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Autore: mentaverde    21/06/2018    0 recensioni
Hilly Stevens ha ventitré anni, ha un figlio di sei e vive principalmente per lui. Ha un lavoro che le piace da morire e grazie a quello conoscerà Dexter Nash, ricchissimo dallo sguardo del colore delle tenebre.
Tutto sembra perfetto... tranne per un piccolo particolare: Hilly mente sul suo nome e il passato verrà a bussarle alla porta, ricordandole che ha un compito particolare .
PS: questa storia era stata pubblicata anni fa, ma mai conclusa. In qualche punto è stata revisionata, spero che vi piaccia
Genere: Erotico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 1

1 - Anticipando un "Tu non sai chi sono io". 


Guardali bene. 
Guardali negli occhi.
Hanno bei vestiti, belle etichette, 
begli incarti ma sono velenosi.
Stefano Benni






“Ti avevo detto di spostarli da lì, Jack!”, urlai infuriata guardando gli scatoloni con l’attrezzatura per la sfilata ancora da disfare.
Jack si abbassò alla mia statura, tanto per sottolineare quanto lui fosse imponente rispetto a me.
“Che c’è?”, chiese guardandosi attorno.
“Ti ho detto di spostarli almeno cinque volte! Toglili da qui!”, ordinai sfinita.
“E dove li metto?”.
“Fatti aiutare dal rosso a tirare fuori tutta l’attrezzatura, intanto vado a chiamare AJ, okay?”, chiesi puntandogli gli occhi addosso, cercando di assumere per quanto più potessi il famoso sguardo omicida che mi era sempre riuscito abbastanza bene, ma a Jack non aveva mai fatto il minimo effetto.
D’altronde lui era due metri per un quintale mentre io superava di poco il metro e sessanta per cinquantacinque chili.
Mi voltai e cercai AJ in mezzo alla folla di addetti ai posti, altri alle luci, altri ancora al palco. Come avevo fatto ad accettare quell’incarico poi?
Le modelle stavano già arrivando con la loro straziante magrezza e altezza, con quel viso quasi etereo e i nasi appuntiti che tagliavano l’aria, lamentandosi che non ci fosse ancora il vino per loro, quando io avevo un vero bisogno di alcol iniettato direttamente nelle vene.
“AJ!”, lo chiamai afferrandolo per un braccio, “Sono Hilly Stevens, piacere, sono io che organizzo tutto qui, ma forse te l’avrà detto Thyson. Beh, vedi quei due là? Quello alto con i capelli lunghi e quello rosso? Digli dove sistemare l’attrezzatura e loro lo faranno, okay?”.
AJ annuì e andò verso i due colossi a testa bassa.
Da quando in qua c’era un deejay alle sfilate?
Meno domande più azioni, Hilly, mi dissi e corsi verso la stilista che stava entrando nella sala, ringraziando il cielo che qualcuno fosse venuto in mio aiuto.
“Oh, Hilly che bel lavoro che stai facendo qui!”, ululò quando mi vide stringendomi le mani e ammirando l’effetto Maldive che mi aveva espressamente richiesto. C’era un ragazzino che stava spargendo della sabbia sulla passerella – le modelle avrebbero sfilato senza tacchi, scalze – e avevo dato ordini che sullo sfondo si vedesse il mare, dando l’impressione che ci si trovasse veramente sulle spiagge bianche di quelle fantastiche isolette, e Ian aveva avuto la brillante idea di utilizzare un video proiettore.
La stilista aveva scelto delle sedie dello stesso colore della sabbia e imbottite, in modo che contrastassero il più possibile con l’ambiente che avevo cercato di ricreare. Per quanto riguardava le luci e la musica, quello sarebbe stato compito di Ian e AJ.
“Sai ti ho richiesta espressamente e quando Thyson mi ha detto che non avevi nessun altro impegno in questo periodo… beh, sapevo già che la sfilata sarebbe stata un successo!”, cinguettò battendo le sue piccole mani rugose.
Le sorrise amorevole, “Devo presentarti, però, Ian. Sarà lui a tenere d’occhio tutto quando io dovrò andare a casa… Thyson ti aveva avvertita?”.
“Oh, sì tesoro. Tu non preoccuparti. Quando devi vai pure, ma prima passa a salutarmi!”, disse e poi scomparve nei camerini, probabilmente sentendo che se qualcuno non avesse cercato di calmare le modelle presto si sarebbero prese per i capelli.
Basta mi serve una pausa, dissi e mi nascosi in un angolo del locale bevendo un caffè amaro.
Il cellulare squillò e quando vidi il numero di Tony mi sentii morire.
“Cosa è successo?”, chiesi subito.
“Ehi, Hilly!”, disse lui tranquillamente, “Volevo chiederti come sei messa”.
“Kyle sta bene?”, nel momento in cui feci la domanda sentii le risate del piccolo dal cellulare, e mi tranquillizzai all’istante.
“Avevi dubbi?”, chiese e immaginai che stesse sorridendo divertito.
Tony si era sempre divertito a prendere in giro il fatto che mi preoccupassi costantemente di Kyle, ma come potevo non farlo? Era ancora così piccolo…
“Per che ora torni?”, domandò.
“Penso per le undici. Devi uscire?”.
“No, era per chiedere”.
Poi sentii la voce del piccolo, “Mamma!”.
“Ciao Kyle, stai facendo il bravo?”, dissi assumendo la voce da idiota innamorata di suo figlio che avevo costantemente quando parlavo con lui.
“Sì! Tony mi ha insegnato a scrivere il mio nome!”, disse orgoglioso e mi misi a ridere.
Tony riusciva dove io mancavo, e insegnargli a scrivere il suo nome era sempre stata un’impresa praticamente impossibile, mentre con lui era bastato qualche ora insieme e voilà, il gioco era fatto.
“Davvero? Quando torno mi fai vedere?”.
“Sì! Adesso gli dico di insegnarmi a scrivere il tuo!”.
“Amore, adesso la mamma deve andare”, dissi dispiaciuta quando vidi la chioma bionda di Ian farmi un cenno, “Ci vediamo stasera, okay? Salutami Tony”, conclusi e riattaccai.
Ian aspettava con le braccia incrociate e il piede che batteva fastidiosamente il tempo sul pavimento.
Perché era così insopportabile?
“Hai sistemato le luci?”, chiesi.
“Sì”.
“Allora devi…”, cominciai con l’elenco infinito di tutte le cose che doveva fare dopo che io me ne ero andata, ma sapevo che comunque tutto sarebbe andato nel disastro più totale visto la scarsa memoria e autorità che sapeva assumere Ian.
Avrei sistemato tutto la mattina successiva come ogni volta.
Pazienza. Questo era il mio lavoro e in fondo mi piaceva, ma a casa avevo la mia priorità.
 
Le modelle tutte pelle ed ossa, scelte appositamente dalla stilista erano uno spettacolo terrificante che anche il pubblico notò, ma la scelta della sabbia e dello sfondo era stato più che azzeccato, visto i continui gesti di assenso che mi mandava Stella e che vedevo negli occhi degli invitati.
Ian fece un gioco di luci meraviglioso, riuscendo a non far notare gli zigomi sporgenti delle modelle. Aveva ricreato perfettamente la luce che c’era in una spiaggia, e poi quella data solo dalla città durante la serata, con delle fiaccole che facevano molta atmosfera.
Per quanto riguarda AJ era riuscito a centrare perfettamente il clima di vacanze estive e festa senza esagerare e utilizzare le canzoni più scontate.
Jack, con i suoi capelli neri lunghi e il volto serio, ma soprattutto per la sua corporatura, era stato posizionato insieme al rosso all’entrata come bodyguard, e tutti quelli che entravano si voltavano a guardarli un po’ impauriti.
Andiamocene, mi dissi prendendo la borsa e il cappotto visto la neve che era caduta negli ultimi tre giorni.
“Vai via?”, mi chiese Jack.
“Sì, stai attento alla signora con la giacca verde, tende a bere più del dovuto, e quello di fronte a lei con il pizzetto ha la mania di imboscarsi con le modelle. Oh, e tieni d’occhio anche Ian, se sarà necessario digli che sono minorenni, chiaro?”, dissi tutto d’un fiato, sorprendendomi che i miei polmoni potessero portare tanta aria.
Lui sorrise appena. “Sì, capo. Tutto chiaro”.
“Buona serata, Jack”, aggiunsi con un cenno e uscii imbattendomi con il freddo polare della strada.
Signore quanto freddo!
Camminai velocemente fino all’auto quando un tizio sceso da un macchinone bianco insieme a una donna avvolta in una pelliccia altrettanto chiara, mi fermò. “Sai dirmi qual è l’entrata per la sfilata?”.
Rimasi interdetta a guardarlo. Non l’avevo mai visto a nessuna sfilata di Stella e tutti gli invitati erano già entrati.
“È una sfilata per un numero chiuso di persone, signore, e tutti gli invitati sono già arrivati”, dissi stringendo maggiormente il mio cappotto preso ai saldi mentre il ragazzo di fronte a me sfoggiava un capo di ultima moda.
Nonostante il buio riuscii a vedere chiaramente tutto il suo risentimento e, scansandomi, andò verso l’entrata.
“Mi scusi!”, lo fermai correndogli contro ma evitando di toccarlo, sapendo che a quelli come lui dava fastidio essere solo sfiorati da chi, come me, indossava vestiti di seconda mano presi duranti i super saldi.
“Io sono l’organizzatrice e so che la lista degli invitati era completa, ma può esserci stato un errore. Se ha la pazienza di aspettare un attimo qui, parlo con la stilista e poi vediamo cosa fare, okay?”, chiesi assumendo la voce più gentile che con il tempo avevo sviluppato.
E sapevo che a quella voce nessuno è capace dir di no.
L’uomo annuì ed entrai nuovamente all’interno della sala ma prima che potessi chiudere la porta, mi passò davanti – senza neanche sfiorarmi ovviamente – e si diresse verso la sfilata.
“Jack”, ci fu bisogno solo che pronunciassi il nome del gigante, perché bloccasse l’uomo sull’entrata.
Prima che potesse dire qualcosa come Tu non sai chi sono io o Come ti permetti di toccarmi, mi parai davanti sfoderando lo sguardo peggiore che avevo in serbo e che quella sera mi veniva abbastanza facile.
“Le avevo chiesto di aspettare fuori”, sibilai, “Ora sia paziente di attendere qui che vado ad informare la stilista. Se lei non farà niente, loro due”, indicai Jack e il rosso, “non la butteranno fuori, al contrario verrà accompagnato alla sua auto. Mi può dire il suo nome?”.
“Dexter Nesh”, disse solennemente e grazie a un gioco di luci di Ian riuscii a vedere il volto dell’uomo. Non doveva avere neanche trent’anni, e mi stava fissando con degli inquietanti occhi neri.
Dexter Nesh era in assoluto l’uomo più bello che io avessi mai visto.
Hilly, svegliati!, mi urlai e andai verso Stella che se ne stava dietro le quinte a sistemare le modelle prima che sfilassero.
La trovai intenta a sistemare la gonna di un’anoressica a petto nudo e scoprii che esistevano ragazze con tette più piccole delle mie.
“Stella, scusami se ti disturbo, ma è arrivato un certo Dexter Nesh dicendo di essere un invitato ma nella lista non c’è”.
Stella si bloccò di colpo e mi guardò incredula. “Voglio che sia fuori di qui immediatamente!”, disse seria e con la rabbia negli occhi.
Mi voltai e tornai nella sala, facendo un gesto veloce a Jack che disse di uscire all’uomo.
“Esca, la prego”, insistetti una volta arrivata e ricevendo un’occhiata in cagnesco. “Le ho detto di uscire, signor Nesh”.
Lui si imputò maggiormente sui suoi piedi ma Jack non era uno da sfidare, visto la massa che li contraddistingueva, e lo spinse fuori dopo che il rosso aveva aperto la porta, e io uscii seguendoli.
“Mi dispiace, signor Nesh, ma la stilista mi ha detto categoricamente di farla uscire”, ad ogni sillaba si formava davanti al mio viso un alone di condensa bianca.
“Come si chiama lei, eh? Per chi lavora?”, chiese furioso, “Lo dirò al suo capo, signora”.
Risi nel sentire quelle parole, “Vuole sapere il mio nome per fare un rapporto al mio capo? Mi dispiace tanto per lei, ma non funziona così nel settore in cui lavoro. Il mio capo ora è la stilista Stella, se lei mi dice di farla uscire, io la faccio uscire. Io eseguo gli ordini”, dissi e dopodiché andai verso la mia auto.
“Dai, Dexter, andiamocene!”, protestò la stangona che aveva al fianco e lo sentii rispondere con un’imprecazione, ma ormai non era un mio problema: se ne sarebbero andati.
 
“Mamma!”, urlò Kyle a squarciagola quando mi vide entrare nel nostro piccolo appartamento e mi saltò in braccio.
Fulminai Tony che si stiracchiava mentre si scusava sottovoce. Si era addormentato sul piccolo divano come ogni volta, mentre Kyle era andato a giocare nella mia camera con tutte le sue macchinine e i dinosauri.
“Come è andato il lavoro, mami?”, mi chiese toccando i capelli che la parrucchiera mi aveva acconciato finché aspettava l’arrivo delle modelle perennemente in ritardo.
“Bene e Jack ti saluta”, gli dissi appoggiandolo a terra per togliermi il cappotto.
“Ha buttato fuori qualcuno?”.
Risi per la sua curiosità. “Sì e domani mattina ti racconterò tutto solo se vai a lavarti i denti e poi ti infili subito a letto”, appena finii di parlare, Kyle partì correndo verso il bagno.
Tirai fuori venti dollari dal portafoglio e li allungai a Tony, che come ogni volta rifiutava, “Sai che lo faccio volentieri e i soldi ti servono”.
“Non stasera, ho lavorato per una stilista e domani il mio conto in banca aumenterà di almeno ottocento dollari”, dissi sorridendo contenta.
“Ottocento?”, chiese scioccato.
Alzai le spalle. “Ho lavorato due settimane per questa sfilata e poi”, assunsi l’espressione innocente, “mi adorano”.
Lui rise divertito. “Va’ a sistemare Kyle, intanto ti preparo un tè”.
“Fammi un caffè”.
“Sei l’unica persona che conosco che prima di andare a dormire beve un caffè”.
Trovai Kyle in camera sua intento ad indossare il pigiama che Tony gli aveva regalato a natale, e che tanto adorava solo perché aveva disegnato i T-Rex, o almeno così mi aveva spiegato il piccolino.
“An si, guarda!”, disse e sorrise mostrando l’incisivo mancante.
Scoppiai a ridere insieme a lui, “Non ho mai visto un dinosauro senza denti”.
“Me lo ha detto anche Tony!”.
Gli rimboccai le coperte e gli diedi un bacio sulla fronte, “Adesso dormi che domani devi andare a scuola”.
“… il nome!”, farfugliò.
“Me lo farai vedere domani, okay?”.
“’notte”, disse prima di addormentarsi.
Ero impressionata da quanto fosse facile per lui addormentarsi appena toccava il cuscino.
Quanto amavo quel bambino.
“Hilly”, sussurrò Tony chiamandomi, “E’ pronto”.
Lo raggiunsi in cucina e lo trovai intento a prepararsi un tè caldo prima di uscire al freddo di un gennaio particolarmente odioso.
“Non mi fai gli auguri?”, disse serio.
Guardai l’orologio, “Oh, è passata la mezzanotte. Abbracciami dai, tanti auguri piccoletto”.
“Piccoletto?”, mi abbracciò, “Ma se ho solo due anni in meno di te”.
Alzai le spalle, “Andiamo a festeggiare okay?”.
“E Kyle?”, disse subito preoccupato.
Si era proprio affezionato al piccoletto, eh?
“Chiamerò una babysitter”.
“Portalo con noi!”, insistette.
“Non posso portarlo per locali, Tony”, dissi contraria.
“Andiamo al pub quello in fondo alla strada. È un posto tranquillo”.
“Al Charlie’s?”.
Lui annuì concentrato nel raffreddare il tè.
“Gli chiedo e vediamo”.
I suoi occhi castani incrociarono i miei, e malizioso mi disse “Non è che mi puoi abbracciare ancora?”.
“Perché?”.
Mi strinse contro di lui con forza, affondando il viso fra i miei capelli. “Abbracciami e basta”.



 
Bene eccoci qui.. questo è il primo capitolo di una storia a cui sono particolarmente affezionata.
I protagonisti per ora sono pochi e ho lasciato a voi la completa libertà di immaginarveli come più vi aggrada, infatti non vedo l'ora che mi raccontiate secondo voi chi sono e come sembrano!
Vi aspetto numerose!

menta
 
  
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