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Autore: Mir7    18/06/2018    0 recensioni
Le cose qui stanno così da un bel po', ma qui nessuno sembra svegliarsi- mi spiegò. -Dopotutto che c'è di male ad amare? Che male c'è se in un mondo governato dall'odio, l'amore sopravvive? E poi, se prima o poi dovessimo rischiare la vita, non sarebbe meglio buttarsi e provare ad amare prima che sia troppo tardi piuttosto che rimpiangerlo per sempre?- guardava il cielo mentre esprimeva questi pensieri, più a sé stesso che a me.
Questa storia è il terzo titolo della serie Deitas, il seguito di "La mia nuova vita parte due"
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gli Dèi, Mostri, Nico di Angelo, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Deitas'
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[Henrick]

 

Alice era in bagno a cambiarsi da più di mezz’ora ed io non sapevo ancora come iniziare il mio discorso. Non era da me essere così insicuro su qualcosa, ma questa volta la questione era importante dato che avrebbe messo di mezzo la vita della persona che amavo. Non l’avrei portata via da quel rifugio per topi se non fosse stata al sicuro. Me ne stavo appoggiato alla porta della stanza, in direzione del bagno, e nell’attesa battevo il piede destro con un ritmo incessante che lasciava trapelare le mie paure. Perché queste emozioni negative dovevano prendere il sopravvento? Fino alla sera prima ero certo che avrei fatto capire il mio punto di vista ad Alice, mentre adesso il solo pensiero di un rifiuto mi metteva agitazione. Tutto ciò non doveva intralciare la riuscita del mio piano.

I sentimenti rovinavano sempre tutto, buoni o cattivi che fossero. Come quando quattro anni fa decisi di deviare dal programma originale di mio padre, perché mi innamorai. Come quando mio padre aveva lasciato perdere la distruzione totale dell’Istituto perché ormai i Moore e i Wilson erano solo dei deboli impauriti senza capacità di reagire; considerava divertente vederli in gabbia, senza tentare minimamente di opporre resistenza al potere dei mostri, perciò li lasciò vivere. Mio padre sapeva che una famiglia mortale era in contatto con l’Istituto e li aiutava con quel che poteva, ma non aveva mai fermato i loro incontri clandestini. Questi sentimenti ciechi portano spesso al crollo se non si agisce con pugno fermo; per questo dovevo tornare calmo e lucido, in modo da non lasciarmi distrarre per il bene mio e di Alice.

Fermai di battere il piede e subito dopo la serratura del bagno scattò. La porta si aprì leggermente e Alice mise un piede fuori incerta per poi spalancare del tutto la porta. Aveva le solite scarpe da ginnastiche, che portava mentre giocava a tennis, mentre il resto dei vestiti erano stati presi dall’inventario che mia madre teneva nell’armadio. In caso avesse dovuto viaggiare con questo mezzo, avrebbe utilizzato questa stanza e i suoi abiti erano stati sistemati qui; erano l’unica cosa che potevo dare ad Alice per cambiarsi d’abito. Le avevo dato ogni singolo indumento, in modo che potesse sceglierselo lei stessa, anche se non pensavo affatto che lei e mia madre avessero la stessa taglia.

La osservai dal basso verso l’alto e poi constatare di avere ragione. Alcune parti le stavano grandi mentre altre erano appena adeguate. I pantaloni lunghi di pelle nera le scendevano bene lungo le gambe piccole e forti, però si notava che aveva arrotolato la parte finale alla bell’e meglio. La canottiera argentata, al contrario, le stava troppo grande e rendeva ancora più evidente la scollatura dell’indumento, non che mi lamentassi.

-Non guardarmi così, sono le cose che mi stanno meglio. La maggior parte degli abiti mi cadono per quanto mi stanno larghi- sentenziò lei guardandomi seccata.

Quando il mio sguardo incrociò il suo, mi ricordai del discorso importante che dovevo farle e mi ripresi. “Non farti distrarre” doveva diventare il mio nuovo mantra.

-Prendi il mantello. Dobbiamo parlare- le dissi facendo cenno con la testa verso l’attaccapanni.

La vidi irrigidirsi, come se la mancanza di informazioni l’avesse trasformata in una lastra di ghiaccio. Non ne aveva bisogno al momento, visto che presto avrebbe saputo tutto. Aprii la porta d’ingresso nel momento in cui Alice mi fu di fianco con il mantello viola sulle spalle. Con la coda dell’occhio la vidi prendere la katana, nonostante l’avessi avvertita che non sarebbe servita. Non mi avrebbe dato ascolto neanche tra un milione di anni, se le avessi detto di lasciarla in stanza, quindi lasciai perdere.

Cominciai a percorrere il lungo corridoio grigio metallico ed Alice mi seguì senza fare domande, le quali stavano sicuramente esplodendo all’interno della sua testa. Non sapevo con certezza dove i miei piedi mi stessero conducendo, avevo bisogno di un posto dove parlarle senza interruzioni. Il ponte sarebbe stato il posto adatto a quell’ora, dato che tutti i mostri erano a mangiare o lavorare; il dormire fino a tardi di Alice si era rivelato utile.

Scesi con sicurezza le scale d’acciaio per arrivare sul ponte principale e mi accorsi subito che lei non mi aveva seguito sui gradini. Era rimasta in alto e mi guardava senza battere ciglio. Quella era l’espressione di qualcuno desideroso di comando, ne ero certo. Istintivamente accennai ad un lieve sorriso; avevo interpretato bene il suo atteggiamento in quegli anni e avrei saputo la verità dopo la sua risposta.

-Cosa devi dirmi?- domandò lei schietta senza staccare il suo sguardo dal mio.

Mentre i suoi capelli corti venivano spostati leggermente dal vento mi chiesi come potesse instaurare un contatto visivo così forte e duraturo, dopotutto non ci era riuscita in otto anni. Non dovevo accennare al rischio che avrebbe corso se non avesse accettato, perché non volevo si sentisse costretta.

-Vuoi comandare?- le chiesi semplicemente.

Alzò le sopracciglia di scatto, come se non si aspettasse una simile proposta, però piano piano le riabbassò come se stesse ragionando sulle varie eventualità della domanda. Forse si stava interrogando sul perché le avessi chiesto una cosa del genere, cosa mi aveva portato ad una richiesta così importante.

-Sai fare solo domande a cui è impossibile rispondere senza riflettere- esclamò lei pacata mentre si voltava dalla parte opposta alla mia.

Non sia mai che una discendente di Atena agisca senza pensare, ma non potevo darle torto. Non era una decisione da prendere d’impulso, le serviva una valvola di sfogo che l’aiutasse a ragionarci su in poco tempo. Notai che dal mantello violaceo fuoriusciva la lama della sua spada ancora brillante dall’ultima lucidatura e lì mi venne l’idea.

-Ti andrebbe di scioglierti un po’ i muscoli nella sala d’allenamento?- le proposi iniziando a salire i gradini per raggiungerla.

-Posso?- mi chiese quasi sconvolta girandosi verso di me.

-Certamente. Qui tu puoi tutto- dichiarai serio guardandola negli occhi.

Alice alzò un sopracciglio come se mi stessi dimenticando di un piccolo particolare, in effetti era vero. Non poteva fare proprio tutto.

-A parte uccidere mostri, s’intende- ripresi ridendo della mia dimenticanza.

Lei rise con me e mi precedette lungo la strada verso la sala allenamenti. A metà strada si fermò perché non si ricordava il percorso da seguire, nonostante i corridoi dell’aeronave fossero i più semplici e lineari esistenti. Non finirò mai di conoscerla. Al nostro ingresso nella stanza si creò il silenzio e i mostri presenti ci fissarono confusi. Passammo tra gli sguardi attoniti di chi si stava esercitando finché non giungemmo ad uno dei pochi sacchi da box liberi. Alice mi porse il mantello e la katana e fece schioccare le ossa delle dita. Pose una mano aperta sul sacco arancione spento per poi chiuderla a formare un pugno. Sembrava indecisa se picchiarlo o meno. Forse i vestiti che indossava non erano adatti per allenarsi, ma a lei non erano mai interessate certe sciocchezze; se bisognava combattere, lo faceva in qualsiasi situazione si fosse trovata. Il suo dubbio la portava persino all’esitare dal colpire il sacco?

-Non sei costretta, sai. Io vorrei solo che tu fossi libera di essere te stessa, che tu realizzi il tuo desiderio di comando. Nessuno ti dirà più di non poter ottenere il potere a cui ambisci- esclamai scandendo ogni singola parola.

Alice mi dava le spalle e potei vedere i muscoli in tensione sotto la leggera canottiera argentata. Dopo qualche minuto di silenzio notai il suo braccio alzarsi e muoversi sul suo viso. Ipotizzai si fosse asciutta qualche lacrima, forse perché il mio discorso l’aveva fatta pensare all’Istituto.

-Mai più- aggiunsi mettendole una mano sulla spalla.

Potei sentire la sua pelle tiepida e contratta, ma non feci in tempo a stringerle la spalla che mi tolse la mano dal suo corpo. Non si voltò a guardarmi, bensì fissò dritta davanti a sé e strinse più forte il pugno della mano destra. Mi allontanai leggermente da lei quando la vidi caricare il colpo.

-Nessuna pietà!- urlò Alice a pieni polmoni mentre colpiva il sacco da box.

Il suo grido mi ricordò quando, dopo il combattimento contro Havery, mi disse di non volere la mia pietà ed io le risposi di non averne mai nei suoi confronti. Era vero, per quanto forse abbia letto il mio gesto fisico come pietà, io volevo solo darle forza per decidere come meglio credeva. Dopo una serie di botte si fermò e si girò verso di me guardandosi le nocche arrossate e rovinate; il sacco da box doveva averle fatto più male rispetto a quanto era abituata all’Istituto, dato che era stato ideato per la forza dei mostri.

-Io ho paura di te...- dichiarò a bassa voce continuando a guardarsi le mani rovinate.

La sua affermazione mi lasciò meravigliato, non mi sarei mai aspettato una frase del genere da lei. Cosa avevo fatto per incuterle paura?

-Perché?- le chiesi semplicemente.

Non volevo sapere altro, volevo una risposta secca delle sue. Volevo che mi dicesse chiaro e conciso il motivo della sua paura nei miei confronti. Questa sua motivazione mi fece credere che il mio piano fosse andato in fumo e che sarei dovuto ricorrere al piano b.

-Mi hai fatto pensare cose...stai facendo emergere una parte di me che nemmeno conoscevo- ammise lei sicura guardandomi dritto negli occhi.

 

[Elijah]

 

-Hey alzati- sentii vagamente.

Ero ancora nello stato di dormiveglia però percepii benissimo qualcosa di appuntito punzecchiarmi le gambe. Forse era giunto il momento di svegliarsi. Qualcuno mi toccò dolcemente le guance, così mi voltai d’istinto verso quella fonte piuttosto che verso la cosa appuntita. Non appena aprii gli occhi constatai che quella persona affettuosa era Havery e non potei fare a meno di sorriderle.

-Buongiorno- esclamai stirandomi per risvegliare anche i muscoli.

Notai che lei mi era molto vicina, come se fosse stata accoccolata a me per tutto il tempo. Non avrei potuto chiedere un risveglio migliore di uno al fianco di Ave sorridente, felice e rilassata.

-Se non ti alzi subito farai una brutta fine, ragazzino!- dichiarò severo Nico continuando a tormentarmi con la sua spada.

Non appena il mio cervello ricevette il messaggio ed incrociai lo sguardo del figlio di Ade, il mio corpo si alzò di scatto automaticamente come se mi fossi messo sull’attenti.

-Sì, signore. Scusi, signore!- mi scusai recuperando le mie cose poco distanti.

-Papà!- esclamò Havery alzandosi.

Sembrava irritata dall’atteggiamento di suo padre, forse si era accorta che avevo effettivamente ragione sul fatto che se la prendesse con me nonostante non facessi niente di male. Penso che non mi abituerò mai a Nico di Angelo.

-Che c'è? Dobbiamo muoverci o non arriveremo mai- decretò il figlio di Ade mettendo la spada al suo posto.

-Che ti avevo detto?- esclamai sorridendo ad Ave quando ci incamminammo.

Questa volta eravamo alle spalle dei nostri genitori che controllavano ogni centimetro intorno a loro. Poteva effettivamente sembrare una gita di famiglia. Forse sapevano a memoria tutte le strade degli Stati Uniti da quanto le avevano percorse in sedici anni.

-Sta zitto- mi ammonì scherzosamente Havery spingendomi.

Ridemmo divertiti, ma mi zittii quando mi tornò in mente la sera prima. Chissà cosa ne pensava lei, chissà se ci ripensava come me. Avrei tanto voluto saperlo, però da quel punto di vista lei era indecifrabile per me. La osservai appena e notai un leggero miglioramento rispetto al giorno precedente. Sicuramente dormire in pace, mangiare e bere l’avevano aiutata un minimo a rimettersi in forze, nonostante le ferite non si fossero rimarginate. Essere finalmente in compagnia dei suoi genitori la faceva star meglio di qualunque rimedio, glielo si leggeva sul volto. Gli occhi le brillavano di gioia mentre guardava i suoi genitori di fronte a lei; forse sperava non fosse un sogno.

-Sapete abbiamo incontrato Percy e Annabeth e anche loro non se la cavano benissimo- affermò mia madre.

Quei nomi non mi erano nuovi, li avevo sentiti spesso dagli adulti ma avevo mai chiesto chiarimenti al riguardo; probabilmente erano altri semidei amici dei nostri genitori.

-Sapevo che erano rimasti al Campo Mezzosangue, no?- domandò Michela confusa.

Havery mi si avvicinò curiosa di sapere di cosa stessero parlando i nostri genitori, le feci subito segno di non saperlo neanche io così ci avvicinammo a loro per sentire meglio.

-Sì, ma quando hanno capito che la presenza di un figlio di un Pezzo Grosso creava problemi alla sopravvivenza degli altri semidei...- continuò mio padre come se stesse parlando della cosa più naturale al mondo.

-Se ne sono andati- concluse Nico comprendendo dove volesse andare a parare.

I miei genitori annuirono in risposta all’affermazione del figlio di Ade.

-Hanno passato due anni lì dentro, ma era troppo difficile far sopravvivere il campo all’onda dei mostri dopo, che hanno preso il potere, senza l’aiuto dei protettori. Così hanno lasciato il comando agli altri semidei esperti e hanno iniziato il loro pellegrinaggio- proseguì mia madre mentre girava fra le sue dita una freccia.

-Percy mi ha detto che hanno provato a stare per un po’ da sua madre ma era inutile, metteva troppo a rischio lei e la sua nuova famiglia, ed è stato uguale con la famiglia di Annabeth- spiegò la riccia voltandosi verso la madre di Ave.

La guardò come se avessero un legame speciale con quelle due persone, un legame che solo loro due potevano comprendere appieno al momento.

-Nell’ultima chiamata Iride che ho fatto con Annie, mi ha raccontato di come Luke si divertisse a combattere con una finta spada di legno- sorrise amaramente Michela.

-Era con loro quando li abbiamo incontrati- dichiarò mio padre voltandosi anche lui verso la figlia di Atena.

-Non hanno paura che gli succeda qualcosa?- esclamò lei quasi sconvolta da questa notizia.

Iniziavo a capire come si fosse sentita Ave in questi mesi all’Istituto, quando parlavamo di cose o nominavamo persone che lei non riusciva a collegare a niente; era veramente frustante.

-È cresciuto ormai, quanto avrà adesso? Venti anni?- affermò mia madre tranquilla.

-Oh, giusto. Io mi ricordo ancora di quando lo prendevo in braccio da piccolo, mi fa strano pensarlo così grande- sorrise imbarazzata Michela.

-Si può sapere di chi state parlando?- sbottai ad un certo punto ad alta voce per riuscire a farmi sentire dai genitori.

Havery annuì fiera della mia domanda, probabilmente avrebbe voluto farlo anche lei ma non se l’era sentita di interrompere gli adulti. Se fossi stato al posto suo all’Istituto, sarei esploso dopo poco tempo. Potevo capire la sua rabbia nell’essere tenuta all’oscuro di tutto, quando nell’ufficio di Allen aveva tirato fuori la sua aura nera per tutto ciò che aveva tenuto dentro. Sicuramente lei era più paziente di me e più cauta in certe cose.

I nostri genitori si fermarono e si voltarono verso di noi sorpresi. Le loro espressioni cambiarono in pochi secondi quando si resero conto della nostra ignoranza riguardo all’argomento della loro discussione. Alessandra e Michela si guardarono e risero appena sotto i baffi. Chissà cosa avevano pensato di così divertente.

-Stiamo parlando dei vostri zii e di vostro cugino- dissero le due donne all’unisono.

Ave ed io ci bloccammo un attimo guardando i nostri genitori ancora più confusi di prima, per poi guardarci l’un l’altro nella speranza che uno dei due avesse capito qualcosa.

-Percy è mio fratello- ci spiegò mia madre sorridente.

-E Annabeth è mia sorella- continuò la signora di Angelo.

-Luke è loro figlio, e di conseguenza vostro cugino- concluse Nico incrociando le braccia al petto.

Non seppi come prendere questa notizia, era effettivamente strano avere un cugino in comune ma questo non mi impediva di provare sentimenti forti per Havery, giusto?

-Tranquilli, questo non vi intacca minimamente- esclamò mio padre sorridendoci.

C’era qualcosa di nascosto nel sorriso di mio padre, come se fosse riuscito a leggere il dubbio sulla mia espressione, forse era malizia? In effetti mi ricordava i sorrisini che spesso ci lanciava Nathan.

-Già, peccato- commentò il figlio di Ade tornando a darci le spalle.

Fece segno con la testa agli altri di proseguire, ma mia madre lo fermò quasi subito. Si mise ad annusare l’aria e il suo volto si illuminò di felicità.

-Acqua- disse semplicemente con un sorriso raggiante.

-Perfetto, si è attivato il radar per l’acqua. Mi mancava- esclamò Michela divertita. -Capita nel momento giusto, penso che ai ragazzi serva per riprendersi un po’- continuò lei.

-Ale, potresti curare del tutto la ferita di Havery- suggerii mio padre.

Mia madre annuì e continuò ad annusare l’aria. Si mise davanti al gruppo indicando la strada da seguire. Non era dritta o con un senso, non sarei riuscito a tornare indietro se avessi dovuto; l’unica cosa di cui ero sicuro era che camminammo per molto tempo fra gli alberi prima di trovare la fonte d’acqua che mia madre aveva sentito.

Ero impressionato da questo suo potere semi-divino e lo ritenni molto utile, soprattutto perché dopo tutti quei chilometri percorsi mi venne una gran sete. La figlia di Poseidone ci guidò giù per una ripida discesa ricca di sassi e radici degli alberi difficile da percorrere senza la dovuta attenzione. Gli adulti scesero con grande facilità, come se stessero volando, saltando da un pezzo di terra ad un altro; le armi, che portavano con loro, non gli pensavano minimamente.

Cercai di raggiungergli piano, concentrandomi su dove mettevo i piedi, però a metà strada vedevo che Havery era riluttante a seguire i movimenti degli altri. Forse aveva paura di peggiorare la situazione delle sue ferite se avesse fatto un passo falso, o crearne di nuove. Mi avvicinai a lei e le offrii la mia mano per aiutarla. Lei la guardò dubbiosa per qualche secondo, alternando con l’osservazione del terreno sotto di noi, poi scosse la testa. Strinse le braccia intorno alla ferita sul suo fianco sinistro spaventata dalla discesa scoscesa. Non poteva certo rimanere lì tutto il giorno, se voleva curarsi e riprendersi doveva scendere come tutti gli altri.

Nonostante fosse contraria all’idea di percorrere la discesa, mi decisi a prenderla in braccio, come quando stavamo volando giù dall’aeronave, e ad accompagnarla giù con la forza. Ave si aggrappò a me sorpresa dalla mia azione e per la persistente paura di cadere. Prima che iniziassi a scendere ci guardammo negli occhi e se non fossi stato attento avrei potuto per l’equilibrio. Fu lei ad interrompere il contatto visivo nascondendo il viso oltre la mia spalla.

-Grazie- mi sussurrò timidamente.

Sorrisi istintivamente e strinsi la presa sulle sue spalle e sulle gambe prima di procedere con la discesa. Con mia grande sorpresa il percorso fu più rapido di quanto avessi pensato.

-Quanto ci avete messo?- domandò Nico non appena mettemmo piede sulla riva.

Mollai la presa su Havery e lei gli spiegò che aveva avuto paura di farsi male, così io l’avevo aiutata a superare quel tratto difficile. Quando scostai lo sguardo da lei notai che la fonte d’acqua era un lago, uno di quelli che avevo solo visto nelle immagini nei libri. Non ne avevo mai visto uno dal vivo. Lasciai le mie cose per terra e senza pensarci due volte mi tolsi la maglietta per poi buttarmi in acqua. All’Istituto avevamo solo docce e non avevo mai provato a fare il bagno in una grande quantità d’acqua come quella. Era fresca e l’atmosfera, creata dagli alberi intorno al laghetto, rendeva tutto molto rilassante.

--Sì, è decisamente tuo figlio, Ale- commentò Michela posando sulla riva gli zaini.

Potei notare come nessuno degli adulti lasciava mai le armi, le tenevano sempre con sé; in sedici anni avranno imparato come non separarsi mai dall’unica fonte di difesa. Mi tuffai per vedere le profondità del lago e lo trovai di un colore verdognolo, ricco di muschio, sassi e pesci di vari colori. Non mi importava se mi fossi bagnato, mi sarei asciugato poi grazie al fuoco.

Quando tornai in superficie vidi mia madre che aveva tolto le bende, ormai rosso sangue, dal fianco sinistro di Havery e vi stava trasferendo l’acqua del lago. Piano piano la ferita si rimarginò, così come tutte le altre, e il suo corpo apparve come se non fosse mai stato martoriato. Mia madre era veramente forte e ricca di risorse come mi avevano raccontato.

Per scherzare creai due turbini d’acqua da gettare verso Ave e mia madre, però non andò come avevo previsto. La figlia di Poseidone sembrò non essersi bagnata minimamente, mentre il viso di Havery sembrava piuttosto irritato da ciò che avevo appena fatto.

-E lei è decisamente tua figlia, Michela- commentò divertita Alessandra.

Ave si sistemò i capelli evidentemente risentita e l’espressione sul suo volto si rifletté sul terreno e l’acqua che tremarono appena.

-Scusa- provai avvicinandomi –Non credevo che tenessi alla chioma come Nathan- tentai a tirarla sul ridere per far si che non ce l’avesse con me.

Fortunatamente rise divertita ma ormai il danno era stato fatto. La terra tremò più forte e delle onde enormi si crearono nel lago. Uscimmo in tempo dall’acqua solo per vedere un gigantesco mostro serpentesco uscire dalle sue profondità.

-Mi sa che avete disturbato l’ora del riposino di qualcuno- esclamò mio padre brandendo una lancia allungabile.

Il mostro allungò il muso appuntito verso di noi nel tentativo di prenderci con i mille denti appuntiti, potei distinguere chiaramente le squame verde acqua tra il fango marrone. Quando si avvicinò abbastanza mio padre infilzò l’occhio fine, ma attento, con la sua lancia, e nello stesso momento mia madre attaccò il serpente con un immenso turbine d’acqua. Il mostro si allontanò per l’accecamento subito, ma non sembra affatto turbato dagli schizzi d’acqua.

-Ave, il tubetto!- esclamai mentre mi arrampicavo sull’albero più vicino.

Lei recepì il messaggio un po’ in ritardo perché sembrava ancora sconvolta dall’accaduto. Dal ramo di un albero, su cui mi ero appostato, vidi il serpente agitarsi nell’acqua mentre i genitori correvano all’attacco. Scosse la grande coda affilata verso gli adulti che la evitarono come fosse una corda; anche da quell’altezza sembrava talmente enorme ed aguzza che avrebbe trafitto una persona con un solo colpo. Abbassai lo sguardo per accertarmi che Havery avesse aperto l’arma, quando la testa del mostro produsse una serie di vibrazioni tali da fare male alle orecchie.

Tornai a concentrarmi su di lui per notare che aveva di nuovo allungato il muso verso la riva, ma questa volta Ave era da sola. I nostri genitori erano nel lago ancora storditi dall’eccessivo rumore, così avvertii Havery appena in tempo prima di lanciare dei vortici di fuoco sul mostro. L’acqua sembrava non ferirlo, però le mie fiamme fecero il loro lavoro. Gli adulti si erano ripresi e avevano ripreso a colpire il serpente, il quale sembrava piuttosto impegnato nel suo combattimento con la ragazza dai capelli neri.

Lei aveva azionato il tubetto che le avevo donato e, nonostante apparisse piuttosto fuori luogo con quell’arma, riusciva ad utilizzarla come era stata abituata con la spada. Brandiva la falce di metallo, decorata e rafforzata con alcune parti del suo ciondolo, come se ci fosse nata. Con essa riusciva a contrastare gli attacchi del mostro con estrema naturalezza e a procurargli alcuni tagli.

-Credo di aver avuto un’idea, ma non ne sono sicura- esclamò a gran voce Havery.

Gli adulti si voltarono verso di lei, dando segno di ascolto, mentre continuavano ad evitare e ferire il serpente.

-Dovreste portarlo al centro del lago e poi dovreste correre qui- spiegò lei senza staccare i suoi occhi da quelli giallognoli e sottili del mostro.

Non capii dove volesse andare a parare, dopotutto non aveva dato una grande spiegazione del suo piano, però i genitori si accontentarono ed eseguirono senza chiedere oltre. Forse erano abituati ad istruzioni del genere ed erano sempre andate a gonfie vele. Ci riuscirono senza troppi problemi, anche se si vedeva che non si stavano impegnando al massimo delle loro capacità; probabilmente volevano vedere come ce la cavavamo noi in battaglia. Quando i genitori raggiunsero le spalle di Havery, scesi giù dall’albero su cui mi trovavo e aspettai insieme a loro il compimento del suo piano.

Ave si accostò alla riva del lago e, prima che il mostro potesse tornare verso di noi, conficcò la lama metallica della falce nel terreno sott’acqua. La sua solita aura nera venne trasferita nell’arma che ne amplificò la forza e ciò che avvenne dopo ci rese piuttosto confusi. L’energia dei suoi poteri venne scaraventata nelle profondità dell’acqua, dove il mostro-serpente sparì come se fosse stato improvvisamente inghiottito dalla terra sottostante.

 

  
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