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Autore: BakemonoMori    27/06/2018    0 recensioni
Alessandra Mancini, Alex, una giovane ragazza di 14 anni, viene cacciata di casa e rinchiusa nel luogo che diverrà il suo incubo, la comunità chiamata "la Quercia".
Lì conoscerà persone di ogni sorta, vivendo esperienze e scoprendo segreti che mai avrebbe creduto di conoscere.
Genere: Avventura, Dark, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Dinanzi ai miei occhi, l’incantevole sipario di alberi e foglie, un piccolo bosco illuminato dai rossastri raggi
solari; vi si trovavano le piante più disparate, cespugli, funghi che abitavano i vivi tronchi dei sempreverde e
dei verdi alberi in fiore, pronti a donare frutti e bacche, mentre tutta la zona era nel pieno dello splendore.
Boccioli di tutti i colori ricoprivano l’intera vegetazione, dovunque guardassi, in alto, sulle fronde, sul prato
sotto i miei piedi.

La vita risplendeva in quel luogo mistico.

Solamente uno sguardo fu necessario per farmi innamorare di quell’antro paradisiaco che, silente, si
ergeva… oltre una grigia rete di gelido metallo.

Ero confinata, non potevo raggiungere l’oasi che si mostrava dalla parte opposta di tale pericolosa barriera.

Una pacca sulla spalla mi fece rinvenire dall’oblio dei miei pensieri; il ragazzo mi guardava sorridendo
maliziosamente ed indicando un punto della rete coperto da un cespuglio “Seguimi, non te ne pentirai”
sussurrò in maniera alquanto soddisfatta. Ero confusa, non mi fidai ed esitai molto, prima che lui mi
strattonasse impazientemente per un polso. Un gesto così brusco mi spaventò, facendomi fuggire un flebile
urlo sommesso.

Sul suo viso si dipinse l’orrore mentre mi guardava, ed inizialmente non capì, quand’ecco che mi lasciò e si
spinse più lontano possibile da me. Mossi qualche passo in sua direzione, fino a che un rumore alle mie
spalle mi fece trasalire; mi girai quando un ringhio mi risvegliò dalla paralisi dell’orrore “Federico!” due
uomini alti quanto larghi comparvero dall’ingresso da cui eravamo passati per raggiungere quel paradiso
terrestre.

Tentò di fuggire ma la lotta non durò molto, in breve tempo uno di loro gli aveva sbarrato la strada,
facendolo afferrare dall’altro per le braccia, appena dopo le spalle, trascinandolo via, sollevandolo quasi da
terra mentre lui si dimenava, dibattendosi e scalciando per ogni verso “Mi fai male stronzo! Lasciami, non
ho fatto nulla di male!” sbraitava tra gli spasmi d’ira.

Io non seppi reagire, rimasi immobile a fissare in silenzio quella scena, mentre sugli occhi di Federico si
formarono delle lacrime, che cercava di trattenere come possibile “Vi prego, non lo farò più, lasciatemi…”
singhiozzò chiaramente.

Piansi, paralizzata, in piedi, fissandolo mentre veniva dolorosamente trascinato verso un’ignota
destinazione. Ero preoccupata di ciò che gli sarebbe successo, ma la paura mi impedì di aiutarlo in ogni
modo.

Che stupida, se solo avessi saputo.

Come ho potuto…

Sono rimasta lì, statica, a guardare la porta, il corridoio vuoto, le porte bianche di ignote camere chiuse, per
un tempo indeterminabilmente dilatato.

Quando mi destai dalla trance delle mie paure, decisi di tornare nella mia stanza e cedere alle costanti
adulazioni del sonno. Mi incamminai, attraversando lentamente l’unico raggio di sole che ricopriva quel
campo recintato, prima di venir coperto anch’esso dal banco di bianche nuvole che, in men che non si dica
aveva ricoperto il cielo soprastante. Varcai l’ingresso e progredì nella mia inesorabile attraversata dello
stretto corridoio, ma ecco che, quasi appena varcata la soglia, dalla camera alla mia sinistra uscì l’ennesima
faccia nota, ovviamente grazie all’ora delle presentazioni.

Si chiamava Angelo, il che rispecchiava di lui solamente il biondo dei suoi capelli, ma certamente non lo
sporco del suo animo. Fu grazie a lui, infatti, che scoprì l’ennesima piaga che rivestiva quel luogo.

   
 
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