Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Heyale    07/07/2018    0 recensioni
Himeragi Fenwick deve convivere con tre grandi punti fissi:
1- Il nuoto
2- Il suo stramaledetto nome giapponese
3- Il ritorno del suo ex ragazzo dopo tre anni di assenza
Ora si tratta di dover mantenere i nervi saldi, continuare a fare vasche su vasche di dorso, allenare i suoi ragazzi per le imminenti gare, convivere con la sua vecchia fiamma Kyle, cercare di non ammazzare i suoi compagni di squadra e, in tutto questo, mantenere la calma.
Peccato che, di calma, Himeragi non abbia mai sentito parlare.
 
Dal testo:
Kyle alza un sopracciglio, facendo una smorfia per dirmi “ma chi vuoi prendere in giro, insulsa sirenetta dal nome del cazzo?”, concludendo però con un sorriso: – Non sei cambiato per niente.
– Tu... – Dai Hime, un insulto potente! La prima cosa che ti viene in mente, cattivo! – … Non dire cavolate.
Wow. Complimenti.
Hai proprio ferito i suoi sentimenti.
 
Genere: Comico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Swimming tale cap.11

SWIMMING TALE
CAPITOLO UNDICI
“Il Codice Proverbi”


Perché ho l'impressione che ci sia qualcosa che non potrò far finta di capire ancora a lungo?”



Undici e undici.
– Esprimi un desiderio. – mormoro con la vista appannata al ragazzino di fronte a me che regge a fatica la guancia sul palmo aperto della sua mano.
Lui alza gli occhi celesti ora arrossati a fatica, dondolando un po' la testa prima di riprendere in mano il bicchiere di non-so-cosa. Continua a guardarmi senza dire una parola, solo bevendo ed elargendo dopo un minuto buono un confuso: – Fatto.
– Bene. Ora continuiamo il nostro gioco?
– Continuiamo. – mi concede con un breve sorso, prendendosi il ciuffo di capelli rossi sulla fronte con la mano libera e portandoselo all'indietro. – Perché eri a casa mia?
– Perché Kyle Adair è fondamentalmente un idiota. – borbotto senza troppa grazia, dovendo faticare per mettere insieme le parole che fino a un'ora fa avevo ben chiare in mente.
Lo penso davvero e voi sapete che l'ho sempre pensato, è stato solo il leggero sentimento di “sì dai, posso anche sopportare il suo essere idiota e dare ascolto al mio fragile cuore da Ariel la Sirenetta” che ha preso sempre più piede in me e che mi ha portato a fare l'emerita cazzata di pensare che la sua indole bastarda avesse potuto migliore.
E' migliorata sì, ma solo se consideriamo il miglioramento nella bastardaggine.
Del resto siamo proprio calati a picco peggio del Titanic.
Xavier sorride sghignazzando in maniera confusa, portandosi sul viso il bicchiere per raffreddare la fronte: – Che fosse un idiota lo sapevo anche io.
Questo mi suona molto come odio represso.
– Cos'hai precisamente contro Kyle? – gli chiedo preso da un moto di lucida curiosità, accantonando per un attimo il nostro gioco. – A conti fatti non l'hai nemmeno conosciuto, quando sei entrato il primo anno lui se n'era già andato.
– Le voci corrono in una scuola piccola come la nostra. Non eravate proprio discreti, ecco.
– Allora non dovresti sopportare nemmeno me. Cos'è, ti danno fastidio le effusioni tra due uomini?
Xavier scuote energicamente la testa, mi chiedo come riesca a mantenere l'equilibrio con quel movimento e il tasso alcolico che ha nel sangue: – Se non sbaglio ci siamo abbracciati anche noi due in mezzo alla gente. Non mi dà fastidio quello, a me dà fastidio Adair. Non... Insomma, non ti vedo con uno come lui.
Ridacchio appena, perdendo però la mia risata nel rimbombo della musica: – Uno come lui?
Adesso mi picchia, me lo sento.
Xavier odia quando lo faccio ripetere o gli faccio spiegare qualcosa che ha appena detto, ma questa situazione assurda comincia a piacermi: vediamo fino a dove arriviamo.
– Sì, uno come lui – ripete, scocciato. – Uno che se ne frega di tutto e di tutti, che pensa solo a se stesso, che pensa di avere il diritto di credersi al centro delle attenzioni altrui e che ti tratta male. Non lo sopporto.
– Allora come pensi che sia io? Non credi che sotto sotto potrei essere quello che hai appena descritto?
Ammetto che la retorica ha il suo fascino.
Adoro mandare in panne questo ragazzo.
– Non ti conosco, è vero. – ammette quasi sottovoce, bagnandosi le labbra con l'ultimo sorso. – Ma so che non sei nemmeno lontanamente come Adair. Sei meglio. E meriti qualcuno in grado di familiarizzare con i tuoi difetti, non di uno che te li faccia pesare.
Scuoto la testa, coprendomi il viso con entrambe le mani. Cosa diavolo sta dicendo questo ragazzino diabolico? Come si permette di farmi sorridere come se non avessi bevuto nemmeno un sorso di alcol e come se non fosse successo niente?
Perché io ho sempre voluto sentirmi dire tutto ciò ma ho dovuto attendere un lunatico Xavier in una serata del cazzo in uno squallido pub con più bicchieri che persone?
Le domande della vita.
– Comunque, – ricomincia prima che la situazione possa farsi imbarazzante, spostando la mia mano destra dal viso. – Dicevi? Cos'è successo?
– Mi ha portato il suo ex a casa. – Inizio, sconfitto dall'illeggibilità di cui questo demonio potrà sempre fare uso contro di me. – Ho aperto la porta, e lui era lì... Con un caffè, tra l'altro. Il mio caffè. Siamo andati fuori a parlare e lui mi ha detto che dovevo essere comprensivo e lasciarli parlare tranquillamente, che Landon era stanco dal viaggio e che mi avrebbe spiegato tutto prima o poi. Allora me ne sono andato e sono venuto da te perché pensavo di cogliere l'occasione per parlare di New York con i tuoi, ma in realtà volevo solo vederti. – Disegno distrattamente un cerchio col bicchiere vuoto sul tavolo, alzando lentamente gli occhi. – Questo è quanto.
– Bello schifo. – mi concede saccentemente, intrecciando le dita e appoggiandovi sopra il mento cosparso di lentiggini. – E perché hai pensato a me? Una sorta di elevazione spirituale?
– Se ti aspetti una risposta filosofica sei fuori strada. Non so perché sono venuto da te, è solo che tra tutti mi sei venuto in mente tu.
A-ha. E cosa ti ha portato scegliermi come meta? Problemi in più. Hai proprio dei gusti di merda.
Allungo il braccio verso di lui per imitare uno schiaffo, ma per la stanchezza finisco per far piombare la mano sul suo collo - evviva la lucidità!, ritrovandomi sotto i polpastrelli la pelle liscia di Xavier attraversata da una scarica di brividi che le fa cambiare aspetto. Sono guance rosse per l'alcol o per altro, quelle?
– Possiamo discutere su Kyle, ma non su di te. – lo rassicuro, muovendo piano il pollice. – Stare con te è sempre... Lenitivo, ecco. Te l'ho detto: superate le lettere minatorie, con te è tutto facile per quanto difficile tu sia.
– Bel paradosso. – borbotta guardando di sbieco la mia mano. – Senti, Himeragi, forse è il caso che tu ritorni a casa. Ti posso chiamare un taxi.
Wow, otto lettere di nome pronunciate da lui fanno un effetto totalmente diverso da otto lettere pronunciate da Kyle nei momenti in cui chiamarmi per soprannome gli è scomodo.
Perché, mi chiedo, io devo riuscire a gestire due fuochi totalmente opposti quali sono Kyle e Xavier? Possibile che qualcuno ai piani alti abbia pensato che fossero entrambi buoni abbinamenti?
Nessuno ha seriamente pensato a questo inutile e tapino essere umano che sono io?
– Dobbiamo finire il gioco. – concludo, dimostrandomi più lucido di quanto non sia in realtà. – Finché non parli non ce ne andiamo.
– Lo dicevo per te. – Si difende alzando le mani all'aria con un sorriso che però lascia pensare che le sue intenzioni fossero ben diverse. – Cosa vuoi sapere? A grandi linee penso che tu possa immaginare perché me ne stessi andando.
– A grandi linee. – ribadisco, seccato, mentre ritiro il braccio sentendo una sorta di rabbia nel restare sempre scoperto davanti a Xavier mentre lui riesce a nascondere tutto quanto con una certa maestria. – Non credi che non sia proprio equo?
Lui alza distrattamente le spalle, sorridendo divertito. Ma che si ride?
– Semplicemente non hai bisogno di sapere i dettagli. – mi spiega, pacato, dimostrandosi ancora una volta un muro invalicabile.
Avete presente il Monopoly?
Tutti ambiscono al Parco della Vittoria, è il più costoso e il più fruttuoso al passaggio di qualche disgraziata pedina nella casella precedente il cui dado conta poi solo un avanzamento; tutti i giocatori tengono stretti i guadagni dagli appalti minori per raggiungere finalmente l'ambito Parco della Vittoria e quando sembra che il tuo turno sia arrivato, ecco che il giocatore proprio prima di te raggiunge la somma adatta e sbanca tutto acquistando il tuo povero Parco della Vittoria. Be', povero è un eufemismo.
Ma è esattamente così che, quando mi sembra di aver raggiunto la somma adatta per capire Xavier, ecco che lui riesce a vincere tutto, lucrare su di me e mandarmi in banca rotta.
– Allora perché tu pensi di aver bisogno di sapere i miei? – ribatto, cercando di riuscire a riguadagnare almeno un quarto del mio Parco della Vittoria.
– Perché ho bisogno di sapere chi ho di fronte. Spesso non lo so, io non ti conosco. – mormora distrattamente digitando qualcosa sul cellulare. Mi chiedo come faccia a non vedere le lettere doppie.
– Che diavolo stai...?
– Pensi che sia facile avere a che fare con te? – mi sbotta improvvisamente addosso picchiando il telefono sul tavolo nel metterlo giù, corrugando le sopracciglia.
Be', in realtà per me è facile avere a che fare con... me. Ovviamente. Se non riuscissi nemmeno in quello sarei bell'e morto, mi sa.
– In realtà...
– Non rispondere. – mi blocca prima che possa dire qualche stronzata, sbuffando rassegnato mentre scuote la testa. – Forse credi che per me sia facile essere qui in questo momento con te ubriaco che non fai altro che elargire perle di saggezza miste a cazzate da porto di carico, ma non lo è. Non so cosa dire perché tu sembri sempre capirmi e più io cerco di nascondermi, più tu mi trovi.
Faccio fatica a collegare tutte le frasi tra di loro a causa della musica e dell'alcol, ma non appena ci riesco non posso fare a meno di sorridere e pensare che almeno ho un piede dentro il perimetro del mio Parco della Vittoria: – Speravo di renderti le cose facili, in realtà.
Xavier scuote la testa ma il sorriso che poi spunta sulle sue labbra non è altro che la somma di tutti quelli falsi che ha fatto finora per mascherare ciò che realmente vive: – Mio padre tradì mia madre per otto mesi, sei anni fa. Volevano divorziare, ma io ero piccolo e l'affido sarebbe andato a pesare economicamente su uno o sull'altra, quindi decisero di continuare a vivere sotto lo stesso tetto e di limitarsi a considerare finito il matrimonio. Da allora mi odiano, ovvio, perché sono la causa per cui non hanno potuto divorziare e perché qualsiasi cosa che chiedevo diventava una loro battaglia personale. Così a quattordici anni ho iniziato a fare le cose di testa mia, senza rendere conto a nessuno: me ne vado di casa quando l'atmosfera si fa pesante e ritorno di notte, verso le quattro, per poi alzarmi alle sei per andare a scuola e ripetere tutto ciò per trecentosessantacinque giorni.
Deglutisco, sentendo lo stomaco pesante: come sta vivendo questo ragazzo?
Gli allungo la mano, alzandomi dal tavolo cercando di sorridergli: – Vieni?
– Ce ne andiamo? – mi chiede, perplesso, stringendo le sue dita tra le mie e alzandosi faticosamente. Sembra leggermente barcollare.
– Sì. In macchina, almeno. Da lì non ci muoviamo per un po', di certo non posso guidare.
Il rosso sorride, scuotendo la testa rassegnato: – Poi non dire che non mi rendi le cose facili.
Mi giro verso di lui, stordito dalla musica: – Cosa?
– Dicevo che in effetti sei l'unica cosa facile che ho. – ripete in tutta tranquillità, spingendomi poi verso il bancone. – Muoviti a pagare, inizio a sentirmi male.

Chiudiamo le portelle allo stesso momento, lancio chiavi e portafoglio - vuoto - sul sedile del guidatore e mi abbandono alla comodità del sedile posteriore mentre Xavier si stende su di me con nonchalance, appoggiando la nuca sulle mie cosce e i piedi sul finestrino. Tutto intorno a me gira, ma so che devo sforzarmi per dire un'ultima cosa a Xavier: porto la mano sul suo petto, in tempo per sentire il suo cuore battere più veloce e mi schiarisco la gola: – Credo che tu dovresti andare a New York. Potrebbe essere la tua unica possibilità per cambiare davvero ciò che hai ora.
Lui tiene gli occhi fissi su di me, le lentiggini sotto di essi appena evidenti al chiarore della luna e le labbra secche: – Non so se faccia per me.
– Sinceramente preferisco vederti a nuotare nella Nyst piuttosto che vederti vagabondare per le strade di Detroit fino alle quattro di mattina. – lo rimprovero, percependo chiaramente la tensione causata da questa discussione grazie al suo battito cardiaco sotto la mia mano. – Li convincerò io, i tuoi genitori. Ma per lo meno voglio che tu inizi a stare bene.
– Io sto bene, Anguilla. – borbotta con una smorfia saccente, facendo scintillare gli occhi celesti di un'insana tranquillità. – Non ho bisogno di grandi cose.
I cancelli di Parco della Vittoria ora sono chiusi, serrati, alti più che mai e controllati da due guardiani. Non posso più passare.
– Per favore, Xavier, io...
– Sai di cosa ho bisogno? – sorride di punto in bianco, socchiudendo gli occhi. – Di dormire. Possiamo non parlare più di New York?
– No, ascolta, le convocazioni sono una faccenda seria. Non puoi buttarla via come se niente fosse, almeno pensaci!
– Se non sbaglio hanno convocato anche te, genio.
Mh, non ha tutti i torti. Mi meritavo quell'acido “genio”.
Abbasso quindi gli occhi, ritrovandomi a fissare il suo viso apparentemente addormentato ma finalmente sereno: – Sai, stavo pensando che forse non è il caso che io parta. Non credo verrò, anche perché...
– Lo so. – taglia corto lui, corrugando per un istante le sopracciglia. Sbatto più volte le palpebre, sono perplesso: come diavolo fa a sapere che non andrò?
– Ehi, come fai a... – Provo a scuoterlo, ma non arriva più risposta. So che non si è addormentato, so che sta aspettando che io demorda e so che sa che ce l'avrà vinta col gioco del silenzio, ma vorrei solo che capisse che sono preoccupato per lui.
– Buonanotte. – mormoro alla fine, chinandomi istintivamente per baciarlo sulla fronte quasi bollente.
Vorrei tanto dirgli che va tutto bene, che lo supporterò sempre e che potrà sempre contare su di me; vorrei dirgli che so che i miei problemi sono solo stupidi di fronte ai suoi e vorrei ringraziarlo per essere venuto con me e avermi finalmente permesso di dare una sbirciata al suo Parco della Vittoria, ma mi faccio bastare il sorriso che non riesce a trattenere non appena stacco le labbra dalla sua pelle.
Per adesso, mi basta questo.


Io penso seriamente di essere ingiustamente stalkerato.
Non credo ci sia qualcosa di concettualmente difficile da capire nella frase “non cercarmi”, ma evidentemente per Kyle c'è e, quel che peggio, è che è pure riuscito a trovarmi nell'arco di tempo che va dalle tre alle sei e un quarto di mattina dato che, al mio risveglio alle sei e nove minuti, mi sono ritrovato con un biglietto attaccato con lo scotch al finestrino.
Ora sono qui dopo tre minuti buoni intento ancora a fissare preoccupato il biglietto che porta il mio nome e la firma del cretino con cui ho litigato qualche ora fa, Xavier dorme ancora beatamente tutto rannicchiato con le mie gambe come cuscino e la mia testa mi suggerisce “ti sto facendo male perché tu hai bevuto come un idiota perché sei un idiota e hai un nome che ti fa meritare le peggiori cose”. Be', cos'ho da perdere, alla fine?
Apro quindi il biglietto, respirando profondamente per farmi forza prima di iniziare la sua tanto temuta lettura.

“Himeragi,
premetto che non sono bravo a scrivere ma so che non mi ascolterai per i prossimi sette mesi e per questo ho pensato che devo pur farti sapere come sono andate le cose. Spero che ne potremo anche parlare faccia a faccia, ma se proprio pensi di odiarmi almeno voglio che tu sappia queste poche cose prima di chiudere definitivamente i ponti con me.
Prima di tutto, mi dispiace. Sapevo che ti saresti arrabbiato ma speravo che almeno mi saresti stato a sentire e quindi che mi sarei potuto chiarire sul momento, ma ciò non è successo ed eccomi qui a scrivere alle due e un quarto della mattina nella speranza di trovarti quando uscirò di casa.
Poi, è la pura verità il fatto che Landon mi abbia riportato qui il computer, ma non ti nascondo che mi ha anche detto qualcosa che mi ha lasciato perplesso e per cui volevo prendermi un po' di tempo in tranquillità con lui per elaborare. Questo è un discorso che preferirei veramente fare a voce in quanto è un elemento un po' delicato e non voglio che tu fraintenda tutto da ciò che ho appena scritto, quindi ti sarei grato se mi concedessi un po' della tua magnanimità e mi degnassi di venti minuti per permettermi di farti cambiare idea.
Se non ti ho fermato qualche ora fa quando te ne stavi andando non era perché mi ero offeso da ciò che avevi detto o pensavo di avere ragione, ma era perché ero ancora confuso e sapevo che tu lo eri (e forse lo sei tutt'ora) ancora più di me e che, conoscendoti, dovevo lasciarti il tuo tempo per pensare. Ammetto che però speravo che tu tornassi almeno a casa per dormire, ma dopo essere tornato a casa dall'albergo in cui ho accompagnato Landon e quindi dopo aver visto che tu non eri ancora arrivato ho capito che te ne saresti stato chissà dove per chissà quanto tempo e ho deciso di scrivere questo biglietto prima di partire al tuo inseguimento.
Mi dispiace, davvero, ultimamente sono stato uno stronzo ma questo è un altro punto che vorrei chiarire avendoti di fronte perché voglio scusarmi come si deve e farti capire le mie ragioni che, seppur con conseguenze esagerate, sono sicuro che siano giustamente fondate. Lo so che non faccio altro che farti arrabbiare, ma questo è sempre stato alla base del nostro rapporto ed è qualcosa che non sono in grado di cambiare anche se so che ci fa allontanare costantemente, ci ho provato e ci provo tutt'ora, ma so bene che tu hai un limite e spero sul serio di non averlo raggiunto una seconda volta.
Detto questo, se mai ti dovesse venire l'ispirazione e venirmi a parlare, ti aspetto stasera in piscina per la nostra solita lezione di nuoto privata, solito orario.
Ti prego di perdonarmi almeno il minimo per mettere piede in piscina.
Buon risveglio nel catorcio rosso - e col ragazzo rosso,
Kyle.”


Alzo gli occhi al ciel... ehm, al soffitto dell'auto e sospiro: non posso andare avanti così. Come diavolo faceva a sapere che mi avrebbe trovato in auto e con Xavier?
E poi, insomma, è ovvio che andrò da lui almeno per chiarimenti ai punti “elemento un po' delicato” e “sono stato uno stronzo”, parole che tra l'altro ho avuto l'onore di sentire almeno un centinaio di volte uscire dalla sua bocca.
E' vero, non fa altro che farmi arrabbiare ma questo suo tentativo di farsi capire è sempre stato ciò che, anche nel passato, gli ha permesso di farsi perdonare ogni volta che litigavamo per colpa sua - il che ammonta alla maggior parte dei nostri litigi. Mi chiedo se ne uscirò mai vivo, da qui.
E mentre cerco di arrivare ad una risposta soddisfacente, il cellulare inizia a vibrare e per la prima volta da ieri sera lo estraggo dalla tasca, sbiancando al numero di notifiche che vedo nell'anteprima ma che sono costretto ad ignorare per rispondere alla chiamata.
– Pronto? – borbotto sentendo il retrogusto cattivo dell'alcol mentre cerco di mantenere basso il tono della voce per non svegliare Xavier.
– Oh, grazie a Dio! – La voce trillante di Percy fa quasi male alle mie orecchie già affaticate dai bassi del Topo, mi vedo costretto a stringere improvvisamente gli occhi per cercare di non pensare a quanto alto sia il volume in chiamata del mio stupidissimo cellulare tenuto con lo scotch. – Pensavamo fossi morto chissà dove, razza di cretino!
– Perché dovrei essere morto?! – sbotto cercando però di moderare la voce per non svegliare la Bella Addormentata qui presente. Sembra che essere tragici sia un difetto alquanto diffuso tra di noi.
– Kyle ha chiamato ognuno di noi nel bel mezzo della notte per chiederci se ti avevamo visto perché tu non rispondevi al telefono, era fuori di sé e ha fatto ovviamente preoccupare anche noi! Come ti viene in mente di ignorare il telefono? E dove sei, si può sapere?
Piano, cosa diavolo mi ha chiesto? Non sono nelle condizioni di ricordare cose, al momento.
Tranne il mio nome.
Quello lo ricordo per forza.
– Non avevo voglia di guardare il cellulare perché ero arrabbiato. – ammetto senza problemi, trattenendo anche uno sbadiglio che potrebbe far tremare la Terra. – E poi Kyle mi ha trovato, non ve l'ha detto? Mi ha lasciato un biglietto.
– Himeragi Fenwick, dove sei? – ripete lei scandendo al meglio le parole solo per non urlarmi addosso tutto l'odio che ha accumulato in queste poche ore verso di me. Inspira ed espira Iris, se no mi ammazzi.
– Sono al Topo, ho dormito in macchina. Sono con Xavier.
– E che accidenti ci fa Xavier lì con te?
– Mi ha accompagnato ieri sera e abbiamo deciso di dormire per riprenderci, abbiamo bevuto un pochino. Giusto per passare la serata.
Silenzio.
Dall'altra parte non sento nulla se non uno strano ronzio che mi fa tanto da calma piatta prima della tempesta.
– Hime?
– Hick? Ci sei anche tu?
– Ci siamo radunati tutti per cercarti, ci sono anche Iris e Ciel.
Eh?
– Ciel? – ripeto, sperando di aver capito male.
– Sì, Kyle ha chiamato pure lui.
– Ah. – Okay, mi merito le peggiori cose di questo mondo. Lo ammetto. La vera domanda resta però perché Kyle abbia dovuto chiamare l'allenatore di Shion con cui io ho avuto a che fare tre volte al massimo incluse le gare provinciali. – … Percy dov'è andata?
– Mi ha passato il telefono perché è andata in terrazza dicendo che si fuma una sigaretta rischi una morte lenta e atroce. Oh aspetta, ha appena aperto la finestra. Dice che devi andare a farti fottere, che sei un idiota, che... ah no, questa è proprio brutta. Percy! Non offendere la mamma di Hime! ... No, neanche sua zia!
– Da quando Percy fuma? – chiedo sconcertato, ma dopo un frastuono la risposta mi arriva chiara e tonda proprio dalla diretta interessata.
– Da un po' e per colpa tua! Tua e del tuo essere un coglione senza gloria né dignità! E di Iris che mi offre le sigarette nei momenti peggiori! Iris, vaffanculo anche tu!
Ridacchio istintivamente, devo ammettere che i miei amici hanno uno strano modo di dimostrare che si preoccupano per me. Forse è vero, stavolta ho leggermente esagerato ma alla fine nessuno si è fatto male e stiamo tutti bene?
– Chissà che ti investisse un tir straripante di vacche pezzate!
Sì, se Percy non continua a mandarmi un flusso di accidenti continuo.
– E se non sono pezzate? – domando con un filo di voce, temendo la risposta ma curioso di sentirla. Da tempi immemori io e Percy siamo conosciuti per le nostre provocazioni ma il nostro rapporto è sempre stato combattuto, fin da quando in terza elementare le dissi che sembrava un barboncino spelacchiato con quei capelli ricci e lei mi rispose dicendomi che per lo meno lei li aveva, i capelli. In effetti mia madre tendeva a tenermeli sempre a spazzola anche contro la mia volontà, perciò cominciai a farmeli crescere verso i dodici anni, quando fui in grado di intendere e volere e capii che un nome di merda come il mio sommato a dei capelli ridicolamente a spazzola e a degli occhi azzurri in stile Pallocchio non poteva portare a nulla di buono.
– Ti faccio del male. – risponde lei alla fine, pericolosamente lapidaria. – Xavier sta bene? L'hai fatto vomitare?
– Io non ho fatto niente! Stava meglio di me e adesso sta dormendo steso sulle mie gambe. Sta alla grande.
– Se sta bene lo stabiliremo noi, all'allenamento di stasera. Le regionali per lui sono tra tre giorni e tu lo porti a bere!
Roteo gli occhi al cielo, appoggiando la tempia al finestrino freddo: – Non è che una sbronza duri quattro giorni, Percy. Quello succede se bevi per tre giorni consecutivi, ma noi abbiamo bevuto per due ore, quindi non preoccuparti. Quando si sveglierà sarà come nuovo.
– E perché mai l'avresti portato con te? Se avessi chiamato Hick credo sarebbe venuto senza problemi.
Esito per un secondo, in effetti ha ragione. Potevo chiamare Aydin e lui sarebbe venuto con la sua macchina in un quarto d'ora, avremmo fatto un giro giusto per schiarirci le idee e poi sarebbe tornato tutto a posto; almeno non avrei coinvolto un minorenne psicologicamente instabile che sarebbe potuto uscire parecchio male da questa stupida avventura. Ci tengo a chiarire che non mi sono pentito della mia scelta e non voglio togliere nulla al livello di sopportazione dell'alcol di Xavier, ma a conti fatti avrebbe potuto finire peggio di come non sia andata in realtà - ringraziamo gli enzimi potenziati dalle varie sbronze passate.
– Lo so che sarebbe venuto senza problemi, ma avevo dodici chilometri di autonomia nell'auto e zero voglia di guardare il cellulare, perciò ho mandato tutto a quel paese e ho fatto di testa mia pensando di andare da Xavier per parlare con i suoi genitori.
– Alle dieci di sera?
– Nove e qualcosa, su. Non essere pignola.
– Ti pignolo il culo se mi irriti ancora di più, Himeragi.
Mai irritare Percy ancora di più. Esperienza personale, non la raccomando per niente.
– Comunque, – balzo l'argomento per salvarmi la pelle e controllo che Xavier stia dormendo. – Alla fine l'ho trovato che stava uscendo di casa, perciò ho risparmiato la farsa e gli ho chiesto se oggi avrebbe potuto saltare scuola. Fine della storia.
– Ti rendi conto di come accidenti si sente quel ragazzino? Come ti è venuto in mente di coinvolgerlo nei tuoi problemi, Hime?!
Sorrido tra me e me: Percy ha ragione.
Percy ha sempre avuto ragione, su ogni cosa. Lei sapeva che prima o poi Kyle mi avrebbe fatto soffrire, sapeva che la relazione tra me e Iris non sarebbe durata, sapeva che Xavier è particolarmente sensibile a me.
– Hai ragione. – ammetto sottovoce, iniziando a passare la mano tra i ciuffi ramati del ragazzino steso su di me. – Ma in qualche modo sento di fare qualcosa anche per lui, quindi sono felice lo stesso. Se non riesco a risolvere i miei problemi ma riesco a risolvere i suoi allora tanto meglio, l'importante è che almeno qualcuno dei due stia bene.
– Hime, Xavier è un tuo allievo, non puoi fare come se fosse il tuo migliore amico! Hai un registro da rispettare e lo sai bene, queste cose non sono ben viste.
Scuoto la testa, sbuffando: – Tratto Xavier da Xavier, non da allievo e non da migliore amico. Dovete smetterla di dirmi cosa devo fare con Kyle, con lui o con chi-so-io, ho diciotto anni e non ho bisogno della ramanzina ogni volta. Spero di essere stato chiaro.
– …Chiarissimo. – mormora lei con un filo di voce, passando il telefono nelle mani di qualcun altro.
Okay, mi dispiace e forse ho esagerato, ma come ho detto sono stanco di essere ripreso per ogni singolo passo che muovo; ormai ho l'età per intendere e per volere e non mi serve che qualcuno - specialmente se poi quel “qualcuno” sono i miei coetanei - continui a mettermi dei paletti e a farmi pentire di qualsiasi cosa a questo mondo. Insomma, un briciolo di dignità ce l'ho anche io dopotutto!
– Himeragi? Ci sei ancora?
Ci metto qualche secondo prima di ricollegare la voce al suo proprietario, ma una volta stabilito il collegamento tiro un sospiro di sollievo, sperando di non dovermi più beccare i più disparati insulti.
– Ehi, Ciel. Da quanto tempo.
– Ci siamo sentiti la settimana scorsa, se ti ricordi. Per Shion.
– Frasi di circostanza. – E si vola con le figure di merda. – Come va?
– Io sto bene, tu piuttosto? Fatto le ore piccole?
– Non me ne parlare. – ridacchio leggermente, accorgendomi di aver praticamente alzato tutti i capelli di Xavier. Sembra un clown visto da qui in questo momento. It Il Pagliaccio - la Vendetta. – Senti, ti chiedo scusa se Kyle ha disturbato anche te.
– In realtà avevo intenzione di passare in piscina da voi insieme a Shion questa mattina, quindi alla fine ci saremmo visti comunque. E poi Adair ha fatto bene a chiamare anche me, ero preoccupato. Shion mi aveva detto che Xavier era al Topo insieme a te.
– Cosa...? – Guardo istintivamente Xavier che, come se non avesse mai dormito, ora mi guarda con gli occhi aperti e un sorriso indecifrabile stampato sul viso. Da quanto stava ascoltando? E soprattutto da quanto sentiva la mia mano tra i suoi capelli? – … Ciel, ti lascio. Xavier si è svegliato. Ne riparliamo quando arrivo in piscina, okay?
– D'accordo, amico. A dopo.
Premo la cornetta rossa sul touch screen e guardo Xavier che, con nonchalance, si mette seduto e si sistema velocemente i capelli che io gli ho spettinato. Ops.
I suoi occhi sembrano più assonnati che mai, sbatte più volte le palpebre e solo dopo averli sfregati due o tre volte riesce a tenerli aperti, concludendo il risveglio con un sonoro sbadiglio. Sarebbe quasi tenera questa scena se non sapessi che in realtà è stanco per via dell'alcol e della posizione inusuale in cui ha dormito per poche ore. Piccola peste.
– Hai sentito la telefonata?
– Sono sveglio da prima di te.
– Ah.
Lui sorride sornione, stiracchiandosi per quanto lo spazio gli consenta: – Sei piuttosto comodo. E si sa che il dormiveglia è la parte più bella del post-sbronza.
– Piccolo approfittatore... – Scuoto la testa rassegnato, questo ragazzo ne sa sempre una più del diavolo. – Piuttosto, cos'è la storia di Shion? Le avevi detto che eravamo qui?
Xavier annuisce, tornando serio: – Se ti fosse successo qualcosa almeno avrebbero saputo dove trovarti. Non stavi particolarmente bene e avevo paura che saresti potuto peggiorare. Insomma, mi fai stare in pensiero, Anguilla. Quanto lavoro mi dai da fare, eh? – conclude con un sorrisetto vago, fingendo di sbuffare.
E così si preoccupa per me?
Che accidenti di istruttore sono? Non posso nemmeno considerarmi un buon esempio da dare se è un ragazzo di sedici anni a dovermi proteggere, accidenti.
– Grazie. – dico solamente, trovando questa situazione meno strana del previsto. Non mi sento in imbarazzo ad essere in questo abitacolo scrauso con Xavier di fianco a me, né tanto meno era strano averlo sulle mia gambe a dormire. Da quando è diventato così familiare per me, questo moccioso?
Lui arrossisce leggermente, fissandosi i piedi col broncio: – Grazie a te.
Perché ho l'impressione che ci sia qualcosa che non potrò far finta di capire ancora a lungo?


Dopo aver fatto colazione (il barista al Topo era sorpreso di vederci ancora vivi), aver riportato a casa Xavier con la promessa di farmi chiamare dai suoi genitori per spiegare la situazione e aver fatto benzina, mi ritrovo davanti alla tanto agognata piscina dell'Andrew College.
E sbadiglio perché sto morendo dal sonno.
Sono solo le nove e mezza della mattina e prevedo già una giornata impossibile, ma devo tenere duro e arrivare più lucido possibile a stasera, quando dovrò vedere Kyle. E con “lucido” non intendo di certo le mie condizioni attuali, giusto per farvelo sapere.
– Himeragi!
Una mano piuttosto pesante mi si stampa improvvisamente sulla schiena, facendomi sobbalzare. Chi ha osato toccarmi?
Mi giro così con uno sguardo omicida, pronto a torturare qualsiasi anima che mi ritrovi davanti, ma alla fine non posso fare a meno di collegare la faccia davanti a me a degli stupidi occhialini rosa e finisco per sorridere, stringendo la mano che due secondi fa mi ha praticamente marchiato a vita: – Ciao, Ciel.
– Belle occhiaie.
– Io non ho mai commentato i tuoi occhialini rosa, perciò non commentare le mie condizioni. – ridacchio ritrovandomi a sbuffare per le reale pena che devo fare in questo momento.
Ciel annuisce e scoppia a ridere, si sistema la coda che tiene raccolti i capelli castani e poi fa un cenno verso l'entrata: – Posso offrirti un caffè alle macchinette?
Wow, è la prima volta che qualcuno spende metà dollaro per me. Sono commosso.
– Volentieri. – acconsento alla fine, trattenendo un nuovo sbadiglio.
In pochi passi raggiungiamo l'interno del polo natatorio, gli occhiali si appannano come al solito per via del vapore e mi rendo conto che questo luogo oggi sarà teatro di parecchi confronti interessanti.
Forse non sono poi così contento di trovarmi qui.
Ci sono sempre tanti ricordi legati alla piscina ma la maggior parte delle volte riesco a ignorarli e a sopravvivere qui dentro, ma oggi sento che mi divoreranno vivo. Non uscirò da qui tutto intero, stasera.


– Ragazzi, questi sono i vostri nuovi istruttori! – Il rettore Muller fece un ampio cenno col braccio, indicando noi quattro pecorelle smarrite di fronte ad altre quattro pecorelle altrettanto smarrite - ma decisamente più confuse.
Ci trovammo così di fronte a tre ragazze e a un ragazzo che non sembrava essere molto del parere di stare lì a perdere tempo con i convenevoli, tutti e quattro bagnati e infreddoliti per la brutta giornata di pioggia in cui si era trasformata quella soleggiata mattina di settembre. Se è vero che l'empatia esiste, credo di aver percepito lo stesso pensiero che stava attraversando la mia mente anche in quella di Xavier: chi cazzo sono questi qua?
Non che non ci conoscessimo, ma era strano stare dall'altra parte della cattedra quando per due anni quei ragazzi erano stati miei compagni di corso. E dopo che per due anni mi avevano guardato male.
– Non credo siano necessarie le presentazioni, signor Muller. – improvvisò Percy dato l'imbarazzo glaciale che si era depositato su quella patetica scenetta. – Già ci conosciamo.
– Ma è sempre meglio ufficializzare, no? Ora che mia figlia non può più insegnare voglio che voi veniate rispettati come lo era lei.
Noi quattro ci lanciammo uno sguardo veloce d'intesa: se dovevamo essere rispettati come noi rispettavamo lei quando ci lanciava dietro i galleggianti e noi glieli rilanciavamo addosso voleva dire che eravamo proprio messi male.
– Che vi conosciate già è un bene, certo, – proseguì poi il rettore, serio. – Ma ricordatevi che il vostro compito è di allenare questi ragazzi, ora. Siete giovani e so che ci possono essere delle distrazioni dato che siete quasi coetanei, ma vi prego di tenere fede al vostro ruolo di insegnanti. E voi, ragazzi, – si rivolse poi ai quattro allievi disposti in riga di fronte a noi. – Vi prego do prendere sul serio i vostri istruttori anche se per qualche anno sono stati vostri compagni di corso: se ora stanno dall'altra parte vuol dire che se lo sono meritato. Allora, pronti ad iniziare questo anno scolastico insieme?
Dal momento che mi sentivo osservato guardai di sfuggita Xavier, notando che mi stava fissando con uno sguardo pressoché omicida. Fu in quel momento esatto che capii che quell'elemento non sarebbe stato facile da gestire.
Yay. – borbottò quindi lui sottovoce, dandoci le spalle e tuffandosi nuovamente in acqua.
Lo ammetto: non mi era mai stato particolarmente simpatico e vedere quella sua insensata acidità nei miei confronti mi aveva dato non poco fastidio.
– Il tuo angolo di ingresso non va bene, Xavier. – comunicai atono non appena lui risalì in superficie, fulminandomi con gli occhi azzurri. – E' debole – continuai, imperterrito. – Gambe troppo divaricate e la schiena troppo dritta.
Il rosso storse le labbra, arrossendo appena sulle guance: – Non ti avevo chiesto di guardarmi.
– Quando smetterai di farlo tu, smetterò anch'io.
– Ai suoi ordini, allenatore Himeragi. – mi prese in giro con un sorrisetto che avrei tolto a suon di badilate sulle gengive, riprendendo tranquillamente a nuotare. Come accidenti si permetteva di trattarmi come un idiota nonostante il fatto che avrei dovuto allenarlo per un anno intero? In quel momento mi sembrava di volerlo raggiungere in acqua per strangolarlo con le mie stesse mani, ma alla fine lasciai perdere quando la mano di Sapphire mi si appoggiò sulla spalla: – E' un po' così, oggi. Brutta giornata.
– Solo oggi? – borbottai parecchio infastidito, permettendomi quel tono dal momento che conoscevo Sapphire e ci ero sempre andato d'accordo.
– Ci farai l'abitudine, Hime. – mi consolò con un sorriso poco convinto, battendo nuovamente la mano sulla mia spalla. – Devi solo conoscerlo. E lui deve prenderti. Con Xavier è come gli shot: quando sei ubriaco e ne bevi uno è tutto fuori o tutto dentro.
– Bleah. Non parlarmi di shot, ti prego. – risi, sapendo però l'effetto che quei maledetti avevano su di me già allora. – Grazie del consiglio. Starò attento a non ubriacarmi.
– Nah, impossibile. – Sapphire scosse la testa, allontanandosi per raggiungere Xavier in acqua.
Non le credetti, in quel momento.
Brutta idea.


– Non intendevo che dovevi andarti a ubriacare con un sedicenne, quando ti ho raccontato delle mie ex. – borbotta trattenendo le risate Ciel, bevendo piano il suo caffè mentre siamo seduti nell'atrio. – Sul serio, amico, come ti è venuto in mente? Che idea stupida!
Grazie Ciel, avevo proprio bisogno di questo conforto così sentito. Ora sì che sto meglio.
– Non l'ho fatto con le intenzioni che credete tutti voi. – lo correggo sperando di dover chiarire questo punto per l'ultima volta in questa giornata. – Avevo dodici chilometri di autonomia nella macchina, non volevo stare da solo e nemmeno con Kyle, ero sconvolto e non riuscivo nemmeno a usare il telefono per chiamare qualcuno. Lì per lì avevo solo Xavier in testa, non è stata una scelta pensata a dovere e lo so che forse ho sbagliato, ma...
– Hime – mi interrompe lui, il tono della sua voce è più grave del dovuto. – Lo so che tra te e Xavier c'è un rapporto speciale, ma devi contare che lui non è la tua bambolina. Non puoi avere bisogno di lui e poi lasciarlo in disparte, ha sedici anni e queste cose, ora come ora, gli fanno solo del male. Io non lo conosco, ma a quell'età i ragazzi hanno bisogno di stabilità, di capi saldi. Non di istruttori di nuoto che quando litigano con il proprio ragazzo li vanno a prendere e li portano a bere.
Io l'ho detto che da qui non esco vivo, stasera.
Cosa gli posso dire, insomma? Ha ragione! E' più che ovvio che abbia ragione e che io ho fatto una cazzata, ma l'errore più grande che sto commettendo è probabilmente il fatto di non rimpiangere la mia scelta. Certo, magari per Xavier è stato qualcosa di piuttosto sconvolgente ma per me è stato come un raggio di luce nel solo buio che riuscivo a vedere ieri sera.
– Ti direi che mi dispiace, ma non devo scuse a te e non è nemmeno vero. – rispondo quindi in tutta onestà, finendo in un sorso il caffè rimasto. – Anche Percy stamattina mi ha detto quello che mi veniva, certo, ma voi non capite ciò che io e Xavier abbiamo di non scritto. Lui mi ha perdonato per essere andato lì, averlo portato a bere e avergli parlato tutto il tempo di Kyle. Come io l'ho perdonato per averlo fermato in una sua fuga da casa e per i suoi modi sbagliati di affrontare le cose. Non si può descrivere, fidati. Io ci provo ma non si può.
Ciel sorride, rassegnato, annuendo piano: – E puoi ancora considerarlo solo un allievo?
– No, ovvio. Xavier non è solo un allievo, ma se mi chiedi di assegnargli un titolo non saprei proprio cosa dire.
– Stai solo attento, okay? Io... So cosa vuol dire avere casini con un'allieva e ti assicuro che c'è da impazzire se qualcosa va male. – Nel dire questo il mezzo francese abbassa gli occhi, incrociando le braccia in un gesto piuttosto di tensione. Uo-ho, sento odore di scoop. Himeragi-ficcanaso a rapporto.
– Cos'è? Una confessione? – gli chiedo quindi scherzando, sperando di alleggerire la tensione dovuta alla mia storia.
Lui alza piano gli occhi smeraldini, guardandomi con una faccia da “grazie di avermelo chiesto perché devo dire a qualcuno quello che ho fatto ma non credo di volertelo dire o forse sì aspetta che ci penso”. Conciso. – Pressapoco. – ammette alla fine, raddrizzando la schiena e passandosi una mano tra i ciuffi castani troppo corti per restare nella coda. – Facciamo che si dice il peccato e non il peccatore?
– Col cappio! Non puoi lanciare la pietra e poi nascondere la mano.
– Non rigirare la frittata, adesso!
– Possiamo smettere di parlare a proverbi, per favore? – sbuffo, portandomi la mano sulla tempia. – Fai come vuoi, Ciel, okay? Sentiti libero di esprimere la tua essenza.
– Platone?
– Ma che ne so, facevo schifo in filosofia.
– Comunque, – si schiarisce la voce forse per sforzarsi di restare concentrato in tutta questa confusione. Che diavolo stiamo dicendo? – Scusa se ti uso da confessore, ma penso di aver fatto una cazzata... – Benvenuto nel club! – …E dato che siamo in tema forse tu hai una buona soluzione.
– Guarda, – appoggio la mano sulla sua spalla, sospirando tristemente. – Io ci provo, ma il mio nome e “buona soluzione” non possono nemmeno stare nella stessa frase. Collidono.
Per un momento mi sale il Neutron Star Collision dei Muse, ma mi trattengo dal mio stacchetto e presto attenzione al povero malcapitato che ho di fronte. Oggi. Non. E'. Una. Bella. Giornata.
– Lei è più piccola.
– Oh wow, ho proprio capito chi è.
Ciel mi brucia con lo sguardo, ma alla fine scuote la testa e abbassa gli occhi: – Tanto non puoi aiutarmi se non sai di chi parliamo, giusto?
– Giustissimo.
Saggio Ciel. E' ora di un po' di sano gossip.
– La conosci. – mormora quasi coprendosi il volto con le mani, credendo che io possa arrivare alla soluzione con questo indizio.
– Solo perché sono gay non vuol dire che non conosca donne, Ciel. Come vuoi che sappia con chi hai avuto casini?
– La conosci, Hime. – mi ripete, scandendo le parole e stavolta guardandomi negli occhi. – Dai, chi può essere?
– Mia madre?
– Dio.
– Dio?
– Tua madre, Hime.
– Eh?
Ci guardiamo, entrambi esasperati, scoppiando però a ridere. Tanto per non piangere, s'intende.
– Non farmi dire il suo nome, ti prego. E' imbarazzante.
Annuisco, facendogli capire che in realtà attendevo che fosse proprio lui a dirlo e che non sono così imbecille da non capire a chi si stesse riferendo: – Shion, eh?
– Già. Shion.
– Bella storia. E che è successo?
Ciel sospira, appoggia la nuca al muro dietro di lui e socchiude gli occhi: – Mi hanno assegnato a lei come istruttore semi professionale con l'unico scopo di portarla a livelli agonistici nello stile rana. Lavoravamo sodo tutti i giorni, ma lei aveva anche la scuola e perciò cominciammo a spostare gli allenamenti alla sera, quando in piscina eravamo da soli. Poi sai anche tu come funziona, lei è una ragazza che sa intrigare e io uno che si fa intrigare, quindi ci siamo lasciati entrambi andare e abbiamo iniziato una sottospecie di relazione che si limitava agli allenamenti serali. Se ci vedevamo di mattina, per i corridoi, nemmeno ci guardavamo. O perlomeno, lei non mi guardava.
– Fammi indovinare – lo interrompo con un sorrisetto per allentare la tensione. – Tu che sei conosciuto per la fama da gigolò e lei che aveva paura di restare delusa?
– E' così prevedibile?
– Tipica minestra da soap opera. Le migliori.
– Ti spari Beautiful, tu.
– Ogni giorno all'una e un quarto.
– Cristo.
– Dai, va' avanti!
– Siamo andati avanti quasi sei mesi. – ricomincia, sbuffando di nuovo. – Andava tutto bene, più o meno. Lei era piuttosto presa quando eravamo da soli, lo eravamo entrambi, e prima che me ne accorgessi volevo davvero fare sul serio. Insomma, quello che succede di solito nelle soap.
– Beautiful?
– Non volevo ammetterlo. Ridge doveva stare con Brooke.
– Quella sgualdrina? Doveva stare con Taylor, per l'amor di Dio!
– Hime!
Ha ragione, ha ragione. Stiamo dando di matto.
– Okay, scusa. Va' avanti.
– Le provinciali, te le ricordi? Come l'hai vista comportarsi, con me?
Mi serve un secondo per collegare il viso di Camille a tutta la durata delle provinciali, ma una volta completata la scansione la risposta sorprende anche me: – Sembrava... Piuttosto tranquilla, in realtà.
– Esatto. – conferma lui, affranto. – Le ho detto delle mie intenzioni due giorni prima e lei, come se niente fosse successo, ha detto “okay, non mi fido di te, yay, facciamo che non è successo nulla e amici come prima”.
– … Anche “yay”?
Ciel scuote la testa con un sorrisetto: – Ci mancava poco. Io ci sono sotto con la testa, Hime. Quella ragazza è...
– Un terremoto. – lo precedo, memore delle nostre chiacchierate davanti ai fatidici caffè che suggerivano un lavaggio del cervello da parte sua. – E non è più successo nulla?
– Ho chiesto io di annullare gli allenamenti serali. Lei ha provato a chiedermi perché, ma non le ho più voluto parlare. Fa male sapere che prima avevo qualcosa in mano e ora puf!, andato. Credo di volerle bene davvero.
– Io ti credo. – lo rassicuro, sorridendogli da amico anche se nella mia situazione è difficile dare consigli di cuore a qualcun altro considerando come io sto gestendo (se così possiamo dire) le cose. – E so anche che la parte difficile è sempre essere creduti dall'altra parte del rapporto.
Ciel annuisce, distratto, perdendosi nel mare di rimpianto in cui si sta ritrovando: – Mi dispiace che la sua prima relazione seria sia stato io, ma voglio farle capire che non sono pronto a lasciarla morire così. Io voglio tenerla stretta e non so come fare, Hime.
– Lo dici a uno che non capisce proprio nulla di queste cose. Non credo che tu sia un così pessimo ragazzo come dice il tuo biglietto da visita, ma sicuramente Shion è spaventata da quello che potrebbe succedere se dovesse andare male qualcosa. Capita, a sedici anni... Aver paura dei sentimenti, dico. Anche ora, a diciotto. E forse alla tua età anche. Si ha sempre un po' paura, non credi?
Ciel mi guarda con un mezzo sorriso, forse pensa che io stia delirando e che davvero mi spari troppo Beautiful, ma quando mi stampa la sua mano sulla spalla capisco di aver detto una cosa giusta. Anche se il colpo ha fatto discretamente male.
Ahia.
– E' vero. – asserisce annuendo col capo, alzandosi improvvisamente dalla panchina. – Si ha sempre paura. Perché, poi? Insomma, fanno parte della natura umana, i sentimenti. Non ci si spaventa tanto a parlare di sesso o cose così ma ci si fa remore per parlare di sentimenti. Bel paradosso, eh?
– L'emblema della natura umana. – concludo, alzandomi anch'io mentre questa discussione va via via sfumandosi. – Vuoi che provi a parlare con Shion?
– Non so se sia la cosa migliore, ma forse potresti solo chiederle cosa ne pensa di me. Così, random. Vediamo cosa dice, no?
Annuisco, prendendo così la mia strada verso gli spogliatoi: – Le parlerò appena la vedo. Poi ti dico tutto.
Ciel mi sorride, prendendo invece la via per raggiungere la piscina: – Sei un amico, Hime. Ci vediamo dopo!
Agito la mano nella sua direzione, sorridendo per la codina che oscilla senza sosta: – Anche tu. A dopo!


Gli spogliatoi: il confessionale più confessionale del Grande Fratello.
Se si ha bisogno di parlare, di chiarire, di piangere, di dichiararsi e nel mio caso anche di baciare qualcuno per la prima volta, si va negli spogliatoi.
Magari sperando che il rettore Muller non sia nei paraggi. E' stato parecchio imbarazzante, allora.
Sulle panchine riconosco le borse di Iris e Hick, Percy credo debba ancora arrivare e lo reputo una fortuna considerando i toni che questa mattina ha tenuto con me al telefono. Ammetto di essere forse anche un po' sotto pressione al pensiero di dover parlare con i miei amici, insomma, so anch'io di aver fatto una mezza cretinata e so anche che non hanno tutti i torti se vogliono riempirmi di parole dalla testa ai piedi.
Levo così velocemente la maglietta e i pantaloni, resto in boxer e mi trascino in bagno per lavarmi il viso. Wow, sono proprio uno schifo. I miei occhi - che prima ero sicuro fossero verdi - hanno assunto una sfumatura di disperazione e le occhiaie violacee sotto di essi non aiutano per niente. Per non contare i capelli, che sembrano più una matassa informe che ha deciso arbitrariamente di prendere ogni direzione possibile.
Sbuffo: se volevo che nessuno notasse che mi sono ubriacato, ho fatto qualche errore di calcolo.
Nemmeno l'acqua gelida del rubinetto sembra migliorare la situazione e il tutto precipita in picchiata quando rientro nella stanza dove ho lasciato la mia borsa, dal momento che Kyle è in piedi all'entrata.
Lui è tutto in ordine, puntuale nel suo aspetto: i capelli scuri sono tenuti in su un po' alla rinfusa ma hanno la loro logica, il viso non presenta segni di hangover e i suoi vestiti sono stirati (dal sottoscritto) e puliti. In quanto ai miei... Be', ho solo i boxer addosso, al momento. Direi che non c'è nemmeno competizione.
Mi fissa con gli occhi vitrei ma so cosa sta pensando. Quegli occhi non stanno per niente dicendo cosa c'è nella sua mente. Lo conosco abbastanza bene, quel ragazzo. C'è una tempesta in corso dentro di lui.
Sa di avermi giocato un brutto tiro, sa che anche io sono in panico in questo momento e non sa se il suo solito impeto potrebbe essergli d'aiuto o peggiorare drammaticamente tutto quanto.
I suoi occhi luccicano mentre, colto dall'ultimo barlume di lucidità, ignorando il fatto che io sia nudo se non per i boxer e ignorando il fatto che tutti gli altri sono in piscina e potrebbero vederci da un momento all'altro, mi raggiunge e mi stringe forte a sé come se fosse la sua unica ancora. Come se io, forse, fossi la sua unica ancora.
E forse magari è così, chi lo sa cos'ha per la testa?
Vorrei ridere, pensare a quanto mi stia facendo dannare e a quanto io non possa combattere il calore che il suo corpo emana sul mio. Maledetto, maledetto Kyle Adair.
Porto le mani sulla sua schiena a tenermi aggrappato alla sua felpa, a lui, al suo essere un emerito bastardo dai tempi dei tempi e anche al suo sostenere il mio peso nonostante io stesso voglia lasciarmi andare.
Questo non è amore.
O perlomeno, non credo. E' forse abitudine, il bisogno di esserci reciprocamente nonostante i litigi, le brutte cose che vengono dette, le offese; il sentirsi accettati nonostante la nostra incompatibilità. E mi dà fastidio, certo, perché dovevo seguire il copione del ragazzo offeso e arrabbiato, ma forse non sono così risoluto come speravo di essere. Non che sia una novità, non sono mai stato un asso nel gestire le situazioni critiche. Nemmeno quelle normali.
Cavolo, sto messo peggio del previsto.
– Mi dispiace, Himeragi. Mi dispiace davvero. – mormora contro la mia spalla con la voce che trema. – Ho fatto un altro casino e lo so, lo so, ti giuro che lo so e ti giuro che me ne pento, che mi dispiace e che non avrei mai voluto doverti cercare nel bel mezzo della notte per colpa mia.
Deglutisco anche se è più doloroso del previsto a causa del nodo in gola che si è creato senza che nemmeno me ne rendessi conto, vorrei rispondere ma non ci riesco. Stupido, stupidissimo Himeragi.
– Ho bisogno di te. – ammette a bassa voce, facendomi spalancare gli occhi mentre ringrazio perché lui non possa vedermi. – Bella storia, eh? Dovevi essere tu quello ancora attaccato a me ma guardami, mi faccio pena da solo. A me non basta così, Anguilla, ho bisogno di certezze con te. Sto uscendo di testa.
Lui sta uscendo di testa?
Insomma, da quando i ruoli si sono invertiti?
– Kyle – riesco appena a sussurrare il suo nome, ma questo basta perché lui si allontani per guardarmi dritto negli occhi in attesa di una mia risposta. Mi viene solo da sorridere, le parole mi muoiono in gola. – Ti luccicano gli occhi, sai?
– Anguilla, io...
– Va bene. – lo interrompo, portando la mia attenzione unicamente sui suoi occhi, la versione dei miei in negativo. – Possiamo provare a tornare ad un tempo. Il nostro, tempo.
Ed è vero, a me va bene.
Non so ancora cosa, come, quando, dove, chi e perché, ma finché c'è Kyle va bene. Non benissimo, ma bene abbastanza da provare ad accogliere la sua richiesta nel migliore dei modi, forse tornando davvero a qualche anno fa, a prima della sua partenza.
– Mi dispiace. – ripete, appoggiando la fronte alla mia mentre le sue mani sui miei fianchi nudi mi provocano una serie di brividi non poco fastidiosi. – Vorrei andare avanti, evitare di tornare indietro, ma...
– Chi se ne frega se va avanti. – gli sorrido, stavolta senza paura perché anche la mia lucidità ormai mi ha abbandonato. – Tanto vale andare indietro, Kyle.
Anche lui finalmente sorride e non serve nemmeno attendere qualche secondo in più perché ci baciamo, incuranti della potenziale figura di merda che potremmo fare e del mio successivo immediato licenziamento. Penso che succederà a breve, ad ogni modo, o per colpa di Xavier o di Kyle. Non sono destinato a tenere questo lavoro ancora per molto.
E' caldo, Kyle.
E' sempre stato il mio termosifone preferito, ma anche in momenti come questi il suo calore non viene meno e io mi sento sempre a casa se ci sono attaccato. Non ho nemmeno voluto sentire le sue scuse e la cosa mi sorprende parecchio, come mi sorprende il fatto che senza domande e senza risposte ci rinchiudiamo in una cabina, ci togliamo gli indumenti rimasti e in men che non si dica torniamo alle nostre vecchie abitudini.
Forse non sarà così male tornare indietro.


SONO VIVA.

Mi scuso, tanto, ma è stato davvero un periodo frenetico e zero tempo da dedicare ai miei pesciolini. Vi lascio con uno spoiler del capitolo 12!

Forse sono un idiota, ma non voglio lasciarlo andare. Anche se mi ha dato uno schiaffo, anche se l'ho inchiodato al muro, anche se ci siamo appena urlati addosso: se lui è confuso riguardo a me, io lo sono riguardo a lui. E la cosa più brutta è che non riesco a definire, nemmeno sforzandomi, ciò che sento ora.
Lui è qui, un bambino che piange ancora e stringe la mia maglietta tra le mani, so che non lascerà andare per un po'. Provo a calmarlo, gli accarezzo la schiena e sussurro al suo orecchio qualche debole “sssh”, ma so fin troppo bene che qualcosa è andato in frantumi.
– Sei un bastardo, Himeragi.
E quel qualcosa è proprio Xavier.

A presto Pesciolini!

Ale xx

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Heyale