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Autore: DezoPenguin    19/07/2018    1 recensioni
Elementary My Dear Natsuki parte quinta. Natsuki si avvicina alla verità sulla morte di sua madre, ma lo sguardo della Corte d'Ossidiana è caduto anche su di lei. Mentre Shizuru accetta di investigare sulla morte di un nobile straniero, ha il suo inizio un gioco di inganni con in palio il destino di entrambe.
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Natsuki Kuga, Reito Kanzaki, Shizuru Fujino
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Elementary My Dear Natsuki'
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Ero felice di non aver toccato la coppa di sake che mi ero versata. La presi con mano tremante e riuscii a controllarmi abbastanza da stringerla senza versare il liquore ovunque. La vuotai in un sorso solo, sentendo il vino di riso tiepido bruciare mentre scendeva, facendomi sussultare quando arrivò nello stomaco.

Meglio, pensai. Mi chiesi se versarmene un altro, ma sapevo che sarebbe stato stupido. Con degli assassini alle calcagna, non potevo permettermi di ottundere i miei riflessi. Ubriacarsi era la cosa più idiota che una persona nei guai poteva fare, anche se dozzine di persone lo facevano comunque.

Il liquore mi fece bene, però. Annegò le prime risposte che, di riflesso, avrei dato alla rivelazione di Porlock, le urla, le grida, i pugni in faccia sarebbero stati sciocchi. Invece lo guardai negli occhi e parlai lentamente, enunciando con cura ogni singola parola.

"Che diavolo significa?"

"Quello che ho detto. A quanto pare tua madre era un membro della Corte d'Ossidiana. Senz'altro spiega perché le loro strade si siano incrociate."

"Non è possibile," protestai, la mia voce era a malapena un sussurro.

"Kuga, sai che tua madre non era una santa. Lei—"

"Lo so, lo so. Era un'avventuriera. Non un'artista o una ballerina o un'attrice, qualcosa del genere, solo una bellissima donna che è stata l'amante di Gerhart Kruger per…circa otto anni, credo."

"È un periodo molto lungo, è improbabile che un uomo si tenga un'amante per così tanto tempo," sottolineò Porlock. Aveva ragione. Era effettivamente un tempo molto lungo, per un uomo, rimanere fedele ad una relazione la cui esistenza provava la sua capacità di essere infedele.

"Anche così, non è come dire che apparteneva alla Corte d'Ossidiana."

"Ho detto che le mie fonti la identificano come un'appartenente al Secondo Distretto, non al Primo. Essere coinvolta in truffe finanziarie è peggio di tutte le altre cose che hai sentito su di lei?"

"Sì, maledizione. Almeno un'amante si guadagna da vivere usando i propri mezzi, qualsiasi sia la tua opinione su questo genere di occupazione. Questi affari, come il caso della compagnia di Olanda e Sumatra, non sono forse ladrocini su larga scala, più eleganti di una rapina o di un furto, ma alla fin fine la stessa cosa?"

"Hai ragione," disse lui. "Una truffa è una truffa."

"Esatto. È—" mi interruppi. "Non so nemmeno perché sto avendo questa conversazione con te."

Lui mi fissò, riflettendo.

"Devi averla con qualcuno, credo, e almeno io conosco tutti i retroscena. Inoltre, sono proprio qui."

"Proprio così." Entrambi i motivi erano veri, ma questo non li rendeva buone ragioni. Mi frugai in tasca e feci cadere delle monete sul tavolo per pagare il pasto.

"Devo andarmene da qui."

Porlock annuì lentamente.

"Va bene. Ma ricordati un paio di cose, me lo prometti, Kuga?"

Scivolai fuori dallo stallo.

"Cosa?"

"Primo, non importa che tua madre fosse dei loro o no, l'hanno uccisa comunque. Questo non cambia."

Annuii.

"E l'altra cosa?"

"Che tu cambi opinione su di lei o meno, ricorda che il Primo Distretto sta dando la caccia a te."

Annuii di nuovo. No, non l'avrei dimenticato.

"Va bene." Mi allontanai dal tavolo, poi feci qualcosa che dubito sarei stata capace di fare l'anno precedente. Mi fermai e lo guardai.

"Porlock?"

"Sì?"

"Grazie."

Lui mi sorrise.

"Non ringraziarmi. Fare contenti i miei clienti è il mio lavoro."

Mi diressi in cucina, girando attorno al bancone ed entrando in un mondo di pentole fumanti, olio che sfrigolava nei wok, e il rumore ritmico dei coltelli contro i taglieri.

"Ehi, Mai, ho bisogno di usare la porta sul retro, nel caso che un paio di delinquenti siano più bravi a liberarsi dalle corde di quanto credessi. Ti dispiace?"

"Corde? Natsuki, in che ti sei ficcata questa volta?" mi sfidò Mai.

"Le solite cose, più o meno. Violenza, vendetta, minacce di morte…" cercai di suonare disinvolta. Mai non si fece ingannare dal mio atteggiamento e mi picchiò sulla testa con un cucchiaio di legno.

"Ahia! Mai..."

"Ti metti sempre nei guai. Pensavo avessi chiuso con queste cose quando ti sei sistemata con la signorina Viola, ma ora ci stai cascando di nuovo!"

Mi pungolò il petto con il cucchiaio.

"Vai pure, usa l’uscita posteriore, ma cerca di avere cura di te, Natsuki."

Perché oggi tutti continuano dirmelo? E poi che diavolo intende con ‘sistemata con Shizuru’? Non è che abbia smesso di fare quello che faccio.

Anche se, pensandoci bene, avevo davvero cambiato la mia vita. In quanto assistente di una detective e scrittrice occasionale ero diventata quasi rispettabile, se si ignorava il fatto che stavo indagando su una società segreta.

"Sì, Mai," gemetti.

"Bene. Ora fila."

Uscii dal retro e mi trovai in uno squallido vicolo che correva parallelo all'isolato. Non c'era nessuno ad attendermi; o avevano pensato che non avrei usato l'uscita posteriore, o non avevano abbastanza uomini per sorvegliarla. Mi chiesi se Kenton e l'altro fossero ancora legati nel loro vicolo e, in tal caso, di cosa fossero stati derubati mentre erano svenuti. In certe parti di Londra, chi si addormentava ubriaco poteva svegliarsi completamente nudo una volta che ladri avevano finito con lui.

Tornando a Baker Street, cercai di capire perché il fatto che mia madre fosse un membro del Secondo Distretto mi desse tanto fastidio. Porlock aveva ragione. Cioè, non mi ero mai illusa che lei non fosse ciò che era. L'unica differenza tra 'amante e 'puttana' era che la prima lavorava a tempo pieno per un solo cliente. Era questione di mantersi economicamente durante la sua relazione con un uomo. I cinici avrebbero descritto il matrimonio nella stessa maniera, ma se me lo aveste chiesto, avrei risposto che i cinici intendevano il matrimonio in modo sbagliato. Quindi perché la prova della sua dubbia moralità mi turbava? Amavo il suo ricordo non per quello che era in pubblico, ma perché era stata una madre amorevole e affettuosa, che mi aveva donato felici ricordi della mia infanzia e che mi doleva aver perso prematuramente.

Quindi non era per quello. Ne ero sicura.

Allora perché?

Mentre la carrozza procedeva sferragliando, guardavo le case, i negozi, e i lampioni a gas illuminati.

Alcuni degli edifici avevano già la luce elettrica e mi chiesi quanto tempo sarebbe passato prima che le fiamme soffuse delle luci cittadine fossero sostituite dalla luce fredda delle lampadine. La sicurezza avrebbe rimpiazzato il romanticismo.

Poi capii.

Non riguardava mia madre. Riguardava me.

A lungo la rabbia e il desiderio di vendetta verso gli assassini di mia madre avevano bruciato nel mio cuore. Trovarli e costringerli a pagare per il loro misfatto aveva dominato la mia adolescenza e l'inizio della mia vita adulta. Avevo evitato il futuro pacifico che mio padre aveva cercato di offrirmi per imparare le vie pericolose della malavita, rischiando la vita e finendo coinvolta in veri crimini per ottenere i contatti e le abilità di cui avrei potuto aver bisogno.

Quella vendetta, la giustizia per mia madre, aveva giustificato tutto, anche rischiare di essere uccisa, come stavo facendo in quel momento.

Ma se mia madre era stata parte del Secondo Distretto, dov'era la giustizia? Cos'era che stavo vendicando? Un membro di una società segreta corrotta aveva infranto una delle regole dell'ordine, quindi la stessa società l'aveva uccisa? Che differenza c'era tra questo e una disputa tra ladri? "Il prezzo del peccato è la morte", così si diceva.

Sì, la morte di mia madre era stata una tragedia per me, una perdita terribile per una bambina. Ma giustificare una vendetta? Una buona ragione per sacrificare tutto quello che avevo perso?

Come la terribile verità rivelata dalla luce elettrica, la mia ricerca era stata derubata da tutto il suo sapore romantico. Era stata ridotta all'essenziale: per me stessa e per nessun altro avevo forzato questo inutile confronto con la Corte d'Ossidiana a punto tale che ormai uno dei due avrebbe dovuto soccombere. Una questione di sopravvivenza. Ovviamente, volevo essere io a sopravvivere, e senza dubbio "il Principe d'Ossidiana" e i suoi lacchè non avevano la morale dalla loro parte, ma questo non cambiava i fatti.

Un pensiero improvviso mi attraversò la mente, Mi chiedo quanto sarebbe delusa Shizuru se lo sapesse? Avrebbe sostenuto la mia appassionata difesa di una persona amata? O mi avrebbe rimproverata perché avevo agito senza conoscere i fatti?

Non che potessi dirglielo. La semplice, assurda inutilità del tutto rendeva ancora più importante che io facessi del mio meglio per impedirle di essere coinvolta. Speravo solo che il caso Maupertuis non vanificasse i miei sforzi.

Salii lentamente, usando la mia chiave per aprire la porta che dava in strada in modo da non disturbare la signora Hudson. Shizuru era seduta sul divano, invece che sdraiata come suo solito, con una tazza di tè tra le mani. La sua espressione era dolce, quasi tenera, assomigliava molto a quella che aveva avuto mentre mi curava la ferita la notte precedente.

Vederla mi fece sentire peggio.

"Le cose non sono andate bene?"

"Ho… avuto delle cattive notizie," ammisi. Mi diressi alla mia solita sedia al tavolo della colazione, poi cambiai idea e mi accomodai in una delle poltrone davanti al sofà dove di solito sedevano i clienti di Shizuru.

Lei posò la tazza.

 “Gradite del tè, Natsuki? È Assam."

Tè nero, invece che verde. Non credevo che sarei riuscita a sopportare qualcosa che mi ricordasse il ristorante di Mai e il mio incontro con Porlock.

"Sì, grazie."

Lo versò per me, aggiunse del limone, e mi passò la tazza con un'eleganza degna del salotto della baronessa Maupertuis. Sorseggiai, godendomi il suo calore, non mi ero resa conto di quanto fossi infreddolita durante il ritorno. O forse non era a causa del freddo.

"È molto buono," dissi.

"La signora Hudson fa del tè eccellente," fu d'accordo Shizuru.

"Confessate; è per questo che eravate così ansiosa di vivere qui da cercare qualcuno con cui dividere l'appartamento," riuscii a scherzare.

Lei mi rivolse il suo solito sorriso enigmatico.

"Sarebbe stato astuto da parte mia, vero?"

"A dire il vero, penso che sarebbe stato esattamente quello che mi aspetterei da voi."

Mi sorrise.

"Allora, avete raccolto altre notizie sul caso, mentre non c'ero?"

"Pensavo che Natsuki non volesse che io lavorassi a quella faccenda?"

"Pensavo che non aveste intenzione di ascoltarmi?"

"Be' il punto è questo," sottolineò lei. "E avete ragione nel pensare che non avrei abbandonato le indagini. Comunque, finchè non parlerò con Merridew, non credo che riuscirò a fare dei progressi significativi. Gli ho scritto per prendere un appuntamento, dovrebbe ricevere il messaggio con la posta della sera. Se rifiuterà..." Si strinse nelle spalle. "In tal caso, dovrò lavorare su altre opzioni."

"Capisco." Sorseggiai altro tè. "Vi aspettate che rifiuti?"

"Penso di no. Spesso, le persone si rendono conto che è opportuno collaborare con le mie indagini invece di cercare di depistarmi. E se ha paura di andare incontro allo stesso fato del defunto barone, come sembra probabile, allora potrebbe volere l'aiuto di un consulente esterno."

"Ha senso. Dopotutto Maupertuis, come Merrydew, aveva accesso alle risorse della Corte d'Ossidiana, ma non gli sono servite a nulla. Specialmente se si tratta di fazioni all'interno della società o qualcuno che sta disobbedendo alle regole—" mi interruppi mentre ricordavo la probabile motivazione della morte di mia madre.

"Natsuki?"

Scossi la testa.

"...non è niente."

Mi fissò per un lungo istante. La sua espressione non cambiò, ma ero sicura che non avesse creduto al mio diniego. Tuttavia non tentò di esprimere un’opinione al riguardo e non insistette per saperne di più, cosa di cui le fui grata. Avevo temuto che dopo la nostra…non volevo chiamarla lite, ma di certo era stata una discussione…riguardo il messaggio di Porlock, avrebbe tentato di ottenere dei dettagli, ma non l'aveva fatto, rimanendo nei confortevoli confini della nostra solita relazione. Nei confini di una distanza educata.

Parte di me ne era infastidita. Dovevo ammetterlo, una parte di me desiderava che lei insistesse, che spingesse abbastanza da farmi crollare e cedere al desiderio di confessare tutto ad una persona fidata. Dopo aver tenuto tutti i miei problemi rinchiusi così a lungo e dopo gli shock ed i traumi emotivi che avevo subito, volevo davvero aprirmi. In quel momento, le mie difese erano sottili come un foglio di carta.

Per quale altro motivo avevo ceduto e avevo detto così tanto proprio a Porlock?

Eppure, al tempo stesso ero stata disperatamente felice che non avesse detto niente. Per quanto sarebbe stato un sollievo liberarmi di quello che provavo, di quello che avevo fatto, di tutto quello che era accaduto fin da quando mia madre era stata spinta oltre la ringhiera della Friesland, mi sarei sentita terribilmente in colpa. L'unico lato positivo di quella miserabile situazione era che fino a quel momento non avevo messo Shizuru in pericolo, non l'avevo coinvolta in quello scenario. Certo, forse il caso Maupertuis rendeva quel punto irrilevante, ma almeno quello era giunto alla sua porta come un caso ordinario. Le sarebbe accaduto anche senza di me.

Quindi forse devo dirglielo? Pensai all'improvviso. Dopotutto, se avesse investigato senza di me, non sarebbe mio dovere dirle tutto quello che posso in modo che lei abbia quanti più indizi possibile, per trarre beneficio dalla nostra amicizia? Dio, l'idea mi tentava, ma la mia coscienza non la lasciò vincere. Sapevo da cosa era germogliata – non dalla preoccupazione per lei, ma per me stessa.

Se volevo comportarmi da amica, le avrei detto di abbandonare il caso, prima che lei diventasse un pericolo per loro o venisse a sapere troppe informazioni perché le fosse concesso di vivere. La mia conoscenza delle faccende della Corte significava questo per me. Mi diceva che la cosa migliore che potessi fare per Shizuru era impegnarmi la massimo per impedirle di raggiungere il 'punto di non ritorno' che io avevo già oltrepassato.

Butti giù il resto del mio tè. Ero stanca di rimuginare. Non ero Shizuru, dopotutto, capace di indossare una maschera sorridente mentre forti correnti si agitavano nelle sue profondità. Preferivo l'azione all'introspezione, e tormentarmi non avrebbe portato frutto, mi avrebbe solo resa più triste.

La tazza tintinnò nel piattino quando posai entrambi.

"Grazie per il tè," dissi, alzandomi. "Avevo bisogno di tirarmi su."

"Di nulla; è il minimo che potessi fare. A proposito, Natsuki, come va la vostra schiena?"

"La mia schiena? Bene, credo. Non sento nemmeno la ferita, a parte un po' di disagio quando mi piego troppo. L'avete vista l'altra notte, sapete che non è niente di serio."

Lei sostenne il mio sguardo senza dire una parola, non che ne avesse bisogno.

"Oh, va bene," cedetti. Mi alzai e mi tolsi la giacca, il fatto che non l'avessi ancora fatto era prova che mi sentivo meglio. Andai ad appenderla, poi mi tolsi il panciotto, il colletto e la camicia. La mia biancheria quel giorno era di seplice cotone, senza pizzi e merletti, scelta apposta dopo l'imbarazzo della sera precedente. Forse mi ero aspettata questo, che Shizuru chiedesse di controllare la mia ferita e che quindi avrei fatto meglio ad indossare qualcosa che non mi avrebbe lasciata preda di una presa in giro? Era da lei preoccuparsi della mia ferita finchè non fosse guarita, e probabilmente ne ero stata inconsciamente consapevole.

Shizuru ridacchiò, come se mi leggesse nel pensiero. Io passai da un fanciullesco rossore e diventai rossa come un pomodoro.

Mi sottopose al solito rituale. Mi tolse le bende ed emise un mormorio di approvazione quando vide la mia ferita, poi la pulì, la medicò e la bendò di nuovo.

"Sta guarendo bene. Sembra un taglio pulito, e visto che vi state prendendo buone cura ci voi stessa…questa volta…dovreste guarire presto. Temo però che non avrete una cicatrice molto drammatica, sempre che resti il segno, da aggiungere alla vostra collezione," mi canzonò.

"Non mi dispiace per niente," risposi. "Ne ho già abbastanza, troppe e cominceranno a sembrare tatuaggi, come quelli di certi esploratori e di certi popoli stranieri."

"Non penso che dobbiate preoccuparvi di questo."

Cominciai a riabbottonarmi la camicia.

"In ogni caso, vi ringrazio. Apprezzo davvero il fatto che vi prendiate cura di me, anche se a volte mi irrito un po’."

"Di nulla." Non sembrava che mi stesse prendendo in giro, anche se con lei non si poteva mai essere sicuri. Avrei potuto frequentarla per un secolo e comunque non sarei riuscita a interpretare alla perfezione i suoi cambi d'umore.

Andai a letto presto quella sera, il che fu facile perché ero davvero esausta. Non potevo fare nulla, non finchè Shizuru non avesse scoperto qualcosa su Merrydew, o Porlock non mi avesse consegnato Jules Lautrec. Fino ad allora la cosa migliore che potevo fare era tenere un basso profilo e riposarmi finchè ne avessi avuta la possibilità.

Tuttavia non riuscii a riposarmi come volevo, perché mi ritrovai strappata a un incubo da quello che sembrava il suono di un campanello.

Combattendo contro il sonno, cercai a tentoni la pistola che tenevo nel cassetto del comodino, una Mauser nuovo modello che era più potente ma meno discreta delle mie Smith and Wesson. La mia mano strinse il calcio della pistola quando lo sentii di nuovo, da sveglia, si trattava del nostro campanello.

"Ma chi può essere a quest'ora?" mormorai incredula, perché anche se le tende e gli scuri erano chiusi, era evidentemente troppo buio perché il sole fosse già sorto. Lasciai la pistola nel cassetto, avevo la sensazione che gli assassini del Primo Distretto non si sarebbero presentati così alla nostra porta, nonostante l'ora bizzarra, e invece uscii dal letto. Il mio gusto mascolino nel vestire mi fece indossare camicia, calze, jeans, panciottp e stivali in un paio di minuti. Uscii dalla mia stanza e raggiunsi Shizuru, che era già sveglia, in salotto proprio mentre un'irritata signora Hudson faceva entrare Kanzaki e Tate.

"Non me ne importa se è un'occasione ufficiale o no," stava sbottando. "Non dovreste tirare giù dal letto le brave persone!"

Era divertente vederla in quello stato, con gli occhi mezzi chiusi e gonfi di sonno e i suoi indomabili capelli rossi sparati in tutte le direzioni. Sorrisi, quanso mi resi conto che dovevo avere più o meno lo stesso aspetto.

Di solito, Kanzaki avrebbe distribuito parole di conforto in tono conciliante per calmare gli animi, ma non sembrava fosse dell'umore per essere educato. Forse qualcuno lo aveva tirato giù dal letto ad un'ora ancora più indecente.

"Quando i criminali faranno il loro lavoro in orario d'ufficio," replicò lui, "allora farò lo stesso. Fino ad allora, dovremo fare il nostro dovere a qualsiasi ora."

La nostra padrona di casa sospirò.

"Dovrebbero avvertire la gente di non affittare stanze a una consulente investigativa! Bizzarri estranei a tutte le ore del giorno e della notte!" Si voltò e scese dabbasso, mormorando fra sé mentre si allontanava.

"Bene, Reito, visto che vi siete preso il disturbo di affrontare la considerevole ira della signora Hudson, posso solo immaginare che siate qui per un motivo importante," disse Shizuru. "Prego, sedetevi e ditemi che cosa posso fare per voi?"

Kanzaki scosse la testa.

"In effetti, Shizuru, non siamo qui per parlare con voi."

"Ara, ma davvero?"

Entrambi i poliziotti mi guardarono.

"Io?" dissi, in tono poco brillante. Non ero mai al meglio in situazioni sociali così presto la mattina. La reazione al pericolo come atto di autodifesa potevo gestirla, ma una chiacchierata non era qualcosa che volevo affrontare.

L'ispettore si voltò leggermente, come se stesse guardando guori dalla finestra, che era chiusa come quelle della mia camera da letto. Un attimo più tardi mi accorsi che si era voltato non per guardare qualcosa, ma per nascondere il suo fianco destro. Me ne resi conto immediatamente perché quando si voltò c'era una Colt Navy nella sua mano, la canna puntata contro il mio addome.

"Signorina Kuga, se foste così gentile da usare due dita per rimuovere lentamente la derringer che avete nella tasca del panciotto e darla al sergente Tate, credo che questa conversazione si svolgerà più agevolmente fra tutte le parti interessate."

Shizuru ansimò.

"Reito, che significa?"

La canna del revolver non tremò, e gli occhi di lui rimasero duri e fermi; guardai Tate ma sul suo viso non trovai traccia di sorpresa o simpatia. Seguii gli ordini, e cedetti la mia pistola.

"Grazie."

Kanzaki ripose la propria arma.

"Spero che mi perdonerete per questa sceneggiata, Shizuru, ma non mi piace affatto interrogare dei sospettati di omicidio mentre hanno in tasca delle armi da fuoco."

Le parole erano scherzose, ma il tono e l'espressione non lo erano affatto.

"Omicidio?" strillai- di cosa stava parlando? Il tipo col coltello a cui avevo sparato a Whitechapel era forse morto? Era l'unica persona con cui avevo avuto un incontro potenzialmete letale, e mi dissi che, anche se il proiettile non l'aveva ucciso sul colpo, avrebbe potuto morire per la perdita di sangue, o per un'infezione. Ma anche così, come aveva fatto Kanzaki a risalire a me?

"È impossibile," insistette Shizuru, la voce tremante. "Non è possibile che Natsuki abbia fatto una cosa del genere."

Credo fossi rimasta stupita tanto dal modo in cui la sua calma era stata sconvolta quanto dall’accusa che mi era stata fatta.

"Al contrario," rispose Kanzaki, "La signorina Kuga è senz'altro una persona informata dei fatti nelle mie indagini sull'omicidio del barone Maupertuis...e di quello del signor Robert Merridew."

  
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