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Autore: _Crys_    18/07/2018    1 recensioni
Questa è la One shot con cui ho partecipato ad un concorso, ovviamente riguardante Eldarya. Il tema era "Stelle Cadenti", per cui ho scelto di far narrare la storia ad una vera e propria stella, che dopo aver deciso di cadere, si ritrova in questo nuovo e magico mondo...
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Huang Hua, Leiftan, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Avete mai visto il cielo d’estate?
Dicono che sia di un azzurro terso e cristallino, talmente omogeneo e allegro da far venire voglia di tuffarcisi all’interno…
Oh! E il cielo mentre piove?
Avete mai sollevato il viso all’insù lasciando che le dolci gocce di pioggia scivolassero lungo i vostri lineamenti, accarezzando la vostra pelle? Dicono che dia i brividi…
E l’avete mai visto il tramonto?
Di questo invece dicono che sia meraviglioso, che le sfumature di colori siano così contrastanti e disparate, eppure così armoniose tra loro!
Ma dicono che il tipo di cielo più bello di tutti sia quello notturno, nelle limpide notti di luna, in cui le stelle danno mostra di sé tutte insieme, eppure senza mai oscurarsi a vicenda. Dicono che sia sublime, nel significato più antico e profondo del termine; “sublime” è l’unica parola che associa la bellezza al terrore, l’armonia all’inquietudine.
L’avete mai visto? Avete mai visto un cielo così?
Io mai.
A dire il vero io non ho mai potuto guardare il cielo e basta.
Triste? No, non direi.
Non ho mai potuto guardarlo per un motivo: ci vivo.
Non sono altro che uno degli astri che si possono ammirare se alzate lo sguardo alla sera. Le stelle di cui tutti parlano non sono che le mie sorelle.
E il mio panorama è la Terra. Dalla mia posizione privilegiata l’ho sempre osservata, affascinata come da nient’altro.
E’ abitata dai cosiddetti “umani”, le mie creature preferite; sono romantici, provano dei sentimenti che non riescono quasi mai a custodire e nascondere. Vivono di passione, amore per la vita, sensazioni incredibilmente intense.
E molti di loro amano la notte.
Alcuni hanno addirittura dedicato ad essa, e a noi, le opere più disparate.
Ricordo con chiarezza un umano dai capelli rossi e dai forti tumulti interiori. Si chiamava Vincent… e ha dedicato al cielo notturno e a noi stelle un qualcosa di bellissimo; una sera si era messo a guardarci… sembrava che in quello sguardo ci fossero l’amore di un padre e allo stesso tempo di un amante e di un figlio. E con degli strani arnesi aveva fatto quella che per me fu una delle più grandi magie: all’ epoca non sapevo di cosa si trattasse, ma stava dipingendo. Con pennelli e colori, riusciva a distendere con leggiadria sulla sua candida tela un’immagine.
La notte e le sue figlie.
E io ero sicura, che stesse guardando me mentre dipingeva con tutto quell’ardore. Chiamò la sua opera “Notte Stellata”… e dopo moltissimi anni ancora la conosce chiunque, sulla Terra.
Come dicevo, è di questo che vivono gli umani. La chiamano in tanti modi. “Vita frivola”, “Lusso”, “Follia”… il mio termine preferito però è “Arte.”
Ecco cosa sono gli umani. Arte. La vivono e la respirano, se ne circondano.
E vivono anche di qualcos’altro… qualcosa di più difficilmente definibile, ciò che li fa andare avanti ogni giorno della loro vita. Li chiamano “sogni” o “desideri”. Non ce n’è uno uguale ad un altro, i sogni sono tutti diversi ed astratti e ciò li rende unici e speciali.
E dopo anni passati ad osservare gli esseri umani da lontano ho scelto di dare vita a quello che lentamente era diventato il mio, di desiderio.
Cadere.
Era l’unico modo per poter avere quelle magnifiche creature più vicino.
E in un certo senso era anche ironico… col tempo passato ad osservarli ho imparato che quando una di noi cade, ogni umano che ci vede esprime un desiderio.
Io cadendo, voglio esaudire il mio invece.
E voglio farlo ora.

Non credo di essere capace di descrivere la mia caduta.
Mi è parsa lunga millenni, ma più breve di un’istante rubato tra un battito e l’altro di un cuore.
Come se avessi vissuto più di 100 vite diverse nello spazio di un istante.
Ho visto crepuscoli che non erano né alba né tramonto, infiniti promontori a picco sui più profondi mari dal colorato riverbero.
Ho ascoltato pianti strazianti e risate vivide e cristalline.
Ho percepito esotici profumi e putridi olezzi.
Poi, il buio.

Al mio risveglio non c’era altro che lui. Il cielo. Non l’avevo mai visto, non così. Non dalla parte degli umani.
Era talmente bello da mozzare il fiato, ed era tutto per me.
Rimasi lì, a rimirarlo, senza sapere esattamente dove mi trovassi, con due sole consapevolezze: ero sulla Terra, ed ero sdraiata su qualcosa di abbastanza morbido e profumato, verde ed immenso. Non ebbi difficoltà a riconoscerlo; gli umani lo chiamavano “prato”.
Mi alzai con estrema cautela, non avevo mai posseduto un corpo e non sapevo ancora come usarlo. Osservai quelle che dovevano essere le mie mani. Erano candide, e le dita erano dolcemente affusolate. Provai ad osservare il resto del mio corpo piegando la testa e assumendo tante buffe posizioni, ma qualcosa mi solleticava la schiena. Per capire cosa fosse stato tentai di girare su me stessa ma non funzionò. Non riuscii a vedere nulla di più, così iniziai ad esplorare il mondo che avevo attorno. Mi trovavo in uno strano giardino, che dal cielo non avevo mai avuto modo di osservare. C’erano strambe piccole cascate artificiali, bolle sospese per aria e tanti strumenti musicali che sembravano essere fatti di sole piante.
Ricordai che a volte gli umani utilizzavano l’acqua per specchiarsi, così mi avvicinai ad una fonte, costantemente in movimento a causa della cascata.
Ciò che mi solleticava erano i miei capelli, lunghi e di un colore insolito, che mi ricordava tanto le sfumature del fuoco. Scendevano sulla mia pelle candida in disordinate e irregolari onde. Era buffo come mi ricordassero allo stesso tempo il mare ed il fuoco. La mia pelle incredibilmente bianca era attraversata da tante minuscole stelle attorno al naso, sulla schiena e su tutte le mie nuove giunture. Ma non erano brillanti come le mie sorelle. Erano anzi marroncine, ma collegate da sottilissime e quasi invisibili linee, che davano loro la forma delle costellazioni. Pensai che il cielo agiva davvero in modo incredibile; aveva trovato comunque un modo per tenermi legata a lui, nonostante ora fossi libera.
Anzi, ne aveva trovati due; perché i miei grandi occhi blu e viola, erano davvero pieni di stelle. Nei miei occhi il cielo aveva racchiuso le sue galassie
A coprire il mio corpo, un semplice e lungo velo era stato posto, anch’esso di un bianco quasi insopportabile alla vista, che lasciava libere solo le mie braccia.
Dalla gioia di essere davvero, finalmente dove volevo essere, iniziai a saltare e girare su me stessa, dando vita anche a fragorose risate. La contentezza fece sì che non mi accorgessi che non era sola… e me ne accorsi solo quando andai a sbattere con la schiena contro qualcosa… o per meglio dire, qualcuno. Quando mi voltai a guardarlo scoprii che era un uomo molto alto, tanto che per squadrarlo dovetti alzare lo sguardo piegando leggermente indietro il collo. Era vestito in modo strano, e aveva gli occhi dello stesso colore del prato. Anche i suoi capelli erano strani: erano… biondi, ma con un ciuffo molto scuro che gli ricadeva al centro della fronte. Lateralmente invece, portava due lunghe ciocche bionde intrecciate. Quell’uomo aveva qualcosa di soprannaturale, e lo sentii subito. Sembrava splendere come… una stella. Ricordava casa.
Tuttavia il suo sguardo sembrava sconcertato. Deglutii, provando un po’ di timore, e indietreggiai. Dopo il mio movimento, lo sentii parlare. . << Aspetta, non scappare. Non voglio farti del male… >> Fece un passo verso di me, ma indietreggiai comunque. Nonostante fossi intimorita però quell’uomo infondeva in me un senso di sicurezza, di tranquillità.
Vedendo che rimanevo sulle mie, si limitò a parlare, senza muoversi. << Non volevo nemmeno spaventarti… scusa. Ma non ti ho mai vista. Da dove arrivi? Dal tempio di Huang Hua? >>
Non avevo idea di cosa stesse parlando, per cui feci un lieve cenno di dissenso con la testa. << No? Allora… ti ha mandata qualcun altro? Cryllis? Non sei del Rifugio… >>
Di nuovo scossi la testa.
<< Dimmelo tu allora. >> Insistette. << Da dove vieni? >> Per rispondergli mi limitai a stendere un braccio verso l’alto e puntare il dito verso il cielo. Lui sollevò il viso e lo osservò per qualche istante, per poi accennare un sorriso confuso e forzato. << Perdonami, ma… davvero non capisco. Non puoi parlare? >> A quell’affermazione mi strinsi nelle spalle. La verità era che non lo sapevo. E se non fossi stata in grado di parlare? Se avessi detto senza volere qualcosa che mi avrebbe portato problemi? Potevo ascoltare… lo avevo fatto per anni. Ma avevo paura di aprire la bocca. L’uomo comunque non smise di tentare, questa volta avvicinandosi ancora. << Posso sapere almeno il tuo nome? Io mi chiamo Leiftan. >>
Conoscevo la risposta; avevo scelto il nome prima di cadere. Una volta avevo sentito degli umani pronunciare questa parola in una loro lingua mentre mi indicavano. Mi era piaciuta così tanto…
Decisi di provarci. Di parlare e dirgli ciò che pensavo e provavo in quel momento.
Sentivo, di doverglielo dire.
Sperai solo che potesse capirlo… e mi buttai.
Di nuovo.
<< Mi chiamo Najima. E tu mi ricordi il sole. >>


Angolo autrice:
Salve!
Mi ritaglio quest'angolino giusto per spiegare qualche dettaglio riguardo la storia e i vari contorni. ^^
Come già scritto nell'introduzione, questa storia è stata scritta per partecipare ad un concorso, che in seguito ho vinto.
Avrei voluto renderla più lunga e completa, ma il limite di caratteri era 1500, e li avrei superati di parecchio!

Nota: Il tempo verbale subisce un cambiamento nel momento in cui Najima cade sulla Terra. E' naturalmente un cambiamento voluto, volevo rendere l'idea del tempo che cambia per lei, che prima, nello spazio non ne aveva sentito l'influenza, mentre ora, come essere umano, come creatura terrena, sente il tempo scorrerle quasi sulla pelle.

Spero ad ogni modo che la storia vi sia piaciuta! ^^

- Crys.
   
 
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