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Autore: Unissons    20/06/2018    0 recensioni
Solstizio dal latino solstitium, composto da sol-, "Sole" e -sistere, "fermarsi", perché il Sole cessa di alzarsi (o scendere) rispetto all'equatore celeste.
Due bambini, due fratelli, due gemelli, legati da una notte di Solstizio d'inverno.
[BoyxBoy - Incest!]
Genere: Drammatico, Poesia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Erano nati in una notte di fine autunno, quando le foglie erano cadute totalmente dagli alberi e una brina gelida, ma leggera, si posava sugli oggetti che incontrava nel suo cammino fino alla terra. Erano nati quando il pianeta compiva il suo ultimo movimento, poco prima dell’entrata nella nuova stagione e avevano emesso il loro primo vagito proprio quando, nella loro porzione di mondo, l’inverno era calato su qualunque cosa. Erano nati in una notte che si era portata via ciò di cui avrebbero avuto bisogno: caldo, affetto, amore. Erano nati due bambini, due fratelli, due gemelli, completamente diversi tra loro. Che si trattasse di uno strano caso della natura, fu constatato dal dottore, che osservava i due gemelli omozigote, ponendosi diverse domande.
Filippo, aveva deciso di chiamare uno dei due bambini, quella donna minuscola, a cui toccava l’arduo compito di allevare due gemelli nella solitudine, abbandonata dal proprio compagno proprio qualche giorno prima del parto. Filippo aveva i capelli rossicci, la pelle pallida attraverso cui si poteva osservare il flusso delle vene e un paio di iridi verdi, quasi trasparenti.
Einar, il suo gemello, l’altra faccia della medaglia, a cui la minuscola madre aveva deciso di dare un nome più fantasioso, latino, presa dalla foga del momento e notando i tratti particolari del figlio. Il bambino, infatti, aveva i capelli quasi neri, la carnagione olivastra, ma erano gli occhi a far capire alla madre che si trattasse veramente di suo figlio. Infatti, quel pargolo aveva gli occhi azzurri, nel quale lei stessa si rivedeva specchiata, di una purezza e candore particolari.
Amava i suoi figli, i suoi gemelli, i pargoli che aveva messo al mondo, per questo aveva deciso di non poterli tenere. Quella notte, in quel solstizio d’inverno, due bambini erano stati dati in adozione, dati in affidamento all’ospedale affinchè si facessero carico di trovare una dimora calda e accogliente in quella notte che aveva portato con se solo freddo e dolore. In quella notte, perciò, i due pargoli erano stati trasportati al più vicino centro per l’ospitalità degli orfani, insieme a tutti gli altri bambini che, come loro, erano stati portati lì nella speranza che potessero avere un futuro migliore di quello che i loro creatori avrebbero potuto donargli.
Passavano gli equinozi, i solstizi, le epoche, i decenni e i due pargoli, fratelli, gemelli, crescevano legando tra loro, cercando quel calore che dalla loro notte di nascita gli era stato sottratto. Ogni Solstizio d’inverno ricordavano la loro nascita, festeggiavano e cercavano di pensare a come avrebbe potuto essere se la loro madre non li avesse lasciati lì. Avevano raccontato loro come fosse andata in quella notte fredda di quasi diciotto anni prima. Avevano raccontato loro di come, quella madre che tanto li amava, avesse deciso di farli crescere lontani da lei, sperando in una vita migliore, abbandonata dal proprio compagno qualche mattina precedente al parto. Avevano raccontato loro, anche, come quella stessa notte la donna fosse uscita dall’ospedale e poi ritrovata morta qualche vicolo più in là, ore dopo, a causa di una overdose di eroina.
All’alba dei diciotto anni, perciò, i due giovani, avevano deciso di fare in modo che nessuno potesse separarli. Parecchi erano stati gli uomini e le donne che avrebbero voluto adottarli, prenderli in affidamento, ma erano davvero pochi quelli che avevano accettato di farsi carico di entrambi. Dopo pochi mesi, tutti erano sempre stati considerati non idonei e i due fratelli si erano riabbracciati, tra le lacrime, mischiando i loro colori in netta contrapposizione. Nemmeno gli anni, infatti, aveva cambiato le loro sembianze, che li rendeva poco comuni, poco gemelli omozigote.
Filippo aveva mantenuto quel colore di capelli rossiccio, ancor più accentuato dalla pettinatura poco ordinata che portava. Per non parlare del colore innaturale dei suoi occhi, che lo rendeva un’apparizione onnifera agli occhi di chiunque lo osservasse per più di qualche istante.
Einar, crescendo, prendeva sempre più i tratti caratteristicamente latini, poco a che vedere con quelli italiani, però, con le spalle molto larghe e un’altezza spropositata rispetto a quella del fratello stesso. La sua pelle scura, inoltre, veniva messa in risalto da quegli occhi che facevano pensare al mare in una giornata d’agosto a chiunque si soffermasse a studiarlo.
Che entrambi, però, sapessero di essere nati nella notte fredda e gelida del solstizio d’inverno, li rendeva legati e ciò era indissolubile. E fu al diciottesimo solstizio che passavano insieme, che decisero fosse ora di tagliare quel legame che li teneva uniti a quel luogo di solitudine, in cui la loro madre morta, aveva deciso di mandarli. Avevano preparato le loro cose, chiuse in una sola valigia, dato che non erano molte, e avevano firmato un foglio con cui si prendevano le responsabilità dei loro atti, essendo ora divenuti maggiorenni. Quella mattina, usciti dall’edificio, si trovano a contatto con una realtà, però, che non credevano potesse essere così complessa.
La casa - famiglia aveva procurato loro un appartamento popolare di cui, per la loro condizione, avrebbero potuto non pagare l’affitto, ma restava che i due gemelli, dovessero trovare un lavoro con cui potersi mantenere. Avevano finito entrambi gli studi, aiutati dal fatto che, non avendo altro da fare, avessero frequentato più anni in uno e il loro avere un diploma li aiutò nel trovare quel sussidio necessario alla loro sussistenza.
Furono portati davanti alla loro nuova casa, che trovarono bianca e spoglia, proprio come la pelle di Filippo, con a disposizione un letto matrimoniale dalle candide coperte azzurre, come gli occhi di Einar. I due fratelli si erano guardati negli occhi e vi avevano trovato una luce diversa da quelle precedenti. Si erano avvicinati, proprio come facevano ogni notte dalla loro nascita, e si erano stretti, procurandosi lividi e ferite ai loro organismi. Infatti, Filippo sapeva di amare Einar, Einar sapeva di amare Filippo, di un amore fraterno, materno, paterno, ma anche dell’amore di un amante, che di nascosto bacia il proprio amato, bisognoso del suo sapore sulle proprie labbra.
Quella notte, nella notte del solstizio d’inverno, per la prima volta, i due ragazzi presero a vicenda la propria purezza e la donarono all’altro, gemendo e contorcendosi tra le braccia del proprio amante e fratello. Avevano visto, così, quella notte fredda, glaciale, gelida, divenire calda, afosa, tenebrosa.
   
 
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