti bacerò qui.” Lentamente, prendendosi tutto il tempo del mondo, depose una serie di piccoli baci intorno al lobo, cercando e trovando quei punti che sapeva essere più sensibili. Con la punta della lingua tracciò una scia lungo il collo ma si fermò prima di arrivare all’incavo della spalla.
Nonostante la benda non fosse ancora stata messa sui suoi occhi, Hajime li chiuse lo stesso, non riuscendo a tenerli aperti un secondo di più. Le labbra del compagno che tracciavano pigri sentieri sulla sua gola, leccando e succhiando ogni centimetro di pelle, non facevano che alimentare l’incendio che sentiva divampare in ogni cellula del corpo. Ansimò quando i denti di Teppei si fermarono sul suo labbro inferiore, afferrandolo e tirandolo piano prima di lasciarlo andare. Non sentendo arrivare il bacio che si era aspettato, aprì gli occhi per cercare il suo sguardo che trovò fisso su di sé.
“Così non va bene.” La voce giunse bassa e roca, venata dalle note decise del comando. “Non devi chiudere gli occhi.”
“Perché?”
“Perché devi vedere cosa ho intenzione di farti.”
Una nuova scarica lo attraversò da capo a piedi, e il sesso, imprigionato nei pantaloni, pulsò dolorosamente. Inarcò la schiena, alla ricerca di un contatto che gli provocasse un minimo di sollievo ma l’altro glielo impedì, sollevandosi di poco dal suo bacino e facendo schioccare la lingua in segno di disapprovazione.
“Cos’è tutta questa fretta?” Dal tono canzonatorio e dall’espressione dipinta sul suo viso era evidente quanto Teppei si stesse divertendo. Sapeva di averlo in pugno e stava godendo nel prolungare l’attesa, portandolo ogni secondo più vicino alla pazzia.
“Sei un gran bastardo.”
“Oh, sì… E questo non è niente.” Il giocatore di Osaka tornò a sfiorargli la bocca con la sua, ne saggiò la consistenza e l’accarezzò con la lingua, ma quando Hajime si sporse per approfondire il bacio si tirò di nuovo indietro.
“Uno stramaledetto bastardo.” L’attaccante dei Verdy strattonò le braccia, per liberarsi dalla presa salda che continuava a immobilizzargli i polsi ma la stretta non si allentò, anzi, si strinse ulteriormente. Un sibilo di frustrazione gli sollevò il petto mentre il desiderio di possederlo iniziava ad accecarlo. Non avrebbe resistito ancora a lungo, non era nella sua indole, non si sarebbe sottomesso all’infinito e questo il compagno lo sapeva bene. Teppei sorrise; un sorriso da togliere il fiato per la perfezione del gesto e che lo incantò, impedendogli di distogliere gli occhi. Un sorriso che partì adagio dal centro delle labbra per arrivare a incurvare gli angoli dopo quella che sembrò un’eternità. Un sorriso che lo soggiogò, domando il suo spirito ribelle. Smise di agitarsi e il suo corpo si rilassò, sprofondando di nuovo nel materasso.
“Bravo...” Le labbra tornarono a sfiorargli l’orecchio e si fermarono a giocherellare con il lobo. Una mano gli lasciò i polsi e scivolò lungo il suo collo, fermandosi nell’incavo della gola. “Adesso ti toglierò la canotta, la solleverò oltre la tua testa e scoprirò il tuo petto. Poi ti toccherò i capezzoli. Lo so che ti fa impazzire.” Teppei tornò a incrociare il suo sguardo, leggendovi eccitazione mista ad aspettativa; il desiderio di sentire le sue mani su di sé aveva trasformato la fiera in un docile gattino. Torreggiando sulla preda indugiò con le dita sulla sua gola e mosse piano la mano solo quando l’altro si lasciò sfuggire un sospiro di impazienza, mordendosi un labbro. La carezza scese leggera lungo una clavicola, seguì le linee dei muscoli pettorali, passando sul sottile tessuto, e si concentrò su un capezzolo. “Quanto ti piace? Dimmelo!”
Hajime non rispose ma inarcò la testa all’indietro e gemette piano.
L’attaccante del Cerezo smise subito di toccarlo, suscitando un nuovo gemito, questa volta di protesta. Le iridi nere si legarono di nuovo a quelle cioccolato, in un gioco di dominazione e sottomissione che non aveva altro scopo che far impennare le pulsazioni a entrambi.
Cedendo al richiamo di quegli occhi color onice, Teppei si chinò e gli baciò le labbra. Fu un bacio dolce e tenero, in totale contrasto con il modo autoritario con cui si stava imponendo su di lui.
“Ti voglio…”
“Mi vuoi? Davvero?” chiese Teppei, continuando a baciarlo. “E cosa vuoi farmi?” Con la bocca scivolò lungo il mento e il collo, fino ad arrivare al torace; gli scostò la canotta e gli afferrò un capezzolo tra i denti, leccandolo e succhiandolo.
“Scoparti.” L’altro lo esalò con forza, inarcandosi sotto la sua bocca, le sue attenzioni lo stavano facendo impazzire.
“Vuoi questo?” Con una smorfia maliziosa Teppei si mosse sul suo bacino, strofinandosi sull’erezione.
“Si…”
“Allora… pregami!”
“Scordatelo!”
Con una risata mista ad ansimi, Hajime scosse la testa. Le labbra del compagno abbandonarono i pettorali per tornare sulle sue. La punta della lingua si insinuò delicatamente all’interno della bocca, più per solleticare che per esplorare. Per sedurre e convincere, un assaggio di quello che avrebbe avuto se avesse accondisceso alla richiesta.
“Pregami…”
“No…”
Teppei si sollevò a sedere, rimanendo cavalcioni dei suoi fianchi. Piegò la testa di lato e con un ghignetto perfido gli afferrò l’erezione, stringendola attraverso la stoffa. Ridacchiò nel vedere il compagno boccheggiare e i tratti del viso irrigidirsi per il piacere che il suo tocco gli stava provocando. Le dita fecero saltare il bottone del pantalone e abbassarono la cerniera, scoprendo l’aderente boxer antracite e si fermarono a giocherellare con l’elastico.
“Lo sai che ti renderò tutto con gli interessi? Vero?” Minacciò l’attaccante dei Verdy a denti stretti, lo sguardo che si animava di una luce ferina, pericolosa.
Il centravanti di Osaka sollevò le sopracciglia, beffardo. “In realtà sono io quello a credito, ma non importa perché ora… sei mio!” Infilò le dita sotto il tessuto per toccare la carne nuda e dura, che pulsò nella sua stretta. Un verso gutturale sfuggì dalla gola di Hajime. Quella mano che si muoveva in modo ritmico, ora piano, ora veloce, che sapeva cosa gli piaceva e come farlo impazzire, continuò a strappargli lamenti sempre più forti, finché, a un passo dall’orgasmo, si fermò di colpo, lasciandolo frastornato, con il fiato corto e con il cuore che gli martellava nelle orecchie.
Non avvertendo più né le sue mani né il suo peso addosso, Hajime aprì gli occhi e lo cercò con lo sguardo. Lo trovò in piedi davanti al letto che si sistemava i pantaloni, sulle labbra un sorrisino bastardo che gli strappò un insulto a mezza bocca. Con una smorfia si mise seduto e iniziò a massaggiarsi l’inguine: l’erezione tirava e faceva un male cane.
“Tutto bene?” Anche il tono, non solo l’espressione di Teppei, era da presa per il culo.
“Fottiti!”
Lo vide fare spallucce e dirigersi al guardaroba per tirarne fuori la maglia nera con il logo di Armani che avrebbe indossato sotto al completo, anch’esso nero.
“Che fai, non ti vesti?” Teppei indossò la maglietta e si recò in bagno, dal quale ne uscì poco dopo con i riccioli in ordine e lo stesso sorriso perculatorio. Lo stava coglionando e non ne faceva mistero. “Se non ti sbrighi faremo tardi.”
Per tutta risposta gli venne mostrato il dito medio alzato.
“Oh, ma come siamo permalosi… alla fine erano solo due paroline…”
Bofonchiando qualcosa di incomprensibile ma che aveva tutta l’aria di un altro insulto, Hajime scese dal letto e lo raggiunse. Lo squadrò da capo a piedi, storcendo piano l’angolo della bocca. Iniziava a venire da ridere anche a lui, ma con uno sforzo si mantenne serio e lo prese per la vita. Socchiuse le palpebre affinché l’altro non vedesse la luce perfida che gli brillava nello sguardo. Un lampo di sospetto passò in quello di Teppei, che conosceva il compagno troppo bene per non aspettarsi una qualche rappresaglia. Ma andava bene così, perché quel desiderio che li consumava era solo una delle mille sfaccettature del legame che li univa da una vita, prima come migliori amici e poi come amanti e compagni. Un legame fatto non soltanto di sesso, ma di amore, complicità e divertimento. E la voglia di giocare, di provocarsi e prendersi in giro non si era mai persa nelle pieghe del tempo che li vedeva camminare uniti. Per questo lo abbracciò a sua volta e accolse il bacio come qualcosa di raro e inestimabile. Hajime aveva un modo unico di baciarlo, riusciva a farlo sentire dominato e, allo stesso tempo, la cosa più preziosa che avesse al mondo. E se solo si soffermava a pensare che qualche anno prima era stato sul punto di perderlo, sentiva il sangue ghiacciarsi nelle vene. Lo abbracciò forte e lo sentì mugugnare per quella stretta ferrea ma non si fermò e intensificò il bacio, finché non rimasero di nuovo senza fiato. “Che c’è?”
Evidentemente il suo turbamento non era sfuggito al compagno che lo guardò con la fronte corrugata, cercando di incrociare il suo sguardo. “Nulla.” Scosse la testa e gli rivolse un sorriso rassicurante, la mano che dalla schiena si spostava su per l’avambraccio in una leggera carezza, fino ad arrivare al tatuaggio che Hajime aveva sul braccio destro. Con un dito ricalcò la sagoma stilizzata in rosso della fenice di Suzaku, dio dell’amore. Il disegno era opera di Shuzo, tatuatore di professione, che si era prestato volentieri a eseguire le loro richieste. Anche sul suo braccio sinistro il gemello di Yuzo aveva realizzato una delle sue opere, una particolare versione a scaglie nere del fiore di sakura. Quei tatuaggi li avevano fatti all’indomani della grossa crisi che avevano attraversato quando si erano decisi a fare coming out con le rispettive famiglie e suo padre aveva fatto fuoco e fiamme alla notizia, rifiutandosi di accettare la situazione. Era stato un periodo difficile per la famiglia Kisugi e per lui in particolare, mesi di tensioni continue e liti furibonde, di recriminazioni e sensi di colpa, che aveva vissuto costantemente con i nervi a fior di pelle e che l’avevano segnato nel profondo, facendolo sentire ‘sbagliato’. Anche il suo rendimento calcistico ne aveva risentito e in più di un’occasione era finito in panchina, a guardare la partita da bordocampo. Aveva sofferto parecchio e si era chiuso in sé stesso, tenendo fuori tutti, compreso Hajime, che quella guerra l’aveva vissuta di riflesso senza poter fare nulla, perché lui glielo aveva impedito. Per quel suo atteggiamento di chiusura avevano più volte litigato furiosamente ed erano arrivati a un passo dalla rottura. Non senza sgomento avevano dovuto confrontarsi con l’amara verità che l’amore non vive di vita propria ma che, come un fiore di ciliegio, può avere una vita molto breve se non lo si coltiva e preserva ogni singolo giorno. Quella consapevolezza era stata un punto di svolta: avevano recuperato il loro rapporto, decisi a difenderlo a qualunque costo da tutto e tutti, famiglie comprese. Si erano riavvicinati e nei mesi successivi, con pazienza, avevano riannodato tutti i fili che le loro discussioni avevano reciso. Era stato allora che avevano deciso di imprimersi sulla pelle quei simboli, per ricordare a entrambi quanto fosse importante combattere ogni singolo giorno per preservare il profondo amore che li univa. Senza trattenere una smorfia cercò di scacciare quel ricordo doloroso che, nonostante gli anni trascorsi, continuava a farlo soffrire e si sporse per cercare di nuovo le sue labbra.
Hajime lo trattenne il tempo di una breve occhiata indagatrice e poi, con un sospiro, lo assecondò, baciandolo con tutto l’amore che aveva dentro di sé. Un bacio che confessava, che assicurava, che prometteva, ti amo e ti amerò, oggi e per sempre, con ogni battito del mio cuore. Non aveva bisogno di leggergli nella mente per capire a cosa stesse pensando Teppei. L’aveva intuito subito, come le sue dita gli avevano sfiorato il tatuaggio e la sua espressione si era fatta distante, chiusa, un’eco di quella che gli aveva irrigidito i tratti per mesi durante quello che era stato il periodo più brutto della loro vita. Perciò non disse nulla ma lo strinse forte, come faceva sempre quando i ricordi tornavano a far sentire le loro spine aguzze, finché non fu sicuro che quel momento di tristezza fosse passato. Solo a quel punto si staccò da lui per guardarlo dritto negli occhi.
“Tu sei l’amore della mia vita,” sussurrò, sorridendo piano di fronte al guizzo emozionato che passò in quello sguardo color cioccolato, così amato e così indispensabile alla sua esistenza. “Non mi stancherò mai di dirtelo. Ma ora… per tutti i Kami! Ho intenzione di scoparti finché non sarai tu a pregarmi… di smettere.”
Senza dargli il tempo di reagire lo spinse sul letto più vicino e gli piombò addosso con tutto il suo peso, inchiodandolo sul materasso e fissandolo con uno sguardo deciso. Non avrebbe cambiato idea per nessun motivo e lo sapevano entrambi.
“E io che mi ero illuso che alla fine fossi diventato romantico! Che scemo,” lo prese in giro Teppei, cingendogli il collo con le braccia e lasciando che il passato tornasse a essere passato.
“Vuoi il romanticismo?” Il giocatore del Cerezo si strinse nelle spalle con un sorriso innocente che non ingannò nessuno. “Ok, vorrà dire che userò un preservativo rosa!”
Ridendo e giocando si rotolarono sul letto e mentre i vestiti volavano per la stanza e i baci e le carezze si facevano sempre più appassionati e intimi, strappando gemiti e sospiri sempre più intensi, concordarono che nessuno, men che meno la festeggiata, se ne avrebbe avuto a male se fossero arrivati in ritardo alla festa.
 
 
SABATO 9 GIUGNO 2018 ORE 19:00 HOTEL
 
Il direttore dell’albergo non la smetteva più di parlare. Sanae emise un impercettibile sbuffo contrariato, posando gli occhi sull’orologio del marito, impaziente che quella lunghissima conversazione arrivasse velocemente al termine. Era da ritenersi piuttosto logico che la direzione dell’albergo si sentisse in dovere di informarlo di ogni dettaglio, dato che sarebbe stato Tsubasa a pagare i conti ma… per l’amor del cielo! Si stava davvero esagerando! La sala era perfetta, il cibo lo sarebbe sicuramente stato, dato che sarebbe passato sotto la supervisione di uno chef da 3 stelle Michelin e di alcol ne sarebbero scorsi fiumi… per la gioia di tutti! Era quindi giunto proprio il momento di porre fine a quello strazio e raggiungere il resto degli invitati nel salone principale.
“Tsubasa…” Sanae chiamò il marito con voce suadente, attirando così prontamente la sua attenzione. “Credo che faremo tardi…” cinguettò, allacciandosi al braccio del marito, in modo che la scollatura del vestito aderisse bene alla stoffa della giacca scura di ottima fattura italiana. Il ragazzo si limitò ad annuire, non prima di aver buttato l’occhio sul seno della moglie che, per un attimo, gli fece perdere il filo del discorso.
Il direttore, capita l’antifona, si congedò dai suoi cortesi ospiti velocemente, non prima però di aver lusingato il numero 28 del Barcellona con un’altra serie infinta di moine. Un’ultima stretta di mano e la coppia fu finalmente libera di incamminarsi verso la sala che avrebbe ospitato la festa.
“Oh ce ne siamo liberati, alleluia!” esclamò la ragazza, rimanendo sempre avvinghiata al braccio al marito, stranamente silenzioso. “Taro e Azumi saranno invecchiati nel frattempo…” continuò a borbottare, nonostante Tsubasa non proferisse alcuna parola. Incuriosita da tanto silenzio, Sanae si fermò, decisa a capire cosa rendesse così strano suo marito. “Va tutto bene?” gli chiese, inclinando leggermente la testa verso di lui. Tsubasa la guardò serio per un attimo, prima di stringere le labbra in una smorfia preoccupata. “C’è qualche problema con la festa?” lo incalzò la giovane, non ricevendo alcuna risposta.
“Sanae… credi che funzionerà?” La ragazza batté le ciglia sugli occhi marroni un paio di volte, corrugando appena le sopracciglia. “Cosa di preciso?” gli rispose, girandogli un’altra domanda, calcando volutamente sul tono perplesso della voce.
“Credi che la prossima volta… Lei sarà più buona con me?”
Sanae rielaborò per un attimo quelle parole, prima di scoppiare a ridere in maniera fragorosa, dimentica delle buone maniere e d’indossare un vestito esclusivo di alta moda.
Tsubasa incrociò le braccia sul petto, offeso dalla scarsa solidarietà di sua moglie, che una volta ripreso fiato, lo guardò dolcemente, posandogli una carezza sulla guancia. “Certo che lo sarà… Ne sono sicura…” lo rassicurò Sanae, pur non essendo affatto convinta di quello che stava dicendo. Ma si sa, le bugie bianche sono quelle dette a buon fine, no?
Il ragazzo le sorrise di nuovo e, finalmente incoraggiato, i due fecero il loro ingresso nel salone, pronti a partecipare alla festa più esclusiva e pazza dell’anno. Pochi passi e Azumi e Taro li raggiunsero, quest’ultimo già munito di bicchiere, dal quale prendeva grosse sorsate ad intervalli regolari. Sanae non poté evitare di notare subito la cosa, andando a chiedere spiegazioni all’amica.
“Oh lascia perdere! Prima ha sorpreso Sen in camera di Yoshiko. Era interamente vestito a parte i boxer… che ha trovato a terra.”
“Non ci posso credere! Ancora con questa storia! Ma poveri ragazzi!”
“Credo abbia capito che loro due… per questo non molla il bicchiere! Per dimenticare!” Le due ragazze presero così a ridacchiare, confrontandosi sulle stramberie dei rispettivi uomini.
“Tsubasa invece pensa di sfruttare la festa a suo favore. È convinto che così, lei non gli farà fare più qualche fine disgraziata…”
“Ma è utopia! Un po’ come sperare che Yoshiko e Sen non abbiano mai fatto sesso!”
“Eh lo so… ma che ci vuoi fare? Mi fanno tenerezza, lasciamogli credere tutto quello che vogliono…”
Le due lanciarono un’occhiata divertita verso i rispettivi compagni, che ignari, ricambiarono il sorriso mentre l’attesa per l’arrivo della festeggiata cresceva di minuto in minuto.
 
 
 
SABATO 9 GIUGNO 2018 ORE 19:30 CASA DI SALVATORE

“Si può sapere dov’è che dobbiamo andare?”
Gino si illuminò, mentre scioglieva – per l’ennesima volta – il nodo malriuscito alla cravatta: “Alla festa di compleanno della mia autrice preferita! Ti rendi conto?”
“Mmm mmm,” annuì Salvatore, per mostrarsi almeno un po’ partecipe. Lui era già pronto da almeno dieci minuti e non riusciva a capire come facesse Gino, diplomatico per eccellenza, a litigare con ogni singolo capo di abbigliamento di un vestito elegante. Ogni singola volta.
“È una festa super esclusiva, l’accesso è solo su invito!” proseguì imperterrito il portiere, gli occhi che gli brillavano di eccitazione. “Serena avrebbe ucciso per venirci!”
“Perché non è venuta?” indagò il difensore.
Gino si strinse nelle spalle: “Aveva un addio al nubilato.” Tornò a concentrarsi sul gravoso compito di allacciare la cravatta – che differenza c’era mai con le stringhe delle scarpe, diamine! - per poi rimanere con un niente di fatto per l’ennesima volta. Guardò la cravatta slacciata che gli passava dietro il collo, i due lembi di stoffa fra le sue dita. Doveva essere difettosa.
“Chi è che si sposa?” chiese Salvatore annoiato. La sua attenzione era catalizzata dalla rovinosa disfatta in cui stava sfociando la sfida tra la cravatta e Hernandez, ovviamente ai danni di quest’ultimo. E anche se non gliene fregava un cazzo di quale delle amiche di quella pazza di Serena si stesse per sposare, non voleva lasciar cadere la conversazione: perché più lo faceva parlare, più Gino si distraeva; più le sue dita lavoravano velocemente, più afferravano solo aria. E la cosa lo divertiva da morire: perché gli dava la possibilità di prenderlo in giro e perché gli ricordava che quell’essere che per lui era sempre stato fin troppo perfetto, in realtà era deliziosamente umano.
“Melissa,” rispose prontamente Gino, troppo preso dalla sua missione per preoccuparsi della domanda di Gentile. “Si sono conosciute all’università. È quella che gioca a calcio in serie B.”
“Ah ah,” gli fece il verso Salvatore, giusto per rendere noto al compagno di quanto non gliene potesse fregare di meno. “E non avrebbero potuto festeggiarlo qua? Sarebbe stato decisamente originale!”
“Te l’ho detto: è solo su invito!”
“E tu come hai fatto a imbucarci?”
Gino si voltò verso di lui. “Buona parte degli invitati fa parte della nazionale giapponese – Melantò è un’autentica fanatica – così, per vie traverse…”
Gentile sospirò: ecco spiegato il motivo dell’impiastro nel suo salotto. “È giapponese anche lei?”
Gino scosse il capo, quindi prese la cravatta e la buttò sul letto. Sarebbe andato senza: sull’invito veniva richiesto l’abito elegante, mica specificava che poteva entrare solo chi aveva la cravatta. Si appuntò mentalmente di comprarsi un papillon: magari non sarebbe stato all’ultima moda, ma di sicuro non avrebbe dovuto tribolare così tanto tutte le volte.
“No, no,” rispose. Si voltò verso lo specchio e si slacciò il primo bottone del colletto: a quel punto, soffocare non aveva senso. “È italiana. Ma utilizza i ragazzi della Generazione d’Oro del Giappone come protagonisti di buona parte delle sue storie.”
“Cosa?”
Gino si voltò verso di lui, gli occhi illuminati dal furore del fanboy. “Sì! Li conosce da quando erano bambini, ha seguito le loro carriere e i loro progressi dalle elementari, lungo i tornei giovanili, fino alla J-League a alla nazionale maggiore! E così scrive di loro come se li conoscesse… anche se a volte non è che li tratti proprio bene nelle sue storie.”
“Ma non mi dire!”
Il portiere annuì gravemente. “Già. A volte uno si chiede se non voglia loro male.”
“Quindi è una fortuna che non siamo giapponesi,” lo prese in giro l’altro.
“Però uno dei suoi personaggi preferiti è un portiere e, nella maggioranza delle sue storie è pure gay e con fa coppia fissa con un altro giocatore.”
“E quanto ti assomiglia?”
“Poco, in realtà,” rispose Gino con un sorriso tenero. “Però mi piacerebbe conoscerlo. Deve essere una bella persona.”
“Non dirmi che sta con un difensore, ti prego.” Salvatore roteò gli occhi.
Gino si mise a ridere. “Non proprio… se ricordo bene ha giocato in diversi ruoli, ma mi pare preferisca fare il centrocampista.”
A Salvatore scappò un sospiro di sollievo.
“E perché questa preferenza per la nazionale giapponese?”
Il sorriso del portiere si spense sulle labbra, sentendo lo stesso quella parte di domanda che il suo compagno aveva preferito omettere. Perché non quella italiana? “Non saprei,” rispose. “Di certo la nostra non ha dato molte soddisfazioni negli ultimi anni.”
Salvatore notò subito il repentino cambio d’umore di Hernandez: era pur sempre il capitano e il peso di quella fascia lo sentiva anche quando non la indossava. Probabilmente riuscirebbe anche ad allacciarsi la cravatta, se solo dovesse legarsela attorno a un braccio. Gentile stirò le labbra in un sorriso ironico che preferì nascondere abbassando il viso mentre si alzava in piedi. Si avvicinò al portiere, gli passò un braccio attorno all’addome e gli appoggiò un bacio sul collo. “Credevo ci stessimo preparando per una serata piacevole,” gli sussurrò all’orecchio.
Gino sorrise e abbandonò il capo all’indietro, appoggiandosi alla sua spalla. Salvatore lo faceva impazzire quando faceva così. Quando lo capiva così al volo da sentirsi come se fosse in grado di leggergli dentro, quando lo sentiva così vicino che il resto del mondo sembrava solo una piccola macchia sfocata sullo sfondo.
“Potremmo decidere che i vestiti eleganti non servono e rimanere qui…”
Hernandez sorrise: la tentazione di eliminare tutto – camicia, pantaloni, calzini, scarpe scomode e dannatissime cravatte – e rimanere solo pelle contro pelle era davvero allettante. “Shingo ci sta aspettando di là,” sospirò. Si voltò, rapido come un gatto, e prima che il difensore potesse mettersi a inveire contro quella stupida scimmia, gli sigillò le labbra con le proprie.
Gentile non si lasciò sfuggire l’occasione per ricambiare il bacio, per attirarlo a sé – ancora più vicino, sempre più vicino, mai troppo vicino –, per sfilargli la camicia dai pantaloni e scorrergli le mani lungo la schiena e poi giù, lungo la linea dei glutei. Sentire il suo sapore e l’eccitazione crescere, sentire i bottoni cedere sotto le proprie mani, sentire il calore del suo corpo sul proprio, il suo profumo mischiarsi con il proprio respiro…
Gino si staccò a malincuore. “Magari quando torniamo dalla festa.” Appoggiò il viso nell’incavo della spalla di Salvatore e respirò profondamente.
“E di là ci sarà sempre quel maledettissimo muso giallo,” masticò il difensore con malcelata insoddisfazione.
Gino alzò il viso con un largo sorriso e uno sguardo furbetto. “Ma Shingo sarà nella camera degli ospiti e ha sempre avuto il sonno pesante…” Gli schioccò un altro bacio sulle labbra per poi staccarsi da lui e sistemare la camicia maltrattata. “Oppure potrebbe decidere di passare la notte all’albergo della festa… potrebbe aver voglia di passare un po’ di tempo con i suoi amici della nazionale, no? E poi ci sarà anche Hyuga, così non potrai lamentarti che non conosci nessuno!”
Almeno una buona notizia, pensò Salvatore. “E sarebbe famosa per aver scritto cosa, questa tua autrice?”
“Be’, un po’ di tutto.” Il portiere si allacciò i pantaloni per la seconda volta in pochi minuti e sistemò la cintura. “Ama spaziare tra i generi: romance, drama, horror, fantasy…” Quindi prese la giacca dalla gruccia. “Pronto!”
Il difensore scosse il capo: “E come mai non mi hai mai passato nulla di suo?” Di solito Gino gli dava il tormento finché non riusciva a coinvolgerlo nelle sue passioni. Cosa che di solito lo divertiva, soprattutto nel momento in cui – per amore o per forza – decideva di farsi convincere. Il problema era stare dietro alla dirompente capacità di Gino di appassionarsi alle cose più stravaganti. Il difensore afferrò la sottile striscia di stoffa che giaceva scomposta sul letto. “Ma è possibile che tu non abbia ancora imparato ad annodare una maledetta cravatta?”
“Io ci ho provato, sei tu che hai fatto lo gnorri,” sbuffò Gino.
“Per i libri o per la cravatta?” Gentile chiuse con due ampie falcate lo spazio tra di loro, un sorriso beffardo gli stiracchiava le labbra. “Allacciati il bottone del colletto,” lo apostrofò, mentre componeva un perfetto Windsor con movimenti rapidi e precisi. Gliela infilò e gliela strinse così tanto che la mano di Gino corse subito ad allentarla. Quindi fece mentalmente il conto delle ultime cose che Gino gli aveva proposto da leggere – mentre tornava a sistemare la cravatta del portiere, con un gesto ormai automatico per quante volte lo aveva già fatto – ma non gli venne in mente niente in particolare.
“Un suo romanzo lo hai letto, parecchi anni fa,” suggerì Hernandez, la mano destra di nuovo ad allentare il nodo della cravatta.
Salvatore corrugò la fronte. Poi gli venne in mente. “Il grande volo della lucciola?”
Il lungo sonno della lucciola,” lo corresse Gino, accigliato.
“Ma partiva con una tristezza unica!” Salvatore strabuzzò gli occhi, allargando le braccia. Gli era piaciuto, però. Cazzo, se gli era piaciuto!
Gino scosse il capo. “Sei tu che non sei capace di apprezzare i capolavori!”
Salvatore lo squadrò da capo a piedi e corrugò la fronte: su questo non era per niente d’accordo.
 
***
 
“Sei pronto, scimmia?”, chiese Gentile quando varcarono la porta del salotto.
Shingo era beatamente disteso sul divano, la tv con il volume tanto elevato che, probabilmente, tutto lo stabile avrebbe potuto ascoltare il programma che stava guardando.
“Già qui?” Considerando che lui e Gino erano appena rientrati da un paio di amichevoli per cui era da almeno una settimana che Gino e Gentile non si vedevano, non credeva davvero che la fuga in camera da letto fosse stata utilizzata solo per cambiarsi. Forse avrebbe dovuto pensare a un altro pernottamento. Magari qualcuno avrebbe potuto dargli asilo politico in albergo per quella notte. Aveva bisogno di dormire, non di guardare tutta la notte la tv con le cuffie.
“È ora di andare!” si intromise Gino nella conversazione. “Non vorrete mica fare tardi?”
Shingo si alzò, tirò fuori la cravatta dalla tasca e se la infilò al collo storta e lasca, con sommo disappunto da parte di Gentile.
Possibile che annodare una cravatta sul momento e indossarla sia così difficile?
“Dov’è che dobbiamo andare, poi?” Chiese di nuovo Shingo. Gino lo aveva tormentato perché ottenesse gli inviti anche per loro, ma lui non aveva ancora capito di cosa si trattasse esattamente. Però era contento di rivedere i ragazzi prima del ritiro per i Mondiali. “Al compleanno dell’autrice che, con la penna, ama torturare a morte i componenti della nazionale giapponese,” rispose Salvatore, appuntandosi mentalmente di scoprire se quel decerebrato di Aoi fosse mai stato uno dei protagonisti andati a finire molto male.
Per una volta, trovò confortante fare parte della nazionale italiana.

 
“Hanno organizzato le cose in grande,” commentò Salvatore quando entrò nella sala del ricevimento, un’occhiata di sufficienza a studiare la sala elegantemente addobbata a festa, i tavoli da buffet dall’aspetto invitante, la musica in sottofondo. Conosceva di nome quell’albergo come uno dei più in di Torino e dovette ammettere che, per una volta, la realtà era all’altezza della fama. E da quando Aoi era sparito per andare a salutare entusiasta ogni partecipante alla festa – personale dell’albergo compreso –, il suo umore era decisamente migliorato. Non l’avrebbe mai ammesso nemmeno sotto tortura, ma negli anni aveva iniziato ad apprezzare il centravanti nipponico. Ma aveva pur sempre una reputazione da difendere. Prese due bicchieri di champagne dal vassoio che gli venne cortesemente offerto da un cameriere dalla livrea perfetta, quindi ne porse uno a Gino. “Pare che la tua autrice sia più ricca e famosa di quanto pensassi.”
Hernandez sorrise, accettò il bicchiere e gli fece il cenno di un brindisi – solo tra loro due – prima di portarselo alla bocca. “È una festa a sorpresa, Salvo, non credo proprio che l’abbia organizzata lei!”
“E chi sarebbe stato?” si informò Gentile assaporando lo champagne con l’aria da sommelier consumato, non prima di aver ricambiato il cincin. Perché quei piccoli gesti, quella sensazione di essere sempre e comunque al centro dell’attenzione di Gino qualunque cosa succedesse e in qualunque luogo si trovassero, gli scaldava il cuore. Anche se non avevano mai fatto coming out pubblicamente, anche se in mezzo alla gente si mantenevano a distanza di sicurezza, si chiedeva se il resto del mondo non fosse cieco nel non vedere quello che realmente erano.
“Non ne ho idea,” ammise il portiere. Indicò Tsubasa che, abbracciato alla moglie, chiacchierava pacificamente con Misaki e Wakabayashi. Un’altra giovane donna accanto a loro era impegnata in una fitta conversazione con Shingo. “Immagino però chi possa aver pagato le spese.”
“Nonostante li torturi ogni volta?” Gentile incrociò lo sguardo con Kojiro il quale, ovviamente senza cravatta, con la giacca di traverso su una spalla e i primi bottoni della camicia slacciati, stava parlando fitto fitto con altri due ragazzi. Salvatore riconobbe gli amici di Hyuga del liceo, di cui aveva sentito parlare più volte. I due giocatori della Juventus si scambiarono un cenno di saluto con un sorriso appena accennato, sorriso che si allargò sulla bocca del difensore quando vide le maniche dell’altro arrotolate sino al gomito.
Gino si strinse nelle spalle. “Magari stanno provando a ingraziarsela.”
Salvatore squadrò l’espressione poco convinta dell’altro. “Credi?”
“Non saprei.”
“Potrebbe funzionare?” indagò il difensore. Meglio mettere le mani avanti: se Gino, che riusciva sempre a fare amicizia con chiunque, fosse entrato nelle sue grazie, avrebbe trovato il modo di pagare una tangente per evitare che lo torturasse.
O peggio.
“Non credo,” rise il portiere, mandando inconsciamente in frantumi i piani dell’altro. “Non mi pare che lei sia ancora arrivata. Ma comunque è una festa, no? Andiamo a divertirci!” Gli diede un colpetto con la spalla e lo superò, dirigendosi verso la Golden Combi. Salvatore bevve un altro sorso di champagne e lo seguì. Non poteva perdersi la scena in cui Hernandez si sarebbe fatto presentare il famoso Morisaki.

***

Tornò a chiederlo che erano appena usciti dall’ascensore. 
“Sicuro di stare bene?”
Teppei sbuffò per quella rinnovata richiesta e rallentò l’andatura, prendendo un passo più rilassato.
“Certo, non capisco perché continui a chiedermelo.” 
Hajime storse la bocca in un gesto di impazienza. “Forse perché non ne sono sicuro?” chiese, senza nascondere l’ironia.
“Sto benissimo!” La risposta giunse sicura, accompagnata da una stretta di spalle. “Tu, piuttosto, come ti senti? Mi sembri stanco” rilanciò il centravanti del Cerezo Osaka, rivolgendogli un’occhiata maliziosa e sghignazzando di fronte al sopracciglio che saettò in alto con orgoglio, prima di fermarsi con aria esitante all’imbocco del corridoio che portava nella hall. “Ti sei fatto dire da Mamoru in che sala è la festa?”
“Cazzo!” L’attaccante dei Verdy si diede una manata sulla fronte. “Me ne sono completamente dimenticato! Lo chiamo subito.” Fece per estrarre lo smartphone dalla tasca ma venne fermato dalla mano che gli si posò sul polso.
“Lascia stare, alla reception lo sapranno senz’altro.” 
Seguì Teppei nell’elegante hall dell’albergo, guardandosi intorno con aria distratta, le mani nelle tasche del pantalone dal taglio classico che indossava. E mentre l’altro sfoderava il suo migliore inglese e chiedeva le dovute informazioni, i suoi occhi neri scivolarono senza reale interesse sul rivestimento di pietra alle spalle dei concierge che occupavano le tre postazioni di ricevimento e sugli altri clienti che sostavano nella grande sala. Fu in quel momento che si ricordò che l’albergo disponeva anche di una palestra e di una Spa. Sogghignò nel rendersi conto che, da che erano atterrati in Italia, non avevano mai lasciato la loro stanza se non per consumare i pasti in compagnia degli altri membri della nazionale che, come loro, erano arrivati con un giorno di anticipo. 
Negli ultimi due mesi erano stati così presi dagli impegni di campionato e coppe che erano riusciti a vedersi soltanto una volta e, beh, avrebbero dovuto fare gli straordinari per rimettersi in pari. 
La Spa e la palestra avrebbero dovuto attendere, per il momento aveva ben altri programmi. Socchiuse gli occhi con aria deliziata al pensiero che quel soggiorno si sarebbe protratto per tutta la settimana seguente, dato il fermo della J League. Aveva davvero bisogno di passare un po’ di tempo da solo con Teppei senza doversi preoccupare di saltare sull’ultimo treno in partenza.
“Vieni.” Il compagno gli mollò una pacca sulla spalla, distogliendolo dai suoi pensieri, e lo superò, facendo strada. “Ci hanno dato la sala migliore, pare che Tsubasa non abbia badato a spese.”
“Se lo può permettere, è uno dei giocatori più pagati al mondo. E poi…” Hajime tirò di lato l’angolo della bocca, espressione che assumeva sempre quando stava per uscirsene con una delle sue. “Se la vorrà ingraziare per non fare di nuovo la stessa fine di Lazarus.”
“Sei davvero pessimo! Sempre a pensare male” sentenziò il compagno scuotendo la testa e ottenendo in cambio un’alzata di spalle.
“Io penso male? Secondo te l’ha presa bene nel vedere Sanae strusciarsi in quel modo sul cazzo di Shingo? Noi lo sappiamo bene che ce l’ha grosso e sono sicuro che ora lo sappia anche lei!”
“Ma sei serio?” Teppei si fermò e lo fissò con rimprovero. 
“Certo! L’hai vista anche tu la faccia di Tsubasa o eri troppo concentrato sul pisello di Shingo per badare ad altro?”
“Ma che cazzo dici?” L’attaccante del Cerezo lo fulminò con un’occhiataccia e riprese a camminare. 
“Lo sai che sei davvero sexy quando dici le parolacce? Che ne dici di un po’ di dirty talk stanotte?”
“La vedo dura, sarò troppo impegnato a pensare al pisello di Shingo per fare altro.”
Hajime sogghignò, guardandolo di sottecchi. “Vedrai che saprò convincerti, ho argomenti davvero interessanti.”
Teppei arrestò di nuovo il passo e si voltò a guardarlo dritto negli occhi. “Magari non tengono il paragone.” 
“Così mi ferisci.” L’ex numero sette della Nankatsu si portò teatralmente una mano al cuore mimando esagerate smorfie di dolore. “E, per la cronaca, finora non ti sei mai lamentato!”
“Potrei iniziare oggi.”
“Naaaaaaa!!” Hajime scacciò quell’eventualità con un gesto deciso della mano. “Nessuno potrà mai scoparti come ti scopo io.” E nessuno dovrà mai permettersi di sentire i tuoi gemiti, a parte me. Ma quello non lo disse ad alta voce.
“Sei davvero un cazzone presuntuoso.” 
“Però mi ami lo stesso.”
“Per mia sfortuna…” sospirò Teppei, riprendendo a camminare. Svoltato l’angolo si fermò all’inizio di un lungo corridoio sul quale si aprivano tre grandi porte a vetri dalle quali proveniva un sommesso chiacchiericcio. “Ci siamo.”
“Aspetta!” Il centravanti dei Verdy lo prese per un braccio e si guardò velocemente intorno. “Vieni”. 
Tornò indietro di alcuni passi, ignorando la sua esclamazione di sorpresa e aprì la prima porta che trovò. Con un occhiata circolare si assicurò che non ci fosse nessuno e lo spinse dentro.
Teppei si guardò intorno con aria interrogativa. La stanza era al buio ma dalle vetrate entrava sufficiente luce artificiale da consentirgli di vedere l’interno: dalle file di sedie disposte in modo ordinato capì di trovarsi in una delle tante sale conferenze.
“Che ci facciamo qui?”
Hajime gli si avvicinò e lo prese tra le braccia. “Volevo un altro attimo da solo con te.”
L’espressione del giocatore di Osaka si addolcì. “Dovrai essere molto convincente per farti perdonare.”
“Cercherò di impegnarmi” sussurrò l’altro prima di chiudergli le labbra con un bacio appassionato. “In realtà volevo solo sapere se stai bene” confessò quando si separarono. 
“Te l’ho già detto che sto benissimo. Non è certo la prima volta che ci diamo dentro in quel modo.” Teppei alzò lo sguardo al cielo prima di rivolgergli un’occhiata tra l’affettuoso e l’esasperato. “Smettila di preoccuparti.”
“Non è per quello.”
“E allora…”
“Ho sentito la conversazione tra te e tua madre.”
Con un sospiro il centravanti del Cerezo si staccò da lui e mosse un paio di passi per la stanza, passandosi una mano sul viso. La telefonata era arrivata mentre il compagno era sotto la doccia, quindi si era sentito libero di parlare senza peli sulla lingua, cosa che non avrebbe mai fatto con lui presente.
“Sei stato troppo duro con lei. Non centra nulla e lo sai.”
“Certo che lo so ma sono stanco di questa situazione. Non mi sta più bene tornare a casa e fare finta di niente, che tutto vada bene e che tra me e te non ci sia altro rapporto che amicizia. Finora l’ho fatto per lei, perché è sempre stata dalla mia parte, ma ora basta. Se mio padre mi vuole a casa deve accettare la nostra relazione. Mi sono rotto il cazzo, Hajime.” Si girò a guardarlo, con le mani sui fianchi e l’espressione cupa.
“A me non importa, lo sai.”
“A me sì, invece! Sono dieci anni che andiamo avanti così. È tempo che accetti la situazione.”
Hajime fissò con dispiacere la postura rigida e lo sguardo corrucciato con cui il compagno lo stava guardando. Non avrebbe voluto tirare fuori l’argomento prima della festa, ma negli anni aveva capito che era meglio non lasciarlo rimuginare sui problemi perché finiva per rimanerci invischiato, cosa che voleva assolutamente evitare dati i pregressi. Non si azzardò a proporgli di lasciargli incontrare il padre a tu per tu perché la richiesta avrebbe scatenato un vero e proprio litigio, cosa peraltro già successa ogni volta che aveva suggerito quella soluzione, ma si chiese se non fosse arrivato il tempo di farlo, nonostante la sua evidente contrarietà.
“E se non lo facesse mai? Negli anni avete raggiunto una sorta di equilibrio, non sarà il massimo ma non è nemmeno la merda dei primi tempi. Sicuro di voler gettare tutto nel cesso?” Ignorò l’occhiata furente con cui Teppei ricambiò il suo sguardo e gli si avvicinò per riprenderlo tra le braccia.
“Io sono dalla tua parte, lo sai, ma forse-“ Venne interrotto dalla suoneria dello smartphone che prese a vibrargli nella tasca dei pantaloni. “Cazzo!” Imprecò tirando fuori il telefono e fissando con sguardo omicida lo schermo. “Che maledetta rompicoglioni!”
L’altro allungò il collo per sbirciare il nome e sospirò con una smorfia. “Vorrà sapere che fine abbiamo fatto.”
“Come se non lo sapesse.” 
“Certo che lo sa, ma se chiama significa che siamo davvero in ritardo. Troppo. Meglio andare.”
“Sì…” Hajime lo strinse per rubargli un ultimo bacio. “Riprenderemo il discorso in un altro momento. Ora pensiamo solo a divertirci, ok?”

In una manciata di secondi arrivarono davanti alle porte. Hajime sbirciò all’interno, tutti avevano l’aria allegra e divertita, merito sicuramente dello champagne che scorreva a fiumi, servito da inappuntabili camerieri in livrea nera e guanti bianchi che continuavano a fare la spola tra gli ospiti.
Sentendosi osservato Teppei si guardò intorno e incrociò lo sguardo di Kara. L’autrice alzò il cellulare che teneva ancora in mano e gli fece cenno di sbrigarsi a entrare.
Seguendo lo sguardo del compagno anche Hajime si girò. L’espressione del suo viso si fece sfacciata e un sorrisetto indisponente gli tese le labbra. 
Kara socchiuse leggermente le palpebre in modo minaccioso e storse la bocca.
“E dai! Non provocarla.”
“Oh, lasciami fare, è troppo divertente.”
Teppei sbuffò e lo prese per un braccio. “Non è divertente, è infantile. State sempre lì a beccarvi come due galli da combattimento.”
“Non è colpa mia, io mi comporto secondo la mia natura. La colpa è sua che non ne tiene conto.” 
“Lei non ne terrà conto ma tu ci metti parecchio del tuo, eh? Nella shot che sta scrivendo la stai praticamente facendo impazzire con i tuoi continui ripensamenti. Quattro volte, ha dovuto cambiare impostazione alla storia per quattro volte. Non la finirà mai!” 
Hajime gli mollò una gomitata su un fianco. “Ehi non prendertela con me, io non c’entro nulla. Per fare una citazione colta: è che mi disegnano così. E poi io sono una persona semplice da gestire, non ho grosse esigenze; fammi divertire, fammi scopare e non farmi pensare troppo, che la vita è troppo breve per stare lì a menarsela in continuazione. Quello difficile sei tu. Sei tu che ti fai le pippe mentali. E fattelo dire, te ne fai anche troppe.” Chinò la testa di lato e lo fissò, socchiudendo gli occhi, come se stesse ponderando qualcosa di importante. “È indubbio che devo scoparti di più, così la pianterai di rimuginare. Ora vado a dirglielo, ci fa scopare troppo poco e ho giusto un paio di idee che...”
“Tu non vai proprio da nessuna parte! Sbrighiamoci che Melantò starà per arrivare.” 
Senza dargli modo di replicare ulteriormente Teppei lo afferrò per un braccio e lo trascinò all’interno della sala, meditando sul fatto che lo aspettavano tempi cupi se avesse dovuto continuare a barcamenarsi tra quei due.


***
 
L’avevano bendata e rapita con la complicità dal Diofà.
Maledetto! L’avrebbe pagata cara, peggio di Yuzo, Melantò se lo ripromise.
E quelle svergognate! Tutte a bisbigliare e ridacchiare come se non ci fosse un domani. Che poi erano al gran completo le infami, il manicomio Mariuccia in tutto il suo splendore.
Inciampò in uno scalino e sciorinò parolacce a raffica.
“Ehi, almeno state attente”, si lamentò.
Che diavolo avessero in mente quelle squilibrate non era dato sapere. E sì che le erano sempre sembrate normali.
Normali: nel fandom normale era relativo, in tanti anni doveva averlo imparato oramai, no?
O no? Iniziò a dubitare quando il pensiero le cadde sul machete regalatole per l’addio al nubilato.
Forse non era un regalo normale e pensare che le era piaciuto tanto.
Mentre le braccia dell’amiche la sorreggevano e spingevano a destra e poi a sinistra, un pensiero su quel machete ce lo fece, anche se involontariamente.
Scosse la testa. No, non era possibile, chattava con loro ogni giorno, erano un po’ sopra le righe ma… Avevano fatto tanti raduni, che senso aveva che le facessero qualcosa di male lì a Torino e non quando erano state da sole?
No, no, non aveva alcun senso quindi si rilassò lasciandosi trasportare.
Sentì un gran borbottio rimbombare nell’ambiente, dovevano essere arrivati in un luogo più grande e spazioso, le era parso di avvertire una sorta di eco.
Improvvisamente si fermarono, sentì Kara dare ordine che si spengessero le luci.
Poi la fascia venne tolta e nonostante quell’intralcio non ci fosse più, non riuscì a vedere nulla. Solo dei bagliori sfocati; le avevano legato la benda troppo stretta e gli occhi adesso facevano fatica a mettere a fuoco l’ambiente.
Da lontano intravide delle stelline brillare scoppiettando.
Si stropicciò le palpebre per riuscire a capire meglio, un grande carrello faticava a venire avanti spinto da due camerieri. Le pupille divennero enormi quando le candele, illuminando il corridoio umano che si era formato per permettere il passaggio della torta, resero visibili le persone.
Tutti i personaggi a lei noti stavano in piedi elegantemente vestiti, applaudendo, mentre la torta la raggiungeva.
I due che spingevano la torta non erano camerieri qualunque. Riconobbe subito Yuzo da un lato e Mamoru dall’altro.
Quando le furono di fronte partì un coro che si levò alto e forte.
 
“BUON COMPLEANNO MELANTò”
 
Con le lacrime agli occhi fu circondata dai suoi due pupilli mentre borbottava parole emozionate:
 
“I miei bambini”
“I miei bambini”
 
Stretta in mezzo a loro godette del momento lasciandosi coccolare.
Quando le luci si accesero il primo sguardo che cercò fu quello delle amiche, che strette l’une alle altre saltellavano per la gioia della sorpresa riuscita.
Aveva sbagliato a dubitare di loro, anche se solo per un secondo. Mimò un ‘grazie’ con le labbra e continuò a stritolare Yuzo e Mamoru a turno.
Quel compleanno non lo avrebbe mai scordato, ne era certa.
 
 

 
Disclaimer
I personaggi di Sen Izawa e Shuzo Morisaki appartengono a Melantò e sono stati utilizzati senza il consenso della proprietaria.
Siamo comunque sicure che non avrà nulla da ridire dato che abbiamo machete e coltelli da lancio, e sappiamo usarli.
BlackVirgo, Kara, Guiky80, OnlyHope, Sanae77
   
 
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