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Autore: elfin emrys    12/06/2018    0 recensioni
{Modern!AU, Nonno Germania x Nonno Roma, ho usato come nomi Ariovisto e Romolo}
A volte, Ariovisto pensava che la propria vita si fosse fermata lì, nella campagna romana, in quell’estate che era stata così calda, appiccicosa e bruciante.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Antica Roma, Germania Magna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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A volte, Ariovisto pensava che la propria vita si fosse fermata lì, nella campagna romana, in quell’estate che era stata così calda, appiccicosa e bruciante. Si ricordava il sole d’agosto, l’asfalto che sembrava tremare e l’erba gialla dei campi. C’era una sorta di vecchio fienile, in fondo a quell’immenso prato secco. La costruzione si stagliava in mezzo a quel cielo talmente azzurro da far male agli occhi, brunita e rossastra, come fosse fatta di fumo e sabbia. Non una nuvola, non un’ombra che desse pace da quella luce bollente. Si ricordava la propria pelle ustionata, il sudore che l’aveva convinto a tagliarsi i capelli (“Solo per questa volta”, aveva detto), le proprie labbra secche che cercavano in maniera insistente e disperata un po’ d’acqua.

Più di tutto, però, si ricordava lui.

Oh, Romolo… Aveva pensato così tante volte a lui. L’aveva pensato con una sorta di disperato bisogno di liberarsi della sua memoria. Quando riusciva a smettere di ricordarlo, Ariovisto percepiva un sollievo che aveva del patetico. Romolo… Se solo non l’avesse mai incontrato.

Se solo avesse avuto il coraggio di tornare in quella maledetta campagna romana.

E nonostante, con gli anni che passavano, l’eco di quell’estate stesse diventando sempre più lontana, ecco, l’immagine di quel ragazzo era sempre rimasta lì.

Scolpita per sempre.

 

Ariovisto scoccò la freccia. La vide volare oltre il bersaglio e cadere nell’erba. Sospirò. Era da anni che tirava con l’arco e la sua concentrazione era allenata almeno quanto il suo corpo: assumeva con naturalezza la postura corretta e si prendeva cura dell’arco e delle frecce in maniera automatica. Pareva che tutto facesse parte di un meccanismo perfetto e così doveva sembrare. Tuttavia, c’erano delle giornate in cui Ariovisto, anche dopo tutti quegli anni, non riusciva a centrare un bersaglio. Occasionalmente non si rendeva conto della ragione, ma quella volta era perfettamente conscio del motivo della sua distrazione.

L’aveva visto.

O almeno, gli era parso di vederlo.

Quella mattina, mentre le porte della metro si chiudevano, gli era passato davanti col passo quasi marziale che l’aveva sempre caratterizzato. Aveva visto la pelle bronzea, i capelli mori, ricci e scompigliati, il suo profilo marcato… Per un secondo, Ariovisto aveva sentito il petto dilatarsi e l’aria mancare, i muscoli gli si erano fatti rigidi e la gola secca. Poi, mentre la metro ripartiva, si era alzato improvvisamente e si era gettato sulla porta, schiacciando il viso sul vetro, anche se ormai sapeva che era troppo tardi. Si era rimesso seduto, evitando gli sguardi incuriositi degli altri passeggeri e cercando di darsi un contegno, ma quando era uscito all’aria aperta, il mondo gli era sembrato diverso.

Era come se fino a quel momento avesse vissuto in una realtà staccata da quella vera dove era improvvisamente ripiombato. Si sentiva arrabbiato e confuso, felice, quasi, del proprio ritorno alla vita. Aveva girato un po’ senza una meta precisa nella città e, come se si fosse appena risvegliato, si era reso conto per la prima volta della gente, dei colori, del rumore e degli odori. Aveva continuato a camminare finché l’entusiasmo si era spento e tutto era tornato del suo abituale grigio piovoso.

La mano di Ariovisto tremò e scoccò la freccia. Sapeva già che sarebbe stato un tiro storto e fiacco. L’uomo si morse il labbro e trattenne la stizza. Respirò lentamente e profondamente. Doveva riprendere il controllo del proprio corpo e della propria mente. Doveva liberarsi da tutti i pensieri. Fece una smorfia, sentendo la volontà incrinarsi. Percepiva lo sguardo di altri arcieri sopra di sé: era da qualche secondo buono che stava fermo, immobile, con l’arco verso il basso.

-Si sente bene?

Ariovisto guardò prima la mano dello sconosciuto poggiata sulla sua spalla, poi il viso.

-Sì. Sì, sto bene.

 

Suo padre aveva sempre desiderato andare in Italia. Ariovisto aveva capito solo dopo, quando ormai era morto, perché avesse deciso che fosse necessario andarci proprio allora. Era da molto tempo ormai che lo ricordava come lo aveva visto durante quella vacanza. Suo padre sembrava veramente felice di aver avverato quel desiderio e se ne stava spesso seduto su una sedia, all’ombra e con i piedi alzati, con gli occhiali da sole che ormai gli avevano lasciato il segno sulla pelle che si stava arrossando. Ariovisto se lo ricordava perché, nonostante tutto, gli era sempre sembrato stanco. All’inizio aveva dato la colpa al caldo torrido, ma poi, tornati in Germania, suo padre aveva continuato ad apparire sempre più affaticato, a prendere abitudini sempre più curiose e inspiegabili, finché un giorno non era crollato.

Così Ariovisto aveva scoperto la verità.

Il resto dei ricordi era confuso. La morte di suo padre avvenne poco dopo la scoperta della sua malattia, del fatto che gli aveva nascosto qualcosa di così importante per molto, molto tempo. Ariovisto ricordava i parenti, i discorsi, i preparativi per il funerale e la cremazione in maniera grigia e annebbiata. Ricordava di aver passato le giornate con lo sguardo verso il cielo, in attesa che spuntasse il sole, un sole accecante, giallo da far impazzire e talmente caldo da far desiderare disperatamente quell’inverno che sembrava così freddo.

Aveva pianto quando aveva capito che non l’avrebbe fatto.

Aveva fatto qualcosa di molto imbarazzante, in quel periodo. Anche da adulto, aveva sempre visto come una debolezza lo sfogo che aveva trovato. Romolo gli aveva chiesto di scrivergli, se gli sarebbe andato. Ariovisto, allora, aveva veramente cominciato a scrivergli delle lettere, che però non aveva mai avuto il coraggio di imbucare. In seguito, in un attimo di rabbia, aveva deciso di bruciarle: una notte aveva acceso un piccolo fuoco e le aveva buttate tutte insieme nelle fiamme, per eliminare non solo gli scritti fisici, ma anche i sentimenti che essi rappresentavano. Non ce l’aveva fatta. Prima che le lettere potessero essere veramente distrutte, aveva spento il fuoco e aveva cercato di recuperare tutto quello che era possibile.

Un foglio era sopravvissuto per intero, come se non fosse stato neanche sfiorato dalla brace. Ariovisto lo stava tenendo in mano, in quel momento. Non sapeva se voleva rileggerlo, se voleva riportarlo alla luce o se voleva finalmente eliminarlo. L’aveva custodito, se l’era portato ovunque, ma l’aveva lasciato invecchiare in una cassetta. In quel momento, la carta si era ingiallita, la piegatura del foglio sembrava quasi essersi irrigidita, come volesse impedirne la lettura.

Ariovisto rimise la cassetta in fondo al mobile e si alzò. Portò con sé la lettera, guardandola con la mente totalmente vuota.

Poi, se la mise in tasca.

 

-Cosa ne pensi del Sole?

-Mh?

Ti giri verso il tuo amico, guardandolo stranito.

-Dico, cosa ne pensi del Sole?

-Se mi stai facendo un’altra domanda senza senso per vedere se so abbastanza bene l’italiano io…

-No, dico davvero: cosa pensi del Sole.

-Credo… credo sia bello. Ma troppo caldo.

Romolo si mette sopra di te, con le sue mani ai lati della tua testa, oscurandoti la vista del cielo. Ha l’aria di dirti che ti dovresti impegnare un po’ di più, perché, quando lui fa domande filosofiche sul senso della vita e del mondo, tu dovresti come minimo rispondere in maniera intelligente.

Allunghi lentamente la mano, tocchi il suo polso e l’erba ti solletica il pollice e l’indice. Involontariamente, lo accarezzi piano con un dito, poi arrossisci e lo ritrai.

-Ariovisto, io credo… sì, credo che il Sole sia biondo.

Lo guardi confuso e anche lui sembra non capire bene cosa stia dicendo, ma ti osserva con degli occhi così intensi, quasi liquidi, con le sopracciglia scure aggrottate…

-Io penso che…

Io penso che il Sole sia moro.

Credo che il Sole sia riccio e abbia gli occhi scuri e la pelle abbronzata.

Credo anche che il Sole abbia la vita stretta e le spalle larghe e una peluria sparsa sul viso come di chi non ha ancora deciso cosa farsene.

Ti tremano leggermente le labbra mentre senti qualcosa di strano afferrarti lo stomaco. Romolo si lascia un po’ andare, poggiando contro di te il fianco. Piega i gomiti per starti più vicino col viso e –cielo!- senti i muscoli delle sue braccia vicino alle tue spalle e quasi sembra volersi accostare ancora di più al tuo volto e cominci a sentire un ronzio nella testa.

Il Sole ti bacerebbe mai?

Non lo sai e non sai nemmeno se ci speri o meno.

Certo sarebbe bello se lo facesse, se ti accarezzasse, se tu potessi-

Romolo si lascia cadere vicino a te sospirando.

-posare le mani sui suoi fianchi, scioglierti mentre lo avvicini a te.

Anche tu ti senti un po’ precipitare a terra quando lui si allontana.

Lo senti sbuffare e sussurrare “Effettivamente era una domanda stupida.” mentre allunga la mano per riprendere il pallone con cui avevate fatto una partita veloce.

 

-Pronto?

-Papà?

Ariovisto sorrise, sentendo la voce del figlio maggiore. Quando aveva visto la chiamata, aveva pregato che Gilbert non lo stesse contattando per chiedergli qualcosa per conto della ex-moglie, ma dalla voce emozionata del ragazzo poteva ben dire che il motivo doveva essere totalmente diverso.

-Gilbert, dimmi.

-Andrò a Roma.

Aveva detto quella breve frase velocemente, come se avesse avuto il timore di essere interrotto. Aspettò con ansia la risposta del padre. Era sempre stato il suo sogno andare a studiare in Italia, da quando aveva scelto di fare storia all’università. Era stata una scelta inspiegabile per molti: tutti si erano aspettati di vederlo prendere una facoltà scientifica, ingegneristica o qualcosa che trovavano più “adatto” a lui. Aveva proceduto alla richiesta di studio a Roma con grande segretezza, col timore che, se l’avesse detto a qualcuno, il suo desiderio non si sarebbe avverato. Ora che invece era cosa certa, si sentiva timoroso del parere altrui. Non sarebbe mai tornato indietro, ma gli sarebbe piaciuto che almenosuo padre fosse felice per lui (visto che invece sua madre non aveva fatto altro che consigliargli di cambiare i suoi piani finché era in tempo).

-Mi… Mi piacerebbe che tu e Ludwig veniste con me per un periodo, se tu sei d’accordo.

Gilbert rimase nuovamente in silenzio, attendendo una qualsiasi reazione. Non sapeva se quella totale mancanza di risposta da parte del padre fosse positiva o meno. In realtà, non aveva mai capito cosa quell’uomo avesse in testa. Trattenne il respiro.

Ariovisto cercò di ricordarsi come si faceva a parlare. Voleva dirgli che era felice per lui, che era contento della notizia. Voleva chiedergli quando gli era venuto in mente di andare a Roma, se aveva per lo meno studiato un po’ di italiano e, se sì, quando. Tuttavia, la sua mente si era totalmente bloccata al pensiero di lasciare la Germania e tornare nuovamente a Roma.

A volte, Ariovisto pensava che la propria vita si fosse fermata lì, nella campagna romana.

E improvvisamente, ecco che gli veniva offerta un’ultima, estrema offerta di vita.

Se solo avesse avuto il coraggio di ritornarvi.

Ariovisto si mise la mano in tasca ed estrasse la lettera che aveva preso qualche giorno prima dalla cassetta. La guardò, la strinse in mano. Cercò di aprirla –e in quel momento sembrò cosìfacile!- e gli parve non fosse mai invecchiata.

-È una fantastica notizia, Gilbert. Dimmi tutti i dettagli e sarò felice di accompagnarti con tuo fratello.

Lesse la prima riga della lettera, prima di chiuderla e ascoltare quanto gli era possibile il figlio.

“Qui è tutto grigio di nebbia da quando sono tornato. Vorrei avere il coraggio di dire quello che voglio, prendere un treno e venirti a trovare, ma è un limite che non riesco a superare.”

Però poteva anche non vederlo. Chissà se avrebbe ritrovato quella casa in mezzo al campo, se Romolo ci viveva ancora, se non era tutto cambiato.

-Gilbert, scusa se ti interrompo: posso chiederti un favore? Ci sarebbe un posto che vorrei rivedere.

Per quanto avesse paura, non avrebbe rifatto lo stesso errore.

Mai più.

 

Si sistemò meglio sul sedile dell’aereo. Sentì Gilbert ridacchiare e sussurrare all’orecchio del fratello.

-Papà sembra più emozionato di me.

Ludwig aveva sbirciato nella sua direzione e aveva annuito con un’aria incuriosita. Ariovisto li comprendeva. In fondo non aveva spiegato loro niente e non aveva mai dato informazioni di valore neanche alla sua ex moglie. In realtà, se i suoi figli gli avessero chiesto in quel preciso momento il motivo della sua agitazione, avrebbe loro risposto con dovizia di particolari. Era strano come per lungo tempo non avesse mai avuto parole per descrivere quello che aveva pensato e provato e invece, in quel momento, si sentisse come se ne avesse avuto la capacità. Solo una cosa non gli era tornata chiara.

“Qui è tutto grigio di nebbia da quando sono tornato. Vorrei avere il coraggio di dire quello che voglio, prendere un treno e venirti a trovare, ma è un limite che non riesco a superare. Ti prego di perdonare la mia codardia, che non è degna di quello che tu pensi di me, ma non riuscirei mai a guardarti negli occhi e chiedertelo apertamente. Ti ricordi quando siamo andati a vedere le stelle in mezzo al campo? Io ci penso ogni notte, anche se qua il cielo sembra vuoto. Temo di essermelo solo sognato. Mi manchi.”

Questa volta, gliel’avrebbe chiesto. Gliel’avrebbe chiesto se erano andati davvero a guardare le stelle in piena notte. Se lui era davvero così assonnato da dirgli che si sarebbe addormentato lì sulla terra. Se l’altro gli aveva mostrato davvero tutte le costellazioni che sapeva e gli aveva spiegato tutti i miti che c’erano dietro i loro nomi.

Se lui gli aveva davvero accarezzato i capelli.

Se Romolo si era davvero accostato al suo viso.

Se veramente aveva posato le proprie labbra sulle sue.

Si ricordava come in un sogno di sentire le mani dell’altro sulle proprie, poi sul collo, sul petto, lungo la schiena. Avevano sonno, tanto sonno, e si erano addormentati lì anche se avevano tentato di non farlo. Il giorno dopo non si erano detti nulla al riguardo.

Aveva rivissuto quella scena tante e tante volte da quando era tornato in Germania, persino mentre stava con quella che poi sarebbe diventata sua moglie. Si pentiva amaramente di averla ingannata, di non averla potuta amare come invece lei si sarebbe meritata. Anche se si erano lasciati in malo modo, anche se a un occhio esterno sarebbe sembrata lei l’origine del loro divorzio, Ariovisto sapeva bene che era stata per lo più colpa sua e se ne doleva. Il suo era stato un errore in buona fede, o almeno così continuava a ripetersi, ma in fondo non ne era mai stato sicuro. Aveva pensato spesso in quegli ultimi giorni al suo primo appuntamento con lei. “Un nuovo Sole”, si era ripromesso. “Un nuovo Sole”…

 

-Allora…

-Allora.

Ti sorride. Non capisci se significa qualcosa o meno, ma ti sorride. Devi dire che è molto bella. Non sai neppure dove hai trovato la faccia di invitarla a uscire. È così tanto che non uscivi con una donna! Pare anche intelligente: è una di quelle persone che sa molte cose.

Chissà se sa anche che odore hanno i campi e come entra la luce fra le tapparelle abbassate…

-Spero ti piaccia la cucina mediterranea. Ho pensato potesse essere interessante, invece di andare a un ristorante più tipico di qui.

-Molto interessante.

Pare aver già capito dove vuoi arrivare. Le donne vanno sempre avanti prima del tempo che vorresti tu…

Chissà se sa quanto fa male il tempo quando sta per finire l’estate...

-Ehm…

Tossisci.

Sembri un completo idiota.

In fondo non è neppure una cosa così lontana dalla realtà.

Lei ha uno sguardo che sembra nascondere qualcosa di languido. Noti che la sua mano è più vicina alla tua. Forse presto la raggiungerà e sembrerete una coppietta al cameriere che sta arrivando.

Non dovrebbe sembrarti un tentativo ridicolo.

La cosa non dovrebbe darti fastidio.

Ma tu sei rimasto troppo indietro: è ora che ti trovi un nuovo sole.

Eccola, è arrivata. Il suo medio e il suo indice accarezzano le tue dita, poi senti il calore del palmo della sua mano.

Vorresti non fare nulla.

Ma non puoi ignorare questo avvicinamento, non puoi fare finta di niente. E, in fondo, questo era proprio quello che volevi, no?

Le stringi la mano e la sollevi lentamente.

Le sue labbra avevano accarezzato il palmo della tua mano…

Te la porti verso il viso.

I suoi occhi scuri sembravano brillare al buio mentre lasciava scivolare le proprie dita fra le tue…

Ci posi un bacio.

E tu, come in un sogno, con la paura di essere toccato ancora più profondamente…

Lei sembra compiaciuta.

“Romolo…”

Guardi il cameriere appena arrivato. Non è tedesco, è evidente, e perciò si permette di lasciar trasparire un mezzo sorriso mentre segue con lo sguardo i tuoi movimenti mentre le riposi la mano sul tavolo.

Arrossisci e, con un colpo di tosse, riguardi velocemente il menù per vedere di nuovo i nomi dei piatti che ti avevano colpito. Lei fa altrettanto.

Se solo sapesse che avanti a tutti non ci sarà mai lei.

Ti sorride ancora, leggermente più audace. Forse è rimasta sorpresa dal tuo comportamento, ma sicuramente non le è dispiaciuto. Ora è certa di interessarti molto. In fondo, è vero che è stata l’unica persona a destare la tua attenzione da molti anni, anche se…

Perdonami.

…anche se non quanto avresti voluto.

Perdonami…

Ti osserva come se sapesse già tutto di te e si divertisse a sapere dove vuoi nascondere i tuoi pensieri.

Tu la guardi, mentre parla di qualcosa che non stai seguendo. Continui a chiederle perdono con gli occhi, ma lei non sembra cogliere.

Magari, se tu la lasciassi qui, ora, potrebbe trovare un uomo che possa amarla come tu non potrai mai.

Ma è il tuo ultimo tentativo di fuga, di rinsavimento. Perché, certo, ti sembri impazzito.

-…Aveva un qualcosa di italico. Sai, quello stile partico-

Non la fai finire di parlare.

-Sei stata in Italia?

-No…

E per la prima volta vedi nel suo sguardo un barlume di sorpresa all’entusiasmo della tua voce.

Deglutisci.

Dovevi costruire un nuovo cielo, delle nuove stelle…

Cerchi di sorriderle e di apparire perfettamente normale.

-Peccato.

Un nuovo Sole.

 

Ariovisto scese dall’auto che avevano noleggiato. Non ci poteva credere di aver ritrovato il posto esatto della sua prima visita in Italia. Dietro di lui, Ludwig e Gilbert si guardavano intorno, aggrottando le sopracciglia e socchiudendo gli occhi per la luce intensa.

-Non ti sembra bellissimo, West?

Ludwig si mise gli occhiali da sole, arricciando le labbra. Si guardò intorno con la bocca leggermente aperta.

-Capisco perché ti sei innamorato di questo posto, padre.

Ariovisto sorrise, pensando che in realtà era molto diverso dalla prima volta che l’aveva visto.

Era primavera. Il giallo secco dell’erba era in quel momento un verde intenso e due nuvole solitarie facevano capolino all’orizzonte. Lontano, oltre il cancello aperto, si potevano intravedere alberi in fila carichi di fiori bianchi e oltre ancora campi di terra nera e fertile. La stradina sembrava essere stata bagnata da poco ed emanava una sorta di frescura. Poi, c’era la casa e lontano, in mezzo a un enorme prato, si intravedeva un’altra struttura. “Il fienile!”, pensò Ariovisto, e sorrise.

-Siete qui per parlare con mio padre?

L’uomo si girò, trovandosi di fronte un ragazzo dalla pelle abbronzata e dall’aria scontrosa. Era minuto, o forse lo sembrava perché era vicino a Ludwig.

Il ragazzo ripeté, scandendo le parole.

-Siete qui per parlare con Romolo?

Ariovisto si riscosse.

-Sì. Ho mandato una mail al vostro indirizzo aziendale, spero di non avervi disturbato.

-A me no sicuramente, è mio fratello che si occupa di queste… interazioni umane.

Il ragazzo si poggiò su quella che sembrava una vanga, sistemandosi il cappello in testa.

-Sono Lovino, comunque, il figlio più grande di Romolo. E tu cosa guardi?

Gilbert aprì di poco le labbra e arrossì, balbettando qualcosa in un italiano stentato. Il fratello gli si avvicinò per parlargli.

-Cosa ti è preso?

Ariovisto fece un passo avanti, senza ascoltare la risposta del figlio maggiore.

- Come ho spiegato nella mail, sono un vecchio amico di Romolo. Mi piacerebbe vederlo.

Lovino –era così che si chiamava, no?- guardò Gilbert, sorridendo sardonicamente, poi riposò lo sguardo su Ariovisto e annuì.

-Vi accompagno da lui.

Li portò sulla stradina, parlando della loro produzione. Superò il cancello.

-Sta sotto al porticato. Ora scusate, devo riprendere i cani.

Si allontanò urlando “Scilla! Cariddi!” e i tre rimasero lì a guardarsi intorno con aria imbarazzata. Si sentivano un po’ degli intrusi nella dimora altrui e ci misero qualche secondo per muoversi.

E poi lo vide.

Là, in piedi, intento ad ascoltare un ragazzo che gli stava poco lontano.

Ariovisto tentò di trattenersi, poi accelerò il passo, di più e di più. Più camminava più la luce sembrava intensa, il caldo asfissiante, l’aria rarefatta.

Vide Romolo girarsi, spalancare gli occhi, allungare le labbra in un sorriso.

Si sentì un po’ morire a sentire la sua voce.

-Ariovisto! Sei proprio tu?

Cercò di modulare il respiro.

-Sì.

E Romolo rise, gli prese una mano stringendolo a sé, gli passò un braccio dietro le spalle per poi lasciarlo scivolare fino ai fianchi. 

-Non sei più tornato…

-Sono qui ora.

Gli rimase vicino, sorridendo, poi chiamò Feliciano (il ragazzo che gli stava accanto) per presentarglielo e fece cenno verso Gilbert e Ludwig.

-Ne avrai di cose da raccontare.

-Penso che lascerò parlare te.

Ariovisto si sentì uno sciocco mentre cercava di vedergli le mani e sospirava non vedendo alcun anello. Si lasciò trascinare verso l’interno della casa e sentì un senso di vittoria sotto la pelle. 

Oh, Romolo…

I profumi erano buonissimi, i colori caldi.

Romolo, Romolo…

Le labbra leggermente arcuate.

Il Sole era moro.

-…e allora gli ho chiesto…

Era riccio e aveva gli occhi scuri e la pelle abbronzata. Il Sole sembrava non essere invecchiato mai, anche se aveva un po’ di rughe ai lati degli occhi. Il Sole era più robusto e aveva una barba definita e corta.

Una sorta di felicità frizzava sotto la pelle.

Il Sole era cambiato, anche se continuava a brillare.

I ragazzi sorseggiavano del caffè, cercando di stare dietro al racconto.

“Qui è tutto giallo di estate da quando sono tornato.”

Romolo sembrò arrossire mentre lo diceva.

Anche con la primavera, sembra rosso come il mese di agosto.

-Gli ho chiesto…

Solo per questa volta…

-Cosa ne pensi del Sole?

 

Note di Elfin

Questa storia era stata iniziata nel 2016, subito dopo aver finito “Ricordi di un Cantastorie”. Dopo di che ne ho scritto un altro pezzo nel 2017. Ora l’ho finita. È andata solo poco diversamente da come me l’ero aspettata e, anche se non sono proprio sicura di alcune cose, non credo potesse andare diversamente :P Ciò che ho scritto, ho scritto, ecco, non può essere cambiato ora, ahahah.

Ora starete pensando di aver letto un'enorme pippa mentale, ma posso dirvi che... avete assolutamente ragione. Un'enorme pippa mentale con un accenno molto leggero, letteralmente di una riga, di Prumano.

Non so, ditemi un po’ che ne pensate, in bene e/o in male.

Grazie a tutti voi per aver letto <3

Kiss

   
 
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