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Autore: DriftingStar    03/07/2018    0 recensioni
[Romeo e Giulietta]
"Scavalcherai molti muri nella tua vita, ma questo non è uno di quelli." -
Non c'è persona che non conosca la tragedia di Romeo e Giulietta. Eppure, nessuno la conosce nei minimi dettagli, nessuno sa che Verona nascondeva molti più segreti tra le sue mura. Nessuno sa che c'erano altri amanti sfortunati, costretti a vivere una vita nell'ombra.
Il peso di tutti quei segreti sta diventando troppo pesante per l'unico sopravvissuto alla tragedia, soffocato dai sensi di colpa, che si sente costretto a raccontare la sua storia, pur temendo di ottenere solo il disprezzo della sua stessa famiglia, piuttosto che pace per sé stesso.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il ragazzo guardò il cielo e la sua espressione divenne scura quasi quanto le nuvole sopra di lui. Sembrava che potesse ricominciare a piovere da un momento all’altro. La pioggia era detestabile: non si poteva distinguere il giorno dalla notte o capire che ore fossero quando pioveva. Cosa ancora peggiore era che rendeva tristi. Era in grado di rendere tristi in un giorno felice, ma non poteva fare altro che peggiorare un giorno altrimenti già triste. Decidendo di ignorare ciò che non aveva potere di cambiare, si guardò intorno. Scrutò la folla di fronte a sé, cercando qualcuno in particolare. Non impiegò molto tempo a raggiungere il suo obbiettivo, sarebbe stato impossibile non riconoscere l’oggetto del suo interesse anche da lontano. Sul volto del ragazzo si aprì un sorriso, ma non era un sorriso felice, era appena accennato e vi si poteva leggere tutto il dolore e il rimorso solitamente nascosto dietro sorrisi falsi e parole gentili. Quello era un sorriso vero, per quanto addolorato. Forse era così che doveva essere: non tutti i sorrisi potevano essere felici. Benvolio aumentò il passo, temendo che il cielo potesse ricominciare a piangere, piangere tutte le lacrime che quella città versava silenziosamente nell’oscurità della notte, nella sicurezza delle proprie case. Quella città spezzata dalla guerra intestina di due famiglie che ormai avevano perso tutto, persino quell’odio che le aveva alimentate per così tanto. Raggiunse la sua meta e, quando parlò, la sua voce sembrò sul punto di spezzarsi.
-Buongiorno, cugino. –improvvisamente quel sorriso triste sembrò un modo da parte del ragazzo di sottolineare quanto patetico si sentisse. Eppure, aveva dovuto, si era sentito in obbligo di avventurarsi fin là. Era inutile fingere che nulla fosse successo, era inutile fingere che tutto fosse come prima quando niente lo era. Sospirò, chinandosi a posare i fiori che aveva portato sulla tomba di fronte a sé. Li aveva comprati da una bambina vestita di stracci in una piazza della città. Prima di vedere quella disperata anima dalla pelle pallida e i capelli sporchi che cercava di guadagnarsi da vivere anche in un giorno di tale tristezza, che per dipiù non veniva considerata da nessuno, aveva cercato di ignorare la verità, aveva finto di non ricordarsi che giorno fosse. Ma poi, vedendo quel cesto che straripava di fiori bianchi, aveva deciso di smettere di fuggire. Il passato era impossibile da cancellare e lui doveva accettarlo, per quanto fosse difficile. Osservando quel blocco di pietra senza di vita di fronte a sé, Benvolio sentì l’irrefrenabile impulso di gridare. Eppure, rimase in silenzio per parecchi minuti, come aspettando che succedesse qualcosa. Come aspettando una risposta che non sarebbe mai giunta. Un fulmine distante squarciò il cielo e il ragazzo riprese a parlare. –Ormai è trascorso già un anno. Esattamente, oggi. –lo disse con lo stesso tono che avrebbe usato parlando con lui di qualsiasi cosa, niente di importante, eppure, le sue stesse parole lo colpirono con una violenza inaspettata. Era passato un anno. Un anno esatto da quando era rimasto solo al mondo, incapace di perdonarsi e divorato dai sensi di colpa. Spostò appena lo sguardo, lasciandolo scivolare sul nome di suo cugino e su quello dell’altra persona che ormai dimorava sotto quel blocco di marmo: Giulietta. Non era più di quel tanto sorprendente che le famiglie avessero deciso di seppellirli insieme, considerando quanto era successo. Era quello che loro avrebbero voluto: essere insieme, anche dopo la morte. Morte causata da quell’odio senza scopo che le famiglie provavano una per l’altra, che li aveva costretti a vivere il loro amore in segreto. Se si doveva parlare di segreti, si poteva dire che quella città ne aveva molti, che aveva nascosto molte cose e persone nel buio della sua notte. Benvolio abbassò lo sguardo, non riuscendo più a sostenere la vista di quella tomba. La vita non era giusta: aveva punito, aveva ucciso Romeo e Giulietta, loro, che avevano soltanto tentato di combattere l’odio che infettava ogni altra persona con il loro amore e la loro gentilezza. Se qualcuno forse meritava di morire, quello era lui, e invece lui era ancora vivo, era l’unico ancora vivo. Non gli restava niente… Quasi all’improvviso, tanto in fretta che gli mancò il fiato, continuò. –Vorrei aver avuto lo stesso coraggio che hai dimostrato tu. Perché, per quanto tu abbia dovuto morire, sei riuscito ad ottenere pace. –si bloccò, temendo di non riuscire più a contenere le lacrime che aveva ignorato fino a quel momento. –Se io avessi trovato coraggio di fare qualcosa, se io fossi morto prima di te… -si interruppe. Non sapeva nemmeno quello che stava dicendo, non sapeva nemmeno quello che stava pensando. –Perché… -venne interrotto da una voce alle sue spalle.
-Sapevo che ti avrei trovato qui. –Benvolio si voltò di scatto, stupito di sentire una voce familiare in un luogo di tale disperazione. Avrebbe voluto essere lasciato solo nel suo dolore, ma a quanto pareva il suo desiderio non si sarebbe avverato. La verità era che non voleva assolutamente parlare con nessuno. Più ne avrebbe parlato e più sarebbe diventato tutto reale. E lui voleva continuare a convincersi che in realtà era tutto soltanto un incubo. Osservò con aggressività il nuovo arrivato, cercando di scacciarlo con la sola forza dello sguardo, pur sapendo che non ci si sarebbe riuscito. L’uomo era alcuni passi dietro di lui e il suo sguardo non si rivolgeva ormai più a lui, ma alla tomba. Sembrava che quella pietra morta sapesse attirare lo sguardo di chiunque la guardava anche di sfuggita. Molti cittadini, se capitava loro si passarci davanti, abbassavano gli occhi e continuavano a camminare, fingendo che non ci fosse nulla, se non un prato ben tenuto. Nessuno sembrava voler accettare l’esistenza di quella tomba. Nessuno la vedeva e invece avrebbero dovuto vederla tutti, perché lì giacevano i ragazzi che avevano dato la loro vita per la libertà di quella città. Perché Verona non era stata libera per molto tempo, nessuno avrebbe saputo dire quanto, soffocata da quella nuvola di odio e violenza che la circondava. L’amore, attraverso la morte, aveva vinto. Sapendo di non essere più guardato, Benvolio decise di tentare la fuga, perché non voleva rispondere a qualunque domanda Frate Lorenzo gli avrebbe fatto. Sembrava che quest’ultimo avesse deciso di dover aiutare Benvolio, forse perché era l’unico sopravvissuto (o almeno così si poteva dire), o forse soltanto perché era cugino di Romeo. Benvolio aveva già fatto qualche metro e stava cominciando ad aumentare il passo, sicuro di essere ormai scampato al pericolo, quando il frate lo chiamò. Il ragazzo si fermò, sperando nell’arrivo provvidenziale della pioggia, aspettando di essere raggiunto da colui che tanto desiderava parlare con lui, a quanto pareva. –Ho temuto che non ne avresti trovato il coraggio, eppure sei qui. –Benvolio non aveva alcuna intenzione di voltarsi. Di quale coraggio stava parlando? Non aveva bisogno di coraggio, stava soltanto visitando la tomba di qualcuno che invece ne aveva avuto. Molti avrebbero potuto dire che uccidersi era stato un gesto estremo di qualcuno che aveva solo bisogno di attenzione, di bambini che volevano ribellarsi infantilmente ai loro genitori. E lui non poteva accettarlo, non poteva accettare che il coraggio di suo cugino, che poteva essere visto come un atto di disperazione –e lo era stato, bisognava ammetterlo –, venisse ignorato in quel modo ignobile. Lui invece non aveva coraggio, lui era un codardo. Ripeté più volte quell’ultima parola nella sua mente. Codardo. Lui avrebbe potuto impedire che morissero. Era colpa sua se tutti erano morti, solo sua. Nessuno avrebbe mai potuto convincerlo del contrario. –Dimmi qualcosa, Benvolio. –il ragazzo capì di essere arrivato ad un punto critico, non riusciva più a contenere le lacrime, che gli scivolavano sul viso come pioggia, come la pioggia che aveva sperato cadesse.
-Sto bene, padre. –aveva cercato di dirlo nel modo più naturale possibile, ma aveva pronunciato le parole troppo in fretta, facendole inciampare l’una sull’altra, tradendo la sua voce che si spezzava. Frate Lorenzo aveva capito perfettamente che il ragazzo mentiva, ma decise di non insistere. Ricordando perfettamente che giorno fosse -riconoscendo che se lui avesse attuato un piano meno pericoloso e meno frettoloso, quel giorno sarebbe potuto essere un giorno come tutti gli altri e non l’anniversario di una tragedia -, aveva deciso di trovare Benvolio. Era da ben un anno che aveva l’impressione che il ragazzo nascondesse qualcosa. Avevano già parlato molteplici volte, lui gli aveva in parte rivelato le sue paure e angosce, eppure c’era qualcosa di cui non voleva parlare, qualcosa che nascondeva dietro sorrisi fittizi, parole gentili e occhi tristi. Però sapeva che insistere sarebbe stato inutile. Se Benvolio voleva parlare lo avrebbe fatto spontaneamente.
-Ti credo. –disse a bassa voce, prima di voltarsi e tornare sui suoi passi. Solo sentendo che lui si allontanava Benvolio deciso di voltarsi, cercando di ignorare le lacrime che precipitavano dal suo viso. Lo osservò, quasi aspettandosi che decidesse di tornare indietro. Non era del tutto convinto che avesse rinunciato, sembrava davvero improbabile. Eppure, sembrava che se ne andasse sul serio. Quasi all’improvviso, il ragazzo si rese conto di sentirsi peggio di quello che aveva pensato. Aveva continuato a ripetersi che tutto andava bene, che non doveva disperarsi, perché la disperazione non riportava certo indietro i morti… Forse aveva bisogno di aiuto, forse avrebbe dovuto parlare con il frate. Forse avrebbe dovuto dire tutta la verità. Si diede subito dello stupido e del folle. Non poteva rivelare tutto, nessuno in vita lo avrebbe capito e nessuno lo avrebbe perdonato. Forse in quel modo l’odio che era ormai sepolto sarebbe tornato in superficie solo per colpire lui, ripetutamente e violentemente, senza nessuna pietà. Sarebbe stato odiato. Ma lui non aveva mai voluto ricevere odio o parole di disprezzo, lui aveva agito come aveva agito perché sentiva di doverlo fare. Non aveva mai voluto niente. Avrebbe soltanto voluto vivere senza la minaccia del disprezzo della sua stessa famiglia. Famiglia alla quale non sentiva più di appartenere, per quanto fossero sangue del suo sangue. Sembrava che ogni legame che aveva con loro si fosse spezzato con la morte di Romeo. O forse si era già rotto prima… O, perlomeno, sfilacciato. Sapeva che era il suo cuore il problema: vi si era infiltrato dentro un dolore cupo dal quale non riusciva a liberarsi. Era come se avesse smesso di vivere. Anzi, era proprio così. Lui aveva smesso di vivere. Disse le parole che seguirono nella sua mente ad alta voce, senza nemmeno rendersene conto:
-Io ho smesso di vivere un anno fa. Sono morto con loro. –aveva sperato che sarebbero rimaste inascoltate, che Frate Lorenzo non avesse sentito, ma invano. Il francescano si fermò, non essendo sicuro di aver davvero udito quelle parole. Forse era solo la sua mente che gli giocava scherzi infidi. Tornò indietro e Benvolio realizzò che non aveva più possibilità di fuga. Questa volta non c’era niente che potesse fare, non poteva più scappare. La verità aspettava anche lui ed era inevitabile, come la morte. Non poteva più trattenere le lacrime, che gli sgorgavano dagli occhi come un fiume in piena. Frate Lorenzo se ne accorse subito, quando fu abbastanza vicino al ragazzo. Ora che aveva cominciato a parlare, non riusciva più a fermarsi. –È colpa mia. –dalla sua gola scaturì una risata isterica e derisiva. –È solo colpa mia. –la risata fu sostituita da singhiozzi disperati. Si sentiva incredibilmente debole, sembrava che le gambe non lo potessero più reggere. Cadde sulle ginocchia, nascondendosi il viso con i capelli, cercando di mascherare la sua disperazione. Frate Lorenzo si avvicinò a lui, sfiorandogli una spalla con una mano e mormorando, quasi come se stesse parlando con un animale selvaggio e arrabbiato:
-Calmati, figliolo, calmati. –il suo era stato un cambiamento tanto improvviso che spaventava. Era passato da stoico e freddo ad un mare in tempesta. Benvolio rise di nuovo, osservando le proprie mani con rabbia, cercando di trovare il nome di un colpevole inciso sulla sua pelle.
-Non capite. –ringhiò, non sapendo più come si sentisse, oscillando tra la rabbia verso sé stesso e la tristezza infinita che si sentiva dentro. –Non potete nemmeno. –forse capendo di non poter trovare niente, nessuna consolazione, si coprì il volto con le mani, continuando a singhiozzare e a ridere contemporaneamente. –È colpa mia, è solo colpa mia. Se io non… -si bloccò all’improvviso, liberando un grido strozzato. Sapeva che il frate avrebbe tentato di dirgli che la colpa di quanto era successo non era sua, che lui non avrebbe potuto fare nulla, che lui non avrebbe potuto sapere nulla. Ma lui sapeva la verità. Era colpa sua. Frate Lorenzo non disse nulla di tutto questo, al contrario delle aspettative. Voleva che Benvolio gli dicesse perché si sentiva così, perché si sentiva colpevole. Poteva essere soltanto perché era vivo e quasi tutte le persone che amava erano morte, ma ne dubitava. Doveva avere a che fare con quello che non voleva rivelare e teneva segreto. 
-Allora spiegami. Ti ascolterò. –il ragazzo non poteva credere di aver davvero sentito quelle parole, ma le aveva sentite. Di colpo, si rese conto che voleva parlare. No, doveva parlare. Doveva liberarsi dal peso che sentiva sul proprio cuore, pur sapendo che non sarebbe mai stato perdonato. Si lasciò scivolare via le mani dal viso e alzò lo sguardo verso il frate, che lo osservava con apprensione e aspettativa.
-Lo so. Ma non potrete mai liberarmi dal peso dei miei peccati. –sospirò, cercando di darsi un contegno e, piuttosto inutilmente, di asciugarsi le guance con il dorso della mano. Osservò i dintorni, cercando di trovare le parole giuste per iniziare il suo racconto. Sapeva che avrebbe impiegato parecchio tempo ad arrivare al punto. Sapeva anche che avrebbe potuto omettere tutti i particolari che aveva sempre tenuto gelosamente per sé, ma sentiva che, qualcun altro, per capire, doveva sapere tutto. Guardò il cielo, realizzando che la risposta era sempre stata lì. Che le parole giuste erano sempre state lì. Sembrò quasi che le nuvole si spostassero per formare delle lettere, che divennero una frase. Benvolio tornò a guardare Frate Lorenzo, sospirando di nuovo, cercando di trovare quel coraggio che non osava definire tale, iniziando:
-Aveva appena smesso di piovere quando lo incontrai per la prima volta. –
 
Angolo autrice:
Prima di tutto, voglio ringraziare chiunque abbia letto fino a qui. 

Per questa volta, considerando che questo è il primo capitolo, scriverò molte cose, ma nei prossimi cercherò di non comparire troppo spesso. Innanzitutto, per ora ho scritto solo questo capitolo, quindi probabilmente la storia rimarrà in stallo per parecchio tempo, ma di certo la continuerò. Inoltre, questa è la prima fanfiction che pubblico, quindi non mi fucilate, soprattutto scusatemi se non sono in grado di scrivere utilizzando un lessico shakespeariano, ho fatto del mio meglio. Spero che più avanti i miei personaggi non risulteranno troppo OOC, considerando la coppia che ho deciso di inserire in questa storia, cioè, Tebaldo e Benvolio. Allora, so benissimo che nessuno qui è mai stato nemmeno sfiorato dall’idea, guardando le altre fanfiction, eppure sono coppia piuttosto impossibile ma con potenziale. Insomma, sempre un Montecchi e un Capuleti, ma non i soliti. Il fatto che tentino di pestarsi ogni due minuti è ovviamente trascurabile (soprattutto considerando un’altra coppia che ho visto spesso, Tebaldo e Mercuzio; insomma, quello sì che è un livello estremo). 
Altra cosa di cui mi sembra necessario parlare è l’età dei personaggi nel musical secondo me: Giulietta ha ovviamente quattordici anni (okay, tredici se vogliamo essere pignoli); Romeo sedici; Benvolio diciotto; Mercuzio e Tebaldo diciannove. Non so bene per quale ragione lo penso, ma comunque sappiate che la mia storia inizia quando sono bambini, spoiler, quindi era tanto per sapere le differenze di età. Ovviamente la storia sarà una gigantesca analessi ma non siete stupidi e questo si capiva. 
Ultima cosa, questa storia è incentrata su Benvolio, come si è già notato, quindi sarà tutta dal suo punto di vista. Il titolo avrà molto più senso in seguito, garantisco. 
Allora, no, mi sono dimenticata una cosa: so che nel milleseicento le famiglie importanti avevano delle cripte e cose simili però ho deciso di mettere Romeo e Giulietta in un cimitero in modo che potessero essere sepolti insieme, per quanto possa sembrare inquietante. E anche per ragioni estetiche e... perché ci ho pensato dopo, ecco, non mi fucilate. 
Bene, ora sto cominciando a “parlare” un po’ troppo, quindi smetto. Spero che qualche povera anima vorrà leggere il seguito, anche ora che ho rivelato la coppia principale della storia, che praticamente non piace a nessun’altro. 

Alla prossima (spero presto), 
Bye :)
 
P.S: Ho visto il musical quasi tre anni fa e me ne sono innamorata. In più, per qualche strana e oscura ragione, Tebaldo è il mio personaggio preferito (ah-ah, tante grazie a Gianluca). Non so bene che cosa c’entri, ma forse molte cose di questa storia saranno spiegate se dico questo.
P.S.S: Okay, ultima cosa: solo a me da sui i nervi non poter mettere Tebaldo e Benvolio come personaggi? Cioè, grazie, proprio i miei preferiti. La smetto, scusate.

 
   
 
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