«Troppa farina! Ho messo troppa farina!»
Evangeline imprecò sonoramente mentre aggiungeva latte
all’impasto color cioccolato che stava amalgamando in un’ampia terrina. Peter,
a sedere su una delle sedie al tavolo della cucina, la osservava rimediare al proprio
errore, vedendo il dolce composto diventare sempre più voluminoso.
«Avremo muffin per settimane» disse divertito,
sorridendo in direzione della nuova coinquilina.
«Ve ne rifilerò parecchi da portare a lavoro» replicò
la ragazza. «E a chiunque vogliate. Vedrete quanti ne usciranno, avremo la casa
piena.»
L’illustratore continuò a guardarla divertito,
prendendo qualche spunto mentale per “prestare” a qualcuno dei suoi personaggi
il modo in cui Evangeline aggrottava le sopracciglia mentre era nervosa. In
poco più di una settimana Peter aveva capito che quella ragazza le piaceva
proprio. Non si faceva alcun problema a convivere con due uomini, sapeva tenere
una conversazione a livelli di interesse alto ed era piuttosto diretta nel dire
le cose, caratteristica che la rendeva ancora più apprezzabile agli occhi del
ragazzo. Inoltre avevano gusti musicali molto simili, cosa che le donava altri
punti extra. Anche se inizialmente cambiare casa gli era sembrato più che altro
un modo di scappare da Iris, ora che si era sistemato aveva capito che, invece,
l’idea era stata ottima. Avvicinandosi al centro città impegnava molto meno
tempo per andare a lavorare allo studio e vivere in tre sotto lo stesso tetto era
molto più semplice che in quattro. Poi, per sua fortuna, la terza inquilina era
Evangeline – che aveva anche il buon gusto di bussare alla porta prima di
entrare.
«Dammi una mano con questi, per favore» gli disse a un
tratto lei, indicando con un cenno i piccoli contenitori di carta colorata per
i muffin. Peter obbedì, divertito. Si alzò dal suo posto e raggiunse la
coinquilina, aiutandola a versare l’impasto profumato in quelle piccole
porzioni, dando vita a un piccolo esercito di muffin al cioccolato.
Quando la prima infornata fu pronta e la seconda era
in forno, Peter e Evangeline erano seduti ai lati opposti del tavolo della
cucina, a portare avanti una conversazione sulle allergie – conversazione che
Peter non aveva capito ancora bene da dove fosse spuntata. Mentre la
ragazza era nel mezzo di un aneddoto che vedeva coinvolto il padre e un paio di
gatti – e che incuriosiva parecchio l’illustratore – il campanello di casa
suonò. Fu un trillo breve, quasi indeciso, al punto che i due inquilini si
guardarono per essere certi di averlo sentito veramente.
«Aspetti qualcuno?» domandò Peter.
Evangeline scosse la testa. «Forse Damian si è
dimenticato a casa le chiavi» ipotizzò.
Il ragazzo fece spallucce e si alzò per andare all’ingresso.
Aprì la porta convinto di trovarsi davanti Damian, come Evangeline aveva suggerito,
ma si sbagliava.
«Audrey» mormorò, sorpreso alla vista della pianista.
Mai avrebbe sospettato di trovarsela lì, non annunciata alla porta di casa sua. La
ragazza aveva le braccia incrociate al petto e sembrava imbarazzata, il tessuto
leggero della blusa smosso dal lieve vento. Fece scorrere le dita sulla treccia
che le ricadeva sulla spalla sinistra prima di decidersi a parlare. «Mi
dispiace piombare qui così, senza preavviso.»
Peter avrebbe voluto dirle che la sua era l’improvvisata
migliore che potesse desiderare, ma si limitò a sorridere rispondendo: «Beh,
nessun problema. Tanto è sabato pomeriggio e non ho molto da fare.»
«Chi è?» La voce di Evangeline raggiunse il ragazzo
dalla cucina.
«È Audrey» rispose lui.
«Così non mi aiuti.»
«Una mia amica» tagliò corto Peter, davanti a Audrey,
che continuava a guardarlo.
«Chiedile se vuole dei muffin» tentò ancora
Evangeline.
L’illustratore scoppiò a ridere a quelle parole,
mentre le pianista ancora non sapeva bene cosa stava accadendo.
«Vuoi dei muffin?» domandò Peter infine, sorridente. «Ne
abbiamo un piccolo esercito.»
«Oh, ehm, direi di essere a posto, grazie» rispose
lei, che ancora non aveva capito l’esatta dinamica della cosa. La situazione,
però, cominciava ad agitarla. Quando aveva deciso di raggiungere casa di Peter –
sebbene non aveva idea di dove abitasse prima di quel momento – aveva seguito
un impulso e aveva fatto il possibile per ignorare le possibili conseguenze e
smettere di preoccuparsi e fino a poco prima c’era anche riuscita. Solo davanti
agli occhi bruni di Peter si era bloccata e il fatto di essere ancora lì,
davanti a lui a guardarlo, non la faceva affatto sentire tranquilla. Cominciò a
sospettare che non sarebbe affatto riuscita a dirgli ciò che aveva deciso, ma
ormai che c’era valeva la pensa farglielo sapere.
Se solo il ragazzo non fosse stato concentrato sull’azzurro
degli occhi della pianista, avrebbe potuto vederla tormentarsi le mani in grembo
mentre prendeva fiato per dirgli: «Ti va di fare due chiacchiere?»
L’illustratore venne colto di sorpresa alla domanda,
ma non poté negare di esserne stupito in senso positivo. «Certo» disse
poi, sfoderando uno dei suoi sorrisi più sinceri. «Vuoi entrare?»
«N-non mi va di disturbare. È una bella giornata oggi,
potremmo andare a fare due passi. O sederci al parco qui di fronte» propose
Audrey dopo una lieve incertezza.
Peter capì che, forse, la ragazza voleva dirgli
qualcosa di personale e non voleva che Evangeline la sentisse. Un’idea gli
balenò in mente, ma la cacciò via dicendosi di non farsi illusioni. Stava per
acconsentire alla proposta di Audrey quando gli venne in mente una cosa. «Va
bene, volentieri» acconsentì. «Solo, puoi aspettare un momento, devo prendere
una cosa.»
La ragazza gli diede il via libera e lui scomparve in
casa, riaffiorandovi qualche minuto dopo con una borsa di stoffa fra le mani. «Possiamo
andare» disse, facendo cenno a Audrey di incamminarsi. Salutò la coinquilina
con un urlo e si incamminò insieme alla pianista verso il parco, che
raggiunsero attraversando semplicemente la strada. Quando si
sistemarono su una panchina, Peter moriva dalla curiosità di sapere perché la
ragazza era venuto a cercarlo e, soprattutto, per quale motivo apparisse tanto
tesa. Non aveva ancora detto una sola parola da quando si erano allontanati da
casa, se non un semplice ringraziamento quando lui l’aveva fatta passare per
prima all’ingresso del giardino. Doveva esserle successo qualcosa e,
probabilmente, era in cerca di conforto da parte di un amico.
«Come stai?» gli chiese lei di punto un bianco, quasi
a spezzare l’atmosfera.
«Sto bene» rispose lui, colto alla sprovvista dalla
domanda. «E tu? Sei più silenziosa del solito» osservò con un sorriso. Non
sapeva se la sua mossa fosse stata una buona idea, magari Audrey era giù di
morale per qualcosa di cui non voleva parlare, fatto sta che vederla in quello
stato gli provocava un forte dispiacere.
«Lo sono, eh?» disse lei, sforzandosi di sorridere.
«No, no, non fraintendere. Mi piace parlare con te»
tentò, ma si bloccò appena Audrey si voltò a guardarlo. Che stava succedendo?
Peter non riuscì a resistere a lungo a quegli occhi e posò lo sguardo sulla
borsa di stoffa che aveva con sé. La pianista non sembrava intenzionata a
parlare di cosa la faceva stare male, o forse era necessario che le prime
parole a riguardo provenissero da lei; in ogni caso incalzarla non era la
tattica giusta, Peter lo capì piuttosto in fretta. Toccava a lui fare qualcosa
e gli venne in mente una sola idea.
«Volevo farti vedere una cosa.»
Estrasse dalla borsa un libro dalla copertina rigida, nera
e bianca. Il titolo, scritto con un font che sembrava la calligrafia di
qualcuno era: In Tempo. Peter lo
allungò a Audrey e a lei bastò vedere i disegni sulla copertina per capire
subito di cosa si trattava.
«È il tuo libro?» domandò all’illustratore, anche se
si trattava più che altro di una domanda retorica, visto che aveva riconosciuto
lo stile del ragazzo. La pianista cominciò a sfogliare il volume una pagina
alla volta, prestando particolare attenzione ai disegni. Li trovò splendidi, di
una finezza unica. Le piaceva molto lo stile di Peter e non solo perché si
trattava di lui, trovava davvero che avesse un grande talento, che fosse in
grado di prendere anche le scene all’apparenza più semplici e trasformarle in
qualcosa di unico, di sospeso. Ogni immagine di quel libro le sembrava
perfetta, dai personaggi agli sfondi, fino ai dettagli.
Il ragazzo, intanto, continuava a osservare il profilo
elegante di Audrey mentre lei sfogliava piano le pagine; sorrideva ed era
incantevole. Tuttavia sapeva in anticipo che ci sarebbe stato un momento in cui
la sua espressione sarebbe mutata e, quando lei voltò la pagina in questione,
il sospetto di Peter divenne reale.
La pianista osservò la figura femminile della storia,
appena comparsa nel racconto. Ne guardò i capelli chiari, acconciati sulla
testa, l’abito rosso dall’ampia gonna, le braccia sottili e le mani dalle dita
così affusolate che si domandò come avesse fatto il ragazzo a fare tratti così
fini con un pennello. Sollevò lo sguardo su Peter senza dire nulla, sorpresa, e
lo trovò già intento a osservarla, sorridente ma lievemente imbarazzato.
«Indovina a chi mi sono ispirato» le disse, cercando
di apparire disinvolto.
«Mi prendi in giro?» chiese Audrey, il tono di chi non
può credere a quello che gli stanno dicendo. Non era arrabbiata, affatto e per
Peter era un ottimo segnale.
«L’ho disegnata dopo uno dei nostri primi incontri.
Volevo fosse una figura elegante, aggraziata. Mi hai dato l’ispirazione che mi
serviva» continuò. Cominciava a sentirsi piuttosto in imbarazzo a raccontare
tutto ciò a Audrey, ma dal modo in cui lei lo guardava capì che poteva farlo
tranquillamente: aveva gradito quella sorpresa, i suoi occhi non
mentivano.
La pianista tornò a dedicare la propria attenzione ai
disegni, ancora piacevolmente sorpresa nel vedere quella piccola e delicata
figura che le assomigliava così tanto. «Io... non so cosa dire.»
«Non devi dire per forza qualcosa. Spero solo che
questa cosa non ti metta troppo in imbarazzo. O che non ti abbia infastidita»
disse lui, stringendosi nelle spalle.
«No di certo, fidati» rispose Audrey, lasciandosi
andare a una risata. «So di avertelo detto milioni di volte, ma sei
davvero bravo.»
«Ti ringrazio.»
Peter notò che la ragazza sembrava essere tornata la
solita. Non c’era più traccia di quell’alone di tristezza e preoccupazione che
aveva nel momento in cui si era presentata alla sua porta. Forse ci aveva visto
giusto, magari aveva solo bisogno di parlare un po’ con qualcuno in modo da
distrarsi.
Audrey continuò a guardare il libro fino all’ultima
pagina, un disegno alla volta. «È per questo che ti hanno fatto penare tanto?»
domandò, osservando la quarta di copertina. Allungò il libro a Peter, che gli
lanciò un rapido sguardo prima di riporlo nuovamente nella borsa di stoffa. «Sì,
per il mio Fred Astaire che poi si è trasformato in
Gene Kelly» rispose, scimmiottando un po’ la frase. «Però per il personaggio
femminile non hanno fatto storie» concluse, lanciando un sorriso a Audrey.
Lei distolse lo sguardo, un lieve sorriso a sua volta.
Strinse la stoffa dei pantaloni con la mano destra, così che il ragazzo non la
vedesse, e si fece forza prima di dire in un sol fiato: «Non sono stata presa
dalla BBC.»
Peter recepì la notizia in ritardo, ma riuscì
ugualmente a comprendere il messaggio. Ecco cosa turbava la pianista: il
rifiuto. Si voltò per guardarla negli occhi, ma lei stava tenendo lo sguardo
basso, sulle proprie mani.
«Oddio...mi dispiace tanto» le disse. Avrebbe voluto
fare di più, dirle qualcosa di più rincuorante e utile di un “mi dispiace tanto”
ma lì per lì non gli venne in mente nulla. Era solo dispiaciuto di vederla così
e di sapere cosa provava, perché lui sapeva perfettamente l’effetto che fa
sentire che le proprie capacità non sono sufficiente per afferrare l’obiettivo
che ci si era prefissati.
«È solo che non so come sentirmi» continuò la
pianista. Peter smise di arrovellarsi il cervello e si concentrò su di
lei.
«Quando me lo hanno detto mi sono sentita crollare il
mondo addosso. È solo che, ripensandoci, è strano, perché all’inizio non ero
neanche così sicura di volercela fare, di voler diventare pianista della Scottish Symphony Orchestra. Ma poi...» prese fiato. «Forse
lo volevo davvero, se no non mi sentirei così ora.»
«Beh, io penso che tu, comunque, ci tenessi. Era la
tua grande occasione e tutti tengono alle proprie grandi occasioni. Sempre se
hanno a cuore ciò che fanno e tu sei una di queste» disse lui. Gli sembrò la
cosa migliore da dire, soprattutto perché credeva molto in quelle sue stesse
parole. Non sapeva se potesse servire o meno a Audrey, ma sentiva di doverlo
dire.
La pianista annuì alle sue parole; era bello sapere di
poter contare su di lui.
«Certo che sono dei pazzi. Lasciarsi sfuggire così una
con le tue capacità» borbottò il ragazzo.
«Ok, non esagerare. Tu sei di parte» replicò lei, ma
non poté negare che le parole di Peter le avessero fatto bene. Si sentì
rinvigorita e decisa ad andare avanti. «Per lo meno, ora non dovrò
scegliere fra Londra e Glasgow. Se mi avessero presa alla BBC sarebbe stata una
decisione che avrei dovuto affrontare.»
«Ti avrebbe messo in difficoltà?»
Audrey si strinse nelle spalle. Cominciava a sentirsi
piuttosto agitata ma non voleva darlo a vedere. «Penso di sì. Non è semplice
allontanarsi dai propri legami, anche se penso che sarei riuscita comunque a
far sì che i rapporti con i miei amici rimanessero gli stessi. Sono piuttosto
brava in questo» ammise. «Ma davvero, non so dire se alla fine sarei andata
oppure no.»
«Beh, posso capirlo. Però, se mi permetti, io fossi
stato in te avrei comunque deciso di andare, indipendentemente da tutto. È
vero, ti saresti allontanata dai tuoi amici, ma se, come dici tu, sei brava a
mantenere saldi i rapporti allora valeva la pena tentare.»
A mano a mano che parlava, Peter si domandava se avrebbe
fatto lo stesso discorso nel caso Audrey fosse stata presa nell’orchestra della
BBC. Si disse che no, forse non lo avrebbe fatto, perché non avrebbe voluto
vederla andare via senza aver avuto prima il tempo di dirle cosa provava per
lei. Ora che quel rischio non c’era, però, quelle parole gli uscirono quasi
senza pensarci. Al tempo stesso avrebbe anche voluto dichiararsi, dirle che,
per quanto potesse sembrare orribile e pretenzioso, il fatto che lei rimanesse
a Londra gli dava un senso di pace. Cacciò quel pensiero, sentendosi in colpa e
lasciò che le parole riprendessero a uscirgli di bocca: «Che poi, alla
fine, cosa c’è a Londra che non puoi trovare anche a Glasgow?»
«Tu.»
Il sorriso che si era dipinto prima sul volto di Peter
scomparve all’improvviso. Schiuse le labbra per dire qualcosa, ma un mormorato:
«Cosa?» furono le uniche sillabe che gli uscirono di bocca.
Audrey alzò lo sguardo su di lui. Tuttavia appena
incrociò i suoi occhi tornò ad abbassarlo.
«Tu» ripeté. «Se avessi dovuto decidere se andare o
meno a Glasgow io...ci avrei dovuto pensare, ecco. Perché là non ci saresti
stato tu.»
Era agitata e il cuore le batteva in modo frenetico.
Parlava in fretta, quasi senza prendere fiato, convinta che se si fosse fermata
non sarebbe più riuscita a dire altro. Il ragazzo, accanto a lei, continuava a
fissarla incredulo, sperando di vederla sollevare gli occhi verso di lui.
«Ci ho messo un po’ per capirlo» continuò la pianista,
allo stesso modo di prima. «Tu...mi piaci. A-ancora non so in che modo, ma è
chiaro che non è una semplice simpatia o una normale amicizia. È... è qualcosa
di più. E mi chiedo, se avessi dovuto decidere se andare o meno a Glasgow cosa
avrei fatto? Te lo avrei detto? Avrei fatto finta di niente? Non riesco a
smettere di pensarci. E volevo che tu lo sapessi.»
Audrey si zittì tutto d’un tratto, decidendosi
finalmente a tornare a guardare Peter. Quest’ultimo non poté fare a meno di
sentirsi confuso. Non aveva capito con esattezza la dinamica dei fatti e anche
continuare a pensarci non serviva a molto. Sapeva solo che quella che gli
si era appena presentata poteva essere la sua occasione più importante e che,
se se la fosse lasciata sfuggire, di certo non si
sarebbe mai perdonato la cosa. Doveva giocarsi tutto in quell’unico
frangente e dire qualcosa in grado di lasciare intendere a Audrey che
anche per lui valeva lo stesso, che anche lui, per lei, provava “qualcosa
di più”. Tuttavia mentre continuava a guardare negli occhi la pianista – con ancora
la sua migliore espressione sorpresa dipinta sul volto – le parole
faticavano a uscirgli; affioravano a frotte nella sua mente, caotiche e senza
un ordine preciso e nei secondi concitati che lui stava attraversando dare un
ordine a quel caos gli risultò impossibile. Decise di cambiare tattica, puntando
su qualcosa di più immediato e, decisamente, di molto più effetto. Non esitò
neanche per un secondo, perché pensò che non avesse senso, a quel punto,
lasciarsi prendere anche solo da una leggera incertezza; esitare era spesso un
grave errore e sbagliare era l’ultima cosa di cui Peter aveva bisogno in quel
momento. Si avvicinò alla ragazza e, prima che lei potesse capire cosa stava
succedendo, la baciò.
Fu un bacio semplice, ma non per questo privo di
significato. L’illustratore sapeva che si stava giocando tutto con quel gesto,
per tale motivo passò il tempo con la preoccupazione di vedersi respinto,
scoprendo di conseguenza di avere rovinato tutto. Nonostante quanto gli aveva
appena detto Audrey, infatti, non era così sicuro di stare facendo la cosa
giusta. Tuttavia la pianista non fece nulla per allontanarlo, al punto che
quando il ragazzo si separò da lei, ruotò il busto verso di lui e lo baciò di
nuovo. Allora Peter si lasciò andare; le sfiorò il viso con le mani, sentì i
suoi capelli fra le dita e si avvicinò ancora di più. Audrey, dall’altra
parte, comprese che il subbuglio che sentiva dentro di sé non poteva che essere
positivo. Quel ragazzo le piaceva, moltissimo e tutte le sensazioni che il
contatto con le sue labbra gli provocavano non potevano fare altro che
confermare la cosa. Lo ringraziò mentalmente per averla baciata, per avere
trovato lui la forza di compiere quel gesto che la stava aiutando a capire la
realtà dei fatti.
«Era questo che cercavo di dirti» disse lei,
separandosi un momento da ragazzo.
Peter sorrise. «Ah sì? Assomiglia molto a quello che
volevo dire io.» Dopodiché la baciò ancora. Quell’ultimo bacio fu il più lungo
dei tre e diede il tempo ai due di registrare tutto ciò che prima era sfuggito.
Probabilmente sarebbe durato ancora se non fossero stati interrotti. Le prime,
grosse, gocce d’acqua, fecero intuire ai ragazzi che stava arrivando un
acquazzone. Alzarono entrambi lo sguardo al cielo e capirono di avere ragione:
nell’arco di tempo che avevano impiegato per capire che fra loro c’era
qualcosa, nubi nere si erano affacciate sulla città e la stavano coprendo a
grande velocità. Era il primo di una lunga serie di acquazzoni estivi e, anche
se duravano in media poche decine di minuti, quando si abbattevano su Londra era
meglio essere al coperto.
Peter guardò Audrey. «Che ne dici, ora ti va quel
muffin?»
«Molto volentieri» rispose lei, mentre l’acqua già
cominciava a scendere copiosa.
L’illustratore si alzò, prese per mano la pianista e
insieme si avviarono in gran fretta fuori dal parco, verso casa di Peter. Mentre
lo seguiva, tenendolo per mano, Audrey non riuscì a fare a meno di ridere e
sentì che anche lui la stava imitando. Era come essere tornata ai tempi della
sua prima storia, quando tutto sembrava magico e perfetto. Mentre l’acqua le
bagnava i capelli le sembrava quasi di essere dentro un film, uno di quelli che
fanno stare bene, che ti fanno venire voglia di provare tu stessa quell’esperienza.
L’unica differenza era che tutto ciò era reale, che non sarebbero comparsi i
titolo di coda all’improvviso, in uno dei momenti migliori. Era felice di
averci provato, di aver deciso di andare fino in fondo. Dopotutto, se non lo
avesse fatto, ora non si troverebbe neanche lì, a ridere sotto la pioggia
tenendo per mano il ragazzo che, come Oliver le aveva detto, avrebbe potuto
essere il suo Sebastian.