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Autore: Ily Briarroot    20/06/2018    3 recensioni
[SPOILER] Era scattata via senza pensarci, raggiunta quasi subito dal detective. E ora si trovava in quel salone, davanti a lui, quasi come fosse stata appena pugnalata dritta nel petto. Da una delle pochissime persone di cui riusciva a fidarsi, colui che le aveva promesso di proteggerla.
«Dimmi una cosa, Shinichi. Rispondi sinceramente almeno a questa domanda» gli rispose, la voce tremava appena. «Come fai a conoscere Dai Moroboshi?».
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Subaru Okiya | Coppie: Shiho Miyano/Ai Haibara, Shiho Miyano/Shinichi Kudo
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Rage 



«Tu... tu lo sapevi, non è vero?!». 
Occhi che esprimevano tutto, tutto ciò che le parole non erano in grado di affrontare. Ma entrambi sapevano non fossero necessarie. Quelli di lui, blu e tondi, riflessi in quelli di lei, verdi e dai tratti stranieri. I primi, stupefatti e all'erta, non osavano muoversi dai secondi, meravigliati e accusatori. 
Il detective non mosse un muscolo, cercando di riflettere il più velocemente possibile nel vano tentativo di trovare una soluzione che potesse tirarlo fuori da quella situazione terribilmente sfavorevole. Era geniale quando si trattava di logica, eppure non ne veniva a capo. Vide il sorriso amaro della castana dipingersi sul suo volto, brutto segno. Sentì una lama immaginaria trapassargli lo stomaco. 
«Certo, avrei dovuto immaginarlo» riprese Ai, stringendo i pugni. «Per questo motivo non mi aggiorni più da mesi sulle tue indagini». 
Lo sguardo di lui cadde sulle sue dita che si muovevano impercettibilmente dal lieve tremore che la scuoteva. Non le rispose subito e questo non fece altro che confermare le sue ipotesi.
Si riscosse dopo qualche istante, respirando a fondo prima di iniziare a parlare.
«Non è così. Cioè, io avevo intenzione di... » le parole gli morirono in gola quando la vide abbassare lo sguardo e allontanarsi appena. 
«Proprio dal momento in cui è entrato Subaru Okiya nelle nostre vite! Che coincidenza, vero?».
Conan la scrutò, attento. Era solitamente sempre posata e controllata, mentre ora vedeva chiaramente la fatica che stava facendo lei per trattenersi. Esitò un attimo, totalmente sopraffatto dalla situazione. Il sangue freddo che riusciva a mantenere intatta la sua lucidità nelle situazioni peggiori, adesso non esisteva. 
«Io mi sono fidata di te, quando mi dicevi di non preoccuparmi. Mi sono fidata anche quando ti ripetevo che quel tipo non mi piaceva, che sentivo ci fosse qualcosa di sbagliato in lui! Tu lo hai sempre saputo» aggiunse poi la bambina, assottigliando gli occhi. «Mi hai fatto vivere nel timore di poter avere come vicino di casa uno di loro! Avresti potuto dirmi chi fosse per farmi sentire meglio e invece hai pensato bene di tenermelo nascosto, non è così?». 
Lui sollevò nuovamente lo sguardo, sospirando. Si stava complicando tutto nel modo peggiore. Si diede mentalmente dello stupido per non essersi accorto prima della sua presenza alle spalle, proprio mentre si dirigeva dall'uomo che ospitava a villa Kudo da un po' di tempo. Lei lo stava cercando e lui, senza volerlo, l'aveva condotta dritta dritta verso la verità che le aveva celato per mesi. 
«Calmati, adesso. Non mi sembra il caso di agitarsi per una cosa del genere, faceva parte del piano» rispose poi, le mani in alto in segno di resa mentre tirava un sorriso dall'aria amichevole. Non ottenne nulla, se non l'effetto contrario.
«Dimenticavo, Shinichi. I tuoi piani! Già, quelli dai quali io sono sempre tenuta all'oscuro, giusto? Ma a te che importa, dopotutto?». 
Il detective rimase immobile, mentre il suo sorriso si spegneva lentamente, trovandosi in balia di qualcosa che non avrebbe potuto controllare. Qualcosa di forte che gli faceva male e che avrebbe potuto paragonare alle lacrime di Ran. 
«Credo tu avessi comunque i tuoi dubbi, no? Stavi indagando da sola su di lui. Hai cercato di smascherarlo».
Ai annuì, senza smettere un solo secondo di tremare. Si allontanò da lui di qualche passo, trattenendo a stento le lacrime. 
«Non hai fatto nulla per impedirmelo, detective. L'ho fatto perché ho capito che, se non vi avessi scoperti come ho fatto stasera, tu non mi avresti mai detto la verità. Mi sbaglio, forse?» chiese la scienziata, decisa. «Me lo avresti mai detto, Shinichi?». 
Lui rimase ancora una volta di pietra, visibilmente in difficoltà. Nascose lo sguardo oltre le lenti lucide degli occhiali, senza rispondere.
«Certo che no. Quindi non solo ho scoperto che quel Subaru Okiya in realtà non esiste, ma che si tratta di Dai Moroboshi, il fidanzato di mia sorella». 
Ai strinse i pugni fino a farsi male, stavolta. Tanto male. Ma non provava più dolore di quello che aveva dentro e che cercava di non mostrare a tutti i costi. 
Conan se ne accorse comunque. La guardò dispiaciuto, notando ogni piccolo dettaglio che lei celava in maniera approssimativa a causa delle troppe emozioni da riuscire a contenere in quel corpo minuto che non le apparteneva. 
«Mi dispiace, Ai. Faceva parte del piano». 
La castana si voltò, dandogli le spalle scosse appena da singhiozzi impercettibili. Ricordava ancora in modo vivido il momento in cui aveva seguito l'amico nel giardino della villetta accanto a quella del dottor Agasa. L'immagine dello studente universitario che si toglieva il travestimento, quegli occhi verdi. Occhi che avrebbe riconosciuto tra mille. I capelli neri molto più corti, ma era la stessa persona. Senza ombra di dubbio.
Era scattata via senza pensarci, raggiunta quasi subito dal detective. E ora si trovava in quel salone, davanti a lui, quasi come fosse stata appena pugnalata dritta nel petto. Da una delle pochissime persone di cui riusciva a fidarsi, colui che le aveva promesso di proteggerla. 
«Dimmi una cosa, Shinichi. Rispondi sinceramente almeno a questa domanda» gli rispose, la voce tremava appena. «Come fai a conoscere Dai Moroboshi?». 
Conan si morse il labbro. Forte, troppo forte, poiché iniziò a sanguinare. Non aveva la minima idea del modo in cui potesse svelarle tutto ciò che aveva sempre evitato di dirle. Stavolta solo per non vederla soffrire come la prima volta. 
Quando lei glielo aveva chiesto, le aveva negato la possibilità di incontrare quell'agente dell'FBI di cui si fidava tanto nella speranza di non portarle alla mente ricordi spiacevoli. Forse, ormai, non esistevano più giustificazioni forti da impedirglielo. Magari non era vero niente, continuava a mentire perché era semplice farlo. Con lei, con Ran. Con tutti. Non lo sapeva più neanche lui. 
«Il suo vero nome è Shuichi Akai». 
Non seppe dove trovò il coraggio o le parole, ma le pronunciò comunque. Ai rilassò per un istante il viso, lo sguardo perso. Le mani abbandonate lungo i fianchi, una bambola sostenuta da chissà quali forze invisibili. 
Tutto tornava perfettamente, ora. Si incastrava ogni cosa. Le sue bugie, il suo lasciar correre. Dai Moroboshi non esisteva, Dai Moroboshi e Shuichi Akai erano la stessa persona. Un infiltrato, il fidanzato di Akemi che l'aveva lasciata al suo destino.

Non fare quella faccia, la proteggerò a costo della vita

Era scappato e di lui non si era saputo più nulla. Ma certo. 
Aveva usato sia lei che sua sorella per infiltrarsi, solo per quello. Come un oggetto senza valore, usa e getta. E Akemi era morta e lui era vivo e il suo migliore amico le aveva nascosto tutto. Non riusciva a pensare ad altro, né aveva la forza per farlo davvero. 
«Ai, mi dispiace. Non volevo farti stare male».
Nessuno dei due fece in tempo a dire altro, perché la porta d'ingresso si spalancò e Subaru Okiya entrò nel salone, avanzando con decisione. L'attenzione della bambina si spostò immediatamente sul giovane, ancora impietrita. 
«Ascoltami, Ai! C'è un motivo se non ti ho detto niente» riprese Conan, avvicinandosi a lei.
«Stai zitto» rispose la scienziata con calma raggelante. 
«Perché non mi stai a sentire? Credi davvero che io non te l'abbia detto per farti del male?!».
«Stai zitto, Shinichi». 
«Ai... ».
«Stai zitto!» esclamò, senza perdere la concentrazione sulla persona che si era appena avvicinata a loro. 
«Ascolta il tuo amico. Ha fatto tutto questo per te
» disse con tono basso Shuichi Akai nei panni di quello che credeva fino a poco tempo prima fosse Subaru Okiya. Adesso in quella voce falsificata sentiva la stessa calma serafica dell'uomo che aveva conosciuto anni prima, riconosceva quel modo di parlare. 
«Tu... » mormorò appena la castana, ricominciando a tremare. Stavolta di rabbia, pura rabbia. 
Conan la osservò con il cuore in gola, passando lo sguardo dall'una all'altro e senza la minima idea di che cosa avrebbe potuto aspettarsi. 
Lei si gettò all'improvviso sul ragazzo, cercando di spingerlo ripetutamente. Lo strattonò per la camicia, sfogando finalmente il dolore che aveva nel cuore da troppo tempo. 
«Tu l'hai uccisa! Avresti dovuto proteggerla!» esclamò mentre lo afferrava, mentre alzava le mani con il solo intento di fargli del male. Conan le si avvicinò di corsa, afferrandola dalle spalle. Cercava di tenerle bloccate le braccia, nello stesso momento nel quale lei si divincolava piangendo. «È colpa tua! Hai capito?! Solo tua!». 
Shuichi abbassò lo sguardo, mentre qualcosa si spezzava irrimediabilmente dentro sé. Avrebbe potuto spiegarle tutto, dirle dell'amore autentico che aveva provato per Akemi e che non avrebbe mai rivolto a nessun'altra. Ma decise di non farlo, di subire quell'accusa meritata. Era vero, era colpa sua, d'altronde. 
«Ai, smettila! Ma che ti prende?!». 
Conan faticava a trattenerla e lei continuava a divincolarsi, i pugni in aria. La lasciò andare soltanto quando ogni suo movimento diventò sempre più debole, fino a quasi scomparire.
«Lasciami, Shinichi! Ti ho detto di lasciarmi!». 
Lo scostò bruscamente e lui la guardò per la prima volta con occhi diversi. Si stava lasciando andare in quel pianto disperato e liberatorio che tratteneva da anni.  
«Sei calma, adesso? Stai bene?». 
Il detective le si avvicinò nuovamente, ignorando le proteste di qualche attimo prima. Le posò le mani sulle spalle, incrociando i suoi occhi pieni di lacrime. 
«Non toccarmi» mormorò soltanto lei, allontanandosi bruscamente.
«Ai» la chiamò appena Conan, allungando un braccio nella sua direzione. «Lasciaci spiegare». 
Shuichi non fece alcun cenno, né si mosse. La castana scosse di colpo la testa, retrocedendo come se avesse avuto paura di scottarsi. 
«Lui ha usato me e mia sorella per i suoi scopi. E tu... » si asciugò le lacrime, lanciando un'occhiata gelida al detective mentre cercava di riprendere la compostezza che la contraddistingueva. «Tu hai fatto la stessa cosa! Con quale diritto ti sei permesso di nascondermi una cosa che mi riguarda in questo modo? Ti servo solo per arrivare a loro, tenendomi all'oscuro di tutto. Lasciami... lasciatemi in pace». 
Dopodiché corse via sotto i loro sguardi colpevoli, percorrendo velocemente le scale del laboratorio fino a trovarsi al piano inferiore. Si chiuse la porta alle spalle, trovandosi nell'unico posto nel quale riusciva a sentirsi davvero al sicuro. Per la prima volta, non si sentiva più protetta da Shinichi, né da nessun altro. Il suo cuore aveva bisogno di capire, con i tempi giusti per poterlo fare. Lontana dagli altri, lontana da loro. 






  
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