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Autore: Ness by Moon    29/06/2018    1 recensioni
Si era innamorata di lei da quel giorno al Rabbit Hole, quando si era soffermata ad ascoltarla andando oltre ciò che la città le chiedeva di essere. Si era innamorata di lei per il modo in cui la faceva sentire, viva più che mai e immersa in un bagno di lava che le faceva bruciare il cuore. Si era innamorata dei suoi occhi, così maledetti scuri e sporchi, che la stendevano al tappeto al primo sguardo.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Nuovo personaggio, Regina Mills
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era corsa in bagno a vomitare così tante volte ormai, che aveva finito col preferire rimanere incollata alla tazza. Non poteva e non voleva crederci, Laya non aveva visto niente di diverso da una straniera di fronte a lei. Gli anni passati da quando si erano incontrate fino a quando era caduta nel portale, sembravano essere spariti assieme a lei quel giorno. Aveva fantasticato così tante volte sul loro ritrovarsi, sul momento in cui si sarebbe persa ancora nel suo buio, che la caduta era avvenuta dal punto più alto. Era stata incredibilmente dolorosa e l’aveva riempita di lividi. Laya Agnès era sparita in favore di Hannah Dolls, e lei non aveva la benché minima idea di chi fosse Alexis. Le sue parole erano penetrate a fondo nella carne, le rimbombavano in testa con prepotenza scavando in tutto ciò che incontravano. “Credo tu mi stia confondendo con qualcun’altra” aveva detto, ma come avrebbe potuto. Non aveva idea di come si facesse a confonderla, a dimenticare un dettaglio di lei o anche un solo minimo frammento della sua essenza. Aveva spesso avuto l’impressione di poter toccare con mano ogni singola parte di Laya, anche la sua anima. Le era sembrato di immergerci le mani dentro e sentirla scorrere tra le dita, sotto la pelle e fin dentro le ossa. Si era persa infinite volte in lei, desiderosa di non ritrovare più la strada di casa, perché quel buio le bastava. Quel buio le piaceva e l'amava. L’aveva tenuto compagnia in molteplici notti, in tutte quelle in cui sognava di naufragare nei suoi occhi dopo il canto di una sirena. Eppure erano lì, sul viso di Hannah Dolls. Una stretta tanto dolorosa quanto gelida le attanagliò lo stomaco costringendola ad aggrapparsi alla porcellana del wc. Non aveva idea di cosa avesse ancora da rimettere ma nonostante ciò non c’era nulla che desiderasse restare al suo posto. Si sentiva così spossata ormai, da non provare ribrezzo nel poggiare la fronte accaldata contro il bordo della tazza. Sul suo viso dominavano le lacrime, se fossero nate per lo sforzo del rigurgito o da quello del suo cuore, aveva preferito non saperlo. Nel petto le batteva delusione e dolore, la mente cercava per quanto possibile di restare lucida. L’idea che fosse atterrata in una dimensione più errata di quanto sembrava in principio, prendeva pian piano forma. Eppure la magia l’aveva portata in quella Storybrooke e non era un incantesimo che poteva aver sbagliato. Aveva bisogno di una prova certa di quanto le sue fibre nervose asserivano, l’unico modo era rivedere quella sconosciuta e ritrovare al suo interno qualcosa di Laya, qualcosa di vero. Con quella nuova speranza si alzò dal pavimento, diede una rapida sciacquata al viso e si precipitò giù per le scale della locanda. Lasciò le chiavi alla vedova Lucas e corse fuori senza che qualcuno potesse farle domande. Ne aveva già abbastanza per se. Sperò di non incontrare nessuno che la conoscesse per le strade, aveva parecchio da camminare e prima arrivava da Laya meglio sarebbe stato. Aveva un piano, si sarebbe avvicinata a lei senza sembrava strana o psicopatica e magari dicendole il suo nome invece di fissarla come un ebete a bocca spalancata. 
Infilò le mani nelle tasche della giacca tenendo stretti i pugni per il nervosismo. Il pensiero di rivederla con la consapevolezza di avere di fronte una perfetta sconosciuta, metteva a dura prova il suo stomaco già terribilmente provato. Si accorse di non ricordare la strada che aveva percorso per arrivare nella zona dove incontrato Laya la prima volta, non era stata abbastanza attenta e nella sua realtà non si era mai preoccupata di come si arrivasse nella zona rurale della città. Cos’è che ci faceva lei laggiù? Che vita le aveva dato la maledizione? Alle sue domande poteva rispondere solo 
Hannah. Tutto il suo corpo si ribellò a quel nome, quello che non era il suo. 
Presa com’era nei suoi pensieri non si rendeva conto di chi le camminava accanto o di chi urtava. Nemmeno del piccolo Henry che la salutò senza ricevere risposta. Il bambino la inseguì cercando di tenere il suo passo frenetico e chiamandola a gran voce. 
-Alexis! -
La ragazza si destò solo alla quarta chiamata di Henry cercando con lo sguardo quella voce straniera che l’aveva chiamata. 
-Ciao, nanerottolo-
Gli dedicò appena un attimo prima di riprendere a camminare. 
-Tu non ci sei nel mio libro-
Quella del bambino non era stata una domanda, bensì un’affermazione. E questa volta, Alexis si fermò del tutto. Sapeva perfettamente a cosa si stesse riferendo, quel suo libro lo aveva sfogliato anche lei milioni e milioni di volte. Aveva insospettito Henry, non lo aveva previsto perché non sapeva nemmeno dell’esistenza di quel problema. 
-Non ho tempo per le tue maledizioni, nanerottolo-
Cercò di andar ancora una volta via, verso Laya, ma Henry le si parò avanti con viso serio.
-Che ne sai tu della maledizione? -
Alexis fu presa in contropiede, non aveva né la voglia né il tempo di stargli dietro.
-Ne hai parlato alla tavola calda con Emma-
-Non ne ho mai fatto parola e tantomeno lo avrei fatto avanti ad una perfetta sconosciuta. Quindi come fai a sapere della maledizione? Chi sei? -
Si sentì incredibilmente stupida per l’essersi fatta incastrata da un moccioso di undici anni, proprio come era successo a sua madre. Avrebbe dovuto azionare il cervello prima di parlare, non poteva rischiare di farsi scoprire. Sarebbe stato strano da spiegare al bambino perché non fosse in quel suo dannato libro. Si morse il labbro inferiore, non sapendo esattamente cosa rispondergli. Tra tutte le difficoltà che avrebbe potuto incontrare in quel suo viaggio, non aveva immaginato un figlio delle sue mamme non previsto e a conoscenza della maledizione. Nella sua realtà Emma era arrivata a Storybrooke per puro caso. Semplicemente aveva forato una ruota del suo maggiolino e nell’attesa delle riparazioni aveva preso una cioccolata calda al Granny’s. Lì aveva incontrato Regina e si era innamorata di lei al primo sguardo finendo poi, col tempo, per rompere il sortilegio oscuro. Certo non poteva raccontare quella storia ad Henry, non aveva ancora ben capito come quel ragazzino fosse figlio di Emma e Regina. Ciò che le era però molto chiaro, era che doveva levarselo dai piedi e attirare meno sospetti possibili su di sé. Si inginocchiò per arrivare alla sua altezza e gli parlò con assoluta calma e serietà. 
-Ascoltami nanerottolo, non ho idea di cosa tu stia farneticando, ma io non ho tempo per le fantasie di un moccioso. Quindi per favore, dacci un taglio e torna a creare le tue favole-
Henry la fissò con un grosso cipiglio disegnato sul volto, aveva sentito quelle stesse parole così tante volte che ormai non lo scalfivano.  In più quel tono autoritario gli aveva ricordato così tanto la sua madre adottiva, che quella frase era un perfetto tassello della sua routine.
-Io scoprirò chi sei. So per certo che non fai parte di Storybrooke, da qui nessuno esce e nessuno entra-
Alexis rinunciò a ragionare con lui e riprese a comminare senza dargli troppo credito. Ma forse lui poteva aiutarla, sembrava sapere molte cose circa la maledizione e le dinamiche di quella città che lei aveva imparato a conoscere solo dai racconti dei suoi abitanti. 
-Ma se è arrivata Emma non molto tempo fa- gli rispose alzando un sopracciglio, ed Henry tra sé e sé giurò di aver visto per un attimo Regina.
-Per Emma è diverso, lei è speciale-
Questo lo sapeva anche da sé, la Salvatrice a quanto pareva era la stessa in ogni universo e realtà. 
-Perché lo sarebbe? - tentò per non insospettirlo. 
Ma il bambino era fin troppo furbo, le rivolse un enorme sorriso scaltro. Si fermò e poi le porse una domanda.
-Perché me lo chiedi? -
Alexis sbuffò, magari lasciarsi un po’ andare con un bambino non avrebbe provocato troppi danni. Dopotutto chi avrebbe creduto ad un undicenne che affermava di vivere in una città maledetta. 
-Ok, hai vinto. So della maledizione ma non posso dirti perché-
Sussurrò appena in modo che fosse sole lui a sentirla. Al ragazzino brillarono gli occhi, e niente avrebbe ormai potuto arginare la sua curiosità.
-Quindi tu mi credi! -
La ragazza annuì cercando di metterlo a tacere e ritrovare la strada percorsa il giorno precedente. Sperava che la collana sotto la sua maglia le scaldasse lo stomaco ma restava gelidamente fredda. 
-Allora mi aiuterai? -
-A far cosa? -
-A spezzarla! Se Emma inizierà a credere tutto cambierà e Snow White potrà baciare il principe con il bacio del Vero Amore! -
Quella frase inchiodò Alexis all’asfalto. Il bacio del vero amore poteva spezzare la maledizione, come aveva potuto non pensarci prima! Certo, doveva essere la Salvatrice a farlo, ma lei aveva i suoi geni e la sua magia, qualcosa doveva pur significare. 
-Chi altri sa della maledizione? - Domandò ad Henry, mossa da una nuova possibilità di risvegliare Laya. 
-Beh sicuramente Regina, lei è la Evil Queen-
La ragazza fece una smorfia a quella descrizione della madre, nonostante fossero passati anni nel suo mondo c’era ancora chi la chiamava a quel modo, qualcuno che non credeva alla sua redenzione e al suo amore per la Salvatrice. Di certo non era semplice metter sulla bilancia tutte le azioni compiute dalla Evil Queen e quelle di Regina Mills, ma per lei erano storie. Qualcuna la toccava più da vicino, qualcuna le strisciava accanto senza far rumore.
-Che se ho ben capito è tua madre-
La curiosità di sapere come facesse quel nanerottolo ad avere le sue stesse madri la stava divorando dal primo giorno che era venuta a conoscenza. 
-Adottiva. Emma è la mia mamma biologica, ma mi ha dovuto abbandonare-
Si sentì sempre più vicina alla storia del bambino, anche per lei Emma era la madre biologica o meglio, era quella che aveva portato avanti la gravidanza. Regina però, non si era limitata ad adottarla e a darle il suo cognome. Avevano fatto ricorso ad un’inseminazione artificiale e con l’aiuto della magia aveva fatto in modo che prendesse anche i geni dell’altra donna. Di certo non poteva dire la stessa cosa per Henry.
-E tuo padre? -
-Non so nulla di lui-
Nel tono della sua voce non vi trovò dolore o rimpianto, ne parlò in modo estremamente tranquillo. Alexis, al contrario, fu pervasa dalla voglia di sapere cosa avesse fatto di diverso la Emma di quella dimensione. Entrambe avevano avuto una gravidanza ma che aveva portato a risultati diametralmente opposti. 
-Ti spiace se facciamo una sosta? - le chiese Henry.
Non si era nemmeno resa conto di star tenendo il passo del ragazzino e di aver dimenticato, anche se per un attimo, ciò che doveva fare. Lo vide entrare in una fumetteria e non riuscì a trattenere il sorriso che le spuntò sul viso. Da bambina andava spesso in quello stesso posto e sua nonna le comprava tutti i fumetti che desiderava. Il suo corpo reagì autonomamente a quel ricordo, spingendola a seguire Henry all’interno del negozio. Lo vide intento a scegliere cosa acquistare soppesando due albi che stringeva tra le mani, e capì il suo cruccio quando gli vide contare le monete che aveva tirato fuori da una tasca. Ancora una volta fu più forte di lei, gli si avvicinò e glieli sfilò dalle mano. 
-Ehi! -
-Te lì regalo io, nanerottolo. Basta che poi ti levi dai piedi, mi hai fatto perdere un mare di tempo-
-Grazie- sussurrò confuso.
Salutò con confidenza il ragazzo che era alla cassa, scambiandoci due chiacchiere e chiedendo informazioni circa nuovi arrivi. Era un giovane abbastanza alto e dai capelli castani che gli cadevano sulla forntre, Henry sembrava conoscerlo bene. Si salutarono e si apprestarono ad uscire dal negozio.
-E quello chi sarebbe? - chiese Alexis.
-Jonas, un mio amico. Vengo sempre qui per i fumetti, ho conosciuto anche la sua fidanzata. È bellissima-
-Non sei troppo nanerottolo per le ragazze? -
Quasi riuscì a sorridere e a trovare un piccolo pezzetto di divertimento in quel tornado di dolore che ormai non la lasciava da troppo tempo. Stavano tirando la maniglia della porta quando Henry le indicò con un dito una ragazza che camminava verso di loro. Alexis non ebbe bisogno di vedere dove stava indicando, la pelle all’altezza dello stomaco le aveva detto chi fosse iniziando a bruciare. Portò di scatto le dita intorno all’arpa e la sentì incandescente, solo allora riuscì ad alzare gli occhi. Il jeans leggermente largo la rendeva stranamente slanciata, la camicia a quadri legata in un nodo sul fianco destro le stava così bene. I capelli scuri e lucidi attorcigliati in una treccia furono una novità per lei, Laya aveva sempre odiato tenere i capelli raccolti se non quando lavorava. Lasciò per ultimi gli occhi, quei crateri oscuri e brillanti di fronte ai quali non era più in grado di respirare. Accanto a lei, il grosso cane bianco che aveva incontrato anche la volta precedente. 
-Eccola, è lei-
Henry le andò incontro salutandola affabile, mostrandole cosa avesse appena acquistato e ritornando nella sua direzione con la ragazza accanto. Sentì ogni parte di sé contorcersi in spasmi nervosi violenti e dolorosi, non riuscì ad evitare di portare una mano avanti alla bocca per cercare di reprimere un conato di vomito. I due le passarono avanti fortunatamente senza soffermarsi sulla sua persona e Alexis si soffermò a guardare la scena dall’esterno della vetrina. Lei si sporse verso di lui baciandolo a fior di labbra e riservandogli un sorriso dolce ed innocente. A quel punto, lo stomaco cedette. Si rifugiò in un viale lì accanto e lasciò che il suo corpo sfogasse nell’unico modo che aveva imparato per gestire tutto il suo dolore. Buttò fuori la rabbia, l’amarezza, la tristezza, il senso di sconfitta e impotenza. Dentro di se lasciò solo il vuoto che conviveva in lei da mesi ormai. 
-Alexis? Dove sei finita? -
La voce di Henry che chiamava il suo nome la costrinse a darsi un contegno. Si pulì la bocca con un fazzoletto, ingoiò un paio di mentine e tornò da lui. Il cuore le si fermò quando vide che lei era al suo fianco.
-Ah, eccoti! Volevo presentarti Hannah Dolls-
-Ci siamo già conosciute- sputò fuori stringendole la mano.
La scarica di energia e elettricità che la percorse bastò a risvegliare il suo buon senso dall’intorpedimento di poco prima. Vide quell’opportunità come qualcosa di buono e non come la tragica notizia che Laya avesse un fidanzato in quella dimensione. Perché quella, non era Laya bensì un fantoccio che aveva preso in prestito la sua bellissima faccia.
-Tu sei la tipa strana che mi ha scambiata per un’altra persona, giusto? -
Avrebbe voluto risponderle in modo giusto, dirle che non era pazza ma aveva tutte le buone ragione per chiamarla con il suo vero nome. Ma ne ricavò un semplice “si”.
-A tale proposito- aggiunse avvertendo il gelo che la sua mano sentiva senza le dita dell’altra tra le sue- vorrei poterti offrire un caffè. Per scusarmi-
Si guardarono per qualche secondo, Hannah stava decidendo se fosse il caso o meno di girare con una pazza. Ma alla fine accettò.
-Grande, andiamo al Granny’s? - Domandò Henry.
-Noi andiamo al Granny’s, nanerottolo. Tu tornatene a casa, non hai dei compiti da fare o roba simile? -
Il bambino avanzò diverse proteste, asserendo di aver giusto voglia di una cioccolata calda con doppia panna e una generosa dose di cannella, ma Alexis non era affatto ben propensa a portarselo dietro. Quella era la prima occasione da quando era atterrata in quel mondo assurdo in cui poteva finalmente riassaporare la vicinanza di Laya, anche se non proprio la sua persona. Da qualche parte doveva iniziare e la cosa migliore era cominciare a capire se lì dentro ci fosse effettivamente la sua Laya. Quell’idea le aveva trapanato la mente per tutta la giornata, che quello fosse un mondo completamente errato. Quella ragazza, Hannah, non aveva niente a che vedere con la persona che stava cercando. Eppure poteva sentire il cuore saltarle nel petto come un matto e sperare di passare più tempo possibile accanto a quella ragazza. 
-Va’ a fare i compiti, Henry. Ti prometto che la prossima volta prenderemo insieme una cioccolata-
Il suo tono di voce scivolò sul corpo e sull'anima si Alexis come olio, lasciandole attaccato addosso una sgradevole sensazione. Quella di vedere allontanarsi sempre più Laya in favore di Hannah. 
Il bambino accettò a malincuore e si diresse mogio verso la strada opposta alla loro. 
-Andiamo? - chiese poi Hannah.
La vicinanza di Laya, anche se in panni così lontani dai suoi, era una velenosa boccata d’aria. La guardava camminarle accanto con quel suo sorriso ingenuo e solare, il passo leggero e lo sguardo allegro. Aveva così poco della persona che aveva visto sparire in quel portale di sei mesi prima. Non poteva far a meno di sovrapporre le due persone ad ogni gesto, sguardo o parola. In quel momento, mentre teneva aperta la porta del Granny’s per far entrare Hannah, Laya le mancò da impazzire. Avrebbe solo voluto tirarla per la manica della sua camicia e baciarla con tutta la disperazione che sentiva crescerle dentro, perché quelle labbra le desiderava come un alcolizzato dopo una settimana di terapia desidera un goccio d’alcool. Starle accanto con la consapevolezza che non avrebbe potuto neppure sfiorarla, la logorava con lentezza e meticolosità. L’arpa ardeva sotto la maglia, scottandole la pelle e costringendola ad allontanarla dalla carne viva. Nonostante quella le sembrasse una certezza più che valida del fatto che quella fosse Laya, non voleva spiccare il volo senza esser certa di saper volare.
Si accomodarono all’ultimo tavolo della tavola calda, lo trovò malinconicamente ironico. Hannah prese posto dando le spalle alle porta d’ingresso, Alexis le si accomodò di fronte. Ruby fu al loro fianco in pochi secondi, nei suoi abiti succinti e l’aria annoiata. Il cane, ai piedi della padrona prese a ringhiarle sommessamente. Guardò con sguardo indagatore la ragazza che riteneva essere una straniera, mentre riservò un caloroso sorriso all’altra ringraziandola per le ottime verdure recapitatole nei giorni passati. Ignorò totalmente le minacce dell’animale. Poi si allontanò prendendo le ordinazioni, un caffè nero e un tè. Alexis fu abbastanza sorpresa da quella scelta ma preferì tenerselo per se.
-Allora, il tuo nome è Alexis giusto? -
Sentirlo pronunciare dalla sua voce ma da un tono che non le apparteneva sembrò pugnalarla per l’ennesima volta. Non riuscì a fidarsi della sua voce quindi si limitò ad annuirle.
-Sono curiosa, per chi mi avevi scambiata? -
-Una persona molto importante- si limitò a dire. 
Hannah rimase a guardarla per qualche secondo, non sapendo esattamente cosa dirle. Preferì lasciar cadere l’argomento.
-Non sei molto loquace, vero Alexis? -
-Non proprio e per favore, Lex andrà più che bene-
Aveva bisogno di sentire la sua voce pronunciare quel soprannome, le mancava troppo. Le mancava come sembrava accarezzare le lettere con la lingua e la malizia che l’accompagnava. 
-Scusami se te lo dico ma sembra proprio un nome da gatto- ridacchiò portando una mano avanti le labbra. 
Il cuore di Alexis parve fermarsi per qualche secondo, paralizzando tutto il resto del corpo. “Lex? Cosa sei, un cane?” Sentì nitidamente il colorito scappare via dalle sue guance.
-Tutto bene? Non volevo offenderti, è molto grazioso-
-Non è niente- 
Cercò all’interno della stanza qualcosa che potesse distrarla, qualcosa che potesse darle la forza di lasciare andare la collana che le ustionava le dita. Qualcosa che non fossero i suoi occhi scuri e magnetici. 
-Come mai Ruby ti ha ringraziata prima? -
Non aveva affatto riflettuto sulla domanda che le aveva appena posto, era stata la prima cosa che le era balzata in mente.
-La mia famiglia fornisce diversi commercianti, abbiamo una fattoria ai confini della città. Tu invece? Non ti ho mai vista a Storybrooke-
Respirare cominciò ad essere doloroso. Lei, che sapeva ogni singolo dettaglio della sua vita, le aveva chiesto una cosa del genere. Lo stomaco non resse quell’ultimo colpo, imponendole di concedergli almeno un minuto per dire la sua. Si scusò con l’altra e corse in bagno, necessitava di lasciar sfogare il suo corpo per l’ennesima volta in quella giornata. Quando si era infilata in quella situazione, decidendo di partire con meta l’ignoto, non aveva pensato a cosa avrebbe dovuto affrontare. Certo le faceva paura, ma si proteggeva con la sicurezza di ritrovare Laya in fondo a quel rovo di spine. Aveva valutato l’ipotesi di dover affrontare chissà chi e cosa, ma non avrebbe mai potuto pensare che il suo effettivo nemico sarebbe stata proprio lei. Sarebbero stati quei suoi occhi sporchi e intossicanti. Più cercava di rimuoverli dal suo cuore, o quanto meno accantonarli, più questi la tormentavamo. Si sciacquò il viso, ripulì la bocca e si impose di apparire normale. Lì dentro c’era Laya. 
Ritornò in sala con un sorriso accennato sul volto e la voglia di riuscire a star con lei senza l’impulso di abbracciare un wc.
-Ti chiedo scusa, Hannah-chiamarla a quel modo mise in seria difficoltà i suoi buoni propositi- devo aver mangiato qualcosa che mi ha fatto male a pranzo-
-Oh mi spiace. Vuoi tornare a casa? -
“Non sai quanto, Laya “
-E’ tutto ok. Mi dicevi di tuo padre e della vostra fattoria-
Le due si guardarono per qualche secondo, concentrandosi sulla salute di Alexis. 
-Si, gestiamo tutto noi. Prodotti, consegne, animali. Jaspers ci aiuta con gli ultimi, ogni tanto- spiegò grattando dietro le orecchie del suo cane.
-Deve essere bello, stare a contatto con la natura-
Sorrise, di un sorriso vero e sincero, qualcosa di Laya era venuto fuori riuscendo a darle un margine di tranquillità e spontaneità.
-Lo adoro, specie i miei animali-
-Immagino che pecore e galline siano grandi interlocutori-
L’altra scoppiò a ridere trascinandosi dietro un altro pezzetto di gioia della sua accompagnatrice. 
-Loro no, ma i cavalli ti sorprenderebbero. Sono animali estremamente intelligenti-
-Lo so, mia madre mi insegnò a cavalcare quando ero bambina-
I ricordi di Regina che le insegnava come sistemare la sella, come impugnare le redini e soprattutto essere in grado di comprendere le necessità del suo compagno, le riempirono la mente. Nonostante la severità della donna, erano state giornate meravigliose che ricordava con grande affetto.
-Fantastico! Allora devi passare alla fattoria, Maximus e Achille ti adoreranno-
-Mi piacerebbe molto-
I loro sguardi rimasero incatenati per diversi secondi, e per quanto Alexis ci provò con tutta sé stessa non riuscì a restare a galla. L’oscurità dei suoi occhi la rapì facendola prigioniera di un mondo di ricordi e di sentimenti che avrebbero dovuto restare lontani. La trascinarono in fondo a quel pozzo meraviglioso e protettivo, dove avrebbe voluto restare per sempre. Per la prima volta da sei mesi, si sentì a casa. Si sentì finalmente in pace e libera da ogni forma di dolore.
Ma poi il pozzo la rispedì nell’inferno in cui viveva. Hannah distolse lo sguardo, alla ricerca del suo cellulare che squillava segnalando l’arrivo di un messaggio. Alexis deglutì a fatica, lo sguardo felice e gioioso che era comparso negli occhi dell’altra le impediva di riuscire a tenere ancora un po’ per se la felicità di solo pochi attimi prima. 
-Scusami, devo andare. Jonas mi aspetta-
Non ci fu bisogno di specificare chi fosse, lo aveva già fatto Henry solo qualche minuto prima. In quel mondo, in quella maledizione, Jonas era il suo ragazzo. Avrebbe voluto dirle di non andare, di restare ancora qualche attimo lì con lei e lasciarle respirare quell’ossigeno pulito che le aveva concesso. Ma tutto ciò che le riuscì, fu di bloccarla mentre prendeva il portafogli dicendole che avrebbe offerto lei. Hannah inforcò la borsa, ringraziò e le ricordò di andare a trovarla alla fattoria per conoscere i suoi cavalli.
Alexis non poté fare altro che vederla correre via di schiena, pronta a gettarsi nelle braccia di qualcuno che non fosse lei. Fece appena in tempo a salutarla che negli occhi aveva già il ricordo di quello che era stato il suo primo appuntamento con Laya Agnès 
 
Aveva implorato Gideon di accompagnarla al Rabbit Hole per giorni, ma il ragazzo non aveva mai voluto saperne. Quel locale non gli piaceva e tantomeno fremeva all’idea di tornarci, se si aggiungeva al totale che l’unica volta che ci erano stati erano finiti in punizione, avrebbe fatto carte false per non tornarci. Ma Alexis sapeva essere incredibilmente snervante quando cercava di ottenere qualcosa, al pari di una bambina di pochi anni che smania per il suo gioco preferito. E in quel momento, portava il nome di Laya Agnès.
-E dai Gid, fallo per me. Ti prego-
Lo guardò con i suoi occhi verdi, lucidi e speranzosi, le mani a mo’ di preghiera di fronte il viso. 
-No-
-Ma ti sto pregando! -
Gideon sbuffò, per l’ennesima volta. La sua migliore amica si era presa una bella cotta per una ragazza che aveva visto giusto un paio di volte. Alexis era solo una ragazzina, non aveva idea in cosa si stesse infilando e lui si sentiva in dovere di starle accanto. Erano cresciuti insieme, si erano difesi dalle malelingue a scuola e avevano subito le stesse angherie. Lui, che si era preso una sbandata per l’altra a sedici anni, avrebbe fatto di tutto per difenderla. Conosceva poco Laya Agnès, si erano incrociati appena qualche volta nei corridoi del liceo. Era sempre stata una bellissima ragazza, aveva fatto girare la testa a molti ma non aveva mai sentito nulla sulla sua vita privata. Non aveva idea se fosse una brava persona o meno.
-Non è una buona idea, Lex. E se non ricordo male tu nemmeno ci puoi entrare lì, Leroy ti ha già graziata una volta-
Ma la ragazza non si scoraggiò minimamente, rispondendo a colpo secco ad ogni opposizione dell’amico.
-Se trovo un modo per entrare senza che Grumpy ci riconosca, mi accompagnerai? -
Questa volta la sua sicurezza vacillò, nonostante non provasse più quei sentimenti per la piccola Swan-Mills, non riusciva a dirle di no quando lo guardava a quel modo tanto intenso. Quindi accettò di accompagnarla, scuotendo la testa e sbuffando sonoramente. La ragazza gli saltò al collo, infischiandosene che tutta la tavola calda la guardò. 
-Grazie, grazie, grazie. Sei il migliore amico del mondo! -
Concordarono la loro uscita per quel venerdì sera, poi tornarono ognuno a casa propria.
 
Alexis non stava più nella pelle, nei giorni che precedettero il venerdì sembrava camminare su una nuvola. Più quella fatidica sera di avvicinava, più si sentiva una pila elettrica. Quando giunse finalmente, non riuscì ad evitare di farsi prendere dall’ansia di una qualsiasi sedicenne alla sua prima cotta. Mentre rovistava nell’armadio, alla ricerca di qualcosa di carino da indossare per far colpo, non era la magica figlia dei personaggi delle favole o l’erede di un regno di un mondo fatato, era solo Alexis. Gettò sul letto diverse ipotesi, da qualcosa di più elegante a jeans e scarpe da ginnastiche. Non riusciva a decidere cosa sarebbe stato meglio indossare, non sapeva nemmeno se l’avesse incontrata e se fosse di turno quella sera. Sospirò incrociando le braccia sotto il seno piccolo e maledicendo tutto quel nervosismo che provava. Tentò di calmarsi e cercare una soluzione come una persona matura. Indossò un jeans scuro con un maglione chiaro ma lo definì troppo “vecchio” per il nuovo Rabbit Hole; passò quindi a sostituire il maglione con una felpa ma si rese conto che era esattamente ciò che indossava tutti i giorni per la scuola; optò allora per un vestitino semplice, color corallo, stretto in vita e leggermente a campana. Niente fronzoli o abbellimenti vari. Si guardò allo specchio e decise che forse poteva anche andare, era elegante ma non troppo, quel tanto che bastava per un ipotetico incontro con la persona che le piaceva. 
-Lex, Gideon è di sotto- Annunciò sua madre picchiando alla porta e aprendola successivamente. 
Emma notò subito il disordine che regnava in camera della figlia, tanto diverso dal solito, ma non le sfuggì né che l’intero guardaroba fosse sul letto né cosa avesse indossato la ragazza. 
-Dove andate che ti sei messa tutta in tiro? -
Alexis arrossì di colpo, abbassando lo sguardo e concentrandosi sui suoi piedi ancora nudi.
-Solo... solo in giro-
La donna sorrise, riconoscendo nella figlia tutti i sintomi della sua ormai imminente crescita. Aveva chiaro che fosse una bugia e non aveva dovuto usare nemmeno il suo super potere. Rimase a fissarla mentre ravvivava i capelli avanti lo specchio e decideva se tenerli legati, sciolti o che altro. Si sentì in dovere di alzarsi dall’angolo di letto che era riuscita a procurarsi e prendere un paio di tronchetti neri dalla scarpiera.
-Che ne dici di questi? - domandò porgendoglieli. 
La ragazza lì indossò e si esaminò attentamente allo specchio, soddisfatta del risultato. Un sincero sorriso nacque sul suo viso.
-I capelli lasciali sciolti- suggerì ancora Emma per poi passarle un cappotto in panno scuro che copriva esattamente la lunghezza del vestito.
La osservò lisciarsi i vestiti addosso e guardarsi allo specchio per la milionesima volta.
-Come sto? - 
-Sei uno schianto, amore-
Alexis si voltò per l’ultima volta verso lo specchio chiedendosi se a Laya sarebbe piaciuta.
-Allora io vado-
-Lex? Lo conosco? -
La ragazza si immobilizzò sulla porta, non ci provò nemmeno a chiedersi come sua madre avesse capito che c’era qualcosa. Probabilmente aveva a che fare con il suo super potere. Arrossì violentemente, domandandosi fino a che punto avesse compreso.
-Ma che dici, mamma? -
Ad Emma non sfuggirono le goti arrossate di sua figlia, ma preferì non infierire più di tanto. Le regalò un sorriso sincero.
-Chiunque sia questa persona, ricordale che sei la figlia dello sceriffo-
Alexis non comprese il limite dello scherzare di Emma e preferì non saperlo. Le rivolse un ultimo sorriso, poi raggiunse l’amico al piano di sotto. Lo trovò a chiacchierare con Regina, le mani affondate nella tasca della giacca e il sorriso di chi si sente a suo agio. 
-Ehi, sei pronta finalmente-
Sua madre perse più di qualche secondo ad analizzare l’abbigliamento della figlia, sul suo viso un grosso punto interrogativo. Guardò Emma scendere le scale di casa e le pose silenziosamente la sua domanda, ma la moglie si limitò a scuotere il capo per farle capire che non era il momento.
-Noi andiamo-
-Non fare tardi, mezzanotte a casa. Mi raccomando-
-Si, mamma-
Stava lasciando un bacio sulla guancia della bruna quando vide l’altra madre farle un tre con le dita, e lei capì. Sarebbe potuta rincasare anche a mezzanotte e mezzo. Salutò ancora una volta e si incamminò verso il Rabbit Hole con il cuore che le martellava nel petto.
-Sei nervosa? -
-Non immagini quanto.  Non so nemmeno se ci sarà-
Gideon le diede una spallata amichevole dicendole che non aveva da preoccuparsi, sarebbe stato accanto a lei per tutta la sera. Vedeva chiaramente quanto tenesse ad incontrare quella ragazza.
-Stai molto bene, Lex-
-Grazie-
-Non mi hai ancora detto come conti di entrare senza farti vedere-
-Usando la magia, mi sembra ovvio-
Gideon aveva temuto quella risposta da quando gli aveva detto di aver trovato un modo per superare la sorveglianza di Leroy. Alexis aveva iniziato a sviluppare la magia poco meno di un anno prima, era una novellina in materia. Sapeva che Regina la stava istruendo al riguardo ma anche che non era per nulla pronta. Avanzò qualche protesta ma l’altra era così decisa che sapeva perfettamente non ci sarebbe stato nulla da fare. Alexis era una gran testa dura. Non le importava che sua madre l’avesse pregata di non utilizzare la magia con leggerezza e per futili motivi. Iniziò a sfregarsi le mani non appena le luci e il vociare del locale apparvero nel loro campo visivo e uditivo. Si avvicinarono di soppiatto alla porta, cercando di prendere Leroy di spalle. Il nano non si accorse di niente e Alexis fu libera di utilizzare il suo incantesimo; Grumpy cadde in uno stato di momentanea confusione e non si accorse dei due ragazzi che sgattaiolarono alle sue spalle. Liberi di entrare senza nessun tipo di problema corsero all’interno.
Il locale era pieno di gente, a stento riuscirono a passare tra i corpi e il terribile caldo che dominava l’area. Alexis cercò di allungare il collo verso il bancone, alla ricerca dell’unica ragione per la quale si era messa in tiro quella sera. Non le fu facile, la vista le era costantemente coperta ora da chi ordinava da bere ora da chi semplicemente le passava avanti. Fu quando un uomo andò via con una bottiglia di birra tra le mani che in quello spiraglio trovò la sua meta. Laya era lì, intenta a versare liquidi ambrati in un bicchiere con ghiaccio. Era avvolta in una camicia bianca a doppio petto arrotolata sui gomiti, papillon nero alla gola e capelli legati in una coda di cavallo alta. Quando le diede le spalle per prendere una bottiglia da una mensola più alta, vide il pantalone nero e stretto e il grembiule avvolto in vita dello stesso colore. Rimase a contemplarla per non seppe quantificare quanto tempo, osservò ogni suoi movimento che fosse servire un drink o stappare una bottiglia di birra. La trovò così bella da toglierle il fiato e questo bastò a darle la forza per avvicinarsi e prender posto allo sgabello del bancone più lontano, quello che si trovava all’angolo. Si accomodò senza rendersene conto e senza staccarle mai gli occhi di dosso, come se fosse un animale raro da studiare. Appuntò mentalmente il modo in cui ruotava su se stessa per prendere i giusti ingredienti da mettere nel bicchiere, il modo in cui estraeva i vari tipi di calici da sotto il bancone e li riempisse con attenzione, i sorrisi illegali che regalava a chi la ringraziava per il servizio, il meraviglioso profilo imperfetto. Di tanto in tanto leggeva qualcosa su un foglio alle sue spalle prima di procedere, ma lo faceva sempre con estrema sensualità. Il cuore le si fermò per un istante quando sul suo volto nacque un piccolo cipiglio nel leggere sempre lo stesso foglio, le mani occupate ad eliminare i residui di qualcosa a favore di uno strofinaccio bianco. Poi riprese la sua azione, con un fare ipnotico e magnetico. Cercò a lungo di entrare nelle grazie del suo sguardo per assaporare ancora gli occhi neri che l’avevano stregata entrambe le volte in cui era inciampata sul loro percorso, ma lei sembrava troppo indaffarata per accorgersi di quella ragazzina di sedici anni che la contemplava dalla penombra del bancone.
-Lex? Potresti tornare sulla terra e levarti quella faccia da ebete? –
Le parole di Gideon arrivarono così soffuse alle sue orecchie, che fu convinta di averle immaginate. Offuscate e lontane come un sogno non troppo vivido per esser preso in considerazione.
-Testa di rapa, mi senti? –
Ciò che non poté però ignorare, fu la sua mano che le sventolava avanti la faccia interrompendo quel momento onirico che stava vivendo.
-Che c’è? –chiese con voce impastata dalla confusione dell’attimo prima.
-Ti sei incantata! Stai lì seduta a fissarla da un pezzo, fa qualcosa-
-Qualcosa… si… tipo? –
Gideon si passò una mano sulla faccia, già esasperato da quella situazione in cui non voleva nemmeno entrarci. Cercò di attirare la sua attenzione, che si stava già riperdendo nei movimenti della barista, voltandole il capo con una mano e guardandola negli occhi.
-Ordina da bere, va a parlarle, salutala ma fa’ qualcosa! Non puoi startene qui ferma a contemplarla, non è mica un’opera d’arte-
Vide l’amica arrossire di colpo e si rese conto che dopotutto, era ancora solo una ragazzina. Certo, non che lui fosse chissà quale uomo vissuto ma quei due anni in più iniziarono a farsi sentire.
-Preferisco restare qui-
Il suo tono di voce era stato appena un soffio strozzato dal suo imbarazzo, gli occhi le si piantarono sulle ginocchia. Quando riuscì finalmente a risollevarli, incontrò quelli scuri e carichi di Laya. Le sorrise, spavalda, prima di servire un cliente. Il cuore di Alexis prese a battere più velocemente, in preda al panico per quella semplice occhiata. Ancora una volta si incantò, persa nei suoi movimenti. Gideon le diceva qualcosa ma lei non lo ascoltava, ogni senso, muscolo o fibra, erano attirati da Laya. Adesso che l’aveva notata non perdeva occasione di lanciarle uno sguardo ammiccante ogni volta che poteva, ogni volta che un cliente non richiedesse la sua attenzione. E Alexis l’aspettava, trepidante di vedere il suo capo voltarsi nella sua direzione ma restando ostinatamente fermo dov’era.
-Ok, ti sei umiliata abbastanza. Andiamo a ballare-
Non riuscì ad evitare la stretta che la trascinò al centro del locale, dove era stata adibita una sorta di pista da ballo.
-Gid lasciami, per favore-
-Non puoi startene tutta la serata lì ad elemosinare, se proprio devi farti notare da Agnès almeno fallo per bene-
La posizionò in modo tale che il suo corpo fosse direttamente di fronte il bancone, da quella posizione, a meno che non ci fosse stata una gran folla che richiedesse da bere, l’avrebbe sicuramente vista.
-Adesso non fare la scema, muoviti! –
Alexis si chiese quando esattamente Gideon avesse iniziato a ballare qualcosa che non fossero i valzer che gli aveva insegnato sua madre, ma fu costretta ad ammettere che si muoveva molto meglio di lei. Si sentiva in imbarazzo, come un corpo estraneo in un meccanismo perfetto che non conosceva. Cercò di fare del suo meglio, seguendo il tempo che le dava Gideon. Pian piano iniziò a sciogliersi, a divertirsi anche con il grande aiuto che il suo migliore amico le stava dando. Prese a muoversi con lui, a girare e saltellare ridendo come una bambina. Per qualche minuto, dimenticò persino la ragione per la quale erano finiti a ballare della musica che nemmeno gli piaceva in un locale che non volevano frequentare. Si distrasse al punto tale, che non si rese conto dello sguardo scuro che aveva puntato addosso. Non si accorse che da quando aveva lasciato il suo posto, Laya Agnès non le aveva staccato gli occhi di dosso.
Quando tornò al suo sgabello, era sudata e stanca, ma si era divertita parecchio e aveva scaricato un po’ del nervosismo che le attanagliava lo stomaco.
-Ti odio, Gid- disse all’amico con il fiatone e un enorme sorriso sul volto.
-Ma se ho evitato di farti fare la figura dell’idiota! –
Scoppiarono entrambi a ridere, sostenendosi l’un l’altra. Alexis lanciò un solo sguardo veloce a Laya, lieta di vedersi ricambiare subito. La ragazza le regalò un sorriso divertito che fece vibrare ogni corda del suo cuore. La vide guardarsi attorno e una volta accertatasi che non vi fosse alcun cliente da servire, si mosse verso di lei. Non se ne rese nemmeno conto ma più Laya avanzava, più le sue unghie si conficcavano nell’avambraccio di Gideon.
-Resta calma e non fare la stupida- le sussurrò l’amico.
Quando fu finalmente vicina, Alexis poté tuffarsi in quegli occhi che aveva cercato per tutta la sera.
-Ciao, principessina- salutò.
Non riuscì a nascondere il disappunto per quel nomignolo, nonostante lo avrebbe voluto davvero.
-Gold, posso portarti qualcosa? Offre la casa-
-No grazie, Agnès. Sto bene così-
Il sorriso del ragazzo risultò finto e tirato, quello di Laya fin troppo a suo agio. Tornò a prestare la sua piena attenzione alla ragazza di fronte a sé. 
-A che ora hai il coprifuoco? -
 Non seppe esattamente perché ma arrossì di fronte a quell’attenzione e per un attimo non seppe cosa risponderle. Le risultò spontaneo guardare l’orologio.
-Io... non lo ho- rispose.
Gideon quasi si strozzò con la sua stessa saliva meritandosi un calcio su uno stinco da parte dell’amica. 
-Ottimo! Allora se aspetti che stacco, ti offro qualcosa da bere-
Il sorriso ammiccante che le riservò, abbatté ogni forma di dubbio nell’altra. Non c’era scelta, una sola era la risposta da darle. Non avrebbe negato nulla a quei pozzi neri e brillanti.
-Certo-
Avrebbe aggiunto qualcos’altro ma Sean al bancone richiedeva la sua attenzione. Alexis cercò di non farsi riconoscere nascondendosi dietro la schiena di Gideon. 
-Sei veramente un’idiota! - l’accusò il ragazzo.
La rimproverò per quanto appena accaduto, ricordandole che sarebbe dovuta essere a casa massimo tra un’ora e mezzo e che Laya non si era dilungata a darle un orario preciso.
-Dai Gid, sono arrivata fino a questo punto non posso lasciar perdere ora! -
-L’hai vista solo due volte, Lex! Non rischio grosso per questo-
Alexis mise su un broncio che Gideon non vedeva da almeno cinque anni sul viso dell’amica, quel broncio di chi sa di aver giocato ormai tutte le carte.
-Tienimi compagnia almeno fino a quando non avrà finito di lavorare, ti prego-
Il ragazzo sbuffò sonoramente, affatto felice della piega che quella storia stava prendendo. 
-È follia, Lex-
-Ti giuro che è l’ultima volta che ti metto nei casini-
Erano così intenti a parlare che non si accorsero di un bicchiere che scivolava sul bancone. Attirò la loro attenzione solo quando sfiorò il braccio di Alexis. Lo guardò confusa per un solo istante, poi diresse lo sguardo verso Laya e la trovò a sorriderle. Con un cenno del capo la incitò a berne il contenuto.
-Non dovresti bere-
Ma Alexis non lo stette minimamente a sentire, avvicinò il bicchiere alle labbra e non poté che sorridere quando ne comprese il contenuto.
-È solo acqua, Gid. Solo acqua naturale-
Rivolse all’altra uno sguardo pieno di gioia, la stava decisamente prendendo per i fondelli ma non si era mai sentita tanto felice. Laya ricambiò con un occhiolino, poi tornò a dedicarsi ai suoi clienti. 
-Devo aspettarla, non posso fare altro-
 
Le strade di Storybrooke erano semi deserte, un po’ per l’ora tarda un po’ per il primo freddo che iniziava a gelare la città. L’orologio sulla biblioteca segnava le dieci e quarantacinque. Alexis aveva passato l’intero pomeriggio a passeggiare per il bosco, percorrendo diverse volte il Troll Bridge. Aveva avuto bisogno di schiarirsi le idee e riprendere, anche se solo per un secondo, contatto con se stessa e con le sue emozioni. Era stata una giornata particolarmente dolorosa, aveva toccato con mano quando Laya fosse lontana e quanto difficile sarebbe stato riportarla a casa. Era sepolta da qualche parte in una contadina felicemente fidanzata con un venditore di fumetti. Vederli baciare era stato un colpo fin troppo duro da incassare. Aveva sentito il bisogno di allontanarsi da tutto, di respirare aria che sapesse solo di Laya. Si era fermata sotto un albero, lo stesso vicino al quale era atterrata e aveva lasciato che la sua mente la ferisse e la torturasse ricordandole il primo appuntamento con lei. Ricordandole di quanto fosse bella con la divisa da barista e come le piaceva restare a fissarla, seduta su quello stesso sgabello della prima volta. Alle volte non faceva nulla di diverso; andava al Rabbit Hole, prendeva posto e la guardava lavorare. Quello le bastava. Continuava a pensarci mentre percorreva la via principale per tornare al Granny’s. Aveva solo voglia di una doccia bollente e di cercare di riposare. Era quasi arrivata, le mancavano pochi metri ma la collana prese a bruciare. Non appena avvertì quel forte calore, quasi le venne da vomitare. Era troppo distrutta per poter incontrare ancora Hannah e fingere che fossero due perfette sconosciute. Cercò in se stessa la forza di non guardarsi intorno, di non cercarla e far finta che l’arpa non avesse mai preso a brillare. La sua mente gridava “scappa, il più lontano possibile”, ma il suo cuore moriva dalla voglia di perseverare in quella meravigliosa tortura. Per cui la cercò, in ogni persona nelle vicinanze, in ogni odore portato dal vento, finché non la vide. Abbracciata stretta a Jonas, chiacchierava amabilmente con lui, gli sorrideva e lo guardava con sguardo colmo d’amore. Si fermarono per un secondo, lui le prese il viso tra le mani e la baciò con trasporto. 
Alexis si sentì scaraventata in un tunnel di dolore dal quale credette di non riuscire più a uscire. Non riuscì ad evitare alle lacrime di correre veloci e aggressive, allo stomaco di tornare a sconvolgerla. Corse via, lontana da Hannah e dalla sua stramaledetta falsa vita che aveva rubato a Laya. 
Corse senza voler sapere dove stava andando, infondo qualcosa dentro di certo la stava guidando. 
Corse a perdifiato lasciandosi alle spalle una quantità di lacrime che non pensava avesse ancora conservato, certa di averle ormai usate tutte in quei sei mesi senza di lei. 
Corse finché il suo cuore non riconobbe un posto che avrebbe distrutto gli ultimi barlumi di resistenza, che avrebbe dato libero sfogo all’esercito capitanato dalla sofferenza e dal dolore. 
Senza pensarci andò ad accomodarsi allo sgabello del bancone più lontano, quello che si trovava all’angolo. Lontana da tutti e con una perfetta visuale di tutto il bancone, anche se Laya non c’era. Non le avrebbe offerto da bere la solita acqua naturale, al suo posto un uomo grosso e rozzo le chiese cosa volesse.
-Tequila-
Attese che il bicchierino pieno comparisse nel suo campo visivo poi lo mandò giù ad occhi chiusi. Aveva sempre odiato la tequila, il sapore le dava il voltastomaco ma le ricordava Laya. Gliela ricordava più di ogni altra cosa in quel momento. 
Ne mandò giù un secondo, ma Laya era sempre lì nella sua testa.
Un terzo, e Laya era lì, al bancone a sorriderle ammiccante.
Un quarto, Laya non andava via continuando a torturarla. 
Un quinto, Laya non era lì a chiederle l’età anche se ora avrebbe potuto risponderle che ne avrebbe compiuti venti a breve e non sarebbe stata una bugia.
Un sesto, Laya si era impossessata della sua mente.
Laya pretendeva che lei rivivesse come era finita quella serata.
Laya desiderava torturarla e Alexis glielo avrebbe permesso, finché avesse voluto, avrebbe lasciato che le facesse tutto il male che voleva.
Tutto pur di tornare per un solo istante da lei.
 
Aveva atteso la fine del turno di Laya per circa due ore e mezzo, restando sempre ferma al suo posto senza mai abbandonare la sua figura. Gideon le parlava, le raccontava qualcosa ma non lo sentiva, la sua mente era troppo occupata ad ammirare la barista servire clienti ed ammiccare in loro direzione. Di tanto in tanto gettava uno sguardo anche a lei, facendole l’occhiolino. Ed ogni volta Alexis arrossiva, incapace di evitarlo. Si sentiva una ragazzina, una stupida, ma non fece nulla per evitarlo. Laya le trasmetteva, con un singolo sguardo, emozioni e sensazioni che non aveva mai provato prima di allora. La rendeva insicura e fragile, incerta su ogni singolo passo che compiva. Stringeva ancora tra le mani il bicchiere che aveva fatto scivolare lungo il bancone. L’acqua era divenuta ormai calda, il ghiaccio si era sciolto, ma non voleva lasciarlo. Forse si stava comportando da stupida ma in un certo senso sentiva il desiderio di riconsegnarlo direttamente nelle sue mani. Quelle stesse mani che avevano versato drink e stappato bottiglie per tutta la sera. Ora, erano rimasti solo una manciata di ragazzi a buttar giù gli ultimi cicchetti.
-Ti rendi conto di che ore sono? - le ringhiò Gideon in un orecchio.
Guardò l’orologio e solo in quel momento sembrò rendersi conto di quanto tardi fosse. Le lancette segnavano l’una e quarantacinque, era in ritardo di troppo ma non se ne preoccupò.
-Ormai sono in ritardo, Gid. Tanto vale prendere il meglio da questa situazione-
-Il meglio? Le tue madri ti ammazzano! Ci ammazzano! -
La ragazza alzò gli occhi al cielo, sfinita dalle polemiche di Gideon. 
-Facciamo una cosa, non appena avrà finito di lavorare puoi tornare a casa. Ci stai? -
-Non è una proposta ma un modo carino per farmi levare di torno-
Alexis sbuffò, non capiva perché doveva essere così pesante. Rischiava quasi di battere Leo.
-Abbiamo un accordo? - chiese tendendogli la mano.
Gideon non riuscì ad evitare di sorridere alle parole utilizzate dall’amica, ci sapeva senza alcun dubbio fare.
Quando anche l’ultimo cliente lasciò il locale, Laya si diresse verso di lei. Aveva il viso stanco ma il sorriso spavaldo sempre presente. Si slacciò il papillon mentre camminava, un po’ impacciata nel cercare di capire come farlo.
-Sei stata lì tutta la sera? –le chiese ridendo e con ancora le mani occupate.
-Non avevo niente di meglio da fare-
Mentì spudoratamente, la verità era che non aveva trovato nulla che fosse più interessante delle sue dita avvolte attorno ad una bottiglia. Cercò con tutta se stessa di non arrossire, per dar maggior forza a quella balla ma non vi riuscì. Si sentiva nuda di fronte a lei.
-Ah no, principessina? –
Alexis si trovò in uno stato di imbarazzo estremamente evidente, tanto da tirare un calcio a Gideon per darle una mano. Il ragazzo, che fino a quel momento era rimasto in silenzio al fianco dell’amica, si intromise chiedendo a Laya se si fosse trovata a suo agio in quel lavoro e come lo avesse avuto. Cercò di mantenere una conversazione il più vicina possibile al normale e l’altra glielo permetteva, rispondeva con sicurezza alle sue domande ma non staccava gli occhi dal suo punto di interesse.
-Resti a bere qualcosa, Gold? Pensavo di offrire un drink alla principessina-
-La smetti di chiamarmi a quel modo? Lo detesto! –
Laya la guardò con le sopracciglia alzate e una gran faccia da schiaffi.
-Se proprio ti fa infervorare così tanto, la smetto. Peccato però, a me piace più di Lex-
Forse Alexis non se era accorta ma a Gideon non sfuggì quel modo di fare da rimorchiatrice, la barista non faceva nulla per nasconderlo e a lui dava anche un po’ fastidio. Ma aveva un accordo con l’amica, per cui la guardò ponendole silenziosamente la domanda che sapeva l’altra avrebbe compreso. Lei gli rimandò l’occhiata e poi annuì con un sorriso. Dunque, prese la sua giacca, diede un bacio sulla guancia ad Alexis e salutò Laya nel modo più naturale che trovò.
-Sta attenta- sussurrò all’orecchio dell’amica.
Le due ragazze lo osservarono allontanarsi, non proferendo parola fino a quando non lo videro sparire oltre la porta. Ora che la musica era stata spenta poteva distintamente sentire il battito del suo cuore in quel rinnovato silenzio.
-Che cosa bevi? –
Laya tornò al suo posto, aveva ormai smesso di lottare contro il papillon che ora le cadeva inerme ai lati del collo. Aveva sbottonato i primi bottoni della camicia esternando la pelle abbronzata e sudata. Alexis la seguì facendo il giro del bancone e risedendosi di fronte a lei.
-Non sono una grande esperta, quindi fa tu-
Provò a sembrare in parte adulta, non ammettendo completamente che non aveva mia ingerito niente di diverso dalla birra, rare volte, e qualche sorso di vino durante le feste. Ma Laya sembrava scrutarla e leggere al suo interno ogni cosa le passasse per la mente. La osservò prendere due bicchieri piccoli, da cicchetto, e versare all’interno di entrambi del liquido trasparente. Ne prese uno e lo alzò attendendo che l’altra facesse scontrare il suo. Quando Alexis lo fece, gettò giù tutto d’un fiato il contenuto. La più piccola la imitò facendo lo stesso ma se ne pentì all’istante. Il suo viso si contorse in un’espressione che fece scoppiare a ridere la barista, costringendola ad asciugarsi gli occhi dopo diversi secondi di riso incondizionato.
-Ma che roba è? Fa proprio schifo! -
-Tequila- spiegò in breve, poi le si avvicinò portandole una ciocca di capelli castani dietro l’orecchio sinistro- E’ un liquore troppo plebeo per te? –
Alexis arrossì fino alla punta delle orecchie, incapace di sostenere quello sguardo profondo e oscuro. Ma a Laya non andava bene metterla solo in imbarazzo, voleva di più da lei. Le prese il mento tra le dita e la costrinse a cadere ancora nei suoi pozzi, ad inghiottire quel verde tanto limpido con la sua ombra. E Alexis lo fece, si perse in quella notte senza stelle a lungo e senza riuscire a ricordarsi come si respirava. La pelle sotto il suo tocco ardeva in un perfetto contrasto con la punta delle sue dita gelide.
-Signorina, siamo chiusi-
Una voce alle loro spalle irruppe nel loro piccolo idillio, spezzando la maledizione degli occhi di Laya. Alexis batté più volte le ciglia, riprendendosi da quel viaggio assurdo e senza meta.
-E’ una mia amica, capo. Va’ pure a casa, chiudo io- rispose la barista non risentendo affatto di quello stacco improvviso.
-So perfettamente chi sia, Agnès- protestò l’uomo.
Alexis non aveva il coraggio di voltarsi, sentiva il viso andare a fuoco ma obbligò se stessa a far qualcosa.
-Potrebbe fingere di non avermi vista, per favore? –
Analizzò il viso dell’uomo, che era certa di aver già visto ma non ricordava dove, rivolgendogli il miglior sguardo da cucciolo che aveva in repertorio.
-Dai Fred, ti dovrò un piacere-
-Me lo dovrai eccome, Agnès. Se succede qualcosa alla principessina Swan-Mills possiamo dimenticarci il posto di lavoro, quindi vedi di non far casini. Intesi? –
Laya annuì mentre prendeva al volo le chiavi lanciatele da Fred, ringraziandolo e ricoprendolo di parole gentili che accompagnarono la sua uscita dal locale. Poi rimasero nuovamente sole.
-Sei proprio un pezzo pregiato. Ti trattano sempre tutti con i guanti bianchi? –
Le riservò l’ennesimo sorriso mozzafiato, di quelli che mandavano il cuore per l’aria senza troppe spiegazioni.
-Non mi trattano con i guanti bianchi, pensano solo che sia una specie di chiave per il paradiso-
In molti la trattavano con riguardo e riverenza solo perché era la figlia del sindaco e dello sceriffo, non curandosi di cosa avesse realmente da offrire. Nonostante le sue madri, Regina in particolare, desiderassero essere trattate come due comunissime cittadine di Storybrooke, questo accadeva molto raramente e lei era la vittima preferita.
-Ed è una cosa negativa? – domandò Laya riempiendo entrambi i bicchieri.
-Non lo so, vorrei solo che mi si vedesse come una qualunque sedicenne e non come la figlia e la nipote di gente importate - ci tenne a virgolettare con le dita l’ultima parola- E’ per questo che odio quel nomignolo, principessina. Non sono principessa di un bel niente-
Laya vide la sbiadita scintilla di tristezza che attraversò i suoi occhi, rapida come una stella cadente. Allungò il bicchierino nella sua direzione, stringendo già il suo in mano.
-Allora flirterò con te come se fossi una semplice ragazzina, offrendoti da bere roba che non ti piace. Che ne dici, Lex? - 
Alexis le sorrise felice, ringraziandola silenziosamente per aver smesso di chiamarla in quel modo orribile. Prese il suo cicchetto e lo fece scontrare con quello dell’altra ragazza, mandò giù il contenuto e ripropose quella faccia disgustata di poco prima.
-Perché continui a berlo se non ti piace? – le domandò Laya ridendo.
Rispose facendo spallucce e versandone ancora in ambedue i bicchieri, ma l’altra la fermò tirandole via la bottiglia dalle mani e bevendo rapida entrambe le dosi.
-Ma che fai? –
-Sarebbe estremamente stupido da parte mia farti bere stasera, quindi direi che per te va bene così. Al massimo ti concedo una coca-cola-
-E cosa te ne importerebbe? –
Laya si avvicinò, così vicina da poter sentire l’odore della tequila provenire dalle sue labbra.
-Se faccio una brutta impressione non potrò invitarti a cena, non trovi? –
 
  
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