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Autore: ClodiaSpirit_    13/07/2018    2 recensioni
- Si alzò in piedi, insieme all’onda del pubblico coinvolto dall’esibizione, applaudendo.                                                                                                                                     
[...]  Nonostante quello sguardo fosse lontano, Alec poté indovinare che erano diversi rispetto a quelli che aveva visto tante volte. -
Alec è un ragazzo intelligente, giovane, eppure gli manca qualcosa di fondamentale: vivere.
Ma cosa succede quando Alec comincia a fuggire e a rintanarsi a Panshanger Park, durante uno spettacolo dato dal circo? E soprattutto, chi è l'acrobata che si cela e cerca dietro tutti quei volti?
Cosa succede quando due mondi opposti ma simili per esperienze di vita si incontrano?
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Isabelle Lightwood, Magnus Bane
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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Clodia's: Buongiorno o buonaseraaaaaaa
(dipende da quando avete visto e cliccato su questa pagina, si prega di restare a leggere se
interessati e se siete capitati per caso, spero possiate incuriosirvi)
Bando alle ciance, how you doin guys?
Io sono andata per ben tre volte al mare. Tre.
Il che è un miracolo perché di solito prima di dare una materia esco poco o niente causa a n s i a.
Spero che voi siate allegri e spensierati, un po' come chi sta per andare all'ITACON a vedere il Cast. Sigh.
Meglio non pensarci. Hope you enjoy this chapter.
See you soon.






Tutte le cose belle finiscono, viene detto. Eccetto per il fatto che per Alec, era solo cominciata una serie di volte in cui le cose in questione sarebbero andate avanti per un bel po’. Da settimane intavolava qualche parola a casa, ma restava sul vago. Mai che desse una spiegazione ragionevole o più concisa.
« Allora Alexander, si può sapere cosa ti porta ad uscire ogni sera?» Helena riprese suo figlio mentre entrava in camera sua per posare qualche indumento di biancheria già stirato. Alec aveva sempre trovato strano che negli ultimi tempi, si sforzasse di fare qualcosa per rendersi attiva, cucinava, lavorava a maglia o forse si annoiava soltanto e doveva impiegare quella metà del tempo che non sprecava a urlare contro suo marito. In tutta risposta il ragazzo aveva emesso un sospiro di sfiducia. Non solo nei confronti della madre, ma di tutto il genere umano. Perché me lo stai chiedendo adesso. Perché non puoi capirlo da sola, va avanti da anni, come fai ad essere così cieca?
« Credo che tu ti sia già risposta da sola» e detto questo, si portò di nuovo una delle due cuffie all’orecchio. Helena s’irrigidì, le dita delle mani che si muovevano come non controllandosi e date da leggeri spasmi nervosi. Era una donna sulla quarantina, ancora giovane. Molte altre persone arrivavano a quell’età sfoggiandola in modo diverso, impiegandola al meglio.
Quella però non era Helena.
« E questo cosa vorrebbe dire?» la sua voce salì di un ottava. Lo sguardo di Alec era vacuo e perso in chissà cosa, si tolse di nuovo la cuffia per terminare cosa sarebbe iniziato da lì a poco in tutta fretta.
« Credi davvero di non saperlo o fai solo finta, mamma? Perché, sono serio, » guardava dritto davanti a sé, la parete, il pulviscolo nell’aria, qualcosa di indefinito « Hai già la tua risposta.» La hai da anni. Sul viso di Helena si disegnò la stanchezza, ma rimase muta e senza rispondere così com’era piombata in camera del figlio, così ne uscì.
Quella non sarebbe stata una giornata facile da affrontare. Nessuna lo era.
Quanto meno Alec poteva contare sull’illusione di crearsi una dimensione nuova altrove almeno per un paio di ore.


**


Il telefono squillò e Alec corse in soggiorno. Fu il primo e forse l’unico lì dentro davvero interessato a rispondere alla chiamata. La voce alla cornetta gli riportò il buonumore.
« Izzy!» era sempre stato il soprannome che aveva scelto per sua sorella. Isabelle suonava fin troppo lungo e poi, neanche lei come suo fratello amava farsi chiamare per intero. Per questo Alec, molte volte nelle conversazioni con i suoi, cancellava di aver ascoltato il suo nome di battesimo.
« Alec! Fratellone, come stai?» la voce di sua sorella era così colorata che quasi si sentì un estraneo piuttosto che suo fratello, sangue del suo stesso sangue per alcuni secondi. Si girò il telefono per passarlo all’altro orecchio. Si morse le labbra esitando.
«
Alec-»
« Scusa Izzy, ti dispiace se insomma, parliamo un po’ noi due, senza che mi sentano mamma e papà? Non vorrei sinceramente sentirli discutere per un po’…» Sentì Isabelle sospirare e se la immaginò mentre portava una mano alla fronte in modo plateale.
« Sì, certo Alec, capisco » Alec si guardò intorno, captando la presenza di qualcuno dei due. Appena ebbe la conferma che erano impegnati in tutt’altro ne approfittò e filò di corsa in camera. Si buttò in ginocchio sul letto per poi prendere una posizione più comoda. Incrociò le gambe.
« Eccomi » si sforzò di avere un tono più allegro. « Alec… come sta andando? E’ cambiato qualcosa o-»
« Sempre il solito. La mamma non vuole ammettere che cosa succede e papà beh…» Alec rise amaramente e deglutì, la mano libera giocava a stropicciare un pezzo di coperta lì vicino « lo conosci. E’ orgoglioso, è tutto tranne che comprensivo, non si parlano quasi mai quando sono qui a casa e quando non ci sono…» sospirò.
« Quando non sei a casa? Alec?» il ragazzo deglutì e socchiuse gli occhi. Sentì la voce della sorella farsi preoccupata e la cosa non gli piaceva affatto.
« Alec…» Isabelle parlò piano « Stai ancora fuori fino a tardi per questo? »
« Non ho altro modo Iz, non ci riesco, sta diventando una gabbia di matti qua dentro,» la sua voce era bassa e grave, quasi atona « tu non ci sei e io non riesco a concludere niente. Mi manchi » Ci fu qualche secondo di silenzio.
« Alec anche tu mi manchi, » poteva sentire il piccolo tono intenerito della sorella che il più delle volte, fingeva di fare la spaccona ma in realtà aveva un cuore di panna « ma devi capire che non puoi continuare così, » ed ecco che lo rimproverava « se un giorno tu decidessi di andartene senza che loro abbiano risolto, se succedesse qualcosa -»
« Che vuoi che succeda?» la interruppe « Loro arriveranno a separarsi. E’ inevitabile. E quel giorno voglio solo essere il più lontano possibile » aveva due piccoli solchi sotto gli occhi per via del poco sonno in quei giorni, ma pensò che non fu il caso di informare la sorella.
« Lo so. Ma so anche come sei e che su cento dei loro problemi tu ne prendi novantanove. Voglio solo che tu stia bene, che non ti vengano strane idee. Sei pur sempre il mio fratellone »
« Sì, lo so » Alec girò con lo sguardo e trovò la loro foto sullo scaffale. Era di qualche anno fa, mentre lei cercava di fare una foto decente e lui era venuto come risultato con una smorfia degna di un cartone animato di genere fantastico, Isabelle rideva in quella foto e lo sfondo era di un bel verde con poche nuvole.
« Come va lì, in Spagna? » Izzy aveva trovato lavoro come pasticcera dopo che per tanto tempo, la sua passione per la cucina e le sue richieste per concorsi, erano rimasti solo un vago sogno da rinchiudere e buttare via la chiave.
« Madrid » sottolineò sbuffando lei.
« Che è pur sempre in Spagna» precisò Alec.
« Va bene. Ogni giorno sono piena di lavoro, la paga è buona, la gente è deliziosa, ogni tanto durante le pause riesco a farmi un giro e sto progettando di andare a Barcellona un giorno di questi. Cosa che non ho pensato affatto invece: proprio una settimana fa ho provato a chiamare a casa, ma ha risposto la mamma dicendo che non sapeva dove fossi, » ricominciò a blaterare e Alec dovette fermarsi dall’implodere un b a s t a con questa storia « e così ho parlato con lei. Non mi è sembrata in sé, rispetto all’ultima volta, intendo. » chiarì.« Comunque sia la prossima volta vorrei che chiamassi direttamente me e non a casa se vuoi sapere dove va a cacciarsi di tanto pericoloso tuo fratello » le fece il verso. Isabelle in tutta risposta sospirò di nuovo.
« Stiamo parlando adesso. Sono vivo. Fammi un favore, stai tranquilla, non sono io che sto a 1.779,49 km di distanza da qua »
La sorella scoppiò in una risata fragorosa. Alec venne contagiato.
« Adesso sei anche un genio matematico! Incredibile. Va bene, non ti prometto niente, ma tu » fu canzonatoria « non commettere stupidaggini »



**



E così Alec era uscito di nuovo, evitando volontariamente lo sguardo del padre seguito da Helena, mentre girava la maniglia della porta e usciva. Fuori pioveva e quindi si contraddistingueva per un look spartano, inusuale ma comodo: capelli arruffati, una felpa nera pesante, dei jeans un po’ più vecchi e delle scarpe da tennis che aveva conservato nonostante sua madre avesse cercato in ogni modo di buttargliele.
« Non sono adeguate al nostro tenore di vita e poi erano di tuo padre prima che fossero tue quindi chissà da quanti anni le abbiamo in casa! » In tutta sincerità, ad Alec piacevano quel scarpe e non erano per niente usurate, tranne forse per i lacci (ma sostituibili) , erano ancora seminuove. Aveva più volte escogitato nuovi nascondigli grazie anche all’aiuto di Izzy. Non si era portato un ombrello perché riteneva scomodo usarlo per tratti brevi visto che, aveva smesso di piovere una volta arrivato a Panshanger Park.
Vedendo la solita gente radunarsi intorno al tendone, sapeva di doversi sbrigare.
Da almeno una settimana o forse un po’ di più, ogni venerdì, l’appuntamento era fisso. Alec usciva nel tardo pomeriggio per ritornare alle 12.
Non aspettava altro. Certe volte rimaneva ancora un’ora fuori anche se il bus lo aveva già lasciato a Hertford e camminava fino a casa con calma. Ogni volta ne rimaneva stupito, ogni volta c’era uno sguardo diverso in quello che osservava, i corpi che si snodavano, l’ambiente colorato e insolito, addirittura la presenza di strani clown che al posto della solita parrucca arancione, ne portavano una luminosa di tanti colori.
Ogni sera c’era quel ragazzo (Alec non sapeva quanti anni potesse avere) che volteggiava in aria, che celava qualcosa che Alec interpretava come affascinante e fragile al tempo stesso. Era difficile da spiegare. Però, qualcosa glielo diceva dentro di lui e dopo giorni, pensava di essere sempre più vicino alla soluzione. E come di consueto, Alec stava ritornandoci ancora, quella stessa sera.



Il tendone quella sera gli parve più illuminato e vivo che mai, anche se forse era sempre lo stesso e Alec stava solo ingigantendo la sensazione. Ma era come vivere decisamente in un altro mondo, il mondo che lui voleva tanto per se stesso. Come vivere in modo libero, senza ossessioni. Uno governato solo dall’armonia e euforia del momento. E vedere come quella stessa donna se ne stava al centro, cantando a voce piena, era perdersi in quello stesso mondo. Non aveva nessun talento in particolare se non quello di arrivarti dritta al petto creando il soul soltanto con le sue corde vocali. Era una donna di colore, un vestito blu con una giacca e dei risvoltini gialli le davano un aspetto più grande, un cappello in testa da cui fuoriuscivano i suoi ricci, si intonava con l’abito.
Dietro di lei, degli acrobati si prendevano e buttavano, in equilibrio su piccoli trapezi come fossero nati per fare solo quello. Appena finì intonando l’ultimo acuto, Alec si alzò in piedi applaudendo con tutta la forza che aveva in corpo. Cominciarono a uscire tutti gli artisti che come ogni sera in fila, venivano chiamati da quel signore (forse il capo) – anch’esso dotato di cappello a cilindro, guanti bianchi alle mani, ma con una giacca diversa perché con bottoni d’ottone e terminante a pinguino sulla schiena – che pronunciava a uno a uno i loro nomi. Il ragazzo volteggiante fu presentato per ultimo e Alec quasi sobbalzò: si era cambiato d’abito, indossava qualcosa di molto simile a un body, ma color carne scuro, più della sua stessa pelle. Il ragazzo fece un inchino e sorrise ampiamente. Alec quasi si perse in quel gesto, il suo sorriso raccontava tutt’altro rispetto ai suoi occhi. Allora gli venne un’idea. Lo spettacolo era finito da almeno dieci minuti, ma Alec stava cercando una via secondaria all’uscita: una che portasse dietro la struttura. Doveva pur esserci. L’entrata principale portava all’uscita, doveva trovarne una laterale.
Si guardò attorno e adocchiò un’apertura coperta da una trave in fondo a sinistra. Sarebbe stata proprio invisibile senza la presenza del ferro che spiccava, poiché ciò che si vedeva fuori era completamente buio Forse è già notte, pensò. Ho perso la cognizione del tempo, si ravvivò i capelli con una mano. Alec avvicinò l’orecchio all’apertura grande come un arcata superiormente e stretta quanto la sua larghezza. Ci sarebbe passato, il problema era come spostare l’asse di ferro, peserà almeno 10 chili. Sentì prima delle voci dall’altro lato, poi ne sentì altre arrivare, ma questa volta da dentro il tendone stesso. Si nascose. C’era una piccola sporgenza vicino a lui, un piccolo spazio vicino la serie di sedute che creava una curvatura più bassa. Si accovacciò il più possibile per non farsi vedere. Passarono davanti a lui delle ombre ben piazzate e tozze che stavano discutendo.
« No, non è possibile. Mr. Sanders è completamente fuori! » Affermò una delle due, arrabbiata. L’altra avanzò dirigendosi verso l’apertura nascosta. Alec sbirciò sporgendosi un attimo. Erano gli omaccioni dalle barbe folte: i mangiatori di fuoco. Alec si stupì di poter vedere adesso da vicino quegli occhi chiari come due ghiacci accesi davanti a un cero.
«Sì, ti dico che ha ordinato di raddoppiare gli orari di prove » Azzardando dal tono, Alec capì che fosse straniero. Era una cadenza strana mischiata alla sua lingua, con i baffi sopra la barba che si muovevano insieme alla bocca: forse era russo. Peccato che Alec aveva mancato di riconoscere dalla cadenza molte lingue, il suo campo di studi era stato ben altro. « Uno di questi giorni quell’uomo ci ridurrà in pezzi » concluse l’altro. Con un gesto abile e una forza bruta, l’uomo sollevò la trave abbattendola di lato. Di colpo Alec sembrò scorgere un pezzo di cielo e delle figure. In realtà solo figure sfocate, ma era pur sempre qualcosa. L’omone stava per passare, quando venne trattenuto per il braccio dall’altro.
« JAY! » Lo riprese l’altro, il tono ansioso « Non puoi lasciarla » indicò l’asse.
L’omone in questione, si portò le mani sui fianchi, si guardò intorno e sospirò pesantemente:
« Non arriverà nessuno James, sono tutti andati via da un pezzo » allargò le braccia e sparì dall’altra parte.
James si girò per guardare davanti a sé dubbioso. Scrollò le spalle e seguì il compagno.
Alec aveva la sua occasione.
   
 
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