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Autore: Enchalott    06/07/2018    7 recensioni
Vegeta torna a casa, in seguito al "Cell Game", dalla donna che ama e dal figlio, nel luogo da cui il suo cuore non si è mai veramente allontanato. Una sfortunata e accidentale circostanza lo porta a lottare contro un avversario d'eccezione e a riflettere su ciò che per lui conta realmente.
"“Sei mia… mia in eterno”.
Era la sua promessa di restare con lei, il rinnovo del suo giuramento d’amore, quello che non aveva mai infranto, perché per lui la lontananza era parte della vita di un guerriero e non significava separazione o mancanza. Solo necessità."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Trunks, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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LA PRIMA LUNA DI TRUNKS
 
 
Notte.
Quieta, tiepida e bellissima.
La notte in cui lui era tornato.
La notte dopo la quale sarebbe rimasto per sempre.
Lo aveva letto in quelle iridi nere e brucianti, fisse nelle sue senza rimorsi, quasi sfacciate. Nella mano che le aveva afferrato il polso, svelta e tenace, mentre cercava invano di chiuderlo fuori dalla loro stanza, ancora adirata per la sua prolungata assenza, perché aveva seguito la folle idea di dover rischiare la vita a tutti i costi, anche dopo aver messo al mondo un figlio.
In quella notte, l’aveva udito dalle sue labbra che la cercavano, che non le avevano mai mentito nel bene e nel male, che si erano posate su di lei e sul suo fragile tentativo di tenerlo lontano, annullando la rabbia, l’orgoglio, l’angoscia.
“Sei mia… mia in eterno”.
Era la sua promessa di restare con lei, il rinnovo del suo giuramento d’amore, quello che non aveva mai infranto, perché per lui la lontananza era parte della vita di un guerriero e non significava separazione o mancanza. Solo necessità.
Si era arresa alle sue braccia, che erano il suo unico mondo, quello in cui Vegeta le dormiva profondamente accanto, dopo aver sollevato il bambino che avevano concepito insieme, sgranando quegli occhi spietatamente intensi, per averlo scorto tanto cresciuto in quelle poche settimane.
“Non farlo mai più…”
Aveva sorriso, come solo lui era in grado di fare, con quella smorfia tagliata e fiera che le aveva rubato l’anima. La sua risposta era stata fisica, perché le parole non sarebbero mai bastate a sugellare il loro legame profondo. Erano superflue e lui lo sapeva benissimo.
Le sue dita erano salite ad asciugarle le lacrime, le stesse che lei aveva caparbiamente cercato di trattenere per non dargliela vinta, ma che erano uscite contro la sua volontà in un miscuglio potente di gioia, sollievo e commozione.
Il suo sguardo feroce e triste era balenato nell’ombra, perché neppure il principe dei Saiyan era immune ai sentimenti, era solo più bravo a celarli.
Ma il suo cuore le batteva forte addosso, trasmettendole il suo ritmo concitato, poiché neanche lui era così presuntuoso da avere la certezza che lei gli avrebbe permesso di rientrare impunemente nella sua vita, dopo che aveva fatto scientemente prevalere il suo lato ostinato e incurante. Lei l’aveva accolto, stretta al suo collo. Era partito per eccesso e non per difetto. Per combattere, non per abbandonare.
Un istante e quella notte.
Le era stato sufficiente sentire il suo calore contro di sé, la sua forza, mentre la stringeva saldamente e le accarezzava i capelli, chiamandola per nome.
“Mia Bulma…”
“Vegeta…”
Tutto era evaporato in quelle due parole, perché lei non aveva mai smesso di appartenergli ed era cosciente del fatto di aver sposato un guerriero; e lui non sarebbe tornato in nessun altro luogo se non lì, dove la donna che amava meritava di averlo per sempre accanto, non solo quando la battaglia era lontana. Nel luogo da cui il suo cuore orgoglioso non si era mai allontanato.
 
Bulma aprì gli occhi, sforzandosi di realizzare se il suo fosse stato solo un sogno.
Silenzio.
Era certa di aver sentito un rumore insolito provenire dal fondo del corridoio. Si mise a sedere, ma nulla le diede ulteriori indizi. Fece per coricarsi, quando il suono si ripeté, sordo, indefinito, improvviso.
Era impossibile che ci fossero degli intrusi: la Capsule Corporation era protetta da sofisticatissimi sistemi di sicurezza e il più efficace di tutti era steso al suo fianco. Eppure, un brivido le corse lungo la schiena nuda.
Il principe dei Saiyan si tirò su di scatto, vicino a lei, con un’espressione assorta sul viso.
“Hai sentito anche tu?” gli domandò.
Hah” assentì lui, in quell’affermazione tipica della sua lingua madre.
Si girò e la fissò alla luce tenue della luna, gli occhi scuri che scintillavano attenti. Si alzò.
Il rumore si fece ancora udire, più forte, terribile, preoccupante. Non c’erano dubbi: proveniva da poco distante e dall’interno dell’edificio.
“Questo ki…” mormorò Vegeta, aggrottando la fronte.
“Trunks!” emise Bulma in un grido strozzato, il terrore nell’anima.
Il principe le indirizzò uno sguardo tutt’altro che tranquillo.
Il bambino riposava nella stanza adiacente e il trambusto inquietante sembrava avere origine proprio da quella direzione.
Senza pensare ad altro, Bulma si buttò addosso la prima cosa che le capitò in mano e infilò la porta, correndo, con le pulsazioni cardiache fuori controllo, nel timore che qualcuno stesse cercando di fare del male a suo figlio.
Chi!”
Vegeta recuperò un indumento e volò dietro di lei alla velocità del fulmine, imprecando contro l’impulsività della moglie. La sentì gridare.
“Maledizione!” ringhiò a sua volta, arrestandosi di botto sulla soglia e trattenendola.
Il piccolo Trunks levitava sopra la sua culla, ora rovesciata a terra, con uno sguardo vitreo rivolto alla finestra. La sua piccola coda ondeggiava velocemente e il suo corpo era scosso da un tremito inconfondibile. La luce argentea della luna piena inondava la stanza attraverso le imposte spalancate, illuminando la scena quasi a giorno.
“Ma cosa…!” esclamò Vegeta, osservando l’appendice pelosa che penzolava dalla schiena di suo figlio.
“Cielo! E’ ricresciuta!” gridò Bulma in preda allo sgomento, precipitandosi a tirare le tende oscuranti.
Ma era troppo tardi: la spaventosa trasformazione in oozaru, dovuta al prevalere del sangue saiyan esposto alle onde bluets, era già in atto.
Bulma ripensò con ansia atroce alla sera precedente, alla finestra aperta, a Trunks che dormiva tranquillo: tra le lacrime lo vide perdere i connotati umani, diventare lentamente un terrificante scimmione, un selvaggio mostro privo di controllo.
“Non è possibile…” mormorò, accasciandosi a terra, con il viso tra le mani, piangendo di disperazione e di impotenza.
Vegeta realizzò in meno di un secondo quanto era avvenuto: la coda di suo figlio, come talvolta accadeva, era ricresciuta proprio quella notte e il plenilunio non lo aveva risparmiato. Da una parte, si sentì incredibilmente orgoglioso del retaggio trasmessogli attraverso il suo sangue. Dall’altra, vide che sua moglie era troppo vicina a Trunks, che aveva ormai assunto i tratti ferini della belva: occhi spietati e scarlatti, fauci aperte e schiumanti di rabbia, corpo ricoperto di folta pelliccia bruna, dimensioni smisurate. Il ritratto di un dannato guaio.
L’oozaru cozzò ululando contro il soffitto, sfondandolo come se fosse fatto di frasche. Macerie e calcinacci piovvero da ogni dove, mentre il bestione dimenava le braccia, sfondando i muri e battendosi i pugni poderosi sul petto.
Bulma lo fissava, paralizzata per lo shock, mentre i frammenti delle pareti e della volta diroccata si schiantavano pericolosamente intorno a lei.
“Trunks! Trunks… non mi riconosci, piccolo mio? Sono io! Sono la tua mamma!”
Tese le braccia verso la temibile creatura, continuando a chiamarla per nome, nella vana speranza di ricevere un minimo segnale di riconoscimento.
L’oozaru puntò lo sguardo spaventoso e irato su di lei.
Tutto rimase immoto per un centesimo di secondo.
Il principe balzò in avanti, al massimo della velocità, frapponendosi tra la moglie e il figlio. Parò la violenta zampata un istante prima che colpisse Bulma, indietreggiando in una lunga strisciata a causa del terribile contraccolpo.
“Vegeta!!” strillò lei terrorizzata, riprendendo contezza di sé.
Lui la afferrò per un braccio e si sollevò in aria, evitando per un soffio il potente colpo di ki fuoriuscito dalle zanne dello scimmione, e la depositò rapidamente a terra.
“Non è il momento di farsi notare da un oozaru che non controlla la mutazione!” ruggì, riprendendo nuovamente il volo “Allontanati immediatamente!”
Bulma si spostò giusto in tempo per non finire sepolta dall’ala della casa che crollava miseramente sotto i colpi della belva, che tentava di tirarsi fuori da quella che per lui era solo una scomoda e inutile prigione.
Vegeta rivolse lo sguardo all’essere inferocito, stringendo i pugni e corrugando le sopracciglia. Avrebbe dovuto combattere. Sapeva bene che un oozaru non si sarebbe mai arreso. Inoltre, non si sarebbe ritrasformato volontariamente: Trunks era troppo piccolo per avere il dominio di sé e decidere di rientrare alla sua forma naturale.
“A te ci penso io…” sputò fuori, attirando l’attenzione della creatura.
“Vegeta!!” urlò Bulma, vedendo che il marito volava a pochi metri dal muso digrignante dello scimmione, tentando di trascinarselo dietro.
“Ti ho detto di andare!” intimò lui, con un tono che non ammetteva repliche.
La ragazza si spostò in zona di sicurezza, con le gambe che tremavano.
Oohi!” fece il guerriero con un sogghigno, rivolgendosi all’avversario “Vediamo se sei all’altezza del principe dei Saiyan!”
Con un salto portentoso, Trunks superò le macerie che lo circondavano, grugnendo in modo raccapricciante, dopo aver inquadrato la sua preda.
Vegeta gli girava intorno, indirizzandolo lontano dall’abitato, facendolo spostare verso le colline lontane. Schivò per un soffio la coda enorme, che frustava l’aria sibilando, ma la sua unghiata lo sfiorò, lasciandogli tre lunghi solchi sul braccio.
“Vegeta!!” esclamò Bulma terrorizzata “Ti prego, Vegeta, stai attento!”
“E’ quello che sto cercando di fare, maledizione!” tuonò lui, incrementando la distanza e la velocità per distaccare di qualche metro l’inseguitore.
Sentì il calore del sangue che sgorgava dalla ferita scendere lungo l’avambraccio. Non c’era tempo da perdere. Concentrò l’energia spirituale dentro di sé e la lasciò libera, in un’esplosione di luce, che gli si insinuò tra i capelli, rendendoli biondi come l’oro e gli illuminò le iridi, facendole virare in un colore verde mare.
Si allontanò nella notte, con l’oozaru che gli stava alle costole, mentre alle sue spalle Bulma gridava disperatamente.
“Ti prego! Ti prego, non ucciderlo!!”
 
In quel momento, i coniugi Brief uscirono di corsa dalla zona integra dell’edificio, buttati brutalmente giù dal letto da tutto quel trambusto. Scorsero lo scempio sopra di loro e si girarono sconcertati verso la figlia, inginocchiata al centro del giardino con le mani congiunte e strette al petto, gli occhi pieni di lacrime, persi a fissare la strada deserta difronte a lei.
“Tesoro, ma cosa è successo? C’è stato forse un terremoto?” le domandò la madre.
Lei scosse la testa senza parlare, le labbra che tremavano.
“Vegeta ha fatto saltare di nuovo la gravity room per caso?” chiese il dottor Brief, avvicinandosi impensierito.
“No…” mormorò lei “E’ colpa mia, non potrò mai perdonarmelo… Trunks… il mio tesoro…”
I due si scambiarono un’occhiata preoccupata, senza capire.
“Che cos’è accaduto a Trunks?” insistette Panchy con dolcezza “E dov’è Vegeta?”.
“Mamma!” esclamò la ragazza, gettandosi tra le sue braccia e scoppiando a piangere.
Le sue parole erano concitate e smozzicate dai singhiozzi, raccontavano di Saiyan, di strani scimmioni notturni, di Goku e di suo nonno, della luna.
Lo scienziato rimase ad ascoltare quell’incomprensibile torrente in piena, tirandosi i baffi pensosamente, mentre la moglie cercava di rincuorare la figlia, che appariva inconsolabile. Non ci capì molto. Preferì non indagare ulteriormente sulle stranezze di Bulma, del suo marito alieno e di tutti i pazzi Saiyan in generale.
Rimasero a fissare le vie deserte.
 
Vegeta stava fronteggiando l’oozaru con uno sguardo impassibile. Incrociò le braccia sul petto nudo e lo fissò dall’alto in basso.
Certo che suo figlio ne aveva di energia in corpo, per essere ancora così piccolo! Accidenti a quella maledetta coda, che era ricresciuta nel momento peggiore!
Si era così infuriato, quando Bulma aveva deciso di tagliarla. Un’onta inaccettabile. Ora, tuttavia, non si sentiva di darle tutti i torti. Trunks era per metà terrestre e, come aveva già constatato combattendo contro il figlio di Kakarott, i nati di sangue misto potevano essere molto più forti dei Saiyan puri. Bene. Anzi, male!
Non era certo il momento di distrarsi o di rammaricarsi.
Lo scimmione attaccò con rinnovata violenza, serrando gli arti giganteschi per stritolarlo e cacciò un grido acuto, che squarciò il cielo stellato.
Il principe schivò e gli lanciò contro un fascio di energia, nella speranza di colpirlo e di intontirlo il più possibile. Aveva le mani legate, in quella situazione disgraziata: non si era mai fatto scrupoli di sorta in uno scontro, ma non avrebbe potuto certo combattere a piena potenza contro Trunks! Tentennare costituiva un grosso rischio, però. Non c’era da scherzare con un bestione come quello, chi poteva saperlo meglio di lui. Ogni esitazione avrebbe potuto risultargli fatale. Sbagliare equivaleva a rimetterci la pelle.
Strinse i denti e lo inquadrò: l’unica soluzione era quella di tranciargli la coda, ma non era così semplice. Sicuramente, l’oozaru non se ne sarebbe rimasto inerte ad attendere e avrebbe cercato di ucciderlo.
In quel mentre, Trunks attaccò nuovamente ad una velocità quasi impensabile per la sua mole. Vegeta non riuscì ad evitare il colpo e finì a terra, sollevando una nube di polvere e detriti. Riuscì a rialzarsi e a spostarsi in tempo per sottrarsi alla zampata carica di energia, che si abbatteva su di lui con l’intento di schiacciarlo come un insetto.
Volò a distanza di sicurezza, asciugandosi il sudore e il sangue che gli colavano dalla fronte. Era in svantaggio e il fatto di non indossare la sua dogi da battaglia certo non gli giovava. Guardò il taglio orizzontale che gli scorticava i pettorali, imprecando. Per fortuna, era una ferita superficiale, ma il fatto di essersi preso un ulteriore colpo lo innervosì alquanto.
“Non la vuoi proprio capire!!” urlò, serrando i pugni “Nessuno può sconfiggere il principe dei Saiyan!!”.
Scese in picchiata verso gli arti inferiori dell’avversario e lo centrò con forza. Lo scimmione lanciò un ululato furibondo e barcollò, ma non cadde.
Vegeta ringhiò, allontanandosi nuovamente dalla portata di quell’energia in potenza. Era terribilmente resistente e ostinato. Ovvio. Pensò a se stesso e non si stupì più di tanto. Pensò a sua moglie e scosse la testa, notando le somiglianze con entrambi.
“L’hai voluto tu!” esclamò, concentrando la propria energia di super Saiyan tra le mani.
Creò una sfera luminosa e la sollevò con un gesto plateale.
Trunks si girò in quella direzione. Era il momento giusto.
Con una rapidità impressionante, scagliò il globo abbagliante verso il muso del bestione, che rimase bloccato dal fulgore che gli aveva abbacinato gli occhi.
Vegeta deviò il ki all’ultimo istante, per non ferirlo con quell’energia micidiale, avendo ormai ottenuto l’effetto desiderato.
L’oozaru di dibatteva e si dimenava in preda alla collera, accecato, menando fendenti a casaccio con le braccia nerborute e la coda, senza scorgere nulla.
Il principe gli girò intorno, trattenendo il più possibile l’aura, per non farsi intercettare, e raggiunse l’attaccatura della coda, tagliandola di netto senza esitazioni.
La creatura emise un verso spaventoso di dolore e di rabbia, voltandosi. Poi si arrestò.
Iniziò a decrescere, come se si stesse sgonfiando, il folto pelame sparì lentamente, il muso si restrinse, riacquistando l’aspetto di un viso umano. Infine, gli occhi tornarono celesti. Del mostro restò solo il piccolo Trunks, che scivolò verso il suolo, privo di conoscenza.
Vegeta lo prese al volo, prima che toccasse terra, e si posò su una roccia, tenendolo tra le braccia. Osservò suo figlio, che dormiva placidamente, senza più forze, come se nulla fosse accaduto.
“Certo che me ne hai dato di filo da torcere, eh!” disse sogghignando.
 
Bulma continuava a fissare la strada, attendendo trepidante un segno, che le facesse capire quanto stava accadendo. La luna, ormai bassa all’orizzonte, sembrava gigantesca.
Ricordò quando il roshi Muten, il primo maestro di Goku, era stato costretto a disintegrarla, per evitare che il Saiyan facesse inconsapevolmente una strage. Persino il mite e timido Gohan, nella sua trasformazione, aveva mostrato una furia omicida. Lo stesso Vegeta, al suo arrivo sulla Terra, aveva scelto di diventare oozaru per vincere a tutti i costi il suo duello con Goku. Sapeva bene di che cosa erano capaci quelle terrificanti creature. Come aveva potuto permettere che accadesse anche a suo figlio?
“Vieni, tesoro” la richiamò la madre “Non serve che tu stia qui a prendere freddo…”
Lei scosse la testa, rifiutando di muoversi. Indossava la maglietta blu smanicata di suo marito, non se n’era neppure resa conto, quando era corsa fuori dalla stanza in tutta fretta. Sentiva il suo odore sull’indumento avvolgerla. Gli occhi le si riempirono di lacrime.
Poi, all’improvviso, contro la luce argentea della luna, si stagliò una sagoma nitida e inconfondibile. Bulma sbattè le palpebre, per essere certa di ciò che le stava difronte.
Il principe guerriero si posò lievemente al suolo, stringendo tra le braccia il loro bambino.
“Vegeta…” sussurrò trasognata.
Gli corse incontro a piedi scalzi, piangendo di gioia, precipitandosi ad abbracciare Trunks, seguita a breve distanza dai suoi genitori.
“Sta bene? Non è ferito vero? Oh, la coda…” esclamò frastornata, sollevando delicatamente il piccolo, che se ne stava rannicchiato nel sonno, la pelle rosea illuminata dalle stelle.
“Sta dormendo” rispose Vegeta “Non ha più energie, è una conseguenza della trasformazione” aggiunse, piantandole addosso due occhi scurissimi e scintillanti, che non promettevano nulla di buono.
“Dallo a me, tesoro” intervenne Panchy con un sorriso, prendendo con sé il nipotino “A lui ci penso io, non ti preoccupare. Tu pensa a tuo marito”.
Si allontanò in direzione del lato intatto della casa, seguita dal dottor Brief.
Bulma notò il taglio sulla fronte di Vegeta, le escoriazioni sul petto e le ferite profonde sul braccio, quelle che gli erano state inferte quando l’aveva salvata dall’oozaru.
“Vieni…” sussurrò dolcemente “Mi occuperò io di te…”
Il principe inarcò un sopracciglio, ma non fece atto di spostarsi, persistendo in quello sguardo severo e cupo.
“Che ti prende?” esclamò lei, interdetta.
Lui incrociò le braccia e la squadrò.
“Come hai osato pensare anche solo per un momento che io potessi uccidere mio figlio, donna!?” scattò con ira.
Bulma rimase impietrita, sentendosi appellare in quel modo, che veniva usato solo quando Vegeta era fuori di sé o quando lei si mostrava particolarmente ostinata.
“Ma…” balbettò confusa.
“Non cercare di inventare stupide scuse!” riprese lui, sempre furente “Ti ho sentita benissimo! Mi hai gridato dietro di non ucciderlo! Ma come ti è venuto in mente!?”.
Lei continuò a fissarlo, come se fosse fatta di sale. Poi si ripigliò.
“Ma cosa vai dicendo!!?” strillò con pari grinta “Io stavo pregando Trunks di non uccidere te, non il contrario, stupido Saiyan!!”.
La collera di Vegeta sbollì in un millesimo di secondo.
Nan…?” balbettò, senza riuscire ad aggiungere altro.
“Io avevo più paura per te che per lui, Vegeta…” gli disse avvicinandosi, la voce rotta dall’emozione “Io ero certa che tu non avresti mai fatto del male a nostro figlio, ma lui era diventato una belva… chissà che cosa sarebbe stato capace di fare in quello stato… Avevo paura di perderti, che lui dovesse convivere con la spaventosa consapevolezza… se lui ti avesse… mi sono sentita in colpa e inutile…Oh, stelle…”.
Si appoggiò a lui, sospirando, nascondendogli il viso contro la spalla.
Vegeta rimase di stucco ancora per un attimo. Poi la circondò con le braccia, sotto l’incolpevole luna, che andava scomparendo.
 
“Sicuramente dovremo rinunciare a trascorrere le ultime ore della notte nella nostra stanza” brontolò Bulma, osservando con desolazione il disastro “E’ già andata bene che Trunks non abbia abbattuto l’intera Capsule Corporation!”.
Chi!” fece Vegeta, che sarebbe volentieri andato a letto.
“Ma io ho il piano B, perché sono un genio!” spiegò lei, strizzandogli l’occhio.
La scienziata aprì una scatoletta bianca quadrata e ne trasse fuori una capsula hoi-poi, con aria soddisfatta. Premette il pulsante e la lanciò verso il giardino. Una piccola struttura semisferica comparì poco distante in uno sbuffo di fumo.
“Camere portatili!” annunciò, indicando l’edificio tondeggiante “Credo che per qualche giorno possa andare. Per due è perfetta… ed è anche molto romantica!” aggiunse.
Il principe arrossì, palesando i suoi remoti pensieri.
Lei lo prese dolcemente sottobraccio, facendolo avvampare ulteriormente.
“Ed ora passiamo alle operazioni di pronto soccorso!”
“Non ce n’è alcun bisogno…” borbottò Vegeta con scarsa convinzione.
 
Non si trattava del tris di profonde lesioni parallele sul suo bicipite, che lei aveva fasciato strette, con cura. E neppure del taglio che campeggiava sulla sua ampia fronte, che lei aveva ripulito e medicato con un cerotto. E nemmeno delle escoriazioni più o meno gravi sul suo torace e sulla sua schiena, disinfettate senza prestare ascolto alle sue deboli proteste, perché in effetti non gli dolevano.
L’anima. Era l’anima che guariva.
Ogni volta che lei lo sfiorava e gli stava accanto, inondandogli i sensi e i pensieri con il suo amore, una delle sue ferite atroci e invisibili se ne andava. Non restava neppure la cicatrice. Lo sapeva bene perché l’aveva inutilmente cercata. Sparita. Dissolta.
Il male che gli era dentro retrocedeva, sconfitto da quegli occhi turchesi che brillavano solo per lui. Una sua carezza leggera e l’odio scemava, senza ricomporsi, lasciandolo spaesato e pensieroso. Un bacio posato da lei sulle sue labbra e il desiderio di rivalsa, che gli era quasi congenito, si allontanava, sfumando in mille altre sensazioni, che non aveva mai provato e che lo attraversavano, scaldandogli il sangue.
Ricambiare quel bacio, poi, era distruggere il dolore e la tristezza che portava con sé, concedersi la possibilità di cambiare strada senza perdersi.
Essere accettato, tutto intero, compreso il suo lato malvagio e fradicio di sangue innocente, compresa la sua vita trascorsa nella fredda crudeltà verso il prossimo. Accolto senza compromessi, senza che nulla gli venisse rinfacciato o richiesto.
Farmaco per lo spirito, placato e consapevole. Era super Saiyan per quel motivo. Per lei.
Balsamo per il cuore, che si era accorto di possedere solo nell’istante in cui l’aveva incontrata. Quello sì che faceva male. Bruciava terribilmente nel sentimento incontenibile per lei e nell’orgoglioso tentativo di non mostrarlo. Era bastato quel suo sorriso a curarlo. Lo ricordava benissimo, quell’esatto momento.
Tre fitte spaventose, al petto, allo stomaco, al ventre erano sparite, come per magia, quando era uscito dalla gravity room, quel giorno lontano. Non erano dovute all’allenamento, bensì alla sua inutile caparbietà. Sciolta davanti a lei, che gli aveva domandato con dolce premura come si sentisse. Male, perché sapeva cosa fare, ma non come farlo. Male, perché si era innamorato di lei e si ostinava a non dichiararsi. Bene, perché poi qualcosa aveva fatto, afferrandole la mano e guardandola negli occhi. Bene, perché le aveva chiesto di non andarsene. E quel sorriso di risposta lo aveva privato del dolore. Lei gli aveva accarezzato il viso, fissandolo senza timore ed era stato come respirare per la prima volta. Era rimasta, come le aveva domandato.
E lui...
Senza fiato e non stava volando. Senza respiro e non stava combattendo. Era solo davanti a lei, a guardare se stesso.
Sì, invece, che aveva volato, prendendola tra le braccia con un gesto repentino. L’anima aveva preso il volo in quell’amore immenso, che era parte di lui.
Sì, invece, che aveva combattuto, baciandola senza ritegno. Il cuore aveva combattuto in quel desiderio irrefrenabile, che scaturiva dal suo intero essere.
E lei…
Non lo aveva respinto, neppure quella volta, come il giorno in cui era capitato sulla Terra, come il momento in cui lo aveva invitato a casa sua, come l’istante in cui l’aveva vista piangere di nascosto per la paura di averlo perduto nell’esplosione della gravity room.
Non lo aveva respinto, quando lui aveva sbarrato la porta e l’aveva stretta a sé, senza parlare, e le sue dita l’avevano percorsa come se stesse toccando una cosa di immenso valore, in un misto di timidezza e audacia.
Non lo aveva respinto quando la carezza era diventata amplesso, quando il bacio era diventato spasmodica richiesta, quando il suo corpo era entrato in lei, quando la sua anima era penetrata nel suo io profondo.
Aveva detto sì: a lui nel suo intero essere, al guerriero alieno che cercava vendetta, al principe caparbio e malinconico che detestava manifestare i sentimenti, a Vegeta uomo costituito di carne e sangue, alla creatura fornita di un’anima che si legava alla sua nell’amore eterno.
Avere lei. Darle se stesso. Non era solo fare l’amore dopo averlo tanto bramato. Era vivere. Era desiderare davvero di vivere. Riconoscerne il valore puro.
Lo aveva imparato tra le sue braccia, sentendola respirare leggera al suo fianco, ammantandosi del suo calore, avvertendo il battito del suo cuore.
Dare la vita, non spezzarla.
Quando lei gli aveva preso la mano e se l’era posta sotto l’ombelico e lui aveva percepito la nuova esistenza che li rappresentava entrambi, già lo sapeva.
Non era stato distratto, tantomeno stupido. Sapeva perché quella nuova creatura era lì e perché lui ce l’aveva messa e perché lei aveva detto sì anche a quello. Perché neppure la sua donna era una sciocca. Lo volevano. Perché la vita si poteva infondere e in quella scelta non si moriva, neppure con i cyborg alle porte. Perché si amavano follemente e lo avrebbero fatto per sempre.
 
“E’ forte, vero?” gli domandò Bulma, sedendosi accanto a lui sul letto.
“Sì, un vero Saiyan” affermò Vegeta con orgoglio.
“Quindi ostinato, duro di comprendonio e rissoso…”
Chi! Queste sono anche caratteristiche terrestri!”
Lei rise di gusto.
“Fiero, affascinante e coraggioso?”
Lui arrossì.
“Non è stato facile batterlo” aggiunse per vincere l’imbarazzo.
“E’ tuo figlio… ti assomiglia sempre di più ogni giorno che passa”.
Vegeta la trafisse con quegli occhi allungati e pieni di passione, dotati di quel velo di tristezza e ferocia, che le toglieva il fiato.
Nostro figlio” corresse con un sogghigno “Qui non si tratta certo di partenogenesi”.
Bulma sorrise maliziosa.
“Ti dona molto…” riprese lui.
“Che cosa?”
“La mia maglietta. Mi dispiace quasi togliertela…”
Lei lo guardò, gli occhi che brillavano nei suoi.
Il Saiyan la incatenò con lo sguardo.
“Resterò. Lo giuro”.
“Lo so”.
“Se mi sono allontanato è perché…”
“Lo so. Non sarai mai distante da me. Né io da te. Non occorre dire altro”.
Hah…”
Allacciò le braccia al suo collo e si avvicinò.
“Ti amo, Vegeta…”
Le iridi nere del principe luccicarono di emozione intensa. Posò le labbra sulle sue dita e tornò a lei, ancora una volta, il cuore che batteva all’impazzata.
Inspirò.
Avrebbe dovuto aspettarlo ancora. Avrebbe dovuto attendere che quell’orgoglio maledetto gli consentisse di esprimersi, che il guerriero tenace smettesse di prevalere sull’uomo innamorato. Lo era maledettamente, sin da quel dannato istante in cui si erano guardati e lui aveva avvertito quella fitta lacerante, che lo aveva ferito e guarito contemporaneamente. Avrebbe dovuto aspettare che il principe dei Saiyan smettesse di lottare contro se stesso per non ammettere di essere terribilmente umano. Avrebbe dovuto…
No.
Che cosa avrebbe dovuto aspettare ancora quella donna, che era la sua vita, la sua anima, il suo tutto per sentirsi dire…
“Ti amo, Bulma…”
   
 
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