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Autore: Anya_tara    13/07/2018    2 recensioni
Le ragioni per cui secondo me Aiolia ha deciso di farsi rosso in Episode G. E anche quello per cui - sempre secondo me- si è preso il vizio del fumo ( chiedo venia, ma per me è così, ormai lo sappiamo! XD).
P.S: come sempre, strizziamo l'occhio a Nemesis!
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Capricorn Shura, Leo Aiolia, Sagittarius Aiolos
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Dentro questa gabbia d'oro
Il tuo cuore sta diventando freddo
Non vedi
Che stai morendo lentamente
Giorno dopo giorno
Ti trattano come un animale
Devi lottare
Devi iniziare una rivolta
Quindi sveglia
Il tuo leone dormiente
 
Cattura il fuoco, cattura, cattura il fuoco!
Sveglia il leone addormentato
E usa la tua mente
Cattura il fuoco, cattura, cattura il fuoco!
Sveglia il leone addormentato
Ti senti vivo?
Non lasciare che gli altri ti buttino giù
 
Jenix, Catch fire
 
 
 
 
E’ cominciato così, per caso.
Si è svegliato un giorno come tanti, nell’infinita serie delle mattine al Santuario. Tutte uguali. Non un saluto cordiale, non uno sguardo amico, tranne che per Galan. Lui è l’unico a degnarlo di un “Kalimera, padron Aiolia”, nessun altro gli rivolge parole confortanti, o strette di mano.
Un altro giorno, senza lui. Aiolos, il fratello amato, strappatogli via da una furia brutale, cieca, assurda. Fosse almeno caduto in battaglia, perito in missione, da vero eroe, sepolto con tutti gli onori, additato ad esempio di fulgida virtù e lampante spirito di sacrificio. No, è stato trafitto da una mano bugiarda, da una lama infingarda che aveva promesso di proteggere gl’innocenti e invece proprio di colui, che lo era per davvero, non ha avuto alcuna pietà.
Pensieri dolorosi, ricorrenti. Che si facevano sempre più acuti quando alzatosi ritrovava il suo viso nello specchio. Quei tratti che glielo ricordavano tanto … erano una sofferenza; se avesse potuto se li sarebbe tirati via dalla faccia, il naso dritto, il mento armonioso, gli zigomi identici a quelli. Anche gli occhi, per quanto fossero di un colore diverso, avevano lo stesso taglio.
Ma subito dopo essere entrato nel bagno per la solita routine del risveglio si è accorto di un cambiamento nel suo corpo. Le dita gli si sono paralizzate un attimo, nell’avvertirlo. Quasi spaventato, le ha allontanate di scatto, quasi temendo di poter scatenare qualche reazione strana semplicemente toccandolo.
Poi ha preso coraggio, e ci ha riprovato. Non poteva essere terrorizzato da se stesso; ed era normale, alla sua età. Studiare non gli è mai piaciuto granché: ma le basi dell’anatomia hanno sempre rivestito un certo interesse, per lui che acquattato con Milo nella biblioteca sfogliava i volumi delle enciclopedie del corpo umano, sghignazzando quando s’imbattevano in pagine che forse sarebbe stato meglio consultassero un po’ più in là.
Quindi sapeva che poteva accadere da un giorno all’altro. Tanto più che il suo fisico non è mai stato quello corrispondente agli anni che ha davvero.
Non c’era nulla di cui preoccuparsi. Anzi, doveva gioirne.
Finalmente era diventato un uomo.
E adesso si studia nella lastra per qualcosa di differente dalla consolidata abitudine al dolore, all’assenza. Si scruta e subito si accorge dei piccoli mutamenti in corso, come se fossero diventati più evidenti durante quella notte: la curva della mascella più robusta, gli zigomi più definiti, le guanciotte da Cupido più scavate,  con qualche piccolo rilievo visibile solo in controluce, per il momento; e se si tocca sul mento, riesce ad avvertire una certa ruvidità, anche se appena accennata. La stessa presto percepisce sfiorandosi sotto le braccia, e anche sotto la pancia.
Probabilmente però sono in atto già da un po’, anche se solo ora ci ha fatto caso: ha compiuto tredici anni da una decina di giorni – ah, che dolore, ch’è stato, quel compleanno, come ognuno di quelli degli ultimi sei- e bambino lo era sembrato sempre meno di quel che segnava il suo calendario, tra gli allenamenti massacranti che hanno reso il suo corpo acerbo maturo prima del tempo, e il tarlo che lo aveva roso incessantemente a cominciare da sei anni addietro, modellando i suoi lineamenti, affilandoli, segnandogli la pelle delle guance in pieghe contratte, cerchiandogli lo sguardo di bruno-violaceo. Sempre quell’espressione incattivita, che solo nel buio cede il posto a quella affranta, distrutta di chi spende la notte a sciogliersi nel pianto.
Mai, avrebbe dato loro la soddisfazione di vederlo piangere in pubblico. Le sue lacrime per gli altri erano finite nel momento stesso che la notizia della morte di Aiolos, Cavaliere di Sagitter, lo aveva raggiunto con la rapidità spedita e letale dei suoi strali.
Una stilettata al cuore. La stessa … che gli aveva tolto tutto, in un attimo.
Adesso quella lastra ha sottolineato l’evidenza della verità con cui ha appena stretto conoscenza: sta crescendo, e somiglia sempre di più ad Aiolos. Tra poco avrebbe raggiunto l’età in cui il tempo del fratello si era fermato, reciso da un ragazzino che aveva ancora il coraggio di mostrare il viso alla luce del giorno, senza alcuna vergogna, a differenza del suo mandante che portava sempre una maschera.
Se esiste una giustizia a questo mondo, giungerà anche per loro il tempo di vedersela con la forbice di Atropo. Aiolia stesso non vede l’ora di potervi mettere sopra le proprie mani, e aiutarla ad affondare il taglio, da tanto ormai.
Adesso quel giorno si è avvicinato ancora di più, con forza.  
Chi semina vento, raccoglie tempesta. E per coloro che hanno sparso il sangue di Aiolos, ha in serbo fulmini e saette.
Ha imparato ad ingoiare, Aiolia bambino. Gl’insulti, gli scherni, le offese alla memoria di Los. Tutto, pur di restare lì, ed ottenere la sua vendetta. Ha imparato anche lui a portare una maschera sul viso da ragazzino, mostrare buon viso a cattivo gioco, un gioco crudele e perverso, a fingere di dar loro bordone, ammettere che la colpa era stata di suo fratello, senza dirlo apertamente, solo tacendo ogni qualvolta che la coltellata di un nuovo oltraggio gli trafiggeva l’anima.
In tuo onore, fratello mio.
Arriverà il giorno in cui le restituirò loro tutte assieme.
E il Santuario era diventato sempre più una gabbia, una prigione. La belva dentro di lui tenuta sedata, perché era solo un ragazzino, e non poteva fare affidamento su nessuno; e non era ancora abbastanza potente, per affrontarli apertamente. Non tutti però erano dei vigliacchi, degli assassini: alcuni dei suoi compagni sono buoni, come Aldebaran, ad esempio. Ma la morsa è stretta, e nessuno vuole finire stritolato dai denti del Sommo Sacerdote accordando un briciolo di solidarietà, di compassione a quel povero orfano rimasto solo al mondo.
Ha ancora nelle orecchie i singhiozzi laceranti con cui aveva invocato il suo nome, quella notte.
Sei lunghi anni di silenzi.
Ma adesso è un uomo. Non ha più necessità di qualcuno a cui appoggiarsi: è già forte, e lo sarebbe diventato ancora di più. Non ha smesso un istante di allenarsi, sfiancandosi, massacrandosi, desiderando la lotta più che l’acqua e il pane, più che il giaciglio o la tregua.
Aveva convertito la sofferenza che provava nel guardare il suo volto in fierezza, dinanzi agli altri. Ma da solo a solo con quella lastra, non poteva fare a meno di sanguinare, dentro, pensando che era un costante memento di ciò che aveva perso.
Adesso in quello specchio sa che c’è un riflesso diverso. E’ ancora simile a quello andato smarrito; ma ora v’è l’opportunità di rimediare a quel male.
E non vede l’ora di sbatterlo in faccia a quelli.
Si veste in fretta, approfittando del fatto che Galan non c’è: è giorno di mercato, a Rodorio, e sicuramente sarà andato lì di buon’ora per fare la solita spesa. In realtà ha intenzione di andare ad Atene: c’è stato una sola volta, in tutta la sua vita, da bambino. Assieme a suo fratello e Galan, per trascorrere un pomeriggio visitando dal vero gli edifici che un tempo abbellivano la Capitale dell’Impero Ellenico, il Partenone su tutti.
C’era anche Galan, con loro.
E Shura e Saga.
Con violenza scaccia quel ricordo, infila i calzari, prende la mantella col cappuccio ed esce. Per andare ad Atene deve per forza passare dal villaggio: ma con un po’ di fortuna, e la sua mantella, Galan non lo beccherà.
In realtà non potrebbe dargli ordini. Però gli peserebbe il suo volto accigliato, e preferisce evitare, se può.
Ci mette poco a raggiungere Rodorio. E’ una bolgia di gente: chi grida, chi si fa largo a spintoni, per comprare le cose più fresche, le primizie più invitanti; chi invece ne approfitta e s’infila nella locanda a bere e giocare al tavli. Mille persone sanno essere anche troppe, quando ci si mettono.
Ma due lo sono più di tutte le altre insieme, in quel momento.
Deathmask di Cancer, accompagnato da Capricorn.
Il primo impulso di Aiolia è nascondersi, se non altro per scansare quel maledetto; ma d’un tratto decide che non deve più farlo. Non lo teme, non l’ha mai temuto, solo ignorato perché per lui è morto sei anni prima.
Ma non si può uccidere uno già morto.
Per questo è prima obbligato a riportarlo in vita.
<< Ehi, guarda un po’ chi si vede. Aiolia di Leo, il gatto. Nero >>, fa Deathmask, facendo mostra di toccarsi le parti intime. Shura non dice nulla, resta a fare il suo gioco preferito: la bella statuina.
Aiolia non gli rivolge la parola da allora. E ha giurato sul corpo velato di Aiolos che mai, mai più l’avrebbe fatto, se non per annunciargli che la sua ora era giunta, e la morte stava venendo a prenderlo.
<< Curioso. Mi pare di essermi alzato bianco come al solito >>, risponde tranquillo. << Ma forse, a furia di
vedere morti che camminano ti si sta un po’ offuscando la vista. Con permesso >>. Fa per riprendere a camminare, ma una mano di Death sollevata in aria con l’indice puntato lo ferma.
<< Che bella coincidenza, che proprio tu parli di morti che camminano. Sai, somigli sempre di più a quel traditore di tuo fratello >>, replica ironico. << E la mela non cade mai troppo lontana dall’albero. Soprattutto se è marcia >>.
Fino al giorno prima, Aiolia avrebbe incassato, come sempre, in silenzio.
Ma non oggi. Non adesso. << Fossi in te, starei più attento a come parli, Deathmask. Se dovessimo cominciare a scegliere tra mele buone e mele marce, dubito ne resterebbero abbastanza, nella cesta >>.
Cancer ammutolisce, il dito ancora puntato e lo sguardo che si fa duro. Pare quasi volerlo sfidare lì, in mezzo al mercato di Rodorio.
Poi invece sghignazza, con quel suo fare beffardo. << Ma senti senti … lu musciceddu gioca a fare l’uomo … che mosca t’ha punto stamattina, picciliddhru? >>.
Lia gli stira un sorrisetto di rimando. << Hai detto bene, Cancer. Solo che non è un gioco >>.
Deathmask lo fissa per qualche istante incredulo, scoppiando a ridere di quel suo riso sguaiato. << Ma lo senti, Shura? Ma lo senti, questo bambolotto qui? >>. Prima che Aiolia possa ritrarsi, gli afferra il mento tra due dita, scrutandolo con quegli occhi blu scuro come fosse un topolino che ha intenzione di servirsi come spuntino. << Miiii, ma allora è vero! >>, sbotta, allontanando la mano di scatto e scuotendola come se l’avesse bruciato. << Pungi comu nnu ficu d’India! >>. E giù a ridere, ancora. Poi si fa mellifluo, circondandogli le spalle con un braccio, guardando il suo amico. << Dovremmo tenerti a battesimo, allora, babbaluceddu … Non pensi, Capricorn? >>.
Shura non risponde, e Aiolia si scopre a fissarlo, le orecchie attente, in attesa. Ha un’espressione indecifrabile sul volto pallido, che si è fatto livido; le labbra sempre serrate ora sono anche tese, quasi le stia tormentando sotto i denti per non ribattere a tono. 
Forse è solo seccato dai modi del suo compare. O forse non ha alcuna intenzione di dargli spago, vista l’identità dell’interessato.
Ma i suoi occhi raccontano un’altra storia. Il nero imperscrutabile è percorso da evidenti lampi rosso dorati, fitti, ravvicinati. Non lo fissa direttamente negli occhi, da quel vigliacco che è; ma Aiolia sa che lo sta guardando in volto, quasi voglia assicurarsi che quelle parole sono vere, e desideri appurarlo da sé, forse intuendo che il tempo della resa dei conti si sta avvicinando a grandi passi.
O forse no. Il brivido nella schiena di Aiolia racconta anche lui, tutt’altra storia.
D’un tratto Shura si volta, girando sui tacchi. << Torno al Santuario >>, è tutto quello che dice, infine.
<< Non ci badare, è timido lui >>, ridacchia ancora Deathmask, sorridendogli maligno. << Fammi sapere se riesci a tenerlo duro per più di qualche secondo, così te la offro io, la prima scopata >>. Gli batte una pacca sulla schiena, allontanandosi col suo passo dinoccolato, in bocca una sigaretta sospesa da quella risata sabbiosa, come piena di schegge di vetro, insinuante, diabolica.
E’ stato fastidioso, come i suoi commenti sboccati. Fastidioso e sconveniente.
Ma quello che davvero era stato inopportuno era l’espressione sul volto di Capricorn. Quello sguardo sempre imperturbabile, sempre uguale a se stesso ora guizzava di un fuoco nuovo, a lui sconosciuto.
Gli ha rimescolato lo stomaco.
Aiolia odia le cose che non riesce a spiegarsi; questa è una di quelle. Gli mettono il prurito, la febbre quasi.
Con quello stato d’animo entra nella prima locanda che trova.
<< Che c’è, ragazzino? Ti sei perso? O ti ha mandato tua madre a recuperare il paparino? >>, è il saluto che si sente rivolgere dall’oste, intento ad asciugare bicchieri dietro il banco.
Aiolia gli scocca un’occhiata di fuoco, mentre avanza e si siede sullo sgabello di fronte a lui. << Dammi da bere >>, dice in tono perentorio. Gli avventori si voltano, ghignando alla vista di quel bambino coi modi da adulto.
L’oste si fa accondiscendente. << Spiacente, giovanotto, ma qui non abbiamo latte >>.
Un pugno cala impietoso sul legno, azzittendo le risatine degli ubriachi di metà mattinata. << Dammi da bere, ti ho detto. Vengo dal Santuario, non ti conviene prendermi in giro >>.
Immediatamente l’uomo cambia tono. Posa il bicchiere, alzando le mani. << Mi scusi, signore. Cosa … cosa posso servirle? >>.
<< Retsina. E non azzardarti ad annacquarlo >>.  Obbediente, anzi, ossequiente l’oste gli porge quanto richiesto, senza più fiatare.
Il silenzio è di tomba, mentre Aiolia lo svuota in un solo sorso. << Un altro >>.
Non osando contraddirlo, l’uomo riempie di nuovo il bicchiere. Ha capito l’antifona, evidentemente. << Ancora >>.
A quel punto prende e gli mette davanti l’intera brocca, colma per metà. Malgrado l’inizio poco promettente
ora si sta rivelando intelligente.
Dal crocchio seduto ad un tavolo si leva un grido: << Ehi, ragazzo! Sei amico di quello che viene qui tutti i giorni, per caso? Quello coi capelli da vecchio? >>.
Aiolia scatta in piedi, quasi pronto a colpire. Il pugno già levato a mezz’aria viene fermato da uno sguardo supplice dell’oste spaventato. << Oh, calma, calma, signore! Sono cotti, non sanno quel che dicono, li lasci stare >>.
Leo scuote una spalla, come per scacciare una mosca. << Prima di essere suo amico, preferirei essere sottoterra >>, replica, gelido.
Un altro del gruppo ridacchia. << Guarda che fegato … vieni, vieni a sederti con noi >>, lo invita.  
Aiolia si avvicina, si lascia cadere sulla panca affumicata, in mezzo a quei perdigiorno. << Tieni, fatti un giro. Questo è buono >>. Il tizio che ha parlato per ultimo gli posa davanti un bicchiere più piccolo, pieno di quella che sembra acqua.
Lo sguardo di Aiolia si fa tetro. << Dai, manda giù >>.
Malgrado tutto si fida, e lo porta alla bocca. D’un tratto sente il liquido incendiargli la gola, lo stomaco, fargli venire i sudori freddi dietro la schiena.
<< Merda >>, biascica, tossendo.
<< Forte, eh? Ouzo puro, non quella roba da sciacquatura di piatti … ehi, Cristophoros, portane altro … e non fare il tirchio, eh! Che qui abbiamo un pretendente … solo roba buona, per i nostri bravi giovani >>.
Un altro gli porge un pacchetto, da cui spunta una sigaretta. << Tieni, ragazzo. Com’è che ti chiami? >>.
<< Aiolia. Aiolia … di Leo >>.
<< Siete uno dei Dodici? >>, fa quello, riavendosi immediatamente dalla sbronza. << Oh, Signore >>. Tutti gli ubriaconi sembrano smaltire di colpo la sbornia, alzandosi e inchinandosi anche se a stento si reggono in piedi.
<< Perdonateci, signore. Vi credevamo un allievo, non un … Cavaliere investito dell’Armatura d’Oro. Chiediamo umilmente perdono >>. 
Quella manifestazione di rispetto, anche se da parte di un gruppo di disgraziati, lo riempie insieme di orgoglio e sofferenza.
Perché Dodici non sono più da sei anni, ormai. Alcuni non si trovano al Santuario, è vero: Aries è nel suo Jamir, Libra ai Cinque Picchi. Aquarius in Siberia, da cui va e viene a piacimento, per allenarsi tra i ghiacci. E Gemini svanito chissà dove, chissà perché. Proprio lui, che sembrava tenere tanto ad Aiolos, almeno in passato, non è tornato nemmeno per porgergli l’estremo saluto.  
Sì, in molti mancano dalle loro Case.
Ma solo uno di loro è in una fossa fredda e nera.
<< Ehi, signore, che vi succede? Vi sentite male? >>, domanda l’oste, in mano la bottiglia richiesta.
<< No >>. Aiolia si placa, accetta la sigaretta rimasta in bilico nel pacchetto sul tavolo. L’accende, ispirando a fondo e risputando quasi immediatamente il fumo acre che gli secca le labbra e la gola.
Ma non si arrende. Non lo ha mai fatto, non inizierà adesso.
La porta si apre, e nello spiraglio di luce fumosa entra una donna, sui trent’anni passati, che regge una sporta della spesa carica come un bue. << Ma siete impazziti? Cristophoros, vuoi forse farci finire tutti in galera? Che vi salta in mente di far fumare e bere un ragazzino? Non bastate già voi a farlo tutto il giorno? >>.
<< Shhh! E’ uno di Loro >>, l’avvisa prontamente l’uomo, andandole sotto di corsa. Non per aiutarla, quanto per azzittirla.
Ma Aiolia non volgerebbe mai il pugno contro una donna. Tanto meno di una che avrebbe più o meno l’età di sua madre, se fosse ancora viva.
Se lui non l’avesse uccisa venendo al mondo.
<< Loro chi? >>, domanda la donna, con evidente confusione.
<< Dei Dodici. Lassù >>.
<< E’ un Cavaliere d’Oro? Ma è … solo un bambino  >>.
<< Sta’ zitta, Pankrati! Vuoi forse farci finire tu, sottoterra? E’ il nobile Aiolia di Leo, mostra il dovuto rispetto >>. In realtà lei lo ha detto in tono impietosito, non di disprezzo o d’ incredulità. Sembra quasi abbia intuito incontro a cosa è dovuto passare, per essere uno dei più giovani investiti del Sacro Cloth d’Oro.
Malgrado l’alcol stia iniziando a fare lentamente effetto, Aiolia riesce a distinguere lo sguardo della donna posarsi su di lui con più attenzione. Posa la sporta, e si avvicina, inginocchiandosi davanti al tavolaccio, al suo fianco.
<< Siete … suo fratello, non è vero? >>, mormora in un filo di voce.
<< Sì >>.
<< Gli somigliate tanto. Era così gentile, mi salutava sempre, quando c’incontravamo al mercato >>. Il suo sguardo è buono, compassionevole. Lo accarezza senza toccarlo. << Io non l’ho mai creduto un traditore >>.
Quell’argine dentro Aiolia cede. Lui, infamato, insultato, detestato, additato da coloro che dovrebbero essergli compagni trova adesso affetto e comprensione in una sconosciuta. Da una perfetta estranea si sente rivolgere le parole che vorrebbe sentir pronunciare almeno una volta, anche soltanto da uno di loro.
E’ il colmo. Alcol, fumo e dolore acuto si fondono dentro le sue viscere straziandogliele.
Si drizza in piedi di scatto, senza pensare neppure a pagare, fuggendo dalle braccia intenerite che provano a trattenerlo. Con gli occhi pieni di lacrime corre fuori, vacillando, in mezzo alla folla del mercato, fino a raggiungere la grossa pietra che delimita il confine tra il paesino e la proprietà del Santuario.
E lì crolla, senza alcuna remissione. Il suo organismo allenato a tanti e tanti esercizi estenuanti non regge il peso degli stravizi che si è concesso, e a cui non è abituato. Lo stomaco vuoto da troppo rigetta l’alcol, un sapore tremendo gl’invade la bocca, un odore mefitico le narici; si china cercando di trascinarsi all’ombra, dietro il masso, e a quello si appoggia sentendo lacrime e sudore gelato colargli sul volto.
Una silohuette si stende a pochi passi da lui, Aiolia chiude gli occhi. Spera non sia nessuno che conosce: non avrebbe il coraggio di sopportare anche quest’umiliazione.
<< Padron Aiolia?! >>. Galan gli è subito addosso, lo sorregge col braccio sano, lasciando la spesa per terra.
Di tanti, proprio lui.
Aiolia non sa se deve rattristarsi o gioirne. Però è sollevato che sia lì; è l’unico in cui ripone ancora fiducia.  << Padron Aiolia, che avete? Perché non siete a casa? >>. Il puzzo d’alcol e fumo deve averlo colpito, tant’è che sgrana l’unico occhio. << Ma … Santa Athena, voi … >>.
<< Portami a casa, Galan. Per favore >>, pigola pateticamente Leo, devastato.
Il fido servitore scuote la testa, lo trascina in quello stato miserando fino alle sue stanze portando anche la sporta carica, senza dire una parola. Lo porta a letto e ve lo poggia sopra, con cautela, sfilandogli i sandali e posando un vaso panciuto dal lato del giaciglio.
Che non tarda a colmarsi, tra un conato e un lamento.
Nel frattempo, Galan gli passa una compressa fredda sul volto accaldato.
<< Mi dispiace >>, biascica Aiolia, senza fiato, la voce roca per lo sforzo e la bile rigurgitata.
Galan dà sfogo al suo disappunto. << E ci credo che vi dispiace! Padron Aiolia, perché? Non posso … non posso credere che un Cavaliere come voi si riduca in un simile stato! Senza contare che siete ancora così giovane, troppo giovane! Ve l’ho detto mille volte! Frequentare una locanda! Bere e fumare in mezzo … ai perdigiorno! Voi, il Custode di Leo! Ma avete pensato anche solo per un istante a cosa direbbe vostro fratello, se vi vedesse in quelle condizioni? Davvero riuscireste a dargli un simile dispiacere, solo perché volete giocare a fare il grande? >>.
Ha ragione, Galan. Ma adesso Aiolia è troppo fragile per doversi far carico anche di questo pensiero. << Basta! >>, è il suo grido disperato. Artiglia il guanciale dove grosse lacrime, di dolore vero, profondo, ancora bambino queste, disegnano piccoli cerchi scuri sulla tela immacolata.  
Il servitore china il capo, rialzandosi.
Adesso ha ferito anche lui, Aiolia.
E’ un bene che così poche persone tengano a lui, in realtà. Distrugge tutto quello che tocca, è meglio se gli stanno lontani. O chissà quanti ne rovinerebbe. << Perdonatemi. Sono di là, se avete bisogno di me >>.
Lo lascia solo, a riflettere su quello che ha fatto, in teoria.
Ma Aiolia vuole solo dormire. Nei suoi sogni è con Aiolos, al sicuro, felice.
Vuole solo dormire.
E svegliarsi il più tardi possibile.
La mattina dopo non riesce a tirarsi su dal letto alle quattro per iniziare i suoi allenamenti quotidiani. Grazie ad Athena non è più un allievo al Santuario, altrimenti il Sommo gliel’avrebbe fatta pagare cara.
Che si fotta pure lui, è il pensiero con cui Aiolia si dà il buongiorno.
Si tira con cautela fuori dal letto. Dev’essere giorno fatto: il sole entra potente dalle finestre prive di vetri.
Entra nel bagno, e trova la vasca piena d’acqua. Ci immerge un dito: è tiepida, come se Galan l’avesse riempita tempo prima.
Andrà meglio. Per lavarsi via di dosso gli ultimi postumi della sbronza.
Si spoglia degli abiti maleodoranti con cui è rimasto dal giorno prima, ed entra con un brivido. L’effetto è quello di una sveglia immediata: il suo cervello riprende a funzionare a pieno ritmo.
E non solo lui. E’ successo di nuovo, e ormai Aiolia ha capito che sarà sempre così, d’ora in poi.
Sì, è un uomo, non c’è nulla da eccepire.
Ma quello del giorno prima non era il modo migliore di dimostrarlo.
<< Galan. Va’ … al mercato. Prendimi … della tintura >>, dice, una volta rivestitosi e andato in cucina, dove l’uomo sta preparando il pranzo. Il tono è pacato, un filo timido ma per nulla incerto. Non che non si vergogni: ma si vergogna anche di vergognarsi.
L’ha trattato male. quando lui invece è l’unico a prendersi cura di lui. Era preoccupato, inquieto e anche amareggiato dallo spettacolo impietoso che il suo amato padrone ha dato di se stesso, nella pubblica via, alla mercé di chiunque passasse.
Non che dovesse temere di guastarsi la reputazione.
Galan capisce tutto questo, e si asciuga la mano sana andandogli incontro con un’espressione buona. Non è arrabbiato, e questo è già tanto.
<< Di iodio? O di artiglio del diavolo per gli impacchi? >>, chiede, affettuosamente.
Leo scuote i capelli, che bagnati sembrano più scuri. Ancora più simili a quelli di Los. << Per i capelli. La voglio rossa. Vedi se hanno … dell’henné, di buona qualità, che non vada via subito >>. 
Galan lo fissa stranito. Ma non obietta. << Sì … padron Aiolia >>.
Quando ritorna Aiolia rientra nel bagno. Ci resta dentro un’ora, ed esce coperto di rosso, non solo sul capo ma anche sulla gola, sulle mani, sui polsi: è un tantino maldestro, e poi è la prima volta.
Ha provato a sfregarla via, ma non se ne va: è davvero di buona qualità.
Tuttavia lo specchio gli ha rimandato l’immagine che voleva vedere. Il Leone finalmente destato, pronto a cacciare e inebriarsi della sua preda, com’è giusto che sia.
E’ questo il vero modo di essere uomo. Consacrandosi solo e unicamente alla sua missione, quella per lui di vitale importanza. 
<< Allora, com’è? >>, domanda, quasi pavoneggiandosi. In realtà gli piace come gli sta addosso quel colore.
Bisognerà vedere quanto piacerà a lui. Non è un toro, ma un capro: però Leo non ha dubbi sul fatto che da bravo spagnolo, intuirà che è suonata la carica della corrida.
E Aiolia sta affilando le sue banderillas.
Galan non riesce a guardarlo troppo a lungo. << Fa male agli occhi, padrone >>, sussurra mesto. Dice “occhi” ma vorrebbe dire “cuore”.
E’ una fiammeggiante dichiarazione d’intenti, e Galan l’ha capito bene.
Per quanto gli dispiaccia vedere quell’espressione sul volto dell’uomo, sa che ha fatto la cosa giusta.
Quel rosso è il sangue che grida giustizia, quello che gli scorre nelle vene, è il fuoco di un’anima che ruggisce bramando di vedere sparso in terra quello sgorgante dalla gola del suo nemico. Ed è appunto lui il primo ad avere l’onore di vederlo. Si incrociano sulla Scalinata antistante la Casa di Sagitter, quasi un segno del Fato. L’uno salendo, l’altro scendendo.
Nonostante gli costi ammetterlo Shura non è stupido. Anzi, è fin troppo acuto. Aiolia sa che ha già capito anche lui cosa vuol dire quella fiamma scarlatta accesa d’un tratto nella chioma folta e ondulata del Custode del Leone.
E lo fissa. Non negli occhi, quello non lo farà mai, altrimenti vedrebbe un fuoco ancora più potente di quello dei capelli. Sul suo volto Aiolia legge con perversa soddisfazione lo smarrimento, lo sconcerto, un’incredulità assoluta, impossibile da celare com’è abituato a fare con qualsiasi altra reazione, come ha provato a fare il giorno prima, senza però riuscirci bene.
Ecco. Questo voleva vedere, anche. Non quello sguardo al mercato. Questo. Lo shock della preda che si vede d’un tratto davanti il cacciatore, e cerca disperatamente la via di fuga sapendo che la sua ora è scoccata.
Non lo farà adesso, non lo sfiderà sulle scale come se si trattasse di una partita a dadi. E’ una cosa sacra, dovrà avvenire nei modi e nei tempi adatti, al cospetto della Dea e degli altri, perché tutti possano vedere che non teme di affrontarlo, ch’è di una pasta diversa da quello spagnolo opportunista e codardo che ha approfittato dell’impossibilità di difendersi di Aiolos. Ne è cosciente nel profondo, Aiolia: tutta la preoccupazione del fratello dev’essere stata per la neonata. Solo in questo modo si spiega come sia stato possibile che Capricorn abbia vinto quello scontro.
All’eventualità che Los abbia preferito morire pur di non fare del male a Shura non vuole neppure pensare. Sarebbe un’enormità troppo grande, mostruosa da accettare. Aiolos non poteva aver preferito cadere sotto i colpi di Excalibur sapendo che così lasciava solo un bambino nella trappola del Santuario.
Ad immaginarla soltanto, quell’ipotesi, gli viene da balzargli al collo in quattro e quattr’otto. Perché si meriterebbe il doppio della sofferenza che Aiolia spera d’infliggergli, il triplo, il decuplo. Dovrebbe ottenere dagli dei la grazia di farlo tornare in vita più e più volte, solo per essere certo di fargli scontare il suo peccato fino all’ultima goccia.
Guardami, e dimmi cosa vedi adesso, quando mi guardi, bastardo.
Guardami bene in faccia, se ne hai il coraggio.
Verrò a prenderti, Shura di Capricorn.
Adesso, non c’è più motivo di aspettare. Guardati le spalle.
I secondi si torcono e si allungano, diventano infiniti pur condensandosi in un lasso brevissimo. Una manciata appena di sabbia in quella clessidra, poi Shura distoglie lo sguardo piegando il capo, corvino il suo, come la tenebra che si porta nell’anima, e scende spostando appena l’aria accanto ad Aiolia.
Che sorride sornione.
Nessun vino, nessun liquore può essere più inebriante di questo. E non deve neppure temerne gli effetti nocivi: non gli occorreranno catini accanto al letto, o compresse fredde sulla fronte.
Continua a salire, sperando di riuscire ad incontrare anche l’altro pezzo del puzzle, il Sommo; perché è chiaro che anche lui è compreso nella sua personale crociata. Continuerà a mostrare obbedienza, ai suoi comodi, però, come ha fatto fin qui; non gli darà mai l’occasione di sbarazzarsi di lui come ha fatto con Los.
Intanto incrocia gli sguardi degli altri. non si degna di restituirne nessuno, ascolta i loro mormorii esterrefatti, certo che più di qualcuno fraintenderà il suo gesto.
Diranno che l’ha fatto perché non voleva più somigliare al Traditore.
Ma a lui non importa. In testa, ha soltanto una cosa.
Sangue.
 
 
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Cosa direbbe vostro fratello, se vi vedesse?
Dodici anni dopo questa domanda risuona ancora nelle orecchie di Aiolia, anche se solo rammentata.
Galan non c’è più, almeno non è al suo fianco; ma in compenso … è tornato lui.
Aiolos.
Sono tornati tutti, anche coloro che avrebbero meritato di restare in fondo agl’Inferi.
Soprattutto loro due. Gemini e Capricorn.
Quello che avrebbe dovuto essere un miracolo, lo è soltanto a metà. Aiolia ha riottenuto solo un pezzo del suo amato fratello: il resto, incredibilmente, è per quelli lì, com’è costretto a chiamarli per non dispiacere a Los, quando li indica in sua presenza.
Ricordare la sua prima – e unica- sbronza lo riempie ancora di disgusto, a distanza di anni. Quasi quanto vedere Los assieme ai suoi carnefici. Non conta che entrambi mostrino un evidente disagio, in sua presenza; non corrono a nascondersi nel più profondo e buio angolo di mondo, e anche ammesso che lo facessero magari lui li rincorrerebbe comunque, per soprammercato.
Potrebbe cambiare genere di caccia, ma non è detto che ad Aiolos darebbe fastidio. E poi non potrebbe certo farlo davanti ai suoi occhi: quanto meno, per un minimo di umano ritegno. Inoltre con … quell’argomento ha qualche trascorso spiacevole. Non è certo di riuscire a liberarsi dai fantasmi del suo primo – e unico, anche questo- tentativo, qualche anno prima.
E allora ricorre all’unico mezzo che per attirarsi addosso il disappunto del fratello. Inizia a fumare, dapprima giusto tre o quattro al giorno, poi sempre più, perché ha scoperto ch’è più semplice infilare una sigaretta in bocca e tacere, piuttosto che parlare e rischiare di far scoppiare una nuova Guerra Sacra senza l’intervento di Hades. Dover trascorrere ore, e ore, e ore in mezzo ai mattoni, alla calce, sotto il sole cocente, a rimettere in piedi il Santuario dalle macerie insieme ai costruttori, ritrovandosi ora a fianco di Saga, ora accanto a Shura, e con nel mezzo immancabilmente Aiolos sta mettendo la sua già scarsa pazienza a durissima prova.
Ha quasi sempre evitato però di sbattergli la sigaretta proprio sotto il naso, malgrado l’unica reazione di Los sia uno storcere di labbra e un sventagliare della mano per allontanare la nuvoletta grigia e densa.
Ma il giorno prima lo ha beccato a parlare con Saga, che ha preso anche lui questo vizio – sperando che finisca anche questo col ritorcerglisi contro, peccato solo ci vogliano anni, perché se ne torni al Tartaro - che fumava tranquillamente davanti a lui.
E non sventagliava un bel niente, macchè. Sorrideva, come un idiota, impaniato dalla viscida compostezza di quel cane rognoso.
E allora adesso che è accanto a lui, in un momento di pausa tra un carico di pietre squadrate e l’altro, lo fa apposta. Per vedere se davvero avrebbe trovato il coraggio di rimproverargli qualcosa, Aiolos.
Da un lato spera tanto sia il momento buono.
Il veleno gli rode il cuore, il fiele lo stomaco. E ad ogni boccata di fumo aspro e denso li sente bruciare di più, aspettando, desiderando di avere quel rimbrotto, perché poi finalmente potesse fargli presente il suo.
<< Lia, devi proprio? >>, dice finalmente. Con quell’espressione severa di un tempo, quando era lui ad allenarlo.
<< Com’è che ti dà tanto fastidio, se si tratta di me, e con gli altri no? >>, replica svelto Aiolia, sentendo la lingua ardere dall’impazienza. Si augura che gli chieda chi siano, quegli altri.
Quell’altro. Perché Shura non fuma. E’ evidente che ci tiene alla salute, il capròn.
E fa bene. E’ una cosa che non si deve mai dare per scontata, specialmente se hai un conto in sospeso lungo diciott’anni che ti pende sulla nuca.
Los lo guarda con stupore. Poi si acciglia. << Forse perché di te mi preoccupo, non ci hai pensato, testone? Sarebbe il colmo se dopo essere tornato dall’Oltretomba, finissi col tornarci per colpa di uno stupido vizio >>. Si morde un labbro, realizzando ciò che ha appena detto. << Non volevo. Scusami >>.
Aiolia spegne con rabbia la sigaretta sotto il calzare. << Se davvero vuoi chiedermi scusa, Aiolos, non farlo per questo >>. Il tono, lo sguardo sono eloquenti. Nessuno, nemmeno un estraneo che non lo conoscesse bene quanto suo fratello capirebbe al volo cosa davvero voglia dire.
Eppure, Los riesce ancora a fraintendere. << Hai ragione. La verità è che ogni tanto mi sembra ancora di avere a che fare con il mio bambino. Pare ch’io non voglia rendermi conto … che sei cresciuto, e sei un uomo. Hai la tua vita, le tue … scelte. E anche se io non le condivido, devo comunque accettarle >>. Aiolos si rialza, passa le mani sui calzoni scuotendo la polvere. << Vado un attimo di sotto. Nella Terza Casa c’è stato un problema con la posatura dei tubi dell’impianto idrico, serve una mano >>. Gira sui tacchi e se ne va, dopo avergli dato un buffetto affettuoso sulla testa, tornata di bronzo.
Come la faccia, d’altronde. Così fa pendant.
Lia conosce suo fratello, e bene. Sa che il sarcasmo gli è sconosciuto, e le uniche frecce che lancia sono quelle del Sacro Arco. Gli è impossibile credere … che ci fosse un chiaro sottinteso, in quelle sue parole.
E anche se io non le condivido, devo comunque accettarle.
Eppure sono suonate proprio così, alle sue orecchie. Come a dire: io voglio essere loro amico. Tanto da lasciar Casa di mio fratello per andare a vedere cos’ha che non funziona l’impianto idrico di Saga.
Verrebbe facile fare una battutaccia, ma Aiolia non vuole neppure pensarla, neppure per scherno. Gli fa venire in mente cose ch’è meglio lasciare fuori, altrimenti più che una perdita si verificherà uno tsunami, in quel Santuario diventato cantiere.
Magari ci si anneghi, pensa riaprendo il pacchetto e tirandone fuori un’altra. Mastica il filtro con tanta irritazione che presto non riesce neppure più a fumarla, e la getta schiacciandola sotto il calzare, con foga.
Non si è accorto di non essere più solo.
<< Ehm … buongiorno >>, mormora Capricorn, una cesta carica di pietrisco sulla spalla, i calzoni impolverati, la maglia appiccicata al petto dal sudore. La pelle chiara è arrossata nei punti scoperti; è quasi mezzogiorno, e il sole picchia forte, come in pieno agosto. Se non sta attento, si prenderà un’insolazione, quell’imbecille.
Sta quasi per metterlo in guardia, non certo per bontà d’animo, ma perché non è per nulla disposto a concedere ad Helios ciò che tocca a lui. Una vittoria schiacciante, dopo un’aspra lotta.  Solo un essere a questo mondo può mettere schiena a terra Shura di Capricorn: e Aiolia non è disposto a cedere quel suo diritto a nessuno, foss’anche un dio.
Non è certo la prima volta.
Ed è veramente agosto, ancora: gli ultimi giorni, siamo nel dominio della Vergine, ormai. E sono svegli da una settimana appena; poco, ma abbastanza perché le cose vadano in malora, tanto più in fretta quanto in fretta si rialzano i muri del Grande Tempio della Dea.
Spera solo che la sua Casa sia finita presto, così da potercisi rintanare e non dover assistere a certe scene che gli danno la nausea peggio di una sbornia. Non è obbligato a condividere, e se proprio deve accettare, almeno che li abbia lontano dagli occhi.
Ha compiuto venticinque anni sottoterra. E destatosi, ecco il bel regalo che ha trovato.
Fanculo. Anche questo è un vizio insalubre che ha ripreso, sempre nel tentativo di attirarsi il biasimo di Aiolos. Fosse meno credente tirerebbe giù anche Athena dalle vette dell’Olimpo, o meglio dalla sua sedia lì alla Kido Corporation, ma purtroppo ci sono limiti che neppure lui riesce ad oltrepassare.   
A differenza di quel cretino col suo “buongiorno” del cazzo. Gli è rimasto in gola, assieme al fumo, e minaccia quasi di strozzarlo.
Un tempo, aspettava con ansia che arrivasse a porgerglielo, tanto da pensare ch’era buono solo a metà, se Shura non si precipitava sotto gli alberi a tentare di acchiapparlo al volo, semmai fosse scivolato giù.
Adesso gli percuote lo stomaco con violenza.
Osserva quel viso sbaffato di terra, dai capelli scompigliati, e gli occhi che ancora non ardiscono d’incrociare i suoi.
Eppure non si fa scrupolo di guardare bene in faccia Aiolos, quando ci parla. L’ipocrisia fatto persona, un fariseo della peggior specie, un Bruto, che non si è fatto scrupolo di trafiggere l’uomo che lo aveva adottato piantandogli la lama nel petto.
Gli viene proprio spontaneo. Quel grumo bloccatosi in gola viene fuori, con irruenza, terminando la sua corsa in una piccola pozza lattiginosa sul terreno non ancora riconsacrato.
Shura non batte ciglio, mentre si lecca l’angolo delle labbra. << Buongiorno, dici? Mi fa piacere lo sia per te >>.
<< Aiolia, senti … >>.
<< Falla finita con questa storia. Tutto quello che voglio sentire da te è soltanto una cosa. Il resto non m’interessa >>, taglia corto brutalmente. << Fammi sapere quando ti senti pronto, Capricorn. Se accetti un consiglio, ti direi di aspettare almeno che finiscano Casa tua. Almeno potranno organizzarti un funerale decente. E non temere, ne ho abbastanza, in serbo per te, dopo >>, aggiunge poi, stirando le labbra in un mezzo sorriso feroce, indicando in modo innocente la chiazza di sputo con la punta del piede, strusciandolo nel terriccio. 
Shura posa la cesta. E per un attimo Aiolia esulta: è prontissimo, qui e adesso. Sente già l’elettricità percorrergli le vene colme di sangue nuovo, per cui Athena ha versato il proprio.
Ma subito l’entusiasmo si smonta. << Volevo solo chiederti dove devo lasciarti questo. Nella Terza c’è un po’ da fare, devo scendere giù >>, dice in tono freddo, piatto, il suo avversario.
Aiolia tira uno sbuffo di risa sardonico. E ti pareva? Sarebbe stato troppo bello per essere vero.
Ma un codardo non cambia solo perché è risorto. Ed è questo che vorrebbe far capire anche a Los: nessuno cambia. Mai.
Shura gira sui tacchi e se ne va, esattamente come ha fatto Aiolos.
Per un attimo Aiolia si fruga in tasca, poi ci ripensa. Non serve a niente, potrebbe cominciare a drogarsi, sbronzarsi da mattina e sera e frequentare tutte le bellezze del Pireo, e suo fratello non batterebbe ciglio, anche lui, come Shura.
E fare la guerra non è appagante, se non c’è nessuno a misurarsi con te.
Un uomo, si dice, guardando il compagno odiato andare a raggiungere quell’altro pagliaccio di Gemini, e figurandosi Aiolos tutto festante tra loro, pronto a premurarsi in tutti i modi per riparare Casuccia di Saguccio.
Sì. Un uomo.
Un uomo ancora solo.
 
Ti prego, abbi pietà di me 
Fai piano col mio cuore 
Anche se non hai intenzione di farmi del male 
Continui a lacerarmi 
Ti prego quindi di avere pietà, 
potresti avere pietà di me 
Ti sto implorando pietà, pietà 
Supplicando, sto supplicando, per favore,
Ti sto implorando pietà, pietà 
Ooh, ti prego, ti prego

Shawn Mendes, Mercy
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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