L’Arte
non è per tutti
Che Saga lasciasse la propria Casa nelle pie mani del
fratello minore, Kanon, era cosa assai rara, dovuta per lo più a necessità
belliche o pacificatorie. E si sa: quando non c’è il gatto, balla il ratto.
Radhamantys oramai si era abituato alle improvvisate – veri
e propri agguati – del greco, ma dopo molte intrusioni, condite con una poco
velata minaccia di guerra da parte del Dio dell’Oltretomba, si era deciso di
comune accordo che fosse il giudice a spostarsi tra i due mondi… ma per quanto
la cosa fosse routine, non era certo preparato a ciò che gli sarebbe accaduto.
A Kanon poco importava il dove; a lui interessava solo
affondare le mani abbronzate nella corona di ciuffi ambrati del giudice,
schiacciare i petti ansanti tra loro e sgretolare quella patina di indifferenza
che l’inglese ostentava. Vederlo arrossire per l’imbarazzo e la vergogna, e poi
iniziare una battaglia tra corpi perfettamente allenati e scattanti. Nulla più
lo avrebbe soddisfatto.
E proprio sul bancone della cucina, con le mani impastate
sotto la camicia che ancora si ostinava a restare sul petto del giudice, la
schiena abbandonata sul piano da lavoro e il viso più chiaro del suo a pochi
palmi di distanza, mentre l’eccitazione cresceva quasi fossero sul campo di
battaglia, uno scoppio fece tremare la terra, rimbombando paurosamente.
Il cuore perse un battito: la tensione assunse una diversa
sfumatura, mentre i due balzarono in piedi.
“Cos’è successo?”
“Non ne sono sicuro – rispose la Viverna – ma proveniva
dalla Quarta Casa.”
Allora la tensione abbandonò all’istante il corpo dei
Gemelli, facendogli tirare un profondo – e amaro – sospiro. Al che il giudice, notando
ciò, chiese sospettoso:
“Tu sai, non è vero?”
Non ebbe il tempo di voltarsi verso il blu, che questi lo
prese per la nuca, trascinandoselo addosso, giù a terra, e ghignando malizioso:
“Non lo vuoi sapere.”
***
Aphrodite era seduto, placido, nel piccolo soggiorno interno
alla Casa del Cancro, intento a leggere un libro che parlava di un giovane
inglese che, per un incanto, aveva smesso di invecchiare, conservando la sua
rara bellezza, pur sacrificando la propria anima.
Fu in un passo particolarmente violento ed illuminante della
lettura che uno schioppo, simile ad un’esplosione ed un intenso odore gli
fecero staccare gli occhi dall’inchiostro, facendolo sobbalzare per lo
spavento.
Un momento per riassestarsi, il rumore sempre più insistente
di passi, l’aroma pungente sotto le narici, e Pesci aveva già ripreso a
leggere, tranquillo, mentre si apprestava a dire:
“Angelo! Ti è di nuovo esplosa la caffettiera.”
“Ma và! Non me n’ero accorto!!!”
Gli rispose una voce graffiante e sarcastica dalla cucina.
Siamo alle solite,
pensò lo svedese mentre cercava una posizione più comoda per la lettura. Come quel
cretino del proprio commilitone riuscisse a far scoppiare le moka da caffè alla
stregua di bombe ad orologeria, ancora non sapeva spiegarselo.
“Colpa tua che ti ostini a comprimere la polvere.”
Altri passi, e la figura del siciliano – con uno straccio
zuppo in mano – apparve sulla porta del soggiorno, sconvolta, come se avesse
sentito la più grande bestemmia dell’intero universo.
“Si vede che non sei mai stato nella mia madrepatria: a
Napoli il caffè è ritenuto Arte, e mi rifiuto di bere quel piscio che tu,
bambolina, ti ostini a definire “caffè”. Un caffè fatto come Dio comanda, deve
essere una crema, e l’unico modo per ottenerlo è pressare il macinato peggio
della polvere da sparo nelle pallottole!”
“Oh, beh, allora…”
Risposte lo svedese, che aveva smesso da un po’ di
ascoltarlo. Spero che ti salti qualche dito,
la prossima volta, ma questo, Aphrodite, ebbe la buona creanza – e amor
proprio – di non riferirlo al permaloso granchio.
Angolo dell’Autrice:
Mannaggia che fatica! Sono mesi che non scrivo più su una tastiera
decente – complice il fatto che oramai giro con una tastiera europea, con molti
tasti posti diversamente rispetto a quella italiana – e quindi ci ho impiegato
il doppio del tempo che di solito dedico.
Tuttavia il grosso problema è stato “ma sì; scrivo una flash per
Deathy, dato che non ci ho dedicato mai molto a lui, e poi ieri era il suo
compleanno” ma più andavo avanti, più le parole crescevano di numero. Al che
ora sono qui che dico “se, cinquecento parole, non le vedo nemmeno con il
cannocchiale, dato che ce ne ho aggiunte più di un centinaio…” vabbè, problema
da prolissi.
…vi giuro che il tutto dovrebbe essere incentrato sul granchio, ma
mi rendo conto che la prima parte, beh, centra poco. Ma serviva. Perché? Perché
ci vedevo troppo bene Kanon che non vuole dare soddisfazione al nostro inglese!
Ok, spero di ripartire al meglio, con questa one-shot, e mi auguro
che non ci siano troppi errori.
A presto (si spera stavolta).