Serie TV > Once Upon a Time
Segui la storia  |       
Autore: sparewheel    13/06/2018    7 recensioni
Affrontando le conseguenze di un desiderio espresso involontariamente, Emma finirà per ottenere quello che mai avrebbe creduto possibile e per scoprire che un futuro inaspettato può essere ben più prezioso di un desiderio realizzato.
Swanqueen ambientata qualche tempo dopo gli eventi della 6x10 e che non segue gli sviluppi della 6B.
Genere: Angst, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills, Un po' tutti, Zelena
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 22.

Quella di déjà-vu era una sensazione che Emma aveva già sperimentato diverse volte, come probabilmente accade a quasi tutte le persone nel corso della loro vita.
Un evento, un suono, un’immagine, …e la mente ti porta a rivivere delle scene, a volte non reali, ma sempre stranamente familiari.
In quell’occasione erano bastate delle pareti bianche, un letto d’ospedale e le parole della dottoressa Wilson per farla tornare indietro di quindici anni, all’istante in cui le avevano rivelato che suo figlio era un maschietto e in cui lei aveva ufficialmente perso la possibilità di vederlo crescere.
Era stato devastante.
E a ben poco erano serviti i falsi ricordi o l’aver ritrovato Henry anni dopo: quello rimaneva uno dei momenti più dolorosi della sua vita.
Ma Emma non poteva pentirsi della propria scelta.
Aveva dato a suo figlio un’occasione migliore. Lo aveva allontanato perché potesse avere la vita che lei non avrebbe potuto dargli.
Adesso però… era diverso, era completamente diverso.
E quel bambino… maschio o femmina che fosse, Emma non voleva lasciarlo andare.
Così come non voleva lasciar andare la mano di Regina, e la loro casa, e la vita che avevano appena iniziato a costruire insieme, nonostante la realtà le avesse appena sbattuto in faccia che quello non era il suo posto.
Perché Regina aspettava un maschietto.
Un maschietto che, Emma lo sapeva, non poteva essere anche suo.
“Il bambino sta bene e cresce come dovrebbe, ma è certamente un maschio” ripeté la dottoressa Wilson, come a voler essere sicura che avessero capito.
Emma la vide spegnere gli strumenti lentamente, cercando di non fare troppo rumore. Poi strinse il braccio di Regina, con delicatezza, e poggiò un foglietto di carta sul lettino.
“Potete rimanere qui a parlare per tutto il tempo che volete, nessuno vi disturberà” disse quindi, prima di lasciare la stanza e chiudersi la porta alle spalle.
E a quel punto ad Emma venne quasi da ridere…
Di cosa dovevano mai parlare quando era tutto così chiaro ed evidente?!
Non servivano altre parole, era stato già tutto distrutto con una frase, tutto distrutto.
E lei era entrata in quella stanza per sentire il battito del cuore della sua bambina, non voleva ascoltare altro.
Voleva guardare il profilo della sua bambina, non gli occhi di Regina, che le avevano raccontato solo menzogne.
Ma non voleva, non poteva nemmeno lasciarle la mano.
Perché tutto quello che aveva sempre desiderato era ancora lì, così intenso, così reale.
Solo che… non era per lei, non più.
“Emma, non-”
“Non può essere mio figlio, vero?” sputò fuori Emma, sorprendendo persino se stessa per aver rotto quel fragile ed illusorio equilibrio.
Ma doveva sapere.
E forse… forse non era stato tutto una bugia, forse Regina poteva far svanire le sue paure, forse c’era una magica spiegazione a tutte quelle assurdità.
Ma Regina non le rispose, Regina non disse nulla.
E il pesante silenzio che calò nella stanza riuscì ad insinuarsi nelle orecchie di Emma, nel suo cervello, nel suo cuore, fomentando rabbia e dolore, fino a non farle sentire altro.
Fino a darle il coraggio di sollevare il capo e guardare Regina negli occhi, pretendendo la verità.
“È di Robin?”
A quella domanda, gli occhi di Regina si spalancarono, dilatati da incredulità e dolore, mentre il suo viso cominciò rapidamente a perdere colore.
Ma Emma non si accorse di nulla, scossa dalla mano che aveva bruscamente lasciato la sua, facendole definitivamente perdere ogni equilibrio.
Fece qualche passo indietro, cercando di non precipitare.
E la distanza che si creò tra lei e Regina sembrò improvvisamente incolmabile.
“Emma che stai dicendo?” le chiese Regina, sbalordita.
Scese dal lettino con cautela, continuando a guardare il volto di Emma mentre cercava di processare quelle nuove informazioni, di trovare loro un senso.
E di trovare un senso alla domanda di Emma.
“Aspetti un figlio da Robin?” ripeté Emma, questa volta con un vero e proprio tono di accusa.
Il suo volto era teso, i pugni stretti in una morsa.
Avrebbe voluto stringere ben altro Emma.
Avrebbe voluto prendere a pugni Robin e il mondo e il destino e chiunque aveva contribuito a toglierle tutto.
Ma rimase ferma, i piedi ben piantati a terra, cercando di controllarsi mentre la magia le si agitava dentro avvinghiata alle sue emozioni.
“Come puoi…
…dopo quello che abbiamo passato in quella foresta, dopo quello che abbiamo vissuto insieme nelle ultime settimane…
Come puoi pensare che io ti abbia mentito?” le chiese Regina, la voce tremante.
Era assurdo, era tutto assurdo.
Perché Emma la conosceva, Emma la capiva. E nelle ultime settimane lei le si era mostrata come mai aveva fatto prima.
Si era fidata completamente di Emma.
Ed Emma l’aveva ascoltata, l’aveva stretta, l’aveva vista davvero…
Che ne era proprio adesso di quel suo stramaledetto superpotere?
Che ne era della fiducia nei suoi confronti?!
“E cosa dovrei pensare invece?!” le domandò Emma, con una foga che ben poco si adattava alla sua stasi.
“Dimmelo, Regina, dimmelo, perché io non capisco!
Ho sentito la mia magia, era in te, nella nostra…
…era nel bambino” si corresse, ricordando che non c’era più una loro bambina.
Ed infliggendosi da sola l’ennesima pugnalata.
“Io so solo che hai incontrato quel Robin e che quando ti ho trovata eri confusa, e ferita, e ti ho curata con la mia magia, con tanta magia!
Forse eri già incinta e tutta quella magia si è legata al bambino, e mi hai mentito perché temevi che ti avrei giudicata o abbandonata o, non lo so, forse non ero abbastanza importante per sapere cosa è davvero successo o-”
“Emma, smettila…” le ordinò Regina in un sibilo, serrando i pugni.
“Smetterla?
Di fare cosa, di dire la verità?!
O vuoi negare di essere corsa dietro a Robin in quella foresta, di aver provato a riprenderti il tuo vero amore…
È un peccato che il falso Robin si sia rivelato un bastardo, no?
Altrimenti te lo saresti portato a casa e adesso ci sarebbe lui qui accanto a te, e questo sarebbe un momento di gioia e festeggiamenti. E invece hai dovuto accontentarti di un rimpiazzo, perché è questo che sono per te, non è vero Regina?
Io ti ho scelta, ma tu no, tu non avresti mai scelto me se avessi potuto avere lui, tu non-”
“ADESSO BASTA!” urlò Regina, mentre un’onda di magia sfuggì al suo controllo, invadendo l’ambiente.
Emma la sentì sulla propria pelle, sentì la magia intrisa di disperazione e di angoscia, mentre oggetti vari le volavano accanto, finendo contro le pareti ed inondando la stanza di vetri infranti e metallo stridente.
Pochi secondi di caos, poi solo silenzio.
E terrore.
Terrore sul volto di Regina, che strinse le braccia attorno al proprio ventre e scivolò lentamente a terra mentre lacrime veloci cominciarono a rigarle il viso.
Terrore nel cuore di Emma, che batté all’impazzata vedendo il proprio mondo crollare definitivamente.
Crollare perché lei, lei soltanto lo aveva distrutto.
Ma il bambino… e Regina, non dovevano essere loro a pagare per il suo egoismo.
E la sua magia poteva aiutarli, doveva aiutarli.
Per questo, per loro Emma si mosse, scattando in avanti, la magia che già le illuminava la mano.
Ma “non ti avvicinare” le disse Regina, freddandola sul posto.
“Regina, ti prego-”
“Vattene” le ordinò con la voce rotta, senza nemmeno guardarla.
Regina aveva gli occhi serrati, il corpo tremante.
Ed Emma si sentì morire.
Avrebbe voluto abbracciarla, rassicurarla, scusarsi, ma non poteva, non poteva lenire il dolore che lei stessa aveva causato.
Ma Zelena, e la dottoressa Wilson, loro potevano assicurarsi che Regina e il bambino stessero bene.
Doveva chiamarle, doveva proteggerli.
E per farlo doveva… andare via.
Emma si voltò e cominciò a camminare verso la porta, incurante dei vetri che le si stavano conficcando nelle scarpe e degli altri oggetti distrutti che le riempivano il campo visivo.
Nulla aveva valore.
Nulla poteva essere più dilaniato di ciò che si stava lasciando alle spalle.
Aveva la mano ad un soffio dalla porta, quando un pezzetto di carta sul pavimento attirò inspiegabilmente la sua attenzione in tutto quel caos.
Era lo stesso pezzetto di carta che la dottoressa Wilson aveva poggiato sul lettino, poco prima che tutto crollasse.
Era una stampa dell’ecografia, una foto del bambino.
Emma la raccolse e la guardò, ipnotizzata.
La piccola testa e quelle braccia così esili...
Spiccavano sullo sfondo nero, erano nitide, reali.
Emma ne tracciò il profilo con un dito tremante, sfiorando appena l’immagine.
E non seppe contenere l’immenso calore che la invase.
“Non mi importa da dove viene” sussurrò.
“O che aspetto avrà, o se i suoi cromosomi sono x o y o altre lettere.
So che se anche dovesse avere la stessa faccia del fottuto Robin Hood, non riuscirei ad amarlo di meno.
Dio, vi amo così tanto…
E se tu vuoi... se tu mi vuoi ancora Regina, io vorrei solo tornare a casa con te e nostro figlio” le disse, trovando finalmente il coraggio di voltarsi.
E quelle parole... quel semplice desiderio le tolse il fiato, facendole finalmente aprire gli occhi.
“Regina-”
 
 
“Regina-” disse Emma, prima di bloccarsi e sospirare pesantemente, accasciandosi sul tavolino del Granny’s, la bottiglia di birra ormai vuota.
Henry la guardò, sperando che formulasse una qualche frase di senso compiuto, ma ben presto capì di doversi rassegnare.
Forse sua madre aveva bevuto più di quanto gli era sembrato e adesso l’alcool cominciava a farle effetto.
“Dovete parlare ma’, si sistemerà tutto” provò ad incoraggiarla.
Emma sollevò la testa e lo guardò dritto negli occhi. “Regina mi odia, parlare non servirà a niente”.
“Ma’, lo sai che non ti odia…” tentò Henry, voltandosi poi verso David per chiedergli aiuto con lo sguardo.
“È vero, lo sai che non ti odia.
Al massimo potrebbe odiare me per tutto quello che le ho fatto passare…” le disse David, il volto serio ed innocente.
Emma ed Henry lo guardarono con un’identica espressione di dissenso e fu più forte di loro: scoppiarono a ridere senza alcun contegno.
“Hey! È vero!” provò a protestare David, ma fu inutile: madre e figlio non lo stavano nemmeno ascoltando, troppo impegnati a prendersi sguaiatamente gioco di lui.
E… erano lacrime quelle che brillavano sul volto di Emma?
David scosse la testa e sorrise, felice di aver alleggerito la situazione, anche se involontariamente.
“Finalmente vi ho trovati! Avrei dovuto capirlo subito che eravate qui…” li rimproverò Snow non appena li scorse.
A passi svelti, si avvicinò al loro tavolo e le risate di Emma ed Henry si spensero istantaneamente.
Snow sembrava arrabbiata, il che non faceva presagire nulla di buono.
“Mamma-” provò a parlarle Emma, ma Snow la ignorò, rivolgendosi ad Henry.
“Tu dovevi venire a prenderli, non assecondarli ed unirti a loro…
E tu” disse quindi, afferrando David per un braccio, “vieni subito con me, non c’è altro tempo da perdere” sentenziò, prima di trascinarlo fuori dal locale senza dargli modo di ribattere.
Emma ed Henry li guardarono uscire, ben consapevoli che il tempo delle risate era finito.
Era ora di tornare alla vita vera, di affrontare la realtà.
Emma sospirò di nuovo ed Henry le sorrise con dolcezza.
“Coraggio ma’, andiamo a casa”.
 
  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once Upon a Time / Vai alla pagina dell'autore: sparewheel