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Autore: Myzat    28/06/2018    0 recensioni
Allen Blacke è un ragazzo semplice, trasparente. È una di quelle personalità che poco spiccano nei gruppi di amici, ma che esistono egualmente.
Nelle molteplici cose di cui è convinto c'è anche la prevedibilità delle persone e dei loro comportamenti sempre ambigui e ordinari.
Ma, forse, in quella banalità, qualcosa di interessante si riesce a scovare.
Qualcosa, o qualcuno.
Qualcuno che però non porta i capelli lunghi, il trucco pesante, e le gonne corte.
Qualcuno che non possiede una voce acuta e femminile.
Qualcuno che, per sua sfortuna, ragazza non è.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
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The Soul of Monsters
Prologue

By Myzat


La luce del primo mattino entrava dalle piccole fessure delle persiane, e si rifletteva sulle tende bianche, sui mobili un po' sbiaditi, sulle pareti gialline della stanza, sulle coperte blu notte intatte e mai sfatte per via del caldo di fine estate, sul corpo minuto e slanciato del ragazzo dai capelli color miele che dormiva beato, non curandosi della sveglia che aveva suonato per la quinta volta la stessa canzone dei Linkin Park, ricordandogli che si sarebbe dovuto alzare e andare a scuola, sopportare una giornata intera tra dei banchi e altre quindici persone di cui dieci erano chiaramente sulla sua lista nera, studiare senza voglia e poi scegliere l'università.
Era difficile non temere il futuro, soprattutto per chi come lui era arrivato al grande passo, ovvero quello della maturità. Da lì, il suo futuro si sarebbe completamente formato, e sentiva l'ansia salirgli al cervello -o almeno, non quel giorno-, e il desidero di tornare bambino era incredibilmente forte.
"Allen alzati!" sbraitò una ragazzina leggermente più piccola e paffutella, con una fetta di pane e marmellata in mano e la bocca impastata di latte, mentre con l'altra mano libera tentava di buttarlo dal letto, riuscendo soltanto a farlo alzare per metà.
Lui la fissò, con la solita espressione da pesce lesso che ogni mattina assumeva, e che la faceva sempre ridere.
"Cinque minuti, Rose" disse deglutendo la propria saliva, avendo la gola secchissima.
"Niente da fare! Mamma si sta infervorando come una torcia umana, e tra venti minuti dovremmo essere tutti e due davanti ai cancelli!" sbottò lei, ancora più esagitata.
Il ragazzo si alzò dal letto sbuffando e si stiracchiò, per poi avviarsi verso l'armadio.
"Okay ora esci, mi devo vestire" fece, vedendola annuire ed uscire dalla stanza.
 
Allen, così si chiamava quel ragazzo alto un metro e sessantasette centimetri, col fisico di un ballerino e gli occhi più azzurri del cielo stesso. Nelle molteplici cose di cui lui era convinto, ci stava anche la sua autostima alta. Si piaceva, ogni volta che si guardava allo specchio non riusciva a non sorridere, e in fondo credeva che fosse anche giusto amarsi un po'.
Prese qualcosa di leggero dall'armadio e se lo mise addosso, poi cominciò ad aggiustarsi i capelli, lisci, lunghi e biondi.
Pareva una ragazza a volte, e spesso sua madre lo pregava di tagliarseli; eppure lui non li vedeva troppo lunghi, quanto bastava per potersi fare un codino nei pomeriggi caldi. E poi con i capelli corti non riusciva a immaginarsi, o per meglio dire, non voleva.
Scese in cucina e salutò sua madre, prendendo una fetta biscottata e sporcandola di marmellata di ciliege, per poi mangiarla velocemente.
"Possibile che tu debba far tardi anche il primo giorno, Allen?" chiese la donna, sorridendo leggermente.
Sua madre, Ophelia, era davvero una bella donna; sapeva sorridere con gli occhi, azzurri come quelli del figlio, e nonostante quelle rughe che aumentavano ogni anno il suo viso dolce non mutava mai. Come ogni mattina, teneva i capelli castani legati in uno chignon spettinato, con il suo classico fermacapelli con un fiore sopra, che suo marito le aveva regalato quando ancora erano ragazzini.
Allen sapeva quanto lei tenesse a quell'oggetto, soprattutto dopo la morte del padre. Non aveva ricordi tristi, con lui. Gli mancava, come mancava a sua madre e alla sorella, ma ogni volta che vedeva quel fermacapelli sentiva la sua presenza; lì, seduto a capotavola con il giornale e una tazza di caffè.
Sorrise di rimando alla madre e le lasciò un bacio sulla guancia.
"Prometto che arriverò puntuale, per oggi" disse, con voce calda e gioviale.
"Solo oggi?"
"Ora mi chiedi troppo!" concluse ridendo, per poi prendere lo zaino e uscire di casa, salutandola con un cenno della mano.
Fuori sulle scale lo aspettava sua sorella, che intanto ascoltava della buona musica con le cuffiette.
"Andiamo Rose?"
Ella si alzò, levandosi le cuffie dalle orecchie e roteando gli occhi.
"Finalmente!" esclamò, saltellando fuori dal cancello, e muovendo i capelli castani al vento. Si sistemò gli occhiali da vista e poi si incamminò, al fianco del fratello maggiore.
 
Questa, in poche parole, era la vita di Allen Blacke; un ragazzo che di particolare aveva ben poco, ma che amava quella normalità di ogni giorno che lo inseguiva.
Lui che col suo metro e sessantasette e la passione per la danza si faceva strada ogni giorno, con quel carattere tanto semplice e spontaneo, con quel suo essere serio e non troppo diligente, disponibile e gentile, orgoglioso e spesso bugiardo.
E amava anche poter camminare nelle strade vuote, osservare quelle piccole cose che rendevano bello la sua città.
Allen era un osservatore, non gli importava di risaltare agli occhi degli altri, ma anzi gli bastava che qualcuno lo tenesse in considerazione.
Qualcuno che lo facesse stare bene, con o senza gesti. Qualcuno che non giudicasse e che silenziosamente ci fosse sempre. Anche se spesso faceva ridere, soprattutto quando storceva il naso e metteva il broncio, o quando, per le strade, sentiva odore di carne e si leccava le labbra.
Apprezzava quei pochi amici che aveva al suo fianco, e non si aspettava di farsene in futuro. I suoi compagni di classe lo descrivevano con una certa "aura oscura" che lo circondava e lo allontanava da tutti.
Per lui era una descrizione epica, si sentiva un super malvagio e ci rideva su, anche se era un po' deprimente, pensandoci.
 
Perso tra i suoi pensieri contorti sul mondo in rovina nemmeno si accorse di essere davanti alla sua amatissima scuola, fu la sorella a destarlo dal suo stato di trance tirandogli l'orecchio.
"Siamo arrivati" disse, sorridendo. Era emozionata, era il suo primo giorno in quella scuola, e non vedeva l'ora di varcare il portone, a differenza del fratello che pareva avere davanti la porta dell'inferno.
"Giusto. Ma come mai oggi sei vestita così bene?"
"Che significa oggi?! E comunque il primo e l'ultimo giorno bisogna sfilare, gli altri sono inutili" rispose ironica alla domanda, altrettanto ironica e anche stupida.
"Va bene va bene, vedi di non portarmi a casa subito qualche ragazzino super eccitato".
"E lo stesso vale per te, hai sempre avuto dei pessimi fidanzati" Allen arrossì leggermente, spingendola per le spalle e balbettando.
"Sono io a doverti raccomandare, oh! E ora vai!"
Rose si gustò soddisfatta quell'espressione da pesce lesso del ragazzo, poi, con nonchalance, gli diede un bacio sulla guancia e andò avanti.
Ah, fidanzati, ragazzi, amori adolescenziali e immaturi. Tutte cose ad Allen imbarazzavano da morire, soprattutto perché era omosessuale. Ma, dopotutto, non si vergognava di quello. Semplicemente era sempre un po' fuoriluogo.
Scosse la testa e sospirò.
"Non è questo il mio pensiero principale..." pensò, entrando nella struttura.
Tra la marmaglia di ragazzi presente nei corridoi incontrò alcuni dei suoi amici. Scambi di battutine, di piccole risate un po' superficiali, e poi l'entrata scenica in classe.
Si sedette vicino a uno dei suoi amici, come ogni anno e aspettò, spiaccicandosi una mano sulla guancia.
Ricordava i suoi compagni, dal primo all'ultimo. Alcuni non c'erano più, erano rimasti nella classe precedente, altri invece erano completamente sconosciuti, probabilmente bocciati.
Tra cui quello che stava dietro Allen, che puzzava di sigarette.
 
 
 


   
 
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