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Autore: persephone_    14/07/2018    0 recensioni
Abditory significa "posto in cui nascondersi". Ed è ciò che trova Yoongi non appena entra in questo albergo.
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Yoongi non ha mai avuto interessi, sfide, grandi storie da raccontare, no. Yoongi si è laureato in economia, un tempo scriveva articoli di giornale, fumava - poi gli è stato offerto di lavorare come direttore di un albergo alla deriva.
Per i prossimi mesi, Yoongi non fa che pentirsi di aver accettato. O forse no. Anzi, assolutamente no. E' che deve ancora capire cosa vuol dire sentirsi parte di qualcosa.
Abditory è una storia un po' strana, con tanto alcool e tanti segreti, ragazzi fragili in un posto fragile, ma con tanta forza di volontà ed un nuovo direttore. Ed alcool.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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L'albergo sembra bloccato nel tempo. Una patina di antichità e domande lo circonda, come se nessuno ne fosse mai uscito vivo. E' uno degli alberghi che accolgono assassini, fantasmi, silenzi.

Il palazzo, relativamente grande, è circondato da alberi e piante dimenticate, un freddo recinto nero. Non sono più tanto certo di voler avanzare verso l'ingresso, ma ormai sono qui. Passo dopo passo, busso: la porta è chiusa, per quanto siano le dieci del mattino e dovrebbero esserci clienti pronti ad uscire, quindi aspetto. Nonostante il posto si mostri come estremamente polveroso, sembra anche rispettabile, quindi controllo per l'ultima volta che il mio completo sia ben stirato. Senza nessuna piega, nessun difetto, come se non fosse reale- dopotutto nulla sembra reale.

 



 


 

Il ragazzo che mi apre senza alcuna cerimonia, è, al contrario, la persona più reale al mondo. Ha i capelli rossi, tinti, un'enorme felpa blu ed una scopa nella mano destra. Mi accenna un sorriso, io chino la testa.

"Tu devi essere Yoongi," esclama.

"Già." Tento di allungare una mano per stringergliela, ma il ragazzo-capelli-rossi fugge in un lampo verso quello che sembra il bancone della reception. E' colmo di carte, scartoffie, chiavi, scontrini. Così diverso dal mio mondo, lì fuori, così freddo ed organizzato.

Sulla poltrona di finta-pelle nera, dietro al bancone, un ragazzo dorme beato. Mi domando come faccia a riposare con quel caos davanti, ma non sono ancora affari miei, ci penserò dopo ad istruirli sull'arte dell'ordine. Ed il non dormire sul lavoro.



"E' arrivato Yoongi, svegliati!" Il ragazzo-capelli-rossi poggia la scopa di fianco al bancone che, essendo ricurvo, la fa miseramente rotolare sul pavimento. Il rumore è tale da far sobbalzare il povero dormiente sulla poltrona: apre gli occhi, mi scruta, poi sorride. Una fossetta gli esplode sulla guancia, un piccolo buco nero.

"Yoongi. Benvenuto." Mormora, assonnato.


Evito le domande sul perché tutti siano già così informali con me, evito le domande sul perché non ci siano clienti, mi limito ad un cenno verso il presunto-receptionist appena sveglio.

"Sono Min Yoongi, nuovo direttore di quest'albergo," mi fermo per guardarmi attorno, "-si suppone."

Il ragazzo-capelli-rossi riprende la scopa dal pavimento, mi lancia un sorriso che non colgo al volo. Mormora una frase che forse capirò più avanti.

"Questo non è solo un albergo." E avanza verso il corridoio, fieramente, come se dovesse affrontare chissà cosa.

 



 

 

"Lascialo stare, è sempre così fiducioso quando pulisce il bagno," ragazzo-receptionist sorride nuovamente, mi fermo nel vedere come la fossetta gli solca perfettamente il centro della guancia. "-si sente come se dovesse affrontare un drago. Hoseok è fatto così."

Annuisco. Quindi c'è qualcuno che pulisce; dovrebbe occuparsi anche di quel bancone, oltre che del bagno. Il suo nome è Hoseok, gli si addice.


 

"Io sono Namjoon, receptionist. So parlare tre lingue, un tempo quattro, ma ho dimenticato il francese tempo fa. Ci sono poche regole in questo hotel, non scritte, ma tutti le seguono quindi devi farlo anche tu se vuoi restare." Le sue frasi sembrano minacciose, ma mi porge gentilmente una mano, quindi non mi lascio intimorire. Nessuno è capace di intimorirmi. "La prima è che nessuno deve toccare il mio bancone. La seconda è che non devi far piangere Jimin."

Inclino la testa. Non ho idea di chi sia Jimin, non ancora, ma suppongo sia un bambino, magari il nipote di qualcuno. Inizio a sperare di no. I bambini piangono, corrono e ti fanno ricordare che un tempo anche tu eri così. Ed io non voglio. Forse sono ancora in tempo per ritirarmi, ristringere la mano di Namjoon e scappare. Una voce mi blocca.

"Namjoon, non sono un bambino." Una voce morbida, come la nota di un pianoforte, aleggia alle mie spalle. Mi volto appena. Il ragazzo dietro di me è alto poco più dello sgabello che trascina svogliato, ha i capelli biondi che gli ricadono sugli occhi e, sì, ha lo sguardo da bambino. Spero non pianga davvero, per ora sorride. "Ciao," mormora. "Salve," rispondo.

 


"Sei un cliente? Namjoon ti ha già spiegato i prezzi? Una camera costa 22,000 won a notte, compresa la colazione. Gli altri pasti hanno un conto a parte." Il ragazzo-dallo-sguardo-bambino, suppongo sia Jimin, parla veloce come un nastro registrato. Ha un sorriso speranzoso, il sorriso di chi non vede clienti da mesi, il sorriso da bambino che spera in una sorpresa. Peccato siamo già tutti adulti qui, sono costretto a distruggere i suoi sogni.

"Mi spiace, ma sono Yoongi." Mormoro con calma, come se fossi già il suo datore di lavoro. Questa volta il suo sorriso diventa più di cortesia che da bambino, diventa uno di quei sorrisi che sei obbligato a sfoggiare davanti ad amici di vecchia data di cui neanche ricordi il nome. "Ed io sono Jimin," la nota della sua voce è altalenante, ma mantiene il suo tono da nastro registrato "-spiacente, Yoongi, non abbiamo sconti per il tuo nome."

"Jimin, frena." Namjoon, che non si è smosso da dietro il bancone neanche una volta, allunga una mano verso Jimin. Inizio a pensare sia come uno di quei personaggi nei videogiochi dei quali vedi solo un mezzo busto, quelli col passato assurdo e missioni impossibili da compiere. In effetti questo hotel sembra il perfetto sfondo per un videogioco, o per uno di quei film adolescenziali dove tutti sono segretamente disperati dentro. Forse lo siamo davvero. Anche se Hoseok sembra relativamente felice, Jimin ha lo sguardo da bambino e Namjoon vive nel suo bancone. Forse lo sono solo io, magari sono il boss finale del videogioco. Mi perdo talmente in questo discorso dal non cogliere neanche una parola detta da Namjoon, che spiega rigorosamente la situazione al ragazzo-bambino. Quest'ultimo mormora un lieve "ah," che mi porta alla realtà.



Il sorriso speranzoso, poi diventato sorriso di cortesia, ora è un sorriso arreso, disilluso. "Riporta la vita in questo albergo, Yoongi." È l'unica cosa che dice, prima di salutarmi con la mano e trascinare lo sgabello con sé, da qualche parte.


 

"Amate davvero tanto questo hotel," sussurro, più a me stesso che a Namjoon; lui si limita ad annuire e a biascicare un paio di parole al vento, "Siamo una famiglia".

 





La dolce quiete formatasi, quel tipico silenzio nel quale si creano i ricordi, dura ben poco. Un ragazzo compare alle mie spalle, incrocia le braccia al petto, mi scruta, poi guarda Namjoon.

"Quanto sei romantico," ridacchia sottovoce, palesemente esagerando le espressioni facciali "-questo posto non si può neanche definire un hotel. E' una specie di topaia senza aria condizionata."

Mi trattengo dal rispondergli che dovrebbe vedere il mio monolocale; quella sì che è una topaia, e puzza anche di fumo. Noto la divisa che ha indosso: una camicia nera, con un simbolo sulla destra, un pantalone altrettanto nero ed un tovagliolo rosso fra le mani; sembra un tragico poeta francese, col fazzoletto sempre pronto ad asciugare le lacrime. Ridacchia una seconda volta, quasi automaticamente, mi porge una mano. "Sono Kim Taehyung. Direttore di sala. Compito abbastanza inutile, dato che non abbiamo bisogno di una sala. Però ci sono lo stesso, e sono anche l'unico ad indossare ancora la divisa-" scrolla le spalle ed agita un po' il suo fazzoletto rosso sul bancone di Namjoon, che lo fulmina con lo sguardo, "è che odio i cambiamenti."

Lo posso capire. Non lo dico, ma lo capisco. I cambiamenti ci obbligano ad una reazione, ed io mi sono stancato tempo fa di reagire ai meccanismi della vita, quindi la monotonia mi ha accolto. Almeno così il modo in cui vedo le giornate ed il modo in cui le giornate vedono me, è uguale: vuoto. Eppure, dal modo in cui il signor Kim Taehyung si muove non colgo affatto una persona vuota, è solo qualcuno che ha creato un personaggio e non vuole abbandonare la propria parte, che in questo caso è: "il direttore di sala con la sua divisa". Un personaggio.



 

"Io sono Yoongi, nuovo direttore dell'albergo.", ripeto per l'ennesima volta. Grazie al cielo non fa altre domande, è troppo impegnato al lamentarsi sul quanto sia fastidioso il non avere l'aria condizionata, sul quanto non riesca a dormire la notte perché fa troppo freddo, o troppo caldo, o c'è troppa umidità. Namjoon lo lascia parlare, annuisce e dice qualcosa sulla contabilità, inventa dei dati sulle entrate, parla di risparmiare, le tipiche frasi come "dobbiamo fare sacrifici." Il solito. Una cosa però mi sfugge.

 

"Quindi dormite qui?" mi lascio sfuggire, ormai dimenticando le formalità o l'invadenza.

"Sì, al terzo piano. Ci sono due camere da letto per il personale e quello che dovrebbe essere il tuo studio, ma ci sono solo scartoffie. Colpa mia." Taehyung si accarezza i capelli con la mano destra, il polso sporco di vernice, il viso assonnato come uno degli attori che intervistavo per quelle ridicole riviste. Sarebbe perfetto. Potrei dargli il numero della rivista per la quale lavoravo, ma sembra un pezzo rilevante in questa sottospecie di albergo. Meglio non mettere le mani sul personale.

Namjoon ha un volto che sembra dire: sì, siamo dei poveracci; no, non abbiamo un'altra casa. Annuisco al suo silenzio. Vivere in quattro con sole due stanze dev'essere dura.

"Anche se l'essere in sei a volte non aiuta la convivenza," Taehyung sembra rispondere direttamente ai miei pensieri, "soprattutto perché abbiamo un solo bagno per noi."

"Sei?" Qualcosa non mi torna.

"Ancora non hai conosciuto Jungkook e Seokjin, giusto? Uno si occupa del cibo, l'altro delle bevande. Penso li troverai a dormire." Namjoon si volta verso l'orologio, le 10:30 del mattino, e sorride in modo quasi paterno. "Andiamo a svegliarli, te li presento."

Tento di ribattere, ma i due già sono diretti verso le scale. Li seguo, valutando la gravità della situazione: come si può dormire a quest'ora? Le cose cambieranno da domani, quindi meglio si godano quest'ultima dormita prolungata. Il mondo del lavoro non accetta una fase rem completa.



Gradino dopo gradino, quando raggiungiamo il secondo piano si sente rumore di parquet calpestato, ed allora Hoseok -appena uscito fiero dal bagno con la sua fedele scopa- dice che quelli sono "i suoni della danza."


 

"Jimin balla." Spiega, con una traccia di amarezza. "Questi sono i suoni della danza. Li riconosco." Stringe a sé il manico in legno e si dirige verso il piano inferiore, meno sorridente e meno reale di prima. Non posso fare altro che vedere la sua figura scendere lentamente le scale, come se aspettasse di essere fermato. O forse sta solo controllando la polvere. Non posso saperlo, quindi per questa volta torno a guardare in avanti. Le lunghe gambe di Namjoon, che preferivo quando erano coperte dietro al bancone, si muovono veloci nel corridoio polveroso del terzo piano: c'è odore di bucato fresco, ma anche di ricordi antichi. Chissà quante storie ci sono in queste pareti. In questo posto che "non è solo un hotel".

 

 

Quando entriamo nella stanza, stanza 4, troviamo questi due esseri contorti avvolti in una coperta troppo piccola, in un letto troppo piccolo, in una stanza troppo piccola. Uno dei due compare piano da sotto quei centimetri di lenzuolo, ci guarda, poi torna a dormire.

"Jungkook," lo interpella Namjoon con fermezza "devi alzarti." Da sotto le coperte scorgo una testa muoversi in cenno di no. "Jungkook," ripete. E la coperta si scuote di nuovo. Sembra una scena da sitcom americana.

"Jungkook, ti tolgo la coperta." Taehyung, più drastico, afferra un lembo di puro poliestere e conta fino a tre, tirandolo brutalmente al termine. Il ragazzo apre un occhio, lo richiude, poi lo apre di scatto e si posa su di me: lì, sobbalza in piedi. Quando gli vedo il viso, mi accorgo di quanto possa essere giovane, e sento la voce di Namjoon dirmi nella testa: sì, è un poveraccio anche lui; sospiro. "Sono Yoongi, nuovo direttore dell'albergo, piacere." Ripeto, ripeto ancora. Il ragazzo annuisce, per quanto scommetto non abbia sentito neanche una parola. Si poggia una mano sulla guancia rosea, calda, e finalmente parla. "Io sono Jungkook. Sono il più piccolo qua, ma sono l'unico a non avere problemi."

Taehyung gli lancia uno sguardo enigmatico. Jungkook continua, spiega che Namjoon ha la fobia di aggiornare il suo Windows 98, che Jimin balla solo quando è solo e lo sente complimentarsi allo specchio, che Seokjin ha una fidanzata immaginaria, che Taehyung parla secondo frasi fatte e che Hoseok affronta i cessi come fossero draghi. Quasi gli manca avere un problema personale, sussurra alla fine. Namjoon non può far altro che ridere. Mormora appena un "Windows 98 è perfettamente funzionale", poi si concentra sull'altro dormiente, colui che dovrebbe essere Seokjin. Volgo lo sguardo al ragazzo-senza-problemi, Jungkook.

"Io sono Yoongi, nuovo direttore di questo albergo." Una pausa. "E penso di non avere problemi."

"Vedremo," sorride lui, scrutandomi da dietro il lembo del lenzuolo troppo sottile; è uno di quei "vedremo" intesi come "lo hai. Ed io lo scoprirò". Sfida accettata. Quasi ricambio il sorriso. Chissà che problema troverà, ne ho tanti nel cassetto. Forse capirà del mio gatto morto senza motivo, o della mia solitudine, della mia dipendenza da ramen istantaneo.

 



"Jungkook, non spaventare già il direttore." Una voce premurosa, e finalmente rispettosa, emerge dall'altra metà del lenzuolo, i capelli scompigliati ma il volto perfetto. Mi guarda. "Sono Seokjin, il cuoco." Mi lancia un bacio. La confusione del mio volto dev'essere molta, dato che dopo un istante ride, e chiede scusa, e ride. "Scherzavo", dice. Scherzava. Che hotel assurdo.

 

 


 

"Dunque." Batto le mani una volta, per richiamare l'attenzione; qualcuno deve iniziare a mettere un po' di ordine qui dentro. E quella persona dovrei essere io. "Vediamo cosa c'è da sistemare."



Tutti mi guardano sbigottiti, come dei gatti verso un laser. Ultimamente penso troppo ai gatti. Chissà Yuki dov'è adesso. In un posto migliore di questo albergo, probabilmente. Sospiro. "Riunione del personale, forza, chiamate tutti." Batto le mani una seconda volta, con addosso la più spessa patina di autorità che riesco ad avere. Lo stupore regna nell'aria. Seokjin è il primo ad alzarsi, scuote appena i pantaloni troppo larghi, mi da una pacca sulla spalla; "ti aspettiamo al bancone di Namjoon", dice, io annuisco. Namjoon lo segue all'istante, forse per paura che qualcuno tocchi il suo bancone, la sua dimora. Jungkook e Taehyung continuano a fissarmi, increduli, i loro tratti improvvisamente più infantili. Li incito ad andare con un cenno del capo, loro si incamminano meccanicamente non cambiando espressione, persi nella loro sincera confusione. Le cose cambieranno davvero. 

  
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