SWIMMING TALE
CAPITOLO UNDICI
“Il Codice Proverbi”
“Perché ho l'impressione che ci sia qualcosa che non potrò far finta di capire ancora a lungo?”
Undici e undici.
– Esprimi un desiderio. – mormoro con la
vista appannata al ragazzino di fronte a me che regge a fatica la
guancia sul palmo aperto della sua mano.
Lui alza gli occhi
celesti ora arrossati a fatica, dondolando un po' la testa prima di
riprendere in mano il bicchiere di non-so-cosa. Continua a guardarmi
senza dire una parola, solo bevendo ed elargendo dopo un minuto buono
un confuso: – Fatto.
– Bene. Ora continuiamo il nostro
gioco?
– Continuiamo. – mi concede con un breve sorso,
prendendosi il ciuffo di capelli rossi sulla fronte con la mano
libera e portandoselo all'indietro. – Perché eri a casa mia?
–
Perché Kyle Adair è fondamentalmente un idiota. – borbotto senza
troppa grazia, dovendo faticare per mettere insieme le parole che
fino a un'ora fa avevo ben chiare in mente.
Lo penso davvero e
voi sapete che l'ho sempre pensato, è stato solo il leggero
sentimento di “sì dai, posso anche sopportare il suo essere idiota
e dare ascolto al mio fragile cuore da Ariel la Sirenetta” che ha
preso sempre più piede in me e che mi ha portato a fare l'emerita
cazzata di pensare che la sua indole bastarda avesse potuto
migliore.
E' migliorata sì, ma solo se consideriamo il
miglioramento nella bastardaggine.
Del resto siamo proprio calati
a picco peggio del Titanic.
Xavier sorride sghignazzando in
maniera confusa, portandosi sul viso il bicchiere per raffreddare la
fronte: – Che fosse un idiota lo sapevo anche io.
Questo mi
suona molto come odio represso.
– Cos'hai precisamente contro
Kyle? – gli chiedo preso da un moto di lucida curiosità,
accantonando per un attimo il nostro gioco. – A conti fatti non
l'hai nemmeno conosciuto, quando sei entrato il primo anno lui se
n'era già andato.
– Le voci corrono in una scuola piccola come
la nostra. Non eravate proprio discreti, ecco.
– Allora non
dovresti sopportare nemmeno me. Cos'è, ti danno fastidio le
effusioni tra due uomini?
Xavier scuote energicamente la testa, mi
chiedo come riesca a mantenere l'equilibrio con quel movimento e il
tasso alcolico che ha nel sangue: – Se non sbaglio ci siamo
abbracciati anche noi due in mezzo alla gente. Non mi dà fastidio
quello, a me dà fastidio Adair. Non... Insomma, non ti vedo con uno
come lui.
Ridacchio appena, perdendo però la mia risata nel
rimbombo della musica: – Uno come lui?
Adesso mi picchia, me lo
sento.
Xavier odia quando lo faccio ripetere o gli faccio
spiegare qualcosa che ha appena detto, ma questa situazione assurda
comincia a piacermi: vediamo fino a dove arriviamo.
– Sì, uno
come lui – ripete, scocciato. – Uno che se ne frega di tutto e di
tutti, che pensa solo a se stesso, che pensa di avere il diritto di
credersi al centro delle attenzioni altrui e che ti tratta male. Non
lo sopporto.
– Allora come pensi che sia io? Non credi che
sotto sotto potrei essere quello che hai appena descritto?
Ammetto
che la retorica ha il suo fascino.
Adoro mandare in panne questo
ragazzo.
– Non ti conosco, è vero. – ammette quasi
sottovoce, bagnandosi le labbra con l'ultimo sorso. – Ma so che non
sei nemmeno lontanamente come Adair. Sei meglio. E meriti qualcuno in
grado di familiarizzare con i tuoi difetti, non di uno che te li
faccia pesare.
Scuoto la testa, coprendomi il viso con entrambe
le mani. Cosa diavolo sta dicendo questo ragazzino diabolico? Come si
permette di farmi sorridere come se non avessi bevuto nemmeno un
sorso di alcol e come se non fosse successo niente?
Perché io ho
sempre voluto sentirmi dire tutto ciò ma ho dovuto attendere un
lunatico Xavier in una serata del cazzo in uno squallido pub con più
bicchieri che persone?
Le domande della vita.
– Comunque, –
ricomincia prima che la situazione possa farsi imbarazzante,
spostando la mia mano destra dal viso. – Dicevi? Cos'è successo?
–
Mi ha portato il suo ex a casa. – Inizio, sconfitto
dall'illeggibilità di cui questo demonio potrà sempre fare uso
contro di me. – Ho aperto la porta, e lui era lì... Con un caffè,
tra l'altro. Il mio caffè. Siamo andati fuori a parlare e lui
mi ha detto che dovevo essere comprensivo e lasciarli parlare
tranquillamente, che Landon era stanco dal viaggio e che mi avrebbe
spiegato tutto prima o poi. Allora me ne sono andato e sono venuto da
te perché pensavo di cogliere l'occasione per parlare di New York
con i tuoi, ma in realtà volevo solo vederti. – Disegno
distrattamente un cerchio col bicchiere vuoto sul tavolo, alzando
lentamente gli occhi. – Questo è quanto.
– Bello schifo. –
mi concede saccentemente, intrecciando le dita e appoggiandovi sopra
il mento cosparso di lentiggini. – E perché hai pensato a me? Una
sorta di elevazione spirituale?
– Se ti aspetti una risposta
filosofica sei fuori strada. Non so perché sono venuto da te, è
solo che tra tutti mi sei venuto in mente tu.
– A-ha. E
cosa ti ha portato scegliermi come meta? Problemi in più. Hai
proprio dei gusti di merda.
Allungo il braccio verso di lui per
imitare uno schiaffo, ma per la stanchezza finisco per far piombare
la mano sul suo collo - evviva la lucidità!, ritrovandomi sotto i
polpastrelli la pelle liscia di Xavier attraversata da una scarica di
brividi che le fa cambiare aspetto. Sono guance rosse per l'alcol o
per altro, quelle?
– Possiamo discutere su Kyle, ma non su di
te. – lo rassicuro, muovendo piano il pollice. – Stare con te è
sempre... Lenitivo, ecco. Te l'ho detto: superate le lettere
minatorie, con te è tutto facile per quanto difficile tu sia.
–
Bel paradosso. – borbotta guardando di sbieco la mia mano. –
Senti, Himeragi, forse è il caso che tu ritorni a casa. Ti posso
chiamare un taxi.
Wow, otto lettere di nome pronunciate da lui
fanno un effetto totalmente diverso da otto lettere pronunciate da
Kyle nei momenti in cui chiamarmi per soprannome gli è scomodo.
Perché, mi chiedo, io devo riuscire a gestire due fuochi
totalmente opposti quali sono Kyle e Xavier? Possibile che qualcuno
ai piani alti abbia pensato che fossero entrambi buoni abbinamenti?
Nessuno ha seriamente pensato a questo inutile e tapino essere
umano che sono io?
– Dobbiamo finire il gioco. – concludo,
dimostrandomi più lucido di quanto non sia in realtà. – Finché
non parli non ce ne andiamo.
– Lo dicevo per te. – Si difende
alzando le mani all'aria con un sorriso che però lascia pensare che
le sue intenzioni fossero ben diverse. – Cosa vuoi sapere? A grandi
linee penso che tu possa immaginare perché me ne stessi andando.
–
A grandi linee. – ribadisco, seccato, mentre ritiro il braccio
sentendo una sorta di rabbia nel restare sempre scoperto davanti a
Xavier mentre lui riesce a nascondere tutto quanto con una certa
maestria. – Non credi che non sia proprio equo?
Lui alza
distrattamente le spalle, sorridendo divertito. Ma che si ride?
–
Semplicemente non hai bisogno di sapere i dettagli. – mi spiega,
pacato, dimostrandosi ancora una volta un muro invalicabile.
Avete
presente il Monopoly?
Tutti ambiscono al Parco della
Vittoria, è il più costoso e il più fruttuoso al passaggio di
qualche disgraziata pedina nella casella precedente il cui dado conta
poi solo un avanzamento; tutti i giocatori tengono stretti i guadagni
dagli appalti minori per raggiungere finalmente l'ambito Parco della
Vittoria e quando sembra che il tuo turno sia arrivato, ecco che il
giocatore proprio prima di te raggiunge la somma adatta e sbanca
tutto acquistando il tuo povero Parco della Vittoria. Be', povero è
un eufemismo.
Ma è esattamente così che, quando mi sembra di
aver raggiunto la somma adatta per capire Xavier, ecco che lui riesce
a vincere tutto, lucrare su di me e mandarmi in banca rotta.
–
Allora perché tu pensi di aver bisogno di sapere i miei? –
ribatto, cercando di riuscire a riguadagnare almeno un quarto del mio
Parco della Vittoria.
– Perché ho bisogno di sapere chi ho di
fronte. Spesso non lo so, io non ti conosco. – mormora
distrattamente digitando qualcosa sul cellulare. Mi chiedo come
faccia a non vedere le lettere doppie.
– Che diavolo stai...?
–
Pensi che sia facile avere a che fare con te? – mi sbotta
improvvisamente addosso picchiando il telefono sul tavolo nel
metterlo giù, corrugando le sopracciglia.
Be', in realtà per me
è facile avere a che fare con... me. Ovviamente. Se non riuscissi
nemmeno in quello sarei bell'e morto, mi sa.
– In realtà...
–
Non rispondere. – mi blocca prima che possa dire qualche stronzata,
sbuffando rassegnato mentre scuote la testa. – Forse credi che per
me sia facile essere qui in questo momento con te ubriaco che non fai
altro che elargire perle di saggezza miste a cazzate da porto di
carico, ma non lo è. Non so cosa dire perché tu sembri sempre
capirmi e più io cerco di nascondermi, più tu mi trovi.
Faccio
fatica a collegare tutte le frasi tra di loro a causa della musica e
dell'alcol, ma non appena ci riesco non posso fare a meno di
sorridere e pensare che almeno ho un piede dentro il perimetro del
mio Parco della Vittoria: – Speravo di renderti le cose facili, in
realtà.
Xavier scuote la testa ma il sorriso che poi spunta sulle
sue labbra non è altro che la somma di tutti quelli falsi che ha
fatto finora per mascherare ciò che realmente vive: – Mio padre
tradì mia madre per otto mesi, sei anni fa. Volevano divorziare, ma
io ero piccolo e l'affido sarebbe andato a pesare economicamente su
uno o sull'altra, quindi decisero di continuare a vivere sotto lo
stesso tetto e di limitarsi a considerare finito il matrimonio. Da
allora mi odiano, ovvio, perché sono la causa per cui non hanno
potuto divorziare e perché qualsiasi cosa che chiedevo diventava una
loro battaglia personale. Così a quattordici anni ho iniziato a fare
le cose di testa mia, senza rendere conto a nessuno: me ne vado di
casa quando l'atmosfera si fa pesante e ritorno di notte, verso le
quattro, per poi alzarmi alle sei per andare a scuola e ripetere
tutto ciò per trecentosessantacinque giorni.
Deglutisco,
sentendo lo stomaco pesante: come sta vivendo questo ragazzo?
Gli
allungo la mano, alzandomi dal tavolo cercando di sorridergli: –
Vieni?
– Ce ne andiamo? – mi chiede, perplesso, stringendo le
sue dita tra le mie e alzandosi faticosamente. Sembra leggermente
barcollare.
– Sì. In macchina, almeno. Da lì non ci muoviamo
per un po', di certo non posso guidare.
Il rosso sorride,
scuotendo la testa rassegnato: – Poi non dire che non mi rendi le
cose facili.
Mi giro verso di lui, stordito dalla musica: –
Cosa?
– Dicevo che in effetti sei l'unica cosa facile che ho. –
ripete in tutta tranquillità, spingendomi poi verso il bancone. –
Muoviti a pagare, inizio a sentirmi male.
Chiudiamo le
portelle allo stesso momento, lancio chiavi e portafoglio - vuoto -
sul sedile del guidatore e mi abbandono alla comodità del sedile
posteriore mentre Xavier si stende su di me con nonchalance,
appoggiando la nuca sulle mie cosce e i piedi sul finestrino. Tutto
intorno a me gira, ma so che devo sforzarmi per dire un'ultima cosa a
Xavier: porto la mano sul suo petto, in tempo per sentire il suo
cuore battere più veloce e mi schiarisco la gola: – Credo che tu
dovresti andare a New York. Potrebbe essere la tua unica possibilità
per cambiare davvero ciò che hai ora.
Lui tiene gli occhi fissi
su di me, le lentiggini sotto di essi appena evidenti al chiarore
della luna e le labbra secche: – Non so se faccia per me.
–
Sinceramente preferisco vederti a nuotare nella Nyst piuttosto che
vederti vagabondare per le strade di Detroit fino alle quattro di
mattina. – lo rimprovero, percependo chiaramente la tensione
causata da questa discussione grazie al suo battito cardiaco sotto la
mia mano. – Li convincerò io, i tuoi genitori. Ma per lo meno
voglio che tu inizi a stare bene.
– Io sto bene,
Anguilla. – borbotta con una smorfia saccente, facendo scintillare
gli occhi celesti di un'insana tranquillità. – Non ho bisogno di
grandi cose.
I cancelli di Parco della Vittoria ora sono chiusi,
serrati, alti più che mai e controllati da due guardiani. Non posso
più passare.
– Per favore, Xavier, io...
– Sai di cosa ho
bisogno? – sorride di punto in bianco, socchiudendo gli occhi. –
Di dormire. Possiamo non parlare più di New York?
– No,
ascolta, le convocazioni sono una faccenda seria. Non puoi buttarla
via come se niente fosse, almeno pensaci!
– Se non sbaglio hanno
convocato anche te, genio.
Mh, non ha tutti i torti. Mi meritavo
quell'acido “genio”.
Abbasso quindi gli occhi, ritrovandomi a
fissare il suo viso apparentemente addormentato ma finalmente sereno:
– Sai, stavo pensando che forse non è il caso che io parta. Non
credo verrò, anche perché...
– Lo so. – taglia corto lui,
corrugando per un istante le sopracciglia. Sbatto più volte le
palpebre, sono perplesso: come diavolo fa a sapere che non andrò?
–
Ehi, come fai a... – Provo a scuoterlo, ma non arriva più
risposta. So che non si è addormentato, so che sta aspettando che io
demorda e so che sa che ce l'avrà vinta col gioco del silenzio, ma
vorrei solo che capisse che sono preoccupato per lui.
–
Buonanotte. – mormoro alla fine, chinandomi istintivamente per
baciarlo sulla fronte quasi bollente.
Vorrei tanto dirgli che va
tutto bene, che lo supporterò sempre e che potrà sempre contare su
di me; vorrei dirgli che so che i miei problemi sono solo stupidi di
fronte ai suoi e vorrei ringraziarlo per essere venuto con me e
avermi finalmente permesso di dare una sbirciata al suo Parco
della Vittoria, ma mi faccio bastare il sorriso che non riesce a
trattenere non appena stacco le labbra dalla sua pelle.
Per
adesso, mi basta questo.
Io penso seriamente di essere
ingiustamente stalkerato.
Non credo ci sia qualcosa di
concettualmente difficile da capire nella frase “non cercarmi”,
ma evidentemente per Kyle c'è e, quel che peggio, è che è pure
riuscito a trovarmi nell'arco di tempo che va dalle tre alle sei e un
quarto di mattina dato che, al mio risveglio alle sei e nove minuti,
mi sono ritrovato con un biglietto attaccato con lo scotch al
finestrino.
Ora sono qui dopo tre minuti buoni intento ancora a
fissare preoccupato il biglietto che porta il mio nome e la firma del
cretino con cui ho litigato qualche ora fa, Xavier dorme ancora
beatamente tutto rannicchiato con le mie gambe come cuscino e la mia
testa mi suggerisce “ti sto facendo male perché tu hai bevuto come
un idiota perché sei un idiota e hai un nome che ti fa meritare le
peggiori cose”. Be', cos'ho da perdere, alla fine?
Apro quindi
il biglietto, respirando profondamente per farmi forza prima di
iniziare la sua tanto temuta lettura.
“Himeragi,
premetto
che non sono bravo a scrivere ma so che non mi ascolterai per i
prossimi sette mesi e per questo ho pensato che devo pur farti sapere
come sono andate le cose. Spero che ne potremo anche parlare faccia a
faccia, ma se proprio pensi di odiarmi almeno voglio che tu sappia
queste poche cose prima di chiudere definitivamente i ponti con me.
Prima di tutto, mi dispiace. Sapevo che ti saresti arrabbiato ma
speravo che almeno mi saresti stato a sentire e quindi che mi sarei
potuto chiarire sul momento, ma ciò non è successo ed eccomi qui a
scrivere alle due e un quarto della mattina nella speranza di
trovarti quando uscirò di casa.
Poi, è la pura verità il fatto
che Landon mi abbia riportato qui il computer, ma non ti nascondo che
mi ha anche detto qualcosa che mi ha lasciato perplesso e per cui
volevo prendermi un po' di tempo in tranquillità con lui per
elaborare. Questo è un discorso che preferirei veramente fare a voce
in quanto è un elemento un po' delicato e non voglio che tu
fraintenda tutto da ciò che ho appena scritto, quindi ti sarei grato
se mi concedessi un po' della tua magnanimità e mi degnassi di venti
minuti per permettermi di farti cambiare idea.
Se non ti ho
fermato qualche ora fa quando te ne stavi andando non era perché mi
ero offeso da ciò che avevi detto o pensavo di avere ragione, ma era
perché ero ancora confuso e sapevo che tu lo eri (e forse lo sei
tutt'ora) ancora più di me e che, conoscendoti, dovevo lasciarti il
tuo tempo per pensare. Ammetto che però speravo che tu tornassi
almeno a casa per dormire, ma dopo essere tornato a casa dall'albergo
in cui ho accompagnato Landon e quindi dopo aver visto che tu non eri
ancora arrivato ho capito che te ne saresti stato chissà dove per
chissà quanto tempo e ho deciso di scrivere questo biglietto prima
di partire al tuo inseguimento.
Mi dispiace, davvero, ultimamente
sono stato uno stronzo ma questo è un altro punto che vorrei
chiarire avendoti di fronte perché voglio scusarmi come si deve e
farti capire le mie ragioni che, seppur con conseguenze esagerate,
sono sicuro che siano giustamente fondate. Lo so che non faccio altro
che farti arrabbiare, ma questo è sempre stato alla base del nostro
rapporto ed è qualcosa che non sono in grado di cambiare anche se so
che ci fa allontanare costantemente, ci ho provato e ci provo
tutt'ora, ma so bene che tu hai un limite e spero sul serio di non
averlo raggiunto una seconda volta.
Detto questo, se mai ti
dovesse venire l'ispirazione e venirmi a parlare, ti aspetto stasera
in piscina per la nostra solita lezione di nuoto privata, solito
orario.
Ti prego di perdonarmi almeno il minimo per mettere piede
in piscina.
Buon risveglio nel catorcio rosso - e col ragazzo
rosso,
Kyle.”
Alzo gli occhi al ciel... ehm, al
soffitto dell'auto e sospiro: non posso andare avanti così. Come
diavolo faceva a sapere che mi avrebbe trovato in auto e con
Xavier?
E poi, insomma, è ovvio che andrò da lui almeno per
chiarimenti ai punti “elemento un po' delicato” e “sono stato
uno stronzo”, parole che tra l'altro ho avuto l'onore di sentire
almeno un centinaio di volte uscire dalla sua bocca.
E' vero, non
fa altro che farmi arrabbiare ma questo suo tentativo di farsi capire
è sempre stato ciò che, anche nel passato, gli ha permesso di farsi
perdonare ogni volta che litigavamo per colpa sua - il che ammonta
alla maggior parte dei nostri litigi. Mi chiedo se ne uscirò mai
vivo, da qui.
E mentre cerco di arrivare ad una risposta
soddisfacente, il cellulare inizia a vibrare e per la prima volta da
ieri sera lo estraggo dalla tasca, sbiancando al numero di notifiche
che vedo nell'anteprima ma che sono costretto ad ignorare per
rispondere alla chiamata.
– Pronto? – borbotto sentendo il
retrogusto cattivo dell'alcol mentre cerco di mantenere basso il tono
della voce per non svegliare Xavier.
– Oh, grazie a Dio! – La
voce trillante di Percy fa quasi male alle mie orecchie già
affaticate dai bassi del Topo, mi vedo costretto a stringere
improvvisamente gli occhi per cercare di non pensare a quanto alto
sia il volume in chiamata del mio stupidissimo cellulare tenuto con
lo scotch. – Pensavamo fossi morto chissà dove, razza di
cretino!
– Perché dovrei essere morto?! – sbotto cercando
però di moderare la voce per non svegliare la Bella Addormentata qui
presente. Sembra che essere tragici sia un difetto alquanto diffuso
tra di noi.
– Kyle ha chiamato ognuno di noi nel bel mezzo della
notte per chiederci se ti avevamo visto perché tu non rispondevi al
telefono, era fuori di sé e ha fatto ovviamente preoccupare anche
noi! Come ti viene in mente di ignorare il telefono? E dove sei, si
può sapere?
Piano, cosa diavolo mi ha chiesto? Non sono nelle
condizioni di ricordare cose, al momento.
Tranne il mio
nome.
Quello lo ricordo per forza.
– Non avevo voglia di
guardare il cellulare perché ero arrabbiato. – ammetto senza
problemi, trattenendo anche uno sbadiglio che potrebbe far tremare la
Terra. – E poi Kyle mi ha trovato, non ve l'ha detto? Mi ha
lasciato un biglietto.
– Himeragi Fenwick, dove sei? – ripete
lei scandendo al meglio le parole solo per non urlarmi addosso tutto
l'odio che ha accumulato in queste poche ore verso di me. Inspira ed
espira Iris, se no mi ammazzi.
– Sono al Topo, ho dormito in
macchina. Sono con Xavier.
– E che accidenti ci fa Xavier lì
con te?
– Mi ha accompagnato ieri sera e abbiamo deciso di
dormire per riprenderci, abbiamo bevuto un pochino. Giusto per
passare la serata.
Silenzio.
Dall'altra parte non sento nulla
se non uno strano ronzio che mi fa tanto da calma piatta prima della
tempesta.
– Hime?
– Hick? Ci sei anche tu?
– Ci siamo
radunati tutti per cercarti, ci sono anche Iris e Ciel.
Eh?
–
Ciel? – ripeto, sperando di aver capito male.
– Sì, Kyle ha
chiamato pure lui.
– Ah. – Okay, mi merito le peggiori cose di
questo mondo. Lo ammetto. La vera domanda resta però perché Kyle
abbia dovuto chiamare l'allenatore di Shion con cui io ho avuto a che
fare tre volte al massimo incluse le gare provinciali. – … Percy
dov'è andata?
– Mi ha passato il telefono perché è andata in
terrazza dicendo che si fuma una sigaretta rischi una morte lenta e
atroce. Oh aspetta, ha appena aperto la finestra. Dice che devi
andare a farti fottere, che sei un idiota, che... ah no, questa è
proprio brutta. Percy! Non offendere la mamma di Hime! ... No,
neanche sua zia!
– Da quando Percy fuma? – chiedo sconcertato,
ma dopo un frastuono la risposta mi arriva chiara e tonda proprio
dalla diretta interessata.
– Da un po' e per colpa tua! Tua e
del tuo essere un coglione senza gloria né dignità! E di Iris che
mi offre le sigarette nei momenti peggiori! Iris, vaffanculo anche
tu!
Ridacchio istintivamente, devo ammettere che i miei amici
hanno uno strano modo di dimostrare che si preoccupano per me. Forse
è vero, stavolta ho leggermente esagerato ma alla fine nessuno si è
fatto male e stiamo tutti bene?
– Chissà che ti investisse un
tir straripante di vacche pezzate!
Sì, se Percy non continua a
mandarmi un flusso di accidenti continuo.
– E se non sono
pezzate? – domando con un filo di voce, temendo la risposta ma
curioso di sentirla. Da tempi immemori io e Percy siamo conosciuti
per le nostre provocazioni ma il nostro rapporto è sempre stato
combattuto, fin da quando in terza elementare le dissi che sembrava
un barboncino spelacchiato con quei capelli ricci e lei mi rispose
dicendomi che per lo meno lei li aveva, i capelli. In effetti mia
madre tendeva a tenermeli sempre a spazzola anche contro la mia
volontà, perciò cominciai a farmeli crescere verso i dodici anni,
quando fui in grado di intendere e volere e capii che un nome di
merda come il mio sommato a dei capelli ridicolamente a spazzola e a
degli occhi azzurri in stile Pallocchio non poteva portare a
nulla di buono.
– Ti faccio del male. – risponde lei alla
fine, pericolosamente lapidaria. – Xavier sta bene? L'hai fatto
vomitare?
– Io non ho fatto niente! Stava meglio di me e adesso
sta dormendo steso sulle mie gambe. Sta alla grande.
– Se sta
bene lo stabiliremo noi, all'allenamento di stasera. Le regionali per
lui sono tra tre giorni e tu lo porti a bere!
Roteo gli occhi al
cielo, appoggiando la tempia al finestrino freddo: – Non è che una
sbronza duri quattro giorni, Percy. Quello succede se bevi per tre
giorni consecutivi, ma noi abbiamo bevuto per due ore, quindi non
preoccuparti. Quando si sveglierà sarà come nuovo.
– E perché
mai l'avresti portato con te? Se avessi chiamato Hick credo sarebbe
venuto senza problemi.
Esito per un secondo, in effetti ha
ragione. Potevo chiamare Aydin e lui sarebbe venuto con la sua
macchina in un quarto d'ora, avremmo fatto un giro giusto per
schiarirci le idee e poi sarebbe tornato tutto a posto; almeno non
avrei coinvolto un minorenne psicologicamente instabile che sarebbe
potuto uscire parecchio male da questa stupida avventura. Ci tengo a
chiarire che non mi sono pentito della mia scelta e non voglio
togliere nulla al livello di sopportazione dell'alcol di Xavier, ma a
conti fatti avrebbe potuto finire peggio di come non sia andata in
realtà - ringraziamo gli enzimi potenziati dalle varie sbronze
passate.
– Lo so che sarebbe venuto senza problemi, ma avevo
dodici chilometri di autonomia nell'auto e zero voglia di guardare il
cellulare, perciò ho mandato tutto a quel paese e ho fatto di testa
mia pensando di andare da Xavier per parlare con i suoi genitori.
–
Alle dieci di sera?
– Nove e qualcosa, su. Non essere pignola.
–
Ti pignolo il culo se mi irriti ancora di più, Himeragi.
Mai
irritare Percy ancora di più. Esperienza personale, non la
raccomando per niente.
– Comunque, – balzo l'argomento per
salvarmi la pelle e controllo che Xavier stia dormendo. – Alla fine
l'ho trovato che stava uscendo di casa, perciò ho risparmiato la
farsa e gli ho chiesto se oggi avrebbe potuto saltare scuola. Fine
della storia.
– Ti rendi conto di come accidenti si sente quel
ragazzino? Come ti è venuto in mente di coinvolgerlo nei tuoi
problemi, Hime?!
Sorrido tra me e me: Percy ha ragione.
Percy
ha sempre avuto ragione, su ogni cosa. Lei sapeva che prima o poi
Kyle mi avrebbe fatto soffrire, sapeva che la relazione tra me e Iris
non sarebbe durata, sapeva che Xavier è particolarmente sensibile a
me.
– Hai ragione. – ammetto sottovoce, iniziando a passare
la mano tra i ciuffi ramati del ragazzino steso su di me. – Ma in
qualche modo sento di fare qualcosa anche per lui, quindi sono felice
lo stesso. Se non riesco a risolvere i miei problemi ma riesco a
risolvere i suoi allora tanto meglio, l'importante è che almeno
qualcuno dei due stia bene.
– Hime, Xavier è un tuo allievo,
non puoi fare come se fosse il tuo migliore amico! Hai un registro da
rispettare e lo sai bene, queste cose non sono ben viste.
Scuoto
la testa, sbuffando: – Tratto Xavier da Xavier, non da allievo e
non da migliore amico. Dovete smetterla di dirmi cosa devo fare con
Kyle, con lui o con chi-so-io, ho diciotto anni e non ho bisogno
della ramanzina ogni volta. Spero di essere stato chiaro.
–
…Chiarissimo. – mormora lei con un filo di voce, passando il
telefono nelle mani di qualcun altro.
Okay, mi dispiace e forse
ho esagerato, ma come ho detto sono stanco di essere ripreso per ogni
singolo passo che muovo; ormai ho l'età per intendere e per volere e
non mi serve che qualcuno - specialmente se poi quel “qualcuno”
sono i miei coetanei - continui a mettermi dei paletti e a farmi
pentire di qualsiasi cosa a questo mondo. Insomma, un briciolo di
dignità ce l'ho anche io dopotutto!
– Himeragi? Ci sei
ancora?
Ci metto qualche secondo prima di ricollegare la voce al
suo proprietario, ma una volta stabilito il collegamento tiro un
sospiro di sollievo, sperando di non dovermi più beccare i più
disparati insulti.
– Ehi, Ciel. Da quanto tempo.
– Ci siamo
sentiti la settimana scorsa, se ti ricordi. Per Shion.
– Frasi
di circostanza. – E si vola con le figure di merda. – Come va?
–
Io sto bene, tu piuttosto? Fatto le ore piccole?
– Non me ne
parlare. – ridacchio leggermente, accorgendomi di aver praticamente
alzato tutti i capelli di Xavier. Sembra un clown visto da qui in
questo momento. It Il Pagliaccio - la Vendetta. – Senti, ti
chiedo scusa se Kyle ha disturbato anche te.
– In realtà avevo
intenzione di passare in piscina da voi insieme a Shion questa
mattina, quindi alla fine ci saremmo visti comunque. E poi Adair ha
fatto bene a chiamare anche me, ero preoccupato. Shion mi aveva detto
che Xavier era al Topo insieme a te.
– Cosa...? – Guardo
istintivamente Xavier che, come se non avesse mai dormito, ora mi
guarda con gli occhi aperti e un sorriso indecifrabile stampato sul
viso. Da quanto stava ascoltando? E soprattutto da quanto sentiva la
mia mano tra i suoi capelli? – … Ciel, ti lascio. Xavier si è
svegliato. Ne riparliamo quando arrivo in piscina, okay?
–
D'accordo, amico. A dopo.
Premo la cornetta rossa sul touch screen
e guardo Xavier che, con nonchalance, si mette seduto e si sistema
velocemente i capelli che io gli ho spettinato. Ops.
I
suoi occhi sembrano più assonnati che mai, sbatte più volte le
palpebre e solo dopo averli sfregati due o tre volte riesce a tenerli
aperti, concludendo il risveglio con un sonoro sbadiglio. Sarebbe
quasi tenera questa scena se non sapessi che in realtà è stanco per
via dell'alcol e della posizione inusuale in cui ha dormito per poche
ore. Piccola peste.
– Hai sentito la telefonata?
– Sono
sveglio da prima di te.
– Ah.
Lui sorride sornione,
stiracchiandosi per quanto lo spazio gli consenta: – Sei piuttosto
comodo. E si sa che il dormiveglia è la parte più bella del
post-sbronza.
– Piccolo approfittatore... – Scuoto la testa
rassegnato, questo ragazzo ne sa sempre una più del diavolo. –
Piuttosto, cos'è la storia di Shion? Le avevi detto che eravamo
qui?
Xavier annuisce, tornando serio: – Se ti fosse successo
qualcosa almeno avrebbero saputo dove trovarti. Non stavi
particolarmente bene e avevo paura che saresti potuto peggiorare.
Insomma, mi fai stare in pensiero, Anguilla. Quanto lavoro mi dai da
fare, eh? – conclude con un sorrisetto vago, fingendo di sbuffare.
E così si preoccupa per me?
Che accidenti di istruttore
sono? Non posso nemmeno considerarmi un buon esempio da dare se è un
ragazzo di sedici anni a dovermi proteggere, accidenti.
–
Grazie. – dico solamente, trovando questa situazione meno strana
del previsto. Non mi sento in imbarazzo ad essere in questo abitacolo
scrauso con Xavier di fianco a me, né tanto meno era strano averlo
sulle mia gambe a dormire. Da quando è diventato così familiare
per me, questo moccioso?
Lui arrossisce leggermente, fissandosi i
piedi col broncio: – Grazie a te.
Perché ho l'impressione che
ci sia qualcosa che non potrò far finta di capire ancora a lungo?
Dopo aver fatto colazione (il barista al Topo era
sorpreso di vederci ancora vivi), aver riportato a casa Xavier con la
promessa di farmi chiamare dai suoi genitori per spiegare la
situazione e aver fatto benzina, mi ritrovo davanti alla tanto
agognata piscina dell'Andrew College.
E sbadiglio perché sto
morendo dal sonno.
Sono solo le nove e mezza della mattina e
prevedo già una giornata impossibile, ma devo tenere duro e arrivare
più lucido possibile a stasera, quando dovrò vedere Kyle. E con
“lucido” non intendo di certo le mie condizioni attuali, giusto
per farvelo sapere.
– Himeragi!
Una mano piuttosto pesante
mi si stampa improvvisamente sulla schiena, facendomi sobbalzare. Chi
ha osato toccarmi?
Mi giro così con uno sguardo omicida, pronto
a torturare qualsiasi anima che mi ritrovi davanti, ma alla fine non
posso fare a meno di collegare la faccia davanti a me a degli stupidi
occhialini rosa e finisco per sorridere, stringendo la mano che due
secondi fa mi ha praticamente marchiato a vita: – Ciao, Ciel.
–
Belle occhiaie.
– Io non ho mai commentato i tuoi occhialini
rosa, perciò non commentare le mie condizioni. – ridacchio
ritrovandomi a sbuffare per le reale pena che devo fare in questo
momento.
Ciel annuisce e scoppia a ridere, si sistema la coda che
tiene raccolti i capelli castani e poi fa un cenno verso l'entrata: –
Posso offrirti un caffè alle macchinette?
Wow, è la prima volta
che qualcuno spende metà dollaro per me. Sono commosso.
–
Volentieri. – acconsento alla fine, trattenendo un nuovo sbadiglio.
In pochi passi raggiungiamo l'interno del polo natatorio, gli
occhiali si appannano come al solito per via del vapore e mi rendo
conto che questo luogo oggi sarà teatro di parecchi confronti
interessanti.
Forse non sono poi così contento di trovarmi
qui.
Ci sono sempre tanti ricordi legati alla piscina ma la
maggior parte delle volte riesco a ignorarli e a sopravvivere qui
dentro, ma oggi sento che mi divoreranno vivo. Non uscirò da qui
tutto intero, stasera.
– Ragazzi, questi sono i vostri
nuovi istruttori! – Il rettore Muller fece un ampio cenno col
braccio, indicando noi quattro pecorelle smarrite di fronte ad altre
quattro pecorelle altrettanto smarrite - ma decisamente più
confuse.
Ci trovammo così di fronte a tre ragazze e a un ragazzo
che non sembrava essere molto del parere di stare lì a perdere tempo
con i convenevoli, tutti e quattro bagnati e infreddoliti per la
brutta giornata di pioggia in cui si era trasformata quella
soleggiata mattina di settembre. Se è vero che l'empatia esiste,
credo di aver percepito lo stesso pensiero che stava attraversando la
mia mente anche in quella di Xavier: chi cazzo sono questi
qua?
Non che non ci conoscessimo, ma era strano stare
dall'altra parte della cattedra quando per due anni quei ragazzi
erano stati miei compagni di corso. E dopo che per due anni mi
avevano guardato male.
– Non credo siano necessarie le
presentazioni, signor Muller. – improvvisò Percy dato l'imbarazzo
glaciale che si era depositato su quella patetica scenetta. – Già
ci conosciamo.
– Ma è sempre meglio ufficializzare, no? Ora
che mia figlia non può più insegnare voglio che voi veniate
rispettati come lo era lei.
Noi quattro ci lanciammo uno sguardo
veloce d'intesa: se dovevamo essere rispettati come noi rispettavamo
lei quando ci lanciava dietro i galleggianti e noi glieli
rilanciavamo addosso voleva dire che eravamo proprio messi male.
–
Che vi conosciate già è un bene, certo, – proseguì poi il
rettore, serio. – Ma ricordatevi che il vostro compito è di
allenare questi ragazzi, ora. Siete giovani e so che ci possono
essere delle distrazioni dato che siete quasi coetanei, ma vi prego
di tenere fede al vostro ruolo di insegnanti. E voi, ragazzi, – si
rivolse poi ai quattro allievi disposti in riga di fronte a noi. –
Vi prego do prendere sul serio i vostri istruttori anche se per
qualche anno sono stati vostri compagni di corso: se ora stanno
dall'altra parte vuol dire che se lo sono meritato. Allora, pronti ad
iniziare questo anno scolastico insieme?
Dal momento che mi
sentivo osservato guardai di sfuggita Xavier, notando che mi stava
fissando con uno sguardo pressoché omicida. Fu in quel momento
esatto che capii che quell'elemento non sarebbe stato facile da
gestire.
– Yay. – borbottò quindi lui sottovoce,
dandoci le spalle e tuffandosi nuovamente in acqua.
Lo ammetto:
non mi era mai stato particolarmente simpatico e vedere quella sua
insensata acidità nei miei confronti mi aveva dato non poco
fastidio.
– Il tuo angolo di ingresso non va bene, Xavier. –
comunicai atono non appena lui risalì in superficie, fulminandomi
con gli occhi azzurri. – E' debole – continuai, imperterrito. –
Gambe troppo divaricate e la schiena troppo dritta.
Il rosso
storse le labbra, arrossendo appena sulle guance: – Non ti avevo
chiesto di guardarmi.
– Quando smetterai di farlo tu, smetterò
anch'io.
– Ai suoi ordini, allenatore Himeragi. – mi
prese in giro con un sorrisetto che avrei tolto a suon di badilate
sulle gengive, riprendendo tranquillamente a nuotare. Come accidenti
si permetteva di trattarmi come un idiota nonostante il fatto che
avrei dovuto allenarlo per un anno intero? In quel momento mi
sembrava di volerlo raggiungere in acqua per strangolarlo con le mie
stesse mani, ma alla fine lasciai perdere quando la mano di Sapphire
mi si appoggiò sulla spalla: – E' un po' così, oggi. Brutta
giornata.
– Solo oggi? – borbottai parecchio infastidito,
permettendomi quel tono dal momento che conoscevo Sapphire e ci ero
sempre andato d'accordo.
– Ci farai l'abitudine, Hime. – mi
consolò con un sorriso poco convinto, battendo nuovamente la mano
sulla mia spalla. – Devi solo conoscerlo. E lui deve prenderti. Con
Xavier è come gli shot: quando sei ubriaco e ne bevi uno è tutto
fuori o tutto dentro.
– Bleah. Non parlarmi di shot, ti prego.
– risi, sapendo però l'effetto che quei maledetti avevano su di me
già allora. – Grazie del consiglio. Starò attento a non
ubriacarmi.
– Nah, impossibile. – Sapphire scosse la testa,
allontanandosi per raggiungere Xavier in acqua.
Non le credetti,
in quel momento.
Brutta idea.
– Non intendevo che
dovevi andarti a ubriacare con un sedicenne, quando ti ho raccontato
delle mie ex. – borbotta trattenendo le risate Ciel, bevendo piano
il suo caffè mentre siamo seduti nell'atrio. – Sul serio, amico,
come ti è venuto in mente? Che idea stupida!
Grazie Ciel, avevo
proprio bisogno di questo conforto così sentito. Ora sì che sto
meglio.
– Non l'ho fatto con le intenzioni che credete tutti
voi. – lo correggo sperando di dover chiarire questo punto per
l'ultima volta in questa giornata. – Avevo dodici chilometri di
autonomia nella macchina, non volevo stare da solo e nemmeno con
Kyle, ero sconvolto e non riuscivo nemmeno a usare il telefono per
chiamare qualcuno. Lì per lì avevo solo Xavier in testa, non è
stata una scelta pensata a dovere e lo so che forse ho sbagliato,
ma...
– Hime – mi interrompe lui, il tono della sua voce è
più grave del dovuto. – Lo so che tra te e Xavier c'è un rapporto
speciale, ma devi contare che lui non è la tua bambolina. Non puoi
avere bisogno di lui e poi lasciarlo in disparte, ha sedici anni e
queste cose, ora come ora, gli fanno solo del male. Io non lo
conosco, ma a quell'età i ragazzi hanno bisogno di stabilità, di
capi saldi. Non di istruttori di nuoto che quando litigano con il
proprio ragazzo li vanno a prendere e li portano a bere.
Io l'ho
detto che da qui non esco vivo, stasera.
Cosa gli posso dire,
insomma? Ha ragione! E' più che ovvio che abbia ragione e che io ho
fatto una cazzata, ma l'errore più grande che sto commettendo è
probabilmente il fatto di non rimpiangere la mia scelta. Certo,
magari per Xavier è stato qualcosa di piuttosto sconvolgente ma per
me è stato come un raggio di luce nel solo buio che riuscivo a
vedere ieri sera.
– Ti direi che mi dispiace, ma non devo scuse
a te e non è nemmeno vero. – rispondo quindi in tutta onestà,
finendo in un sorso il caffè rimasto. – Anche Percy stamattina mi
ha detto quello che mi veniva, certo, ma voi non capite ciò che io e
Xavier abbiamo di non scritto. Lui mi ha perdonato per essere andato
lì, averlo portato a bere e avergli parlato tutto il tempo di Kyle.
Come io l'ho perdonato per averlo fermato in una sua fuga da casa e
per i suoi modi sbagliati di affrontare le cose. Non si può
descrivere, fidati. Io ci provo ma non si può.
Ciel sorride,
rassegnato, annuendo piano: – E puoi ancora considerarlo solo un
allievo?
– No, ovvio. Xavier non è solo un allievo, ma se mi
chiedi di assegnargli un titolo non saprei proprio cosa dire.
–
Stai solo attento, okay? Io... So cosa vuol dire avere casini con
un'allieva e ti assicuro che c'è da impazzire se qualcosa va male. –
Nel dire questo il mezzo francese abbassa gli occhi, incrociando le
braccia in un gesto piuttosto di tensione. Uo-ho, sento odore
di scoop. Himeragi-ficcanaso a rapporto.
– Cos'è? Una
confessione? – gli chiedo quindi scherzando, sperando di
alleggerire la tensione dovuta alla mia storia.
Lui alza piano
gli occhi smeraldini, guardandomi con una faccia da “grazie di
avermelo chiesto perché devo dire a qualcuno quello che ho fatto ma
non credo di volertelo dire o forse sì aspetta che ci penso”.
Conciso. – Pressapoco. – ammette alla fine, raddrizzando la
schiena e passandosi una mano tra i ciuffi castani troppo corti per
restare nella coda. – Facciamo che si dice il peccato e non il
peccatore?
– Col cappio! Non puoi lanciare la pietra e poi
nascondere la mano.
– Non rigirare la frittata, adesso!
– Possiamo smettere di
parlare a proverbi, per favore? – sbuffo, portandomi la mano sulla
tempia. – Fai come vuoi, Ciel, okay? Sentiti libero di esprimere la
tua essenza.
– Platone?
– Ma che ne so, facevo schifo in
filosofia.
– Comunque, – si schiarisce la voce forse per
sforzarsi di restare concentrato in tutta questa confusione. Che
diavolo stiamo dicendo? – Scusa se ti uso da confessore, ma penso
di aver fatto una cazzata... – Benvenuto nel club! – …E dato
che siamo in tema forse tu hai una buona soluzione.
– Guarda, –
appoggio la mano sulla sua spalla, sospirando tristemente. – Io ci
provo, ma il mio nome e “buona soluzione” non possono nemmeno
stare nella stessa frase. Collidono.
Per un momento mi sale il
Neutron Star Collision dei Muse, ma mi trattengo dal mio
stacchetto e presto attenzione al povero malcapitato che ho di
fronte. Oggi. Non. E'. Una. Bella. Giornata.
– Lei è più
piccola.
– Oh wow, ho proprio capito chi è.
Ciel mi brucia
con lo sguardo, ma alla fine scuote la testa e abbassa gli occhi: –
Tanto non puoi aiutarmi se non sai di chi parliamo, giusto?
–
Giustissimo.
Saggio Ciel. E' ora di un po' di sano gossip.
–
La conosci. – mormora quasi coprendosi il volto con le mani,
credendo che io possa arrivare alla soluzione con questo indizio.
–
Solo perché sono gay non vuol dire che non conosca donne, Ciel. Come
vuoi che sappia con chi hai avuto casini?
– La conosci, Hime. –
mi ripete, scandendo le parole e stavolta guardandomi negli occhi. –
Dai, chi può essere?
– Mia madre?
– Dio.
– Dio?
–
Tua madre, Hime.
– Eh?
Ci guardiamo, entrambi esasperati,
scoppiando però a ridere. Tanto per non piangere, s'intende.
–
Non farmi dire il suo nome, ti prego. E' imbarazzante.
Annuisco,
facendogli capire che in realtà attendevo che fosse proprio lui a
dirlo e che non sono così imbecille da non capire a chi si stesse
riferendo: – Shion, eh?
– Già. Shion.
– Bella storia. E
che è successo?
Ciel sospira, appoggia la nuca al muro dietro di
lui e socchiude gli occhi: – Mi hanno assegnato a lei come
istruttore semi professionale con l'unico scopo di portarla a livelli
agonistici nello stile rana. Lavoravamo sodo tutti i giorni, ma lei
aveva anche la scuola e perciò cominciammo a spostare gli
allenamenti alla sera, quando in piscina eravamo da soli. Poi sai
anche tu come funziona, lei è una ragazza che sa intrigare e io uno
che si fa intrigare, quindi ci siamo lasciati entrambi andare
e abbiamo iniziato una sottospecie di relazione che si limitava agli
allenamenti serali. Se ci vedevamo di mattina, per i corridoi,
nemmeno ci guardavamo. O perlomeno, lei non mi guardava.
– Fammi
indovinare – lo interrompo con un sorrisetto per allentare la
tensione. – Tu che sei conosciuto per la fama da gigolò e lei che
aveva paura di restare delusa?
– E' così prevedibile?
– Tipica minestra da soap opera. Le
migliori.
– Ti spari Beautiful, tu.
– Ogni giorno
all'una e un quarto.
– Cristo.
– Dai, va' avanti!
–
Siamo andati avanti quasi sei mesi. – ricomincia, sbuffando di
nuovo. – Andava tutto bene, più o meno. Lei era piuttosto presa
quando eravamo da soli, lo eravamo entrambi, e prima che me ne
accorgessi volevo davvero fare sul serio. Insomma, quello che succede
di solito nelle soap.
– Beautiful?
– Non volevo
ammetterlo. Ridge doveva stare con Brooke.
– Quella sgualdrina?
Doveva stare con Taylor, per l'amor di Dio!
– Hime!
Ha
ragione, ha ragione. Stiamo dando di matto.
– Okay, scusa. Va'
avanti.
– Le provinciali, te le ricordi? Come l'hai vista
comportarsi, con me?
Mi serve un secondo per collegare il viso di
Camille a tutta la durata delle provinciali, ma una volta completata
la scansione la risposta sorprende anche me: – Sembrava...
Piuttosto tranquilla, in realtà.
– Esatto. – conferma lui,
affranto. – Le ho detto delle mie intenzioni due giorni prima e
lei, come se niente fosse successo, ha detto “okay, non mi fido di
te, yay, facciamo che non è successo nulla e amici come
prima”.
– … Anche “yay”?
Ciel scuote la testa con un
sorrisetto: – Ci mancava poco. Io ci sono sotto con la testa, Hime.
Quella ragazza è...
– Un terremoto. – lo precedo, memore
delle nostre chiacchierate davanti ai fatidici caffè che suggerivano
un lavaggio del cervello da parte sua. – E non è più successo
nulla?
– Ho chiesto io di annullare gli allenamenti serali. Lei
ha provato a chiedermi perché, ma non le ho più voluto parlare. Fa
male sapere che prima avevo qualcosa in mano e ora puf!,
andato. Credo di volerle bene davvero.
– Io ti credo. – lo
rassicuro, sorridendogli da amico anche se nella mia situazione è
difficile dare consigli di cuore a qualcun altro considerando come io
sto gestendo (se così possiamo dire) le cose. – E so anche che la
parte difficile è sempre essere creduti dall'altra parte del
rapporto.
Ciel annuisce, distratto, perdendosi nel mare di
rimpianto in cui si sta ritrovando: – Mi dispiace che la sua prima
relazione seria sia stato io, ma voglio farle capire che non sono
pronto a lasciarla morire così. Io voglio tenerla stretta e non so
come fare, Hime.
– Lo dici a uno che non capisce proprio nulla
di queste cose. Non credo che tu sia un così pessimo ragazzo come
dice il tuo biglietto da visita, ma sicuramente Shion è spaventata
da quello che potrebbe succedere se dovesse andare male qualcosa.
Capita, a sedici anni... Aver paura dei sentimenti, dico. Anche ora,
a diciotto. E forse alla tua età anche. Si ha sempre un po' paura,
non credi?
Ciel mi guarda con un mezzo sorriso, forse pensa che io
stia delirando e che davvero mi spari troppo Beautiful, ma quando mi
stampa la sua mano sulla spalla capisco di aver detto una cosa
giusta. Anche se il colpo ha fatto discretamente male.
Ahia.
–
E' vero. – asserisce annuendo col capo, alzandosi improvvisamente
dalla panchina. – Si ha sempre paura. Perché, poi? Insomma, fanno
parte della natura umana, i sentimenti. Non ci si spaventa tanto a
parlare di sesso o cose così ma ci si fa remore per parlare di
sentimenti. Bel paradosso, eh?
– L'emblema della natura umana. –
concludo, alzandomi anch'io mentre questa discussione va via via
sfumandosi. – Vuoi che provi a parlare con Shion?
– Non so se sia la cosa migliore, ma forse potresti solo chiederle
cosa ne pensa di me. Così, random. Vediamo cosa dice, no?
Annuisco,
prendendo così la mia strada verso gli spogliatoi: – Le parlerò
appena la vedo. Poi ti dico tutto.
Ciel mi sorride, prendendo
invece la via per raggiungere la piscina: – Sei un amico, Hime. Ci
vediamo dopo!
Agito la mano nella sua direzione, sorridendo per la
codina che oscilla senza sosta: – Anche tu. A dopo!
Gli
spogliatoi: il confessionale più confessionale del Grande Fratello.
Se si ha bisogno di parlare, di chiarire, di piangere, di
dichiararsi e nel mio caso anche di baciare qualcuno per la prima
volta, si va negli spogliatoi.
Magari sperando che il rettore
Muller non sia nei paraggi. E' stato parecchio imbarazzante, allora.
Sulle panchine riconosco le borse di Iris e Hick, Percy credo
debba ancora arrivare e lo reputo una fortuna considerando i toni che
questa mattina ha tenuto con me al telefono. Ammetto di essere forse
anche un po' sotto pressione al pensiero di dover parlare con i miei
amici, insomma, so anch'io di aver fatto una mezza cretinata e so
anche che non hanno tutti i torti se vogliono riempirmi di parole
dalla testa ai piedi.
Levo così velocemente la maglietta e i
pantaloni, resto in boxer e mi trascino in bagno per lavarmi il viso.
Wow, sono proprio uno schifo. I miei occhi - che prima ero sicuro
fossero verdi - hanno assunto una sfumatura di disperazione e le
occhiaie violacee sotto di essi non aiutano per niente. Per non
contare i capelli, che sembrano più una matassa informe che ha
deciso arbitrariamente di prendere ogni direzione possibile.
Sbuffo:
se volevo che nessuno notasse che mi sono ubriacato, ho fatto qualche
errore di calcolo.
Nemmeno l'acqua gelida del rubinetto sembra
migliorare la situazione e il tutto precipita in picchiata quando
rientro nella stanza dove ho lasciato la mia borsa, dal momento che
Kyle è in piedi all'entrata.
Lui è tutto in ordine, puntuale
nel suo aspetto: i capelli scuri sono tenuti in su un po' alla
rinfusa ma hanno la loro logica, il viso non presenta segni di
hangover e i suoi vestiti sono stirati (dal sottoscritto) e puliti.
In quanto ai miei... Be', ho solo i boxer addosso, al momento. Direi
che non c'è nemmeno competizione.
Mi fissa con gli occhi vitrei
ma so cosa sta pensando. Quegli occhi non stanno per niente dicendo
cosa c'è nella sua mente. Lo conosco abbastanza bene, quel ragazzo.
C'è una tempesta in corso dentro di lui.
Sa di avermi giocato un
brutto tiro, sa che anche io sono in panico in questo momento e non
sa se il suo solito impeto potrebbe essergli d'aiuto o peggiorare
drammaticamente tutto quanto.
I suoi occhi luccicano mentre,
colto dall'ultimo barlume di lucidità, ignorando il fatto che io sia
nudo se non per i boxer e ignorando il fatto che tutti gli altri sono
in piscina e potrebbero vederci da un momento all'altro, mi raggiunge
e mi stringe forte a sé come se fosse la sua unica ancora. Come se
io, forse, fossi la sua unica ancora.
E forse magari è così, chi
lo sa cos'ha per la testa?
Vorrei ridere, pensare a quanto mi stia
facendo dannare e a quanto io non possa combattere il calore che il
suo corpo emana sul mio. Maledetto, maledetto Kyle Adair.
Porto
le mani sulla sua schiena a tenermi aggrappato alla sua felpa, a lui,
al suo essere un emerito bastardo dai tempi dei tempi e anche al suo
sostenere il mio peso nonostante io stesso voglia lasciarmi andare.
Questo non è amore.
O perlomeno, non credo. E' forse
abitudine, il bisogno di esserci reciprocamente nonostante i litigi,
le brutte cose che vengono dette, le offese; il sentirsi accettati
nonostante la nostra incompatibilità. E mi dà fastidio, certo,
perché dovevo seguire il copione del ragazzo offeso e arrabbiato, ma
forse non sono così risoluto come speravo di essere. Non che sia una
novità, non sono mai stato un asso nel gestire le situazioni
critiche. Nemmeno quelle normali.
Cavolo, sto messo peggio del
previsto.
– Mi dispiace, Himeragi. Mi dispiace davvero. –
mormora contro la mia spalla con la voce che trema. – Ho fatto un
altro casino e lo so, lo so, ti giuro che lo so e ti giuro che me ne
pento, che mi dispiace e che non avrei mai voluto doverti cercare nel
bel mezzo della notte per colpa mia.
Deglutisco anche se è più
doloroso del previsto a causa del nodo in gola che si è creato senza
che nemmeno me ne rendessi conto, vorrei rispondere ma non ci riesco.
Stupido, stupidissimo Himeragi.
– Ho bisogno di te. – ammette
a bassa voce, facendomi spalancare gli occhi mentre ringrazio perché
lui non possa vedermi. – Bella storia, eh? Dovevi essere tu quello
ancora attaccato a me ma guardami, mi faccio pena da solo. A me non
basta così, Anguilla, ho bisogno di certezze con te. Sto uscendo di
testa.
Lui sta uscendo di testa?
Insomma, da quando i
ruoli si sono invertiti?
– Kyle – riesco appena a sussurrare
il suo nome, ma questo basta perché lui si allontani per guardarmi
dritto negli occhi in attesa di una mia risposta. Mi viene solo da
sorridere, le parole mi muoiono in gola. – Ti luccicano gli occhi,
sai?
– Anguilla, io...
– Va bene. – lo interrompo,
portando la mia attenzione unicamente sui suoi occhi, la versione dei
miei in negativo. – Possiamo provare a tornare ad un tempo. Il
nostro, tempo.
Ed è vero, a me va bene.
Non so ancora cosa,
come, quando, dove, chi e perché, ma finché c'è Kyle va bene. Non
benissimo, ma bene abbastanza da provare ad accogliere la sua
richiesta nel migliore dei modi, forse tornando davvero a qualche
anno fa, a prima della sua partenza.
– Mi dispiace. – ripete,
appoggiando la fronte alla mia mentre le sue mani sui miei fianchi
nudi mi provocano una serie di brividi non poco fastidiosi. –
Vorrei andare avanti, evitare di tornare indietro, ma...
– Chi
se ne frega se va avanti. – gli sorrido, stavolta senza paura
perché anche la mia lucidità ormai mi ha abbandonato. – Tanto
vale andare indietro, Kyle.
Anche lui finalmente sorride e non
serve nemmeno attendere qualche secondo in più perché ci baciamo,
incuranti della potenziale figura di merda che potremmo fare e del
mio successivo immediato licenziamento. Penso che succederà a breve,
ad ogni modo, o per colpa di Xavier o di Kyle. Non sono destinato a
tenere questo lavoro ancora per molto.
E' caldo, Kyle.
E'
sempre stato il mio termosifone preferito, ma anche in momenti come
questi il suo calore non viene meno e io mi sento sempre a casa se ci
sono attaccato. Non ho nemmeno voluto sentire le sue scuse e la cosa
mi sorprende parecchio, come mi sorprende il fatto che senza domande
e senza risposte ci rinchiudiamo in una cabina, ci togliamo gli
indumenti rimasti e in men che non si dica torniamo alle nostre
vecchie abitudini.
Forse non sarà così male tornare indietro.
SONO VIVA.
Mi scuso, tanto, ma è stato davvero un periodo frenetico e zero tempo da dedicare ai miei pesciolini. Vi lascio con uno spoiler del capitolo 12!
Forse sono un idiota, ma non voglio lasciarlo andare. Anche se mi ha dato uno schiaffo, anche se l'ho inchiodato al muro, anche se ci siamo appena urlati addosso: se lui è confuso riguardo a me, io lo sono riguardo a lui. E la cosa più brutta è che non riesco a definire, nemmeno sforzandomi, ciò che sento ora.Lui è qui, un bambino che piange ancora e stringe la mia maglietta tra le mani, so che non lascerà andare per un po'. Provo a calmarlo, gli accarezzo la schiena e sussurro al suo orecchio qualche debole “sssh”, ma so fin troppo bene che qualcosa è andato in frantumi.
– Sei un bastardo, Himeragi.
E quel qualcosa è proprio Xavier.
A presto Pesciolini!
Ale xx