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Autore: Katniss2507    15/06/2018    1 recensioni
Idiota.
Lo faceva per provocarmi, perché conosceva bene i mie punti deboli. Ero praticamente incapace di resistere ad ogni sua provocazione e pretendevo sempre di avere l’ultima parola. Non so proprio quale bambino sano di mente potesse divertirsi in quel modo…a farsi lanciar dietro maledizioni, intendo.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"È una storia sai Vera più che mai"

Non so se questa sia davvero una storia. Forse è troppo personale per esserlo del tutto...e un po' inventata, per esserlo davvero. So solo che ho cominciato a battere sulla tastiera, e non ho saputo fermarmi. Buona lettura!

Sono stata una ragazzina molto precoce.

La prima volta che ho sentito il cuore battere più forte per un motivo che non fossero le storie a lieto fine della Disney (per le quali, sia ben chiaro, il mio cuore batte forte ancora adesso), avevo quasi 10 anni. Il “fortunato” oggetto dei miei bambineschi desideri era un ragazzino bassino, con il viso pieno di lentiggini e due occhiali enormi. Era adorabile, me lo si conceda, ed anche parecchio ipermetrope, cosa che  rendeva i suoi occhi molto simili a due enormi fanali di automobile, ma erano color nocciola, come quelli di un cucciolo, e a me piacevano proprio tanto. In quel periodo ero già in fissa con la grande madre J.K. Rowling, e a me lui ricordava terribilmente un Harry Potter magro magro, molto meno magico e tanto più simpatico. Sono passati così tanti anni, quasi 17, che a pensarci non riesco quasi a crederci. A 10 anni ero una ragazzina piena di insicurezze, timidissima, tarchiatella e con la testa piena di nuvolette rosa e unicorni saltellanti. Ero una bambina, appunto, e come tale guardavo a quel nuovo sentimento come un gioco, una novità curiosa che non capivo del tutto, ma che mi faceva sentire tanto effervescente. Harry Potter (ma si, lasciamo questo pseudonimo anti-sgamo) era un mio compagno di classe, e per uno strano scherzo del destino, era nato proprio un giorno dopo di me, fatto che io trovavo esaltante, ma anche avvilente, perché mi sentivo in colpa ad avere una cotta per uno “più piccolo”. Ah, beata innocenza.

Presa coscienza di questo mio nuovo stato d’animo, non avevo perso tempo a raccontare tutto alla mia migliore amica, che si era mostrata interessatissima ad ascoltare le mie paturnie sentimentali, a consigliarmi e prendermi scherzosamente in giro, con l’ingenuità che solo i bambini possono comprendere. Certo, si era dimostrata altrettanto priva di tatto quando, una mattina d’estate, mentre eravamo tutti in gruppo all’oratorio intenti a creare assurde sculturine con la creta, aveva spiattellato tutto al diretto interessato. Ricordo ancora la faccia del povero piccolo lentigginoso: mi aveva guardata con occhi sbarrati, l’espressione di un babbuino non molto intelligente, e con quel bruttissimo cavallino di creta ancora fra le mani mentre io letteralmente mi scapicollavo nel bagno più vicino a nascondermi. Mi vergognavo così tanto. Soprattutto mi vergognavo perché ero grassottella, occhialuta e impacciata, quindi mi sentivo rifiutata a prescindere. Non gli diedi nemmeno il tempo di rispondere, e il bagno diventò il mio rifugio per tutta l’ora seguente, fino a quando non venne a cercarmi la capogruppo. Ovviamente me la presi a morte, piantai un mezzo casino costellato da lacrimoni e urla da prima donna consumata. Non mi sentivo capita. Non riuscivo a percepire altro che non fosse imbarazzo e rabbia, ma perdonai la mia migliore amica. Era la mia migliore amica dopotutto, e lo è ancora oggi, anche se proprio a lei devo il mio primo trauma sentimentale.

Sembrerà assurdo, ma anche se abitavamo nello stesso paese, non rividi Harry Potter per il resto dell’estate. Ok, ammetto di averci messo anche del mio allora, perché feci letteralmente di tutto per evitarlo. Il fatto che lui sapesse mi faceva sentire in qualche modo scoperta, debole, ma anche rifiutata, e riuscì a sentirmi meglio solo una volta partita per le vacanze, subito dopo aver realizzato il fatto che Milano fosse davvero molto molto lontana da casa mia, e che magari al mio rientro tutto sarebbe rientrato.
Negli anni a seguire, ripensando a tutto il periodo, mi sarei vergognata terribilmente dei miei comportamenti, avrei fatto dell’autoironia, ci avrei scherzato su con gli amici, ma allora tutto risultò così strano ai miei occhi, che mi sentivo a disagio con l’altro sesso per la prima volta.
Quella fu un’estate particolare sotto molti punti di vista. Stavo vivendo quel delicato periodo in cui il corpo di una bambina comincia a trasformarsi, e non sto qui a dire lo stupore dei miei compagni quando a settembre feci la mia entrata trionfale in classe con 10 Kg di meno. Ricordo ancora la maestra di matematica avvicinarsi al mio banco, prendermi per mano facendomi alzare in piedi.

- Guardate com’è diventata bella la vostra compagna! –

Diciotto paia di occhi si voltarono in sincrono, a guardarmi. Io volevo solo sprofondare, perché sapevo bene a chi appartenevano due occhi: Harry Potter era lì, in mezzo agli altri…e mi aveva sorriso. Avevo pensato a silenzi imbarazzati, sguardi furtivi, a prese in giro, nel peggiore dei casi…

Invece mi aveva proprio sorriso.

 Lo avvertì come un trionfo, e probabilmente diventai rossa di piacere, ma si sa, a 10 anni si è anche volubili, e da quel giorno paradossalmente cominciai a “disinnamorarmi”. Ero decisamente troppo piccola per vivere un sentimento forte e tormentato, non sapevo nemmeno cosa significasse. Per l’intero anno scolastico lui rimase la mia cottarella di facciata, una frivolezza di cui ridacchiare con le amiche, e confesso di essermi esaltata parecchio quando, dopo essere finiti addirittura in banco assieme, arrivò a disegnare un cuoricino sulle pagine del mio diario.
Ma quel primo giorno di quinta elementare fu qualcos’altro a catturare la mia attenzione, qualcosa che negli anni successivi sarei stata in grado di catalogare, a cui avrei dato un nome ben preciso, ma che prevedibilmente non riuscì a riconoscere nell’immediato.
Non prendiamoci in giro, tutte noi ex ragazzine con manie di protagonismo abbiamo avuto nel nostro passato un bambino, in genere un compagnetto di classe, che abbiamo “detestato” con tutto il nostro essere. Io non ho fatto eccezione. Bene, a colpirmi quel fatidico giorno di settembre non furono tanto gli occhi di Harry Potter, ma quelli del piccolo Lord, il ragazzino con cui non avevo fatto altro che litigare dal primo giorno della prima elementare. Lui era molto diverso da Harry. Era il classico bambino vestito super firmato, con i capelli per aria (aveva delle mèches improponibili, tra le altre cose), il visetto angelico e il sorriso bastardo…io lo trovavo perfido. Parlava sempre a sproposito, era perennemente circondato da un paio di leccapiedi babbei che pendevano dalle sue labbra e ovviamente trovava particolarmente divertente un’attività ben precisa: irritarmi. Ce lo avevo sempre tra i piedi, pronto a prendermi in giro e a tirarmi a fasi alterne la sciarpa o la coda di cavallo. Io rispondevo alle sue battute con frasi al veleno, facendolo sgridare dalla maestra più di una volta…ed è possibile che gli abbia anche mollato un ceffone ad un certo punto, ma mi faceva proprio uscire di testa.
Non lo confesserò mai al diretto interessato, ma in fondo lo trovavo divertente tutto quel parapiglia. Il piccolo Lord aveva un milione di difetti, ma sapeva essere anche spiritoso. Aveva anche un bel sorriso, quando non utilizzava quella sua linguaccia biforcuta per elargire qualche scemenza…credo che fossero tutte innamorate di lui. Me esclusa, ovvio.

Già da questo si può intuire quanto in realtà fossi ingenua.

Ad ogni modo, il mio rientro a scuola (leggesi i 10 kg in meno) doveva averlo particolarmente colpito, perché per qualche giorno evitò qualsiasi tipo di attrito o di frase al veleno. È chiaro che le nostre scaramucce nelle settimane successive ripresero con la solita regolarità, anzi, se possibile io lo trattavo ancora peggio di prima, e assurdamente il suo divertimento cresceva in modo direttamente proporzionare alle mie occhiatacce e alle mie freddure. Eppure c’era nell’aria qualcosa di strano, qualcosa che io allora non riuscivo completamente ad inquadrare e che faceva ridacchiare sotto i baffi la maestra di italiano.
- Vedrete che fine farete voi due fra qualche anno –
Così, a caso. La maestra lanciava le sue frasi sibilline guardandoci come uno sciacallo ansioso di gossip puerile ed io mi incazzavo come una bestia. Ero teatrale e melodrammatica, e provavo un piacere insano nel rispondere “neanche fosse l’ultimo uomo sulla terra” come tante volte sentivo dire alle protagoniste delle televovelas che seguiva mia nonna…si, ero ridondante e ridicola.
Ovviamente il piccolo Lord, quella carognetta, rimaneva sempre super partes, limitandosi a ridacchiare o ad avanzare qualche debole e sciocca protesta più canzonatoria che altro.

Idiota.

Lo faceva per provocarmi, perché conosceva bene i mie punti deboli. Ero praticamente incapace di resistere ad ogni sua provocazione e pretendevo sempre di avere l’ultima parola. Non so proprio quale bambino sano di mente potesse divertirsi in quel modo…a farsi lanciar dietro maledizioni, intendo.
Eppure di una cosa devo dare atto. Malgrado la nostra routine guerresca fosse continuata senza grosse variazioni, qualcosa era davvero cambiata.
Quello che più mi dava sicurezza nel nostro strano rapporto, era la sua prevedibilità: battutina, rispostaccia, risata, di nuovo rispostaccia. Semplice. Lineare. Adoravo avere sempre l’ultima parola, mi dava sicurezza, mi faceva sentire vincente. Era dannatamente facile rispondere alle sue scorrettezze, quindi non avrei mai pensato che delle parole gentili, soprattutto da parte sua, potessero mandarmi totalmente sulla luna. Beh, fu quello che imparai mio malgrado.
 
A scuola organizzavamo ogni anno un piccolo torneo di calcio. Era un’usanza consolidata: maschi contro femmine, la battaglia dei sessi. Ero davvero una pessima giocatrice, ovviamente, relegata sempre vicino alla porta a fingere di giocare in difesa. Da quando una pallonata mi aveva distrutto gli occhiali, cercavo di evitare ogni incontro ravvicinato con quell’oggetto del demonio, quindi le mie azioni sul campo erano molto limitate.
Appurato ciò, per me è ancora un mistero il fatto che proprio quell’anno finì a giocare, insieme ad un’altra bambina (relegata in porta e schiappa come me) nella squadra dei maschi, di cui il piccolo Lord era, come nei migliori cliché, il capitano. Giuro, mi ritrovai lì in mezzo per caso, anche perché non avrei mai accettato di “farmi dare ordini” dal Lord inglese…eppure finì con il rimanere in squadra con lui fino alla fine dell’anno. Il piccolo Lord era odioso, ma a calcio se la cavava alla grande: era il nostro attaccante di punta. Credevo che mi avrebbe esclusa, che mi avrebbe lasciata a fare la bella statuina lì, al lato della porta, come avevo fatto tutti gli altri anni con le mie compagne, e a me tutto sommato poteva anche andare bene. La palla nemmeno ci arrivava vicino alla porta.
Invece mi insegnò a giocare…o almeno, a non essere un totale impiastro. Continuavamo a litigare, certo,  ma sul campo si era instaurata una sorta di cameratismo, era una terra di mezzo in cui lui era un po’ meno odioso e io un po’ meno acida. Lì non mi prendeva mai in giro, anzi, mi aiutava, mi spiegava come andare incontro alla palla, come fare i passaggi…non mi ha criticata mai, nemmeno una volta.

Quando a metà quadrimestre, in concomitanza agli incontri maestri- genitori, i capitani delle squadre consegnarono delle pagelle tecniche a noi piccoli Cristiano Ronaldo, il piccolo Lord aprì la prima breccia nel muro di rifiuto nei suoi confronti che mi ero faticosamente costruita intorno per cinque anni.
Mi consegnò un foglietto strappato dal diario con il suo solito cipiglio ironico, dicendo una delle sue frasi sciocche, e voltandomi le spalle alla velocità della luce per consegnare anche agli altri le rispettive pagelle tecniche.  Era ricreazione, e  stavo facendo quello che ogni povera vittima sacrificale in attesa dell’interrogazione dell’ora successiva avrebbe fatto: cercavo di memorizzare alla rinfusa quella stupida lezione di scienze (di cui non capivo un accidente) aggrappandomi al mio panino al prosciutto come unica ancora di salvezza.

Avrei voluto mandarlo al diavolo, perché ero davvero tanto impreparata quel giorno, e avevo il terrore che la maestra potesse dire qualcosa di spiacevole ai miei genitori durante il colloquio. Ma ero anche curiosa…e sentivo un po’ il cuore in gola.

“ Flora sta diventando brava, non molla mai e la squadra ha bisogno di lei. Voto 9       

                                                                                                                  Il Capitano Daniele”

Avrei voluto dire qualcosa di ironico, avrei potuto ringraziarlo freddamente…invece rimasi senza parole. Lo guardai, e lui, anche se solo per una attimo, mi restituì uno sguardo vagamente imbarazzato, prima di ridermi in faccia come al solito, è chiaro. Avrei voluto alzarmi e stracciarglielo sotto il naso, perché sarebbe rimasto sempre il solito scemo.
 
Conservai quel bigliettino per anni.
                                                                                        
                                                                                                
   *                        *                     *
 
- Cosa stai scrivendo, mamma?-

Mia figlia Viola è molto sveglia, per avere solo 5 anni. Mi riempie di domande, e poi mi guarda con quegli enormi occhi azzurri a cui proprio non so resistere. Ha gli occhi uguali a quelli di suo padre, anche se molto meno smaliziati…un giorno diventerà una gran furbetta.

- La mamma sta scrivendo delle cose che vuole ricordare per sempre.-
- Che cosa?-
- Cose di quando ero piccola, innamoramenti infantili-

Mi lancia uno sguardo un po’ confuso, probabilmente non riesce a cogliere pienamente…è ancora troppo piccola. Poi però mi sorride.
- Posso leggere pure io, quando imparo?-

Le sorrido, poi torno a guardare lo schermo del mio portatile.
Un giorno potrà leggerlo, certo.
Saprà di Harry Potter, di altri loschi figuri...e saprà del piccolo Lord.

Daniele

Saprà anche lei come e quando cominciai ad amare il suo papà.
  
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