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Autore: bik90    12/06/2018    2 recensioni
-Le migliori amiche non fanno sesso!-
Clarke si passò una mano tra i capelli abbassando lo sguardo.
-E' complicato- rispose semplicemente.
-Complicato?- ripeté Sofia.
L'altra non rispose e la ragazza sbuffò allontanandosi da lei. Clarke, allora, le afferrò il braccio per fermarla.
-A te cosa importa di quello che faccio con Diana?- le soffiò a pochi centimetri dalle labbra.
Sofia deglutì a vuoto prima di trovare la forza di divincolarsi dalla sua presa.
-Perché mi piaci, idiota!-
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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La domenica seguente non andarono al canile, pioveva troppo forte e Stefania aveva scritto sul gruppo di WhatsApp che si sarebbe solo creata confusione inutile. Inoltre era arrivata una nuova cucciolata e la stavano tenendo isolata dagli altri box sia per il freddo sia per evitare il rischio di qualche infezione. Clarke abbozzò un sorriso mentre scorreva le foto che la ragazza stava inviando. I cuccioli erano bellissimi, una futura taglia media probabilmente e parevano sorridere all’obiettivo per nulla impauriti. Sperò che ognuno di loro trovasse una famiglia, ce n’erano così tanti al canile dove faceva volontariato che erano invecchiati tra quelle quattro mura che ogni volta che ci pensava le si stringeva il cuore. Osservò Luthor dormire nella sua cuccia e tornò a stendersi sul divano. Era tarda mattinata, aveva preferito non andare a pranzo da Diana e sperava anche che non la chiamasse suo padre. Avrebbe sicuramente compreso che c’era qualcosa che la turbava e lei non voleva impensierirlo. Si strofinò con entrambe le mani il viso e sbuffò mentre lasciava cadere la testa tra i cuscini. Aveva provato a sistemare un po’ la casa dopo la festa del giorno precedente, ma alla fine aveva preferito lasciar perdere. La sua mente era da tutt’altra parte. Come un’idiota era riuscita a rovinare ogni cosa. Aveva detto a Sofia che le piaceva e pochi minuti dopo aveva lasciato che Diana le facesse le sue solite avances senza curarsi delle conseguenze. 

Perché doveva sempre combinare guai? Qual era il suo problema?

Osservò la porta del salone da dove era seduta e improvvisamente la figura della madre attraversò la soglia sorridendo. Sapeva che la stava solo immaginando, ma era un ricordo così nitido da parere vero. Le venne da sorridere con amarezza mentre una lacrima le scorreva lungo la guancia. Se fosse stava lì, sarebbe stata delusa dal suo comportamento. Eppure in quel momento le stava sorridendo come faceva ogni volta che rientrava da lavoro dimenticando le angosce dell’ospedale per dedicarsi solo alla sua famiglia. Sbatté le palpebre e Adele scomparve. Era di nuovo sola. Un messaggio la distrasse dai suoi pensieri. Sbloccò l’iPhone e lesse. Era Marco.

Quattro e mezza sotto casa mia.

Chiaro e coinciso. Al ragazzo non erano mai piaciuti i giri di parole. Clarke rispose immediatamente in modo affermativo e poi riprovò per l’ennesima volta a chiamare Sofia. La telefonata andò a vuoto come tutte le altre che le aveva fatto da quella mattina. Marco le aveva consigliato di lasciarla stare almeno per tutta la notte, per dare il tempo a entrambe di metabolizzare gli eventi della serata e di parlare lucidamente. Lei gli aveva ubbidito, ma Sofia ancora non voleva saperne di rispondere. 

Fanculo, pensò stendendosi.

Doveva trovare il modo per rimediare al casino che aveva combinato, doveva riuscire a parlare con Sofia per spiegarsi. E cosa le avrebbe detto? Che Diana era la sua migliore amica e che l’aveva salvata? Nonostante fosse assurdo, era quella la verità. Non avrebbe mai potuto escludere la ragazza dalla sua vita, per lei era importantissima e non voleva rinunciarvi. Ripensò alle parole di Marco, al fatto che dovesse scegliere e le venne un gran mal di testa. Aveva dormito poco e male e adesso un pulsare insistente e fastidioso all’altezza delle tempie, le rendeva impossibile pensare a un discorso sensato da fare all’amico. Si sarebbe dovuta preparare a un lungo e serio rimprovero da parte sua, lo aveva già messo in conto quando la sera precedente le aveva comunicato che avrebbero chiacchierato l’indomani. Sorrise appena mentre fissava il soffitto. 

Da quando sua madre era morta, aveva fatto una scelta sbagliata dopo l’altra.

 

La pioggia batteva sul vetro della grande finestra della cucina mentre l’odore di ragù domenicale si espandeva in tutta la casa. Sofia era rientrata da poco, seguita dal fratello. Era uscita con Elena per raccontarle quello che aveva visto e l’amica era rimasta scioccata quanto lei nel venire a sapere che Clarke e Diana praticavano l’arte del piacere sessuale insieme. Oltre a quello, poi, una terribile emicrania pareva non volerla abbandonare. Le sembrava di avere la testa sotto una pressa che passasse e ripassasse continuamente per schiacciarla. Edoardo da una sola occhiata aveva compreso che la sera precedente avesse bevuto e ne aveva riso prima di uscire per vedersi con Rachele. Se ci fosse riuscita, gli avrebbe volentieri lanciato contro la sua tazza da latte. Incrociò suo padre che stava uscendo dal bagno e abbozzò un sorriso. Aveva una famiglia molto unita, che cercava di seguire la crescita di entrambi i suoi figli nonostante gli impegni lavorativi. Sua madre, infatti, era un avvocato molto in vista nel suo campo e suo padre, invece, era un dentista. La donna era stata molto orgogliosa che Edoardo scegliesse come facoltà legge, ben sapendo che un domani avrebbe potuto fare tirocinio presso il suo studio, ma aveva sempre ripetuto a entrambi di avere ampia libertà sulla scelta universitaria. Bastava solo che s’impegnassero seriamente. E fino ad allora non aveva mai avuto di che lamentarsi.

<< Come stanno i genitori di Rachele? >> domandò Armando gettando un’ultima occhiata al quotidiano.

Edoardo si strinse nelle spalle mentre afferrava al volo un pezzo di pane dal vassoio che la sorella stava mettendo a tavola.

<< Soliti litigi >> disse << Non capisco perché ancora non si separino >>.

<< Il matrimonio è un sacramento >> affermò Viola dandogli le spalle << E bisogna pensarci bene prima di compiere una cosa del genere >>.

<< Ma se non vanno più d’accordo, che senso ha? >>.

<< Edo, per favore, non parlare con la bocca piena >> lo rimproverò la madre alzando gli occhi al cielo.

Sofia emise una flebile risata mentre suo padre le strizzava l’occhio con un sorriso.

<< Io sono d’accordo con Edo >> proclamò la ragazza finendo di apparecchiare << In questi casi la separazione è la cosa migliore. Soprattutto per non far soffrire i figli >>.

<< Ma cosa ne volete capire voi due di matrimonio? Siete solo dei ragazzi ancora >>.

<< Mamma! >> esclamò Edoardo fintamente offeso << Io sono un uomo! >>.

<< Sarai sempre il mio bambino >>.

<< Come mettere a disagio i figli, modalità on >> disse Sofia scoppiando a ridere.

Si misero a tavola e iniziarono a pranzare. Per Viola la domenica era sacra e accettava che qualcuno non fosse presente solo in casi straordinari. Chiacchierarono con calma, facendo battute su qualcuno che tutti conoscevano e complimentandosi con Sofia per la media alta che stava continuando a mantenere nell’ultimo anno.

<< Ieri, mentre ero dal parrucchiere >> iniziò Viola controllando il pollo con le patate che era nel forno << Ho incontrato Imma, ve la ricordate? Andavamo a scuola insieme >> aspettò di vedere almeno il marito annuire prima di continuare << Beh, abbiamo chiacchierato un po’. Suo figlio sta facendo il secondo anno di Scienze delle Comunicazioni e sapete cosa mi ha detto? Che l’anno prossimo vuole fare il provino per diventare il nuovo tronista! >>.

Un brivido attraversò il corpo di Sofia mentre pensava alla trasmissione presa in considerazione. Un pollaio dove le galline facevano a gara a chi starnazzava più forte.

<< Ma chi, Niccolò? >> chiese Edoardo che di vista lo conosceva.

<< Proprio lui! >> rispose la madre << Da quando ha fatto coming out, quel ragazzo ha perso la ragione! >>.

Sofia inghiottì un groppo di saliva a quelle parole e guardò, involontariamente, il fratello che, invece, sorrideva amabilmente.

<< Ma, perché? Ha fatto qualcosa di sbagliato? >> chiese << A parte la questione del programma, ovviamente >>.

Viola si alzò in piedi per prendere la teglia e guardò il figlio sgranando gli occhi.

<< Tesoro, ti sembra una cosa normale? Andare a sbandierare ai quattro venti la tua diversità? Come se fosse un vanto >> scosse il capo << Quando io e tuo padre avevamo la vostra età, non dico che non ci fossero, ma erano più… discreti >>.

<< Si vergognavano di quello che provavano, mamma >> affermò la ragazza incapace di trattenersi << E nessuno dovrebbe sentirsi sbagliato per essersi innamorato >>.

<< Ma amore, certo >> s’intromise Armando posando una mano su quella della figlia << Tua madre non sta mica facendo un ragionamento omofobo, vero Viola? >>.

Marito e moglie si guardarono per qualche secondo in silenzio.

<< Sto solo dicendo che ormai si è persa di vista la normalità, la famiglia vera, i valori giusti. Con questi programmi che mandano in onda poi! E per giunta nel primo pomeriggio. Che messaggio dovrebbero trarne le nuove generazioni? >>.

Sofia sentì l’aria mancarle di fronte al discorso che stava facendo la madre. Aprì la bocca per rispondere, ma non un suono ne uscì. Era la prima volta che le capitava una cosa simile quando era in famiglia. Prima di adesso si era sempre sentita al sicuro e protetta, mentre ora un senso di claustrofobia le aveva afferrato la gola. Pensò a Clarke, alle sensazioni che aveva provato nell’ammettere a voce alta che le piacesse una ragazza e a quello che sarebbe potuto scaturire se lei non avesse incasinato tutto. Guardò sua madre che aveva iniziato a fare le porzioni del secondo e sentì l’irrefrenabile desiderio di correre in bagno. Sola, diede sfogo alla sua frustrazione. Aprì il rubinetto direzionandolo sulla parte fredda e si riempì le mani a coppa. Si sciacquò il viso un paio di volte prima di fare un respiro profondo. Dalla cucina sentì suo padre chiamarla. Si asciugò mentre si guardava allo specchio. Sul vetro vide l’immagine del volto di Clarke sorriderle e tremò. Quando uscì, trovò suo fratello appoggiato alla parete che la stava aspettando. Nessuno dei due disse nulla. Edoardo semplicemente la abbracciò e rimasero in quella posizione per un tempo che a Sofia parve infinito.

 

Pioveva ancora nel pomeriggio e per questo Clarke fu costretta a prendere la macchina. Non era sua, bensì di suo padre, ma l’uomo le aveva lasciato le chiavi affinché potesse usarla in momenti come quello. Così afferrò la sua tracolla e uscì. Quando arrivò, inviò un messaggio a Marco che le chiese se preferisse salire oppure andare da qualche parte. Anche se sola, Clarke emise una breve risata.

Per carità, i tuoi gatti mi odiano. Meglio non invadere il loro territorio!

Dopo cinque minuti, lo vide arrivare. Vista la pioggia scrosciante, il ragazzo si fiondò in macchina.

<< I miei gatti non ti odiano! >> esclamò senza nemmeno salutarla << Sei tu che non li sai prendere >>.

<< Certo >> mormorò con ironia Clarke mettendo in moto.

La macchina di Philip era una 500X nera, grossa quindi, ma non eccessivamente. All’uomo piaceva la comodità quando guidava, però si era anche reso conto di dover lasciare alla figlia una vettura che non lo facesse stare in l’ansia ogni volta che la prendeva. Quella era stata una scelta che aveva accontentato tutti. 

<< Dove andiamo? >> chiese la ragazza tenendo lo sguardo fisso sulla strada.

Marco si strinse nelle spalle e in quel momento lo stomaco dell’amica borbottò.

<< Non hai pranzato, vero? >>.

<< Non ne avevo voglia >>.

<< Aperitivo da Stair? >> le domandò il ragazzo.

<< Andata >>.

 

Ginevra corse per rifugiarsi tra le braccia del padre mentre Luna la rincorreva. Danila rise nel vedere la scena e si alzò per spegnere il televisore. Suo marito aveva provato a guardare un programma sportivo dopo pranzo, ma la bambina si era svegliata e tutte le attenzioni dei presenti furono rivolte a lei.

<< Mamma! >> esclamò sua figlia allungando le braccia verso la donna per essere presa.

Danila le sorrise prima di sollevarla. Le diede un bacio sulla guancia e le accarezzò i capelli chiari che aveva ereditato dal marito. Il fatto che, invece, le si arricciassero tra le dita, lo aveva preso da Luna. E sempre dalla sua famiglia aveva ereditato gli occhi grandi, scuri e dal taglio a mandarla. 

<< Sei stanca? >> le domandò la sorella accendendo il trenino colorato di Ginevra che immediatamente si mise in moto intonando una lunga melodia.

La nipote venne attratta dal suono e dalle luci del gioco e volle scendere dalle braccia della madre. Giovanni accorse subito per scherzare con la bambina che mandò le prime risa. 

<< Il solito >> rispose Danila << Dovrei correggere una caterva di compiti in classe >>.

<< Vuoi che ti dia una mano? >> scherzò la più piccola alzandosi in piedi per prendere il suo cellulare che suonava.

Erano diversi messaggi dei suoi due amici. Sorrise mentre li scorreva velocemente.

<< Ti prego, sei sempre stata una frana in geografia >> scherzò la sorella mentre apriva la sua ventiquattrore << Tu scendi? >>.

<< Più tardi >> fece Luna tornando sul tappeto dove sua nipote stava giocando col padre << Fatemi restare ancora un po’ con la mia principessa >>.

 

Le loro ordinazioni arrivarono quasi subito nonostante il locale fosse pieno. Clarke si guardò attorno e afferrò il suo boccale di birra. Gli aperitivi di Stair Coffè erano i suoi preferiti, soprattutto quando saltava il pranzo. Marco spizzicò qualcosa prima di fissarla per invogliarla a iniziare e improvvisamente la ragazza si sentì a disagio. Non sapeva da dove iniziare, come spiegare all’amico quello che era successo. Tossì e vide l’altro abbozzare un sorriso.

<< Come… come lo hai… ? >> iniziò incerta sentendosi un’idiota.

Marco scosse il capo.

<< Non è stato difficile comprenderlo >> disse << Anche se non credo che Giulia lo sappia >> aggiunse come se volesse rassicurarla << Non sei mai stata brava con le bugie >>.

<< Marco, non è… semplice >> affermò Clarke << Diana è riuscita a starmi accanto quando… >>.

<< E’ stato allora che hai iniziato, vero? Quando hai lasciato Luna e poi è m… >>.

<< Sì >> lo bloccò l’amica impedendogli di continuare. Non voleva che lo dicesse ad alta voce, avrebbe fatto ancora troppo male << Ero… ero a pezzi e lei li ha raccolti. Li ha rimessi insieme uno a uno, anche in quel modo >>.

Il ragazzo annuì facendo un sorso di birra.

<< E vuoi continuare così? >>.

<< No, certo che no! >> esclamò Clarke << Non è mai stata una… soluzione definitiva >>.

Si guardarono negli occhi e Marco comprese che non stava mentendo. 

<< Quindi che intenzioni hai? Sei riuscita a sentire Sofia? >>.

Clarke si passò una mano tra i capelli sconfortata.

<< Non ha mai risposto alle mie chiamate >>.

<< Ci credo, probabilmente nemmeno Nadia lo avrebbe fatto se fossi stato al tuo posto >>.

<< E allora come diavolo pos… >>.

Marco si strinse nelle spalle passandole un braccio sulle sue per stringerla.

<< Domani vi vedrete a scuola, no? Parlale. Ma prendi una decisione prima. Non puoi uscire con lei e continuare a… >> gli mancarono le parole per proseguire.

La ragazza scoppiò in una breve risata.

<< Non dirmi che non riesci a dirlo >>.

<< Beh, è abbastanza strano se lo vedi da questo punto di vista >>.

Clarke lo spintonò leggermente senza fargli male e prese una pizzetta.

<< Le parlerò >> disse risolutamente prima di addentarla << Ho già fatto la mia scelta >>.

Marco fu lieto delle sue parole e le scompigliò i capelli con fare bonario. Fece una stupida battuta su una coppia che era appena passata davanti il loro tavolo e, dopo le risate che ne seguirono, le spalle di Clarke si rilassarono.

<< Perché siamo sbarcati proprio in questo posto? >> domandò una voce maschile che entrambi conoscevano.

Si voltarono nella stessa direzione e per la ragazza fu come un pugno nello stomaco. Luna, Stefano e Raffaele erano appena entrati. Luna stava chiudendo l’ombrello mentre scuoteva il capo e sorrideva agli amici, Stefano cercava di scrollarsi dal costoso cappotto che indossava i residui della pioggia.

<< Perché è vicino casa di mia sorella e non avevo nessuna intenzione di guidare con questo tempo >> rispose cercando un tavolo libero.

<< Ah, beh. Quindi abbiamo dovuto farlo noi >> fece Raffaele scherzando.

<< Siete o no degli uomini? >> rimbeccò Luna dandogli una spinta.

Si voltò e i suoi occhi non vollero altro che rimanere incatenati a quelli blu di Clarke. Si bloccò incapace di fare altro, se non respirare.

<< Oh >> disse Stefano seguendo il suo sguardo << Che coincidenza. Melbourne e Caforio >>.

<< Di Giovanni >> salutò Marco a denti stretti << Bartolomei, Scambi >>.

Clarke, invece, era immobile, quasi le mancasse il respiro, e in silenzio. Vide Stefano e Raffaele scambiarsi una breve occhiata prima di allontanarsi per cercare un tavolo. 

<< Ciao Clarke >> affermò, infine, Luna schiudendo le labbra in un sorriso e ignorando totalmente Marco.

Quel menefreghismo nei suoi confronti diede fastidio al ragazzo che avrebbe voluto alzarsi e darle uno schiaffo nonostante fosse femmina. Luna era sempre stata sfacciata, ma ora stava raggiungendo livelli esagerati. Invece di rispondere, Clarke fece l’unica cosa che per lei avesse senso in quel momento. Serrò i pugni e si alzò di scatto correndo fuori il locale.

<< Clarke! >> esclamò Luna tentando di fermarla.

<< Luna, non permetterti! >> fece Marco, ma la ragazza stava già seguendo l’amica.

Stefano e Raffaele gli si pararono davanti quando provò a seguirle. 

Fuori Stair Coffè, Luna osservò la schiena di Clarke coperta dal giubbotto mentre la pioggia la investiva. Aprì l’ombrello per ripararsi e chiamò l’altra a gran voce. La ragazza, però, pareva non sentirla. Il temporale si riversava su di lei bagnandole i capelli e gli abiti, il viso e le scarpe; eppure rimaneva immobile. Fece qualche passo verso Clarke per provare a ripararla.

<< Fermati >> disse la più piccola voltandosi.

Si guardarono negli occhi e Luna credette di smarrirsi nella tempesta di emozioni che li attraversavano. Il blu che inghiottiva il marrone.

<< Clarke, riparati >> rispose Luna protendendosi verso di lei con l’ombrello << Ti ammalerai >>.

<< E a te cosa importa? >>.

Luna ingoiò un groppo di saliva.

<< Lo sai che mi importa >>.

Un sorriso ironico increspò le labbra della ragazza che le stava di fronte.

<< Certo; perché sei ancora innamorata di me, vero? >> sputò. Il suo tono era ironico e rabbioso al tempo stesso << Te lo sei ricordato quando esattamente? Una settimana fa? Il mese scorso? >>.

Fece un paio di passi verso Luna con ira mentre stringeva entrambe le mani a pugno. 

<< Non ho mai smesso >> affermò invece la più grande fremendo per la poca distanza che la separava dalle sue labbra. 

Se si fosse sporta leggermente, le avrebbe sfiorate. Clarke indugiò un solo attimo sulle sue, come se stesse cercando la forza di allontanarsi, e si tirò indietro dopo aver fatto un respiro profondo.

<< Bugiarda >> sibilò semplicemente scuotendo il capo.

Marco la raggiunse in quel momento. Le prese il viso tra le mani per guardarla negli occhi mentre la pioggia bagnava entrambi.

<< Andiamo via >> disse cingendole le spalle con un braccio.

 

Guardò fuori dalla finestra della camera d’albergo e sorrise. Si vedeva il mare e, se aguzzava la vista, anche l’isola di Capri. Sua madre gliela aveva mostrata tre giorni prima, quando erano arrivati, nonostante la stanchezza per il viaggio. E lei ogni volta che si svegliava la cercava con gli occhi. A distanza di un anno dalla loro effettiva adozione, avevano ottenuto il permesso dal tribunale per portare Clarke all’estero. Così erano tornati in Italia, precisamente a Napoli, città natale della donna, approfittando di un tour che Philip aveva intrapreso. Per Clarke tutto era una novità ed era stata entusiasta di ogni cosa. I suoi occhi erano luminosi perfino la sera, due brillanti incastonati tra lunghe ciglia. La lingua non era stata un problema. Per quasi un anno Adele le aveva insegnato la grammatica e la pronuncia dell’italiano ottenendo mediocri risultati che, però, per una bambina di dieci anni erano ottimi. Una volta che fossero tornati a Sidney, aveva convinto Philip, titubante sulla mole di lavoro che stavano assegnando alla bambina, a prendere un’insegnante privata che potesse starle dietro. Clarke era intelligente e le difficoltà, invece di frenarla, la stimolavano ad applicarsi maggiormente. 

<< Che ne pensi se domani andassimo a Capri? >> propose Adele affiancando la figlia di fronte alla finestra << Sempre se papà non è troppo stanco >> precisò subito dopo riferendosi al concerto al San Carlo che Philip avrebbe tenuto quella sera.

Clarke annuì energicamente e alzò gli occhi su quelli della madre.

Ormai tutta quella rabbia, quell’odio e quell’amarezza erano scomparsi. Sua figlia era una qualunque bambina di dieci anni.

Adele finì di prepararsi e insieme a Clarke uscì per la città. Voleva che sua figlia vedesse il più possibile di Napoli perché, nonostante tante voci che correvano, era meravigliosa. E non parlava solo dell’arte e della cultura che visceralmente facevano parte del capoluogo campano; ma anche delle persone sempre allegre solari, aperte a fare conversazione con un perfetto sconosciuto. Ricordò le prime volte che Philip era tornato in Italia con lei quando erano ancora fidanzati e sorrise. L’uomo era rimasto affascinato dai colori e dai suoni di Napoli, così tanto da essere stato lui stesso a proporle più volte, negli anni che seguirono, a tornarci. Napoli lo aveva adottato e ora stava facendo lo stesso con Clarke. Rise annuendo quando un clown regalò alla bambina un palloncino e lei si era voltata per ricevere il permesso. Ogni volta che posava i suoi occhi su qualcosa, le veniva in mente un ricordo. Indicò a Clarke i luoghi che frequentava da ragazza, le fece assaggiare la vera pizza napoletana, le parlò di come quella città fosse stata un tempo capitale del Regno delle Due Sicilie. Sua figlia la ascoltò attentamente, sempre più fiera di Adele e con gli occhi che le brillavano. Quasi non si accorse di quanto fosse tardi. Tornarono in albergo per cambiarsi e, dopo qualche piccolo litigio, la donna riuscì a far indossare a Clarke un vestito adatto a un concerto completo di scarpette lucide e cardigan. Un’auto passò a prenderle mentre Philip era già al teatro. Passarono a salutarlo prima che il concerto iniziasse e come sempre l’uomo prese in braccio Clarke incurante del suo smoking pulito e stirato. Anche se non lo avrebbe mai ammesso, era teso come ogni volta che doveva esibirsi. Adele gli sistemò il papillon e poggiò la sua fronte su quella del marito. A guardarlo, nessuno avrebbe mai detto che fosse un pianista dal talento eccezionale. Lo aveva pensato anche lei quando lo aveva incontrato la prima volta. A suo favore poteva dire che l’aspetto di Philip non era mai stato quello di un pianista classico. Orecchino al lobo sinistro che mai aveva accettato di togliere, pizzetto, capelli cortissimi quasi rasati. L’uomo la baciò e l’attimo dopo un ragazzo addetto alle luci venne ad avvisare che mancavano pochi minuti. 

<< Vuoi farlo stasera? >> domandò Adele mentre prendeva per mano Clarke.

Philip annuì strizzandole l’occhio in segno di complicità e accarezzò il viso della figlia.

<< Che cosa? >> chiese la bambina guardando prima la donna e poi l’uomo.

Entrambi gli adulti scoppiarono a ridere.

<< Sono sicuro che ti piacerà, Clarke >> rispose semplicemente Philip.

 

E Clarke rimase davvero sorpresa da quello che aveva preparato suo padre, perché mai si sarebbe aspettata che l’ultima sinfonia che Philip aveva composto fosse dedicata a lei. L’uomo l’aveva annunciata semplicemente col titolo facendo presente che era la prima volta che la eseguiva in pubblico. La bambina aveva guardato sua madre che si era limitata a sorriderle.

<< E’ per me… >> aveva mormorato mentre Philip iniziava a suonare.

Quella melodia si intitolava sette undici duemilasette. Il giorno della sua adozione era appena diventato una sinfonia che migliaia di persone avrebbero probabilmente ascoltato e tenuto sui loro iPod. Nessuno avrebbe mai potuto farle un regalo più grande, nessuno avrebbe mai potuto amarla più di Philip e Adele.

<< Va da lui, Clarke >> le sussurrò sua madre con occhi lucidi.

La musica che riusciva a creare la mente e successivamente le sue dita era qualcosa che non si poteva semplicemente raccontare. Doveva essere ascoltata e anche allora si rimaneva senza fiato. Philip si alzò in piedi quando terminò per inchinarsi di fronte agli spettatori e accogliere i loro applausi, ma dovette bloccarsi quando Clarke arrivò correndo sul palco solo per abbracciarlo. Il teatro a quella scena esplose in uno scroscio di applausi, estasiato da ciò che rappresentava. Philip fu sorpreso dal gesto della figlia e per un solo attimo era rimasto immobile prima di contraccambiare. Adele sentì le lacrime, che aveva a stento trattenuto, rigarle il viso mentre suo marito prendeva per mano la bambina.

<< Grazie >> sussurrò Clarke col cuore gonfio per l’emozione.

Si inchinarono insieme di fronte al pubblico più volte prima che il sipario calasse lentamente.

 

<< Mi piace Napoli >> commentò Clarke mentre era stesa sul letto d’albergo con un fumetto aperto.

Philip e Adele alzarono lo sguardo dalle loro mansioni e guardarono contemporaneamente la figlia. Da quando l’uomo le aveva comprato quel volume su Superman, Clarke aveva iniziato ad amare il mondo dei fumetti e loro l’avevano sempre incoraggiata a continuare a coltivare le sue passioni. Adele stava sistemando alcune cose in valigia in vista della partenza del giorno dopo e si fermò per avvicinarsi alla bambina. Sorrise.

<< Ne sono felice >> disse accarezzandole la testa.

E lo era davvero. In pochi giorni era riuscita a trasmettere alla figlia l’amore per la sua città.

<< Potremmo restare qui >> disse Clarke con un filo di voce guardando prima la donna e poi l’uomo che era seduto sul divano << Potremmo restare sempre qui >>.

Adele si voltò verso il marito che era scattato in piedi a quelle parole. Si accostò alla figlia per guardarla negli occhi.

<< Clarke non vuoi tornare a Sidney? >> le chiese.

La bambina distolse lo sguardo a disagio e si mise seduta a gambe incrociate chiudendo il fumetto di Wolverine.

<< Sì, certo >> rispose.

Ma i suoi occhi tradivano le sue parole.

<< Possiamo restare >> affermò Adele stringendo la mano di Philip << Possiamo trasferirci a Napoli. Ci stavamo già pensando >>.

<< Davvero? >>.

C’era un senso di speranza nella domanda di Clarke, come se quella fosse l’occasione per ricominciare da zero una nuova vita. Lontana da Sidney, da tutto quello che rappresentava, dall’orfanotrofio, dalla tomba di Elisabeth. Perché, per quanto li scacciasse, i ricordi erano sempre lì, dietro l’angolo, pronti a riaffiorare in uno sbattere di ciglia. Sarebbero stati solo loro e una nuova città che già li amava come se fossero suoi figli. Philip sorrise di fronte alla sua reazione.

<< Ti piacerebbe? >> le chiese.

Invece di rispondere, sua figlia si gettò contro di lui per essere abbracciata. L’uomo la strinse con forza respirando l’odore della sua pelle ormai così familiare. Amava troppo Clarke per non aver pensato, insieme ad Adele, di trasferirsi lontano da Sidney. Per questo l’avevano portata a Napoli, il concerto era solo un misero motivo rispetto alla felicità di sua figlia. 

Era quello il vero regalo che le stavano facendo.

 

Per i primi tre giorni della settimana Sofia si rifiutò di rispondere ai messaggi o alle chiamate di Clarke. Non voleva aggiungere altro sale alla scottatura che aveva. Elena era dalla sua parte e la incoraggiava a ignorarla. Anche lei era rimasta molto delusa dal comportamento della più grande e, conoscendo fin troppo bene il carattere dell’amica, sapeva quanto fosse delusa. Non era mai stata brava a lasciarsi andare, ma pareva che con Clarke stesse funzionando. Prima di scoprire la verità, ovviamente. Eppure c’era qualcosa che stonava in tutta quella storia. Per quanto poco conoscesse la ragazza, Clarke non sembrava il tipo che si divertisse a compiere simili cose. 

<< Forse dovresti parlarci >> affermò Elena rientrando dal bagno dopo aver visto Clarke passarle accanto.

Si erano salutate con un semplice cenno del capo; poi la ragazza era corsa via seguita da Lorenzo, Diego e Mario. Forse voleva evitare le sue possibili domande, forse aveva un impegno.

Sofia alzò lo sguardo dal libro di letteratura inglese dove stava appuntando delle cose che non ricordava sul margine nel caso di una possibile interrogazione nell’ora successiva. 

<< Come, prego? >> chiese facendo finta di non aver compreso.

Elena sbuffò mentre si avvicinava per sedersi.

<< Mi hai sentita >> rispose semplicemente.

L’amica chiuse il libro davanti a sé con un tonfo e guardò Elena contrariata. Le parole le morirono in gola quando vide avvicinarsi Claudio. Guardò velocemente l’ora sperando che la campanella suonasse presto.

<< Ciao Sofy >> salutò il ragazzo salutandola con un gesto della mano e un sorriso << Come va? >>.

<< Ciao Claudio >> contraccambiò Sofia << Bene, grazie >>.

Elena alzò gli occhi al cielo.

<< Abbiamo una possibile interrogazione di inglese tra poco >> affermò con l’intento di farlo allontanare il più in fretta possibile.

<< Sono sicuro che andrai benissimo, come sempre >> disse Claudio ignorando il velato consiglio dell’altra. Strizzò l’occhio a Sofia come se fossero complici << Allora, me la daresti una mano con matematica? Mi serve assolutamente qualcuno che mi faccia capire quei cavolo di limiti! >>.

<< La cosa ideale sarebbe che tu vada a ripetizioni private >> gli consigliò Sofia alzando il sopracciglio.

Odiava quando si metteva a fare il cascamorto e odiava ancor di più quando lo faceva con lei.

<< Ti prego, Sofy! Mio padre mi stacca il collo se gli dico che ho già bisogno delle ripetizioni. Ti prometto che saranno solo un paio d’ore >>.

Congiunse le mani davanti a sé come se stesse pregando e chinò il capo. Per questo non vide lo sguardo della ragazza spostarsi verso il corridoio. Clarke stava passando davanti a lei in compagnia di Alice. Si guardarono negli occhi e fu come guardare nello stesso sentimento mentre il tempo per un attimo si fermava. Delusione, frustrazione amarezza; c’era tutto. Il suo azzurro era liquido, pareva che potesse sciogliersi sotto le lacrime da un momento all’altro. Non aveva mai notato quella tonalità prima di allora. Inghiottì un groppo di saliva e in quel momento Alice si alzò sulle punte per lasciare un bacio sulla guancia di Clarke che arrossì inaspettatamente assumendo un’aria sorpresa. Le guance di Sofia presero fuoco mentre non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Come poteva Alice prendersi tutta quella confidenza?

<< Allora, Sofy? >> chiese Claudio riportando il suo sguardo sulla sua figura.

La ragazza lo fissò sbattendo un paio di volte le palpebre come se non ricordasse cosa le avesse chiesto un minuto prima. 

Con la coda dell’occhio, vide Elena scuotere la testa. 

<< Io… non… >>.

<< Dai, pensaci! >> la interruppe il ragazzo sentendo la campanella suonare << Magari la settimana prossima riusciamo a metterci d’accordo! Possibilmente non di martedì e giovedì perché ho gli allenamenti di calcio! >> si allontanò incrociando la professoressa che stava entrando << E il sabato pomeriggio ho la partita! >> aggiunse correndo verso la sua classe.

Sofia quasi non sentì l’ultima parte della frase, talmente era immersa nelle sue considerazioni. Elena le diede una gomitata e scrisse sul banco per attirare la sua attenzione. Una sola parola.

Parlaci.

L’amica scosse il capo togliendosi gli occhiali subito dopo per pulirli. Elena scrisse di nuovo.

Meglio che ci parli che roderti in fegato in questo modo, non trovi? 

Il viso di Sofia s’imbronciò nel leggere quella frase. Elena aveva ragione, vederla con Alice le aveva dato profondamente fastidio. Se avesse potuto, in quell’attimo l’avrebbe incenerita. Prese la matita dall’astuccio per affrettarsi a rispondere.

Non voglio pensare ancora a quanto io sia stata idiota.

Elena la guardò alzando il sopracciglio, poi il suo nome fu sorteggiato per l’interrogazione e dovette alzarsi per recarsi alla cattedra.

<< Chiedere spiegazioni non è da idiota >> le mormorò prima di allontanarsi.

 

Faceva freddo quel pomeriggio ma era l’ultimo giorno in cui la libreria all’interno di Trony scontava i suoi libri del 25% e per questo aveva deciso di farvi un salto insieme a Luthor. Aveva lasciato la macchina in uno dei tanti parcheggi a pagamento del Vomero e avevano passeggiato. I suoi amici erano tutti all’università, ma avevano già organizzato di prendere le pizze e mangiarle a casa sua. Il pensiero di rivedere Diana dopo sabato le metteva una strana ansia addosso. Le due ragazze avevano chiacchierato solo tramite messaggi sia privati che sul gruppo e avevano avuto qualche breve telefonata. Clarke le aveva raccontato di Sofia e di quello che era successo, tralasciando la parte di Marco, ma aveva ottenuto solo molti monosillabi e frasi scontate. Ne era rimasta delusa, Diana era la sua migliore amica e mai avrebbe voluto vederla allontanarsi. Le aveva sempre espresso il suo disaccordo per Sofia, lei non le aveva dato retta, e ora, col suo modo di fare, le stava facendo capire quanto si fosse sbagliata. Una volta le aveva detto che, se fosse stata davvero interessata a lei, le avrebbe dato la possibilità di parlare e spiegarsi. E Clarke, su questo, non aveva potuto darle torto. Aveva rinunciato ormai a chiamare Sofia per tentare di mettere a posto le cose, la ragazza non aveva mosso un dito nella sua direzione. Non le interessava, lo aveva compreso fin troppo bene e lei doveva evitare di passare ripetutamente davanti alla sua classe solo per poterla vedere. Ripensò a quella mattina, a come i loro sguardi si fossero incrociati e come Sofia poi fosse tornata a concentrarsi su Claudio Landolfi. Come se fosse più importante di lei. A quel pensiero, uno strano fastidio si agitò in lei e si affrettò a calcare in testa il cappello prima di uscire dalla libreria. Luthor abbaiò improvvisamente costringendola ad alzare gli occhi verso la strada. E la vide. Camminava a piedi, velocemente e senza guardarsi intorno, il freddo era un incentivo abbastanza elevato per farla sbrigare. Indossava anche lei un capello di lana, il giubbotto nero che le sagomava perfettamente il corpo, un jeans scuro. Gli occhiali da vista erano immancabili. Il boxer abbaiò un’altra volta come se volesse attirare la sua attenzione e forse fu proprio lui a farla voltare o semplicemente era stata la sensazione di sentirsi osservata. Si fissarono e per un attimo la più grande sorrise. Avrebbe voluto evitare di far vedere quanto fosse lieta di vederla fuori la scuola, ma il suo corpo pareva essere tutt’altro che d’accordo. Sofia si era fermata e, dopo un attimo di incertezza, procedette verso di lei. Luthor la guardò scodinzolando e aspettandosi un premio per quello che aveva fatto. Clarke lo accarezzò. Forse una ricompensa la meritava davvero.

<< Ciao >> la salutò la più piccola quando fu abbastanza vicina. La vide sorridere ancor più di prima come se non riuscisse a fare altro. Guardò Luthor notando in quel momento la sua pettorina. Alzò un sopracciglio indicandola.

<< Davvero, Kent? >> disse << La pettorina di Superman? >>.

<< Strepitosa, vero? >> replicò Clarke con gli occhi che le brillavano.

<< Non mi sarei aspettata niente di diverso da te, guarda >>.

<< E’ un regalo del fratello di Diana, lui adora Luthor >> affermò Clarke << Non l’ho scelta io. Ma è geniale se ci pensi >>.

<< Ovviamente c’entra Diana >> rispose Sofia incrociando le braccia sul petto.

<< Beh, è la mia migliore amica >>.

<< Anche Elena lo è, ma io non ci vado a letto insieme >> dichiarò l’altra incapace di trattenersi. 

Avrebbe voluto mostrarsi superiore, però, quando il suo nome era venuto fuori dalle labbra di Clarke tutta la sua rabbia era emersa. La più grande abbassò lo sguardo a quella frase.

<< E’ complicato >> si limitò a dire.

<< Guarda, non mi interessa. Ho compreso perfettamente >> disse Sofia facendo per andarsene.

<< Fermati! >> esclamò Clarke afferrandola per un braccio.

Luthor abbaiò prima di tornare seduto come se volesse enfatizzare il gesto della sua padrona.

<< Aspetta >> ripeté quando fu sicura che l’altra non sarebbe corsa via << Non è come sembra >>.

Sofia si sistemò gli occhiali sul naso.

<< Ed esattamente, invece, com’è? >> domandò << Perché a me sembra che tu mi abbia detto di piacerti, ma poi vedo che non hai esitato a scoparti un’altra! >>.

I suoi modi gentili erano andati a farsi benedire insieme alla calma.

<< Ed è vero! Tu mi piaci, non ti sto prendendo in giro! >>.

<< E allora perché? >>.

Si guardarono negli occhi mentre prendevano entrambe un respiro profondo.

<< Non ci sono andata a letto sabato. Noi… noi siamo solo salite a cambiarci perché eravamo bagnate fino al midollo! >>.

Sofia la guardò valutando quanta verità ci fosse nelle sue parole. Spostò il peso da un piede all’altro in silenzio.

<< Quindi mi stai dicendo che ho travisato tutto? >>.

<< No… >> sussurrò Clarke stringendo il guinzaglio di Luthor fino a farsi diventare bianche le nocche << …non hai travisato tutto. Io e Diana abbiamo fatto sesso. Ma quella sera, ti giuro che non è successo niente! Io… non avrei mai potuto farti una cosa del genere… >>.

Alzò lo sguardo su di lei e Sofia vi lesse tutta la sincerità del mondo. Si sentì spiazzata dalla limpidezza dei suoi occhi. Inghiottì un groppo di saliva e scosse impercettibilmente il capo.

<< Ti rendi conto che non puoi far… >>.

<< Lo so >> la interruppe l’altra mordendosi il labbro inferiore << Io… lo so… >>.

Sofia deglutì ancora e fece un passo indietro. Non poteva forzarla a fare una scelta tra lei e la sua amica, sarebbe dovuto nascere da Clarke se veramente voleva iniziare a frequentarla.

<< Dove vai? >>.

<< A casa >> rispose la ragazza abbozzando un sorriso triste << Solo non… non… >>.

Le mancavano le parole per proseguire. Aveva fantasticato tanto sul conto di Clarke e adesso tutto quello che aveva pensato le si stava sgretolando davanti agli occhi. Improvvisamente l’altra le prese la mano costringendola a guardarla. A quel gesto sussultò. Nonostante fosse fredda, la stretta di Clarke le trasmetteva calore.

<< E se ti dicessi che non accadrà mai più? >>.

Sofia rimase senza fiato di fronte a quella proposta. Sentì il cuore saltarle in gola e le guance imporporarsi.

<< Sei seria? >> le chiese cauta.

Clarke si limitò a fissarla senza dire niente. I suoi occhi esprimevano ciò che nemmeno le parole avrebbero reso alla perfezione.

<< Allora…? >>.

La più piccola rise appena contraccambiando la stretta e avvicinandosi di qualche passo.

<< Allora >> rispose con un sorriso << Ti chiederei se sei libera sabato sera >>.

E Sofia vide distintamente le pupille di Clarke contrarsi e scontrarsi furiose contro l’iride azzurro dei suoi occhi come se anche loro fossero in preda allo stesso senso di euforia della ragazza.

<< Ti va se ci prendiamo qualcosa da bere? >>.

 

<< Ciao Laura! >> salutò Clarke sedendosi al tavolino libero.

Sofia prese posto davanti a sé mentre Luthor si stese ai piedi della padrona. La ragazza lo guardò per un attimo e sperò che il guinzaglio fosse ben stretto alla pettorina. Quel boxer era enorme.

La cameriera contraccambiò il saluto prima di portare a entrambe i menù.

<< Vieni spesso qui? >> le chiese Sofia sfogliandolo.

<< Adoro questo posto e adoro la cheese-cake che fanno >>.

Sofia non riuscì a reprimere una risata nel ricordare la prima volta che c’erano state insieme. Poi la sua attenzione venne attratta da Luthor.

<< Il tuo mangiauomini si lamenta >> disse guardandolo.

Fu un attimo. Il cane si mise in piedi e cominciò a scodinzolare mentre non la smetteva di mugugnare nella sua direzione.

<< Si chiama Luthor >> precisò Clarke mentre si toglieva il cappello << E mangia solo croccantini >>.

<< E perché fa così allora? >>.

<< Forse vuole essere accarezzato >>.

<< Da me? >> esclamò Sofia mentre Luthor si faceva avanti verso di lei senza smettere di scodinzolare << Tienilo fermo, eh! >>.

<< Ma non ti fa niente! >>.

<< Questo lo dici tu, è un cane da combattimento! >>.

Clarke serrò la mascella e il suo sguardo s’incupì.

<< Luthor, seduto >> disse semplicemente la sua padrona. Il boxer immediatamente ubbidì senza, però, smettere di lamentarsi << Ora lo accarezzi? >>.

<< Mi mettono ansia i cani così grandi >> rispose Sofia a disagio.

Clarke alzò gli occhi al cielo e accarezzò la testa del cane che parve apprezzare il gesto.

<< Lo amerai anche tu, fidati >>.

La cameriera tornò per prendere le loro ordinazioni impedendo a Sofia di ribattere.

<< Un cappuccino all’amaretto, una fetta di cheese-cake ai lamponi e… credo un succo all’ananas >> affermò Clarke strizzando l’occhio a Sofia.

L’altra arrossì, ma si affrettò a correggerla.

<< Niente succo all’ananas. Per me una cioccolata calda classica >>.

Laura rise mentre cancellava e riscriveva sul suo taccuino.

<< Perdonala >> disse mentre portava via i menù << Ha un caratteraccio e i suoi amici un cuore d’oro >>.

Sia lei sia Clarke scoppiarono a ridere mentre Sofia si limitò a sorridere educatamente.

<< Torno subito >> aggiunse prima di allontanarsi.

La più piccola la osservò. Indossava la divisa dello Stairs Coffè, i capelli scuri erano legati in una alta coda, gli occhi marroni brillavano di intelligenza e allegria. Non poteva avere più di venticinque anni. 

<< Che hai comprato? >> chiese Sofia.

Aveva già notato la busta della libreria, ma presa da altro, aveva accantonato quella curiosità.

<< Oh, un po’ di cose che mi mancavano >> rispose Clarke guardando involontariamente la sedia vuota sulla quale erano letteralmente ammassate le sue cose << Oggi era l’ultimo giorno per gli sconti da Trony >>.

Sofia prese la busta in mano constatando quanto fosse pesante e l’aprì per vedere. Sgranò gli occhi sorpresa, non poteva aver comprato davvero tutti quei libri in una sola volta.

<< Tutto okay? >> chiese incerta Clarke notando il suo sguardo.

L’altra non le rispose tirando fuori il volume più grosso. Alzò il sopracciglio con aria contrariata.

<< Il mondo del ghiaccio e del fuoco? Lo hai comprato davvero? >>.

<< Non capisco dove sia il problema, l’ho sempre voluto >>.

<< Ti rendi conto che è un libro con lo scopo puramente consumistico? Io non lo comprerei mai >>.

Clarke assottigliò gli occhi.

<< Non te lo presto >> disse << Nemmeno quando verrai a chiedermelo in ginocchio >>.

<< Non accadrà mai, Kent >> rispose Sofia.

<< Ragazze >> iniziò Laura arrivando col vassoio << Cioccolata calda per te >> posò la tazza fumante davanti a Sofia << Cappuccino all’amaretto e cheese-cake per te >> poggiò due bicchieri d’acqua colmi fin quasi all’orlo << Tranquilla >> aggiunse riferendosi a Clarke << Per te frizzante, ormai me lo ricordo bene >>.

Le fece l’occhiolino prima di andar via, richiamata da un ragazzo al tavolo di fronte al loro.

Sofia girò la sua cioccolata col cucchiaino e osservò Clarke senza smettere di tenere la busta con i libri sulle gambe. Aveva dato una sbirciata veloce e, a parte il tomo che già aveva segnalato col suo dissenso, dovette ammettere che l’altra aveva dei gusti molto vari. C’era qualcosa di Murakami, di Asimov, un paio di Agatha Christie, qualche classico.

<< Se ho superato l’esame, posso riavere i miei libri? >> domandò Clarke mentre con la forchetta prendeva un pezzo di torta.

<< Li riavrai solo se mi dirai una cosa >>.

La vide farsi attenta e si allungò sul tavolo per osservarla meglio.

<< Da quanto tempo quella ci prova con te? >>.

L’altra strabuzzò gli occhi prima di scoppiare a ridere.

<< Ma chi, Laura? >> esclamò << Per favore, la conosco perché ormai sono anni che veniamo sempre in questo bar! I suoi genitori sono i proprietari >>.

<< Davvero non ti sei accorta di come ti guarda? >>.

Clarke rise ancora e prese un altro pezzo di torta.

<< Che brutta cosa la gelosia >> mormorò con un mezzo sorriso.

Sofia fece un sorso di cioccolata e alzò il sopracciglio.

<< Guarda che non… >> le morirono le parole in gola nel notare l’occhiata che le lanciò l’altra << Sul serio! Ti ho detto solo la palese verità! >>.

<< Certo >> rispose Clarke << E perché stai arrossendo allora? >>.

La più piccola sbuffò, messa con le spalle al muro; poi improvvisamente sussultò nel sentire Luthor che aveva appoggiato il suo muso sulla sua gamba. S’immobilizzò mentre guardava Clarke alla ricerca d’aiuto.

<< Ti prego fa qualcosa >> disse.

<< Vuole solo essere accarezzato, non ti fa niente >>.

Sofia lo guardò senza sapere cosa fare. Il cane la fissava e scodinzolava. Ingoiò un groppo di saliva.

<< Almeno hai ben stretto il guinzaglio? >>.

Nel sentire quelle parole, Clarke fece esattamente il contrario. Si sfilò dalla mano il laccio che aveva fatto e lo fece cadere a terra. Sofia sgranò gli occhi per la sorpresa e la paura mentre l’altra tornava tranquillamente a sorseggiare il suo cappuccino. Adesso niente avrebbe impedito a quel mangiauomini di saltarle addosso.

<< Affronta le tue paure >> la incoraggiò Clarke con un sorrisetto ironico.

<< Ti odio >>.

<< Fidati, dopo mi ringrazierai >>.

Sofia fece un respiro profondo. La sua era una paura irrazionale, se ne rendeva perfettamente conto, ma era anche radica in lei fin da bambina. Forse non si poteva nemmeno definire tale, era una sorta di timore verso quei bestioni che avrebbero potuto azzannarla da un momento all’altro. Ingoiò a vuoto varie volte prima di allungare la mano verso la testa di Luthor. Il cane, capendo cosa stesse per fare, la alzò scodinzolando sempre di più e si fece attento ai suoi movimenti.

<< Luthor, fermo >> lo ammonì la padrona che non si stava perdendo nemmeno uno sbattere di ciglia di quella reazione.

Sofia quasi non credette di esserci riuscita. Se ne rese conto quando la sua mano incontrò il pelo morbido del cane. Era corto per cui le sue dita non affondarono nella sofficità, ma fu comunque gradevole.

<< E’ morbido >> disse incerta mentre continuava ad accarezzare il boxer.

Clarke sorrideva compiaciuta mentre si portava il cappuccino alle labbra. Luthor continuava a scodinzolare e avrebbe voluto approfondire quel contatto; nonostante tutto, però, continuava a rimanere immobile.

<< Che ti avevo detto? Il mio cane è irresistibile, come la padrona >>.

Sofia roteò gli occhi prima di togliere la mano. Luthor si lamentò per un attimo prima che si voltasse verso Clarke. Una sola occhiata bastò a farlo tacere.

<< Credo di aver fatto abbastanza per oggi >>.

Fece un sorso della sua cioccolata calda senza smettere di osservare l’altra. Per diversi istanti Clarke fu persa nella contemplazione del suo boxer e il sorriso che aveva non lasciava dubbi su quanto amore provasse per lui. 

<< Quanto ha? >> chiese Sofia.

La ragazza alzò gli occhi su di lei risvegliandosi dai suoi pensieri e increspò le labbra in un nuovo sorriso. La più piccola la trovò bellissima in quegli attimi.

<< E’ un arzillo vecchietto di dieci anni ormai >>.

Sofia lo guardò per un solo attimo. Lei di cani non ne capiva molto, ma Luthor aveva le orecchie tagliate che quindi rimanevano sempre dritte e della coda non aveva che un moncherino. Ipotizzò che l’allevamento dove i suoi genitori l’avessero acquistato, avesse effettuato quelle due operazioni.

<< E’ tutto a posto? >> le chiese improvvisamente Clarke.

Non si era resa conto dello sguardo perso che doveva aver assunto. Imbarazzata, si sistemò gli occhiali sul naso e annuì.

<< Allora sabato dove andiamo? >>.

 

 

 

L’angolo di Bik

Per coloro che si erano preoccupati, non sono ancora morta XD Ho semplicemente iniziato un secondo lavoro (i fumetti pagano ancora troppo poco nonostante sia la mia passione) e la sera arrivo a casa sempre distrutta. Anche se con ritardo, però, anche questo capitolo è andato in porto. Spero che vi piaccia!

Alla prossima,

F.

  
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